CATHERINE MANN
Scontro appassionato
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Yuletide Baby Surprise Harlequin Desire © 2013 Catherine Mann Traduzione di Giuseppe Biemmi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Destiny novembre 2014 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY DESTINY ISSN 1122 - 5470 Periodico settimanale n. 2100 del 25/11/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 413 del 31/08/1983 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 La dottoressa Mariama Mandara era stata sempre stata l'ultima scelta quando si doveva formare una qualsiasi squadra nell'ora di ginnastica. Lo sport in genere non faceva per lei. Ma quando si trattava di una sfida di cultura generale o matematica, le richieste si sprecavano. Peccato che le sue cognizioni di tipo accademico non la aiutassero affatto a sprintare in modo più veloce giù per il corridoio dell'esclusivo hotel. Aveva più che mai bisogno di correre per seminare i soliti royal watchers che erano sulle sue tracce nel resort frontemare di Capo Verde, arcipelago formato da dieci isole disposte a forma di ferro di cavallo di fronte alle coste dell'Africa Occidentale. Lei soggiornava su quella più grande, Santiago. Indipendentemente da quello che faceva, legioni e legioni di vacanzieri e non erano costantemente alla ricerca di una foto insieme alla principessa. Perché non riuscivano ad accettare il fatto che era lì per delle conferenze di lavoro e non per socializzare? Ansimando trafelata, Mari sfiorò per un attimo la parete con la mano mentre sfrecciava accanto a una palma in vaso addobbata di scintillanti luci natalizie. Sfuggire agli implacabili inseguitori non era facile come risultava nei film, specialmente se non eri incline a lanciargli contro tutto ciò che ti capitava a tiro o a saltare giù dalle finestre. La prima porta della tromba delle scale era bloccata da 5
due turisti che stavano studiando una brochure. Un carrello delle pulizie sbarrava un'altra via di fuga. Non le restava che tirare dritto. Riacquistato l'equilibrio, camminò a grandi falcate, evitando di correre perché così facendo avrebbe attirato ulteriormente l'attenzione o avrebbe finito per incespicare. I tacchi a spillo affondavano nella soffice moquette, producendo un ticchettio smorzato a tempo con una versione poliritmica di Cantan gli angeli nel cielo, diffusa dall'impianto stereo. Accidenti, non vedeva l'ora di terminare questa serie di conferenze mediche e tornare al suo laboratorio di ricerca, dove avrebbe potuto superare la frenesia delle festività in santa pace, masticando dati invece che bastoncini di zucchero. Per la maggior parte della gente, il Natale significava amore, gioia e famiglia. Per lei, invece, era solo un periodo che portava con sé delle epiche battaglie familiari anche a distanza di vent'anni dal divorzio dei suoi genitori. Se sua mamma e suo papà avessero vissuto a pochi isolati di distanza, o anche solo sullo stesso continente, le vacanze non sarebbero state così dolorose. Invece, per decenni avevano dato vita a una specie di tiro alla fune relativo alla loro unica figlia. Crescendo, Mari aveva trascorso più tempo nell'aeroporto di Atlanta e sugli aerei con la sua tata che a festeggiare accanto a un caminetto acceso con una tazza di cioccolata in mano. Aveva perfino passato un Natale in albergo, perché il suo volo era stato cancellato per il maltempo. Il carrello abbandonato nel corridoio davanti al quale era appena passata adesso le ricordò il pranzo natalizio consumato grazie al servizio in camera di quell'anno. Che la considerassero pure un po' eccentrica, da quando era diventata indipendente, aveva preferito optare per dei Natali più semplici. Anche se semplice non sempre era un aggettivo che si coniugava bene con una che era nata in una famiglia reale. Non a caso, sua madre era crollata sotto la pressione dei riflettori costantemente puntati su di lei, aveva divorziato dal 6
suo Principe Azzurro che l'aveva portata con sé in Africa Occidentale ed era tornata nella sua casa di Atlanta, in Georgia. Solo che Mari non poteva divorziare da ciò che era. Ah, se solo suo padre e i suoi sudditi avessero capito che poteva essere più utile al loro piccolo paese mettendo a frutto la sua mente brillante in ricerche nel laboratorio universitario invece di doversi stampare un sorriso sulle labbra e andare in giro a tagliare nastri a questa o quella cerimonia di inaugurazione! Agognava la possibilità di vestirsi comoda, invece di doversi preoccupare sempre di essere tiratissima come una modella sul punto di posare per l'ennesimo servizio fotografico. Finalmente, individuò una porta che dava accesso a una scala di servizio. Sbirciando dentro, trovò il terreno sgombro. Doveva solo salire dal pianterreno al quinto piano, dove si sarebbe tappata nella sua stanza per la notte prima di affrontare i restanti simposi in programma nel corso della settimana. Stremata da una giornata di quattordici ore di presentazioni sullo stato delle ricerche sui farmaci antivirali, doveva avere un aspetto disastroso e non era affatto dell'umore di sorridere agli obiettivi dei fotografi o di rispondere a domande che sarebbero state catturate nei video dei cellulari di qualche curioso. Anche perché, di questi tempi, qualsiasi cosa poteva finire su Internet nel giro di pochi secondi. Mentre in sottofondo si udiva un altro canto natalizio, afferrandosi al corrimano, cominciò a salire gradino dopo gradino. Ansimando, fece una pausa al terzo piano per riprendere fiato prima di trascinarsi su per le ultime rampe di scale. Infilata la porta che immetteva nel corridoio del quinto piano, per poco non sbatté in una madre con relativa figlia adolescente che stavano lasciando la loro camera. La ragazzina ebbe una reazione di sorpresa a scoppio ritardato e Mari si girò rapidamente, avvertendo una scarica di adrenalina che per un attimo le fece dimenticare la stanchezza, facendola filare giù per il corridoio. Solo che adesso stava andando nella direzione opposta alla sua, dannazione. Tornare indietro come nulla fosse non era un'opzione 7
praticabile, almeno fino a quando non fosse stata sicura di essere sola. Ma non poteva nemmeno starsene lì in piedi all'infinito. Se solo avesse avuto un foulard o qualsiasi cosa per camuffarsi e depistare la gente. A capo chino, scrutò il corridoio da sotto le ciglia abbassate, notando un carrello portabagagli in ottone e dei vasi mostruosamente grandi di stipa tenuissima, la particolare erba dalle spighe fluttuanti. Lo sguardo alla fine le cadde sulla risposta perfetta alle sue esigenze: un carrello per il servizio in camera. Apparentemente abbandonato. Guardandosi attorno alla ricerca di una qualche persona con l'uniforme dell'hotel, non vide altro che la schiena di una donna che si teneva premuto il cellulare all'orecchio e che si allontanava velocemente. Mari si mordicchiò il labbro inferiore per una frazione di secondo, si precipitò verso il carrello con tanto di tovaglia e sollevò il coperchio posto sopra un vassoio d'argento. Un profumino di agnello speziato con panna acida le fece venire l'acquolina in bocca. E mentre lo stomaco vuoto cominciava a brontolarle, il tiramisù che mise a fuoco le fece venire la tentazione di trovare il primo ripostiglio disponibile dove poter banchettare dopo una lunga giornata di discorsi senza nemmeno una pausa per rifocillarsi, fatta eccezione per una tazza di caffè. Scuotendo il capo, scacciò quel pensiero fuorviante. Prima fosse riuscita a raggiungere la sua camera, prima avrebbe potuto concludere questa giornata frenetica con una doccia tiepida, un suo vassoio di cibo e un letto morbido. E, se avesse fatto finta di dover consegnare il carrello del servizio in camera, avrebbe avuto la possibilità di passare quasi inosservata. C'era perfino una giacca di quelle usate dal personale dell'hotel appoggiata sul manico e un foglietto che indicava la suite 5A come destinazione delle vivande. Il rumore delle porte dell'ascensore che si aprivano la spronò a entrare in azione. Mari si infilò la giacca verde scuro di un paio di taglie più grande sul suo tailleur nero spiegazzato. Un berretto da Babbo Natale rosso si materializzò da sotto l'uniforme 8
dell'albergo. Ottimo. Con questo, il travestimento sarebbe stato perfetto. Si calcò il copricapo sui capelli che teneva raccolti per questione di comodità e si apprestava a spingere il carrello verso la suite in fondo al corridoio, quando delle voci si levarono alle sue spalle. «L'avete vista?» chiese in portoghese una giovinetta dalla voce stridula che riecheggiò giù per il corridoio. «Pensavo aveste detto che era corsa su per le scale.» «E se si fosse fermata a un piano intermedio?» le rispose un'altra ragazzina. «No, sono certa che è qui al quinto piano» sentenziò una terza voce. «Tenete pronti i cellulari. Potremmo vendere eventuali foto per una piccola fortuna.» Scordatevelo. Mari spinse il carrello. I piatti sbatacchiarono e le ruote cigolarono. Maledizione, quell'arnese era più pesante di quanto non sembrasse. Puntando i tacchi, riuscì a far acquisire velocità al carrello. Passo dopo passo, superate alcune maschere tribali appese alle pareti e una fioriera a forma di elefante, vide profilarsi la suite 5A. Il trio di cospiratrici si appropinquò. «Forse potremmo chiedere alla signora con il carrello se l'ha vista...» A Mari, l'apprensione fece drizzare i capelli sulla nuca. Le foto sarebbero state ancora più umilianti se si fosse fatta sorprendere travestita così. Doveva assolutamente entrare nella suite 5A. Adesso. La targhetta di ottone numerata le disse che era giunta a destinazione. Mari bussò due volte, in rapida successione. «Servizio in camera» annunciò, tenendo bassa la testa. I secondi sembrarono scorrere lenti. Il rischio di entrare spacciandosi per quello che non era ed essere smascherata le sembrava decisamente meno deprimente che indugiare qui fuori con un gruppo di ragazzine alle calcagna. Proprio mentre stava per essere assalita dal panico, grazie al cielo, la porta si spalancò. Mari si precipitò dentro e, mentre tendeva le braccia nello sforzo di mandare avanti il pesante carrello, le giunse al naso una zaffata di bagno9
schiuma maschile. Era la sua profumazione preferita, fresca e frizzante, per nulla dolciastra o nauseante. Per poco non incespicò. Cadere mentre spingeva il carrello non sarebbe stato affatto dignitoso. Ma era sempre stata troppo secca e allampanata per essere una ragazza glamour. Era piuttosto un tipo intellettuale, orgogliosa e imbranata, con grande frustrazione dell'addetto stampa di famiglia, che si aspettava da lei che si presentasse sempre in modo impeccabile. Pur nella fretta e furia di entrare, venne stuzzicata dalla curiosità. Che tipo di uomo era quello che sceglieva una profumazione tanto semplice, soggiornando in un luogo così lussuoso? Suo malgrado, non si azzardò nemmeno a dargli una sbirciatina. Scrutò invece velocemente la suite in cerca di eventuali ulteriori occupanti, anche se il carrello del servizio in camera aveva un singolo pasto. Un pasto molto sostanzioso, pensò spingendo il carrello sferragliante oltre un leone intagliato nel legno. La stanza sembrava vuota, le luci soffuse. Dei divani in pelle dall'aspetto morbido e un tavolo massiccio riempivano lo spazio principale. Le tapparelle della finestra panoramica a tutta parete erano state sollevate per poter godere della vista della spiaggia sottostante illuminata dalla luna. Le luci delle stelle e quelle degli yacht punteggiavano l'orizzonte. Palme e alberi da frutta cui erano state appese delle lanterne illuminavano il tratto di litorale davanti all'albergo. Mari si schiarì la gola e indicò il tavolo accanto alla vetrata. «Metto lì?» «Grazie» le rispose una voce profonda e spaventosamente familiare che la bloccò sui suoi passi. «Lasci pure tutto quanto accanto al caminetto.» Al cervello di Mari ci volle meno di un secondo per elaborare quella tonalità da basso, identificandone il proprietario. Un brivido gelido le corse giù per la schiena, come se la neve fosse in qualche modo comparsa a dare un tocco anomalo al Natale africano. 10
Non ebbe bisogno di voltarsi per aver conferma dello scherzo che le aveva tirato il fato. Era sfuggita a una seccatura per gettarsi in bocca a una ben peggiore. Fra le tante suite in cui avrebbe potuto entrare, era finita proprio in quella del dottor Rowan Boothe. La sua nemesi professionale. Un medico i cui ritrovati lei non aveva fatto che ridicolizzare in pubblico. Cosa diamine ci faceva qui? Mari aveva esaminato l'intero programma con i vari relatori e avrebbe giurato che non dovesse intervenire prima della fine della settimana. Chiusa la porta con un clic metallico, lui avanzò lentamente ma inesorabilmente, portando con sé il suo inebriante profumo. Mari tenne il viso abbassato, studiandogli i mocassini e il bordo dei jeans sbiaditi ad arte. E si aggrappò alla speranza che non la riconoscesse. «Allora le lascio qui la sua cena» disse, in preda al panico. «Le auguro una buona serata.» Il corpo alto e solido di lui le sbarrò il passo. Dio, era finita dalla padella alla brace. Gli occhi le corsero a quel torace prestante. Un torace muscoloso, fasciato da una camicia bianca dal collo button down e dalle maniche arrotolate portata fuori dai jeans. Mari ricordava bene ogni singolo centimetro di quel fisico in piena forma. Pregava solo che lui non ricordasse altrettanto bene il loro ultimo incontro, avvenuto cinque mesi prima a una conferenza a Londra. Oh, si sentiva già accaldata per l'imbarazzo. Mari tenne il volto abbassato, non avendo bisogno di guardarlo ulteriormente per ricordare il suo bel viso. Abbronzato dal sole, aveva un aspetto affascinante, da novello Brad Pitt. L'unico particolare fuori posto erano i capelli biondo scuro vagamente ribelli per un medico ma, d'altra parte, era un tipo troppo impegnato nelle sue attività filantropiche per prendersi la briga di compiere un'azione tanto ordinaria come quella di fare un salto dal barbiere. 11
Il mondo lo aveva bollato come il Dottor Perfettino, ma lei non gli poteva perdonare il modo in cui aveva dribblato certe regole non scritte. «Madame» disse lui, piegando il capo come a voler attirare la sua attenzione, «c'è qualche problema?» Calma. Non poteva identificarla se gli dava la schiena. Preferiva affrontare i fotografi e vedere sbattute sui giornali le sue foto che guardare in faccia quest'uomo mentre portava in testa uno stupido cappellino da Babbo Natale. Una mano entrò nel suo campo visivo, tenendo fra le dita delle banconote piegate in due. «Buon Natale.» Se non accettava la mancia, avrebbe suscitato dei sospetti. Così richiuse i polpastrelli attorno al bordo delle banconote, facendo del suo meglio per non toccarlo. Quindi si mise in tasca il denaro, prendendo nota mentalmente di donarlo in beneficenza alla prima occasione. «Grazie per la sua generosità.» «Non c'è di che.» La sua voce era troppo accattivante per provenire da un uomo così insopportabilmente perfetto. Esalando con forza il fiato trattenuto nei polmoni, lei gli ripassò davanti. Ce l'aveva quasi fatta. La mano le corse alla fredda maniglia in ottone della porta. «Dottoressa Mandara, davvero vuole andarsene così in fretta?» le chiese lui con inconfondibile sarcasmo. L'aveva riconosciuta. Dannazione. Probabilmente stava anche ridendosela sotto i baffi, brutto bastardo. Quando le si avvicinò di un ulteriore passo, il calore del suo alito le accarezzò una guancia. «E io che speravo che si fosse data la pena di intrufolarsi così camuffata in camera mia per potermi sedurre.» Il dottor Rowan Boothe aspettò che le sue parole arrivassero a segno mentre la possibilità di ingaggiare un duello dialettico con la sensuale principessa, nonché ricercatrice di talento, gli pompava una certa eccitazione nelle vene. Non sapeva cos'era che lo accendeva in Mariama Mandara, ma aveva rinunciato da un pezzo ad analizzare la cosa. La sua 12
attrazione per Mari, ormai, era un semplice dato di fatto. Così com'era parimenti innegabile il disprezzo con cui lei lo ricambiava, cosa che contribuiva a renderla ancora più seducente. Era cresciuto ben consapevole del fatto che il mondo lo dipingeva come una specie di santo solo perché aveva respinto l'offerta di un posto assai remunerativo nel Nord Carolina, optando invece per un modesto ospedale in Africa. D'altra parte, i soldi li aveva fatti ugualmente, ideando un software di diagnosi medica, software che Mari non aveva perso l'opportunità di congedare, definendolo lacunoso e fuorviante. Comunque, gran parte dei guadagni ottenuti con il programma informatico li aveva immessi a fondo perduto nell'ospedale, cosa che non andava certo in giro a strombazzare ai quattro venti. La vera filantropia comportava dei sacrifici. E lui non era particolarmente incline a negarsi le cose che voleva. Ebbene, al momento, voleva Mari. Anche se, a giudicare dall'espressione inorridita che lei stava sfoderando, la battutina con cui aveva cercato di sdrammatizzare la situazione non si era rivelata troppo felice. Lei aprì e richiuse la bocca ripetutamente, una volta tanto a corto di parole. Buon per lui. Gli bastava bearsi della sua vista. Così si appoggiò contro l'angolo bar, ammirando il suo fisico alto e slanciato. Ad altri avrebbe potuto sfuggire la grazia della sua delicata struttura sotto gli indumenti abbondanti che indossava, ma lui l'aveva studiata abbastanza spesso per scorgere ogni singola curva appena accennata. Oh, quanto gli sarebbe piaciuto sfilarle quei vestiti informi per assaporare ogni centimetro della sua pelle color caramello... Almeno in parte, il fermento ormonale di cui era preda doveva esserglisi riflesso in volto perché lei riuscì a scuotersi dal suo shock. «Avrà voglia di scherzare, vero? Io non le farei mai e poi mai delle avances, tantomeno una così sfacciatamente palese.» 13
Accidenti, la sua indignazione era davvero sexy e perfino buffa, data l'incongruità di quel berretto da Babbo Natale che si era calcata in testa. Rowan non poté impedirsi di sogghignare. Lei sbatté un piede per terra. «Non si azzardi a ridere di me.» Lui si batté un paio di colpetti in testa. «Gran bel cappellino.» Borbottando, lei gettò in disparte il copricapo e si sbottonò con rabbia la giacca dell'uniforme dell'hotel. «Mi creda, se avessi saputo che avrei trovato qui lei, non avrei scelto questa stanza per nascondermi.» «Nascondersi?» ripeté lui, seguendola a stento. Mentre Mari sfilava le braccia dalla giacca per rivelare un tailleur nero spiegazzato, la camicetta bianca le si tese contro i seni spedendogli un eloquente fremito che non riuscì a mascherare. Non c'era niente da fare. Quella donna aveva il potere di rimescolargli il sangue nelle vene e questo da due anni a questa parte, ovvero da quando era salita su un palco davanti a una sala conferenze gremita e aveva cominciato a fare le pulci al suo lavoro. Mari riteneva il suo software troppo semplicistico, accusandolo di essere freddo e di togliere l'elemento umano dalla diagnosi medica. A quel ricordo, la mascella gli si fletté, facendogli passare di colpo ogni voglia di sorridere. Se c'era una persona fredda e distaccata, quella era lei. E, accidenti, quanto gli sarebbe piaciuto incrinare la sua compostezza per vedere quegli occhi castano scuro coprirsi di un velo di travolgente passione. Diamine, se continuava a seguire questo corso di pensieri, in men che non si dica si sarebbe ritrovato in balia di un'evidente erezione. Cercando disperatamente di controllarsi, considerò il problema che aveva per le mani, ovvero Mari, proprio mentre in testa gli affiorava la possibile ragione della sua presenza in camera sua. «È per caso impegnata in qualche genere di spionaggio professionale?» 14
«Ma di cosa diavolo sta parlando?» Lei armeggiò attorno alla gonna di tweed che le si era slacciata in vita. Chi avrebbe mai detto che il tweed potesse arraparlo così? Eppure si ritrovò a fantasticare di toglierle dai piedi quelle scarpe dal tacco altissimo. A quel punto, l'avrebbe ricoperta di baci a cominciare dal polpaccio ben tornito, facendosi poi strada sotto la gonna per trovare l'interno vellutato delle sue cosce fino a... Rowan si schiarì la gola per tornare a concentrarsi sul volto dai fini lineamenti di Mari. «Fare la finta tonta non le si addice.» Sapeva perfettamente che era dotata di un quoziente d'intelligenza degno di un genio. «Ma se è così che vuole gestire questa faccenda, allora okay. Sperava di ottenere delle informazioni riservate sull'ultima versione del mio software?» «Niente affatto.» Lei si passò una mano sui capelli raccolti. «Non avrei mai pensato a lei come a un tipo appassionato di teoria della cospirazione, visto che è un uomo di scienza. O, almeno, una specie.» Lui inarcò un sopracciglio. «Dunque, non è qui per avere informazioni, Mari.» Se voleva mantenere le distanze, avrebbe dovuto chiamarla dottoressa Mandara, ma ormai era tardi per tornare indietro. «Allora perché si è intrufolata nella mia suite?» Sospirando, lei incrociò le braccia sul petto. «Bene. Glielo dico subito, ma deve promettere che non si metterà a ridere.» «Ha la mia parola di boyscout.» Lui si mise la mano sul cuore. «Era un boyscout? Dovevo immaginarmelo.» Lo era stato, prima di essere spedito in una scuola militare molto simile a un riformatorio, ma non gli andava di parlare di quei giorni e delle cose che aveva fatto. Cose che non avrebbe potuto espiare nemmeno se avesse aperto ospedali senza scopo di lucro in ogni continente ogni anno della vita che gli rimaneva da vivere. Ma continuava a provarci, salvando una vita alla volta, per riscattare il passato. 15
«Se non erro, stava per confidarmi com'era finita nella mia suite.» Lei lanciò un'occhiata alla porta, poi si sedette con circospezione sul bracciolo di un divano. «Avevo alle calcagna i soliti curiosi di cose reali che, armati di cellulari, cercavano di farmi foto o video a caccia dei loro cinque secondi di gloria. Mi hanno seguita da quando sono uscita dalla porta sul retro della sala conferenze.» L'istinto protettivo connaturato in lui si risvegliò di colpo. «Suo padre non le ha fornito delle guardie del corpo?» «Ho scelto di non avvalermene» disse lei, sollevando regalmente il mento in un modo che lasciava chiaramente intendere che l'argomento non era oggetto di discussione. «Dato che tre ragazzine stavano per piombarmi addosso e che la donna che spingeva questo carrello per il servizio in camera è stata distratta da una telefonata, ho visto la mia grande occasione e l'ho colta al volo, soffiandoglielo.» Rowan la guardò sconcertato. Che importanza aveva se lei non voleva le guardie del corpo? Suo padre avrebbe dovuto insistere. Mari continuò. «So che probabilmente dovrei limitarmi a sorridere agli obiettivi e proseguire per la mia strada, ma le immagini che catturano non sempre sono... professionali. Ho un lavoro serio da svolgere, una reputazione da difendere.» Lei reclinò il capo e tese la bocca per la frustrazione un attimo prima di scuotere stancamente la testa. «Non avevo programmato tutto questo.» La spossatezza che tradiva Mari lo toccò, facendogli venire voglia di posarle le mani sulle spalle afflosciate per cercare di scioglierle i muscoli tesi. Solo che, se lo avesse fatto, lei gli avrebbe dato in testa il vassoio d'argento che si trovava sul carrello. Staccandosi dall'angolo bar, Rowan passò accanto al carrello e le si avvicinò di nuovo. «Povera la nostra ricca principessina.» Gli occhi da gattina di Mari si socchiusero. «Ehi, se mi prende in giro, lei non è affatto carino.» 16
«Lei è l'unica a pensarlo.» Lui si fermò a poco più di una spanna dallo sfiorarla. Raddrizzando le spalle, Mari lo fissò. «Be', mi scuso per non essere membro del suo fan club.» «Davvero non sapeva che questa era la mia stanza?» le chiese ancora lui, anche se le poteva leggere la verità negli occhi. «No. Non lo sapevo.» Mari scosse la testa, mentre una vena del collo tradiva l'improvviso aumento delle pulsazioni. «Il carrello riportava solo il numero della stanza. Non il suo nome.» «Se si fosse resa conto prima che questa era la mia stanza...» lui raccolse la giacca dell'hotel e il berretto da Babbo Natale, «... si sarebbe immolata davanti ai flash piuttosto di chiedere aiuto a me?» Sulle labbra le tremolò quello che sembrò il primo accenno di un sorriso. «Immagino che la risposta a questo non la conosceremo mai, non trova?» Lei tirò la giacca per riprenderla. «Le auguro buon appetito.» Lui non mollò la presa. «C'è un sacco di cibo qui. Potrebbe unirsi a me, nascondendosi un po' più a lungo.» «Mi ha appena invitata a cena?» La luce divertita che le attraversò gli occhi produsse una certa elettricità nell'aria che li separava. «O, in cuor suo, ha intenzione di avvelenarmi?» Lei si mordicchiò il labbro inferiore e Rowan avrebbe potuto giurare che ondeggiò leggermente verso di lui. Se le avesse agganciato un dito nella scollatura a V della camicetta e avesse tirato, se la sarebbe ritrovata fra le braccia. Invece, si limitò ad allungare una mano per tirarle indietro una ciocca ribelle di capelli neri, sfuggita alle forcine, che le ricadeva sul viso. «Mari, ci sono un sacco di cose che vorrei farle, ma posso assicurarle che avvelenarla non rientra nell'elenco.» Una certa confusione le si disegnò in volto, ma non sarebbe scappata via dalla stanza, né avrebbe riso. In effetti, Rowan avrebbe giurato di aver scorto in lei un sia pur restio 17
interesse. Sufficiente a spingerlo a chiedersi cosa avrebbe potuto accadere se... Un piagnucolio lo strappò alla nebbia della passione in cui era piombato. Il rumore non proveniva da Mari. Lei guardò dietro di lui e Rowan si girò a sua volta. Il pianto si levò più alto, diventando un vero e proprio vagito, giungendo dall'interno della stanza. Da sotto il carrello del servizio in camera? Rowan lanciò un'occhiata a Mari. «Cosa diamine sta succedendo?» Lei scosse il capo, allargando le braccia. «Non guardi me.» Lui attraversò la stanza a grandi falcate, sollevò la tovaglia di lino che copriva il carrello e si trovò di fronte un neonato che urlava a squarciagola.
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