traduzione di Maddalena Milani
ISBN 978-88-6905-208-8 Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: Destination Chile Carina © 2016 Katy Colins Traduzione di Maddalena Milani Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins giugno 2017
Dedica
Le persone che piĂš ci ispirano sono quelle che fanno le cose senza rendersene conto. Per te, Charlotte.
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Spigolare (v. fig.) Raccogliere notizie da fonti diverse. «Te ne serve davvero un'altra?» chiese Ben spingendo un carrello strabordante nel labirinto di scaffali dell'Ikea. Io mi ero fermata ad annusare l'aroma rilassante di una tozza candela verde pallido e lo fissai come se mi avesse appena chiesto se non mi stancassi mai di mangiare cioccolato. «Le candele non sono mai abbastanza: lo sanno tutti.» «Contenta tu... Solo che non capisco il senso di comprare una cosa per poi darle fuoco. È letteralmente come bruciare soldi.» Rise e scrollò la testa. «Ma la vera domanda è: si chiama Grönkulla o Färdfull o almeno Knutstrop? Perché quello sì che fa la differenza!» Lo disse nel pessimo accento scandinavo che aveva adottato da un'ora a quella parte, strappandomi una risatina. «A dire il vero si chiama Fyrkantig, ma caspita... sei praticamente bilingue!» lo stuzzicai. Lui gonfiò il petto inorgoglito. «Sì. O forse dovrei dire ja? Adesso vieni, però. Sto morendo di fame e mi hai promesso le polpette.» Lasciai cadere un altro paio di candele deliziosamente profumate sul cumulo di soffici cuscini bianchi, cornici per foto e altri oggetti d'arredamento uno più utile e grazioso dell'altro e presi Ben sottobraccio. «Okay, piatto di polpette in arrivo.» Ma poi mi morsi il labbro e guardai il nostro 7
bottino. «Pensi che abbiamo preso tutto quello che ci serve?» «Abbiamo preso letteralmente tutto.» Emise una specie di grugnito che però, lo sapevo, serviva solo a nascondere quanto si fosse goduto il nostro raid in un negozio così grande da costituire una nazione a sé stante. Io, invece, avevo vissuto con assurdo nervosismo la nostra prima visita di coppia. In fondo, comprare insieme i mobili all'Ikea rappresenta un rito di passaggio in qualsiasi relazione. Soprattutto considerando che, l'ultima volta in cui io e il mio ex Alex eravamo stati in quello che lui definiva l'inferno svedese, ne eravamo usciti con una libreria Billy e una grossa incazzatura. Non ci eravamo rivolti la parola per due ore, a coronamento di una spedizione che nelle mie fantasie avrebbe dovuto rappresentare un'emozionante tappa nella creazione del nostro nido d'amore, e che invece si era rivelata un incubo condito da frecciate acide e bisticci. E il tutto ancora prima di arrivare alla fase cruciale del montaggio dei mobili. Questa volta era tutto diverso. Durante la nostra prima visita ufficiale, io e Ben avevamo girovagato piacevolmente per l'enorme negozio, superando la zona cucina senza metterci a litigare per stabilire chi dei due cucinasse più spesso e senza affrettare il passo con evidente imbarazzo nell'attraversare lo spazio bimbi. Era proprio come me l'ero immaginato prima della disastrosa esperienza con Alex. Ma adesso, due ore dopo essere arrivati, notavo che i livelli di divertimento di Ben iniziavano a scemare. Era sabato, l'unico giorno libero per entrambi, e l'impressione era che tutta Manchester avesse avuto la stessa identica idea. Arrancavamo dietro a orde di trafelati maghi del bricolage, bambini piagnucolanti e coppie che si scambiavano sottovoce critiche sferzanti sulle reciproche preferenze in fatto di tendaggi, sempre seguendo diligentemente il percorso indicato dalle frecce gialle. 8
«Quei due farebbero meglio a girarsi alla larga, prima che quelle matitine finiscano conficcate dove non dovrebbero» aveva osservato Ben, indicando marito e moglie che si scambiavano occhiate così ostili da sembrare pronti ad avviare la procedura di divorzio tra le poltrone Jennylund e il divano Ektorp. Era come se, mettendo piede all'Ikea, la gente si rendesse improvvisamente conto che l'orrido gusto del partner in fatto di tessuti e arredamento simboleggiasse tutti i buoni motivi per disprezzarlo, e che quell'insofferenza fosse reciproca. Feci una risatina e tirai Ben attraverso una di quelle porte misteriose in stile Scooby Doo, un passaggio segreto per saltare a piè pari il reparto bagno. Avevo imparato quel trucco la volta precedente, quando me n'ero andata via imbronciata dopo che Alex aveva definito dozzinale il tappetino per il bagno che avevo scelto. È proprio il labirinto per topi che ti costringono a percorrere a rendere una visita all'Ikea un vero e proprio campo minato per qualsiasi relazione, recente o di vecchia data che sia. E poi mentono sulle uscite... be', non proprio, ma arrabbiata com'ero, mi era sembrato di girare in cerchio e di superare sempre le stesse persone dall'aria incazzata, strette ai loro borsoni gialli come alla coperta di Linus. Be', questa volta ero preparata. Questa volta conoscevo le scorciatoie. «Non diventeremo mai come loro. Promettimelo» avevo sussurrato a Ben, stringendogli forte la mano. Manco a farlo apposta, in quel momento ci trovavamo nel reparto camera da letto. Ridendo, Ben mi spinse verso il lettone più vicino, tra l'altro rivestito con un copripiumone che sarebbe stato proprio bene nella nostra stanza, e mi fece sdraiare sulla superficie soffice. «Te lo prometto.» Si avvicinò per baciarmi con slancio. Il borbottio di disapprovazione di un tizio indiano, fermo nei paraggi a esaminare cuscini anallergici, mi fece arrossire, così ci rialzammo per terminare gli acquisti e tornare 9
a casa, nel nostro letto. L'Ikea non è fatta per guardare e non comprare, e infatti avevo già leggermente sconfinato rispetto alla lista che avevo steso quella mattina a colazione. Era ora di darci un taglio. «Ooh, aspetta. Mi ero dimenticata le scodelle per i cereali!» esclamai appena messo piede nel reparto cucina, ricordandomi che quelle che avevamo erano scheggiate e, ebbene sì, non abbastanza profonde per i miei gusti. «Okay. Prendi le scodelle e poi via da qui.» «Promesso.» Ben aveva socchiuso gli occhi come il personaggio di un videogioco, un cecchino addestrato a non perdere mai di vista il bersaglio e a non farsi distrarre dalla raffica di "oh, guarda, non è meraviglioso?" e "quello ci serve proprio!" che pronunciavo rovistando tra gli articoli sugli scaffali, travolta da un incontrollabile entusiasmo per le spatole da cucina in tinte sgargianti. Temevo che da un momento all'altro mi prendesse per mano e mi trascinasse via da tutte quelle cose meravigliose che di nome facevano Rort o Skedstorn o qualche altra parola priva di vocali, e che altrimenti avrei finito per ammassare in un borsone azzurro nuovo di zecca. Nel sorprendermi a trafugare un altro paio di strofinacci da cucina, lo sguardo divertito di Ben saettò su di me. «Non farai sul serio, piccola?» mi chiese con un sorrisetto. «Lo so, ma sono una vera occasione!» Feci un respiro profondo. «Okay, per favore, portami via da qui. Non so più dove sia finito il mio autocontrollo!» piagnucolai mentre lui rideva e mi prendeva per mano. Arrivammo all'area self-service tubando in modo disgustosamente sdolcinato, tanto più considerando le catastrofi amorose che si stavano consumando tutt'attorno a noi. Percorremmo la corsia di destra (avevo annotato meticolosamente la collocazione del tavolo da pranzo che piaceva a 10
entrambi) tenendoci per mano e divertendoci a elencare tutte le celebrità svedesi che conoscevamo. I più votati, subito dopo qualche ignoto calciatore suggerito da Ben, furono la presentatrice Ulrika Jonsson e gli ABBA. Filò tutto liscio − forse anche troppo − finché non vedemmo la voluminosa confezione di cartone di forma oblunga che ci attendeva allo scaffale 39 della sezione A. «Oh.» «Merda.» «È enorme!» ansimai. Non soltanto temevo che non entrasse in macchina: non avevo neppure idea di come potesse stare nel nostro appartamento, già piuttosto pieno. Il tavolo era il motivo principale per cui eravamo lì: tra qualche giorno avremmo ricevuto gente a cena per una raffinata inaugurazione della casa nuova, ed ero stata colta dal panico al pensiero che gli ospiti finissero per mangiare con il piatto sulle ginocchia. «Senz'altro sarà tutto imballaggio. Non sembrava così grande di sopra, in esposizione» disse Ben grattandosi la testa. Annuii, pur non essendo convinta. «Hai preso le misure prima di uscire di casa, vero?» «Sì. E dai, andrà benissimo» disse lui, rantolando nello sforzo di posizionare la maxi confezione sul carrello piatto e ignorando la mia occhiata scettica. Eravamo entrambi stanchi morti e, per quanto divertente e relativamente indolore fosse stata la sessione di shopping, ero ansiosa di tornare a casa, mettere a bollire l'acqua e versare il tè nel mio nuovo set di tazze. Certo che ha calcolato bene le dimensioni, dagli fiducia, Georgia! Ci dimenticammo perfino delle polpette con la salsa ai mirtilli rossi, tanta fu la fatica di infilare quel dannato coso nell'auto. Passai il tragitto di ritorno con il sedile spinto in avanti al massimo, raccomandando a Ben di non frenare improvvisamente per paura di venir decapitata, visto che 11
stavo viaggiando con l'angolo della scatola appoggiato sul collo. Infine ci ritrovammo sul divano con il fiatone, reduci dall'impresa immane di far passare quel colosso dalla porta di casa. Il mio compiacimento per essere sopravvissuti all'Ikea iniziava ad affievolirsi, ma riuscimmo a conservare un certo buonumore e a considerare l'aspetto comico dell'esperienza, cosa non facile visto il traumatico viaggio di ritorno in auto – anche se, in effetti, la guida da nonnetto di Ben mi aveva strappato un sorriso perfino in quel frangente. «Okay, è entrato!» esultò lui, asciugandosi la fronte sudata. «Che ne dici se io mi occupo del montaggio mentre tu vai in camera a fare un po' di spazio per le candele che hai razziato?» «Sei sicuro di non volere una mano?» gli chiesi, notando che, solo per rompere la confezione ed estrarne un libretto delle istruzioni sorprendentemente alto, aveva già combinato un macello, disseminando plastica da imballaggio e viti sul pavimento. «No. Se non fossi capace di montare un tavolo per la mia donna, allora sarei un uomo fallito.» Del tutto imperturbato dai detriti che lo circondavano, Ben sorrise e stappò una bottiglia di birra ghiacciata, pronto all'azione. «D'accordo, allora, se sei sicuro...» Mi chinai a dargli un bacetto sui riccioli bruni. «In bocca al lupo.» Aggirai gli scatoloni allineati in corridoio, quelli che, in barba alle regole antincendio, non avevamo ancora svuotato, e trascinai in camera il borsone blu dell'Ikea pieno zeppo di roba. Quella era già la mia stanza preferita della casa. Era più spaziosa della media, con grandi finestre a ghigliottina da cui entrava talmente tanta luce da far sembrare ancora più ampio quello spazio rilassante. La quantità di roba che avevo accumulato dopo la convivenza con il mio ex e i miei viaggi per il mondo non cessava mai 12
di stupirmi. Da quando ci eravamo trasferiti lì, un mese prima, io e Ben avevamo fatto i salti mortali per trovar posto ai nostri effetti personali e al contempo dare un tocco individuale e accogliente a ciò che, in principio, era stata una semplice tela bianca. Non c'era voluto molto perché lui decidesse di lasciare l'appartamento che condivideva con il suo migliore amico Jimmy per trasferirci in una casa tutta nostra. La decisione di convivere era avvenuta in modo naturale, quasi fosse ovvia, soprattutto visto che trascorrevamo già parecchio tempo insieme al lavoro e la nostra relazione andava a gonfie vele. Detestavo stare lontana da lui. Con mano d'artista, disposi la mia nuova collezione di candele sulla cassettiera, vicino alla cornice con la foto di me e Ben al nostro primo incontro su un'assolata spiaggia thailandese. Da allora erano cambiate così tante cose che a volte mi dimenticavo come tutto fosse iniziato. Nel frattempo avevamo avviato una nostra attività, il Club dei Cuori solitari giramondo, ci eravamo innamorati e ora convivevamo. Come avrei potuto immaginarlo, nell'ormai lontano istante in cui quell'affascinante sconosciuto mi cingeva la vita e io sorridevo all'obiettivo della macchina fotografica? Tornata al presente, sogghignai nell'udire Ben fischiettare una canzone trasmessa alla radio. Non ricordavo di aver mai guardato al futuro con tanta felicità ed emozione, una sensazione talmente speciale e preziosa che avrei voluto non finisse mai. Andare a convivere era stata la scelta giusta. Entrambi viaggiavamo molto, ma separatamente, per promuovere il Club dei Cuori solitari giramondo: negli ultimi mesi ero stata in Spagna, Grecia e Marocco. Purtroppo, in genere, tutto ciò che riuscivo a vedere di quelle mete suggestive erano l'aeroporto e un assortimento di anonime camere d'albergo. Inoltre significava che quando io ero in ufficio, non c'era Ben, e viceversa, visto 13
che ci alternavamo nel mantenere i contatti con le nostre guide turistiche e provare di persona le varie escursioni. Era tutto estremamente stimolante, ma ci imponeva di gestire il nostro tempo libero in modo meticoloso, programmando le uscite serali e le altre attività da fare insieme con settimane o addirittura mesi d'anticipo. Quando ero via non soffrivo la mancanza di casa, ma con il passare del tempo avevo iniziato a soffrire del fatto di non avere una casa da condividere con Ben. Un posto dove svegliarci e addormentarci insieme quando ci capitava di essere nello stesso Paese contemporaneamente. Non volendo essere d'intralcio alle sue tecniche di montaggio dei mobili, decisi di iniziare a svuotare gli scatoloni ancora ammassati in corridoio. Sopra c'era scritto Vestiti di Ben, cosÏ li trascinai senza troppe cerimonie fino in camera e spalancai le ante del grande armadio a muro. Mi venne un accidente quando vidi che stava già straripando di roba. Mentre estraevo morbide T-shirt dallo scatolone e le riponevo nella parte di armadio riservata a Ben, chiusi gli occhi e respirai l'aroma familiare e rincuorante del mio ragazzo. Persa nei ricordi inebrianti che quell'odore suscitava nel mio cervello e nelle mie parti intime, quasi non me ne accorsi nemmeno. Tra i maglioni invernali piegati con cura, infatti, la mia mano aveva brevemente incontrato un oggetto duro. Frugando meglio nello scatolone, ebbi una stretta allo stomaco e il mio cuore mancò un battito. Infilata, quasi nascosta, nella tasca di una pesante giacca di lana, c'era una scatolina di velluto bordeaux.
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Questo volume è stato stampato nel maggio 2017 presso la Rotolito Lombarda - Milano