Determinati ad amarle

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Inghilterra, 1884 - Adele Wilson vuole solo una cosa: evitare gli scandali. Ecco perché ha accettato di sposare un gentile e onesto nobile inglese. Ma l’incontro con il Barone di Alcester potrebbe cambiare tutto… SERIE DOLLAR PRINCESSES – LA NOBILTÀ È TUTTO.

Londra, 1811 - Pierson Stratton, Visconte Wakefield, un tempo aveva tutto, ma la guerra ha rovinato ogni cosa. Ora vorrebbe solo un po’ di solitudine, ma Louisa, giovane vivace e molesta, non è per nulla disposta a lasciarlo in pace. - LE ADORABILI ZITELLE DI KEMPTON.

Inghilterra, 1815 - Convinto con l’inganno

a prendere in moglie Lillian e a partire per la guerra in cerca di onore, dopo sette anni Gerry torna in Inghilterra coperto di gloria. La sua casa, però è stata trasformata in un covo di corruzione e malaffare. Lillian è davvero truffatrice senza scrupoli?

Inghilterra, XIII secolo - Rimasta vedova subito dopo le nozze, Lady Eleanor Peyton dovrà lavorare fianco a fianco con William Rudhale, amministratore del maniero del padre. Bello, brillante, rispettoso… ma il suo comportamento fosse solo frutto di una scommessa?

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Nora Roberts

Determinati ad amarle


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Temptation The Name of the Game Silhouette Romance Silhouette Intimate Moments © 1987 Nora Roberts © 1988 Nora Roberts Traduzioni di Elisabetta Elefante e Laura Polli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 1989 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Zodiaco agosto 1989 Prima edizione Collezione Harmony novembre 1992 Questa edizione Harmony Romance agosto 2016 Questo volume è stato stampato nel luglio 2016 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 170 del 12/08/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Orizzonti sconosciuti



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«Se c'è una cosa che non sopporto, è alzarmi alle sei di mattina!» borbottò Eden contrariata. I primi raggi di sole filtravano attraverso la finestra e andavano ad accarezzarle il volto mentre lo squillo impietoso della sveglia le rimbombava nella testa: era soltanto il terzo giorno che era costretta ad alzarsi a un orario assolutamente impensabile, ma sentiva già che non sarebbe mai riuscita ad abituarsi. Ancora qualche minuto, si disse e seppellì la testa sotto al cuscino illudendosi per un istante di essere tornata nel suo magnifico letto a baldacchino, tra le lenzuola di candido lino profumate di lavanda. Come le mancava la sua casa, la sua camera da letto comoda e spaziosa! Con un sospiro di rassegnazione, lanciò il cuscino per aria e si mise pigramente a sedere. Fortunatamente qualcuno aveva fermato la sveglia, ma dal capanno di fronte giungevano le voci allegre delle giovani ospiti del campo: con l'entusiasmo e la spensieratezza della loro età avevano acceso la radio a tutto volume deliziandosi con uno scatenatissimo rock. Con gli occhi ancora semichiusi, Eden si girò verso la sua compagna di stanza, già pronta ad affrontare quella nuova giornata. 7


«Buongiorno!» esclamò Candy con un sorriso, passandosi una mano tra i folti capelli rossi nel tentativo consueto quanto vano di riuscire a domarli. Sembrava già fresca come una rosa: ma come diavolo faceva? «È una giornata assolutamente incantevole» annunciò stiracchiandosi nel suo civettuolo babydoll. Eden non le rispose nemmeno: si limitò a fare spallucce e lasciò penzolare i piedi dal bordo del letto. Era seriamente tentata di rimettersi a dormire. «Sai, penso proprio che comincerò a odiarti» dichiarò con la voce ancora impastata dal sonno e la cadenza sofisticata della ragazza di buona famiglia. Richiuse gli occhi e si scostò dalla fronte una ciocca di capelli biondi. Mentre l'amica spalancava la porta lasciando entrare l'aria frizzante del mattino, Eden rimase a oziare sul letto, del tutto indifferente allo spettacolo della natura che si svegliava alla vita, alla carezza di quel sole estivo che l'avvolgeva facendo risplendere i lunghi capelli dorati, morbidi come seta. «Sei proprio sicura che sia già mattina?» farfugliò abbandonandosi a un enorme sbadiglio. «Giurerei di essere andata a dormire solo cinque minuti fa...» Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e vi posò il volto grazioso, dai lineamenti gentili, quasi aristocratici, impreziositi dall'impertinente nasino all'insù e dalle labbra carnose. Sembrava così pallida, così vulnerabile che per un istante Candy preferì non dirle niente. Conosceva Eden troppo bene per non sapere cosa doveva costarle tutto quello. «Coraggio!» sospirò prendendo un'ultima boccata d'aria. «Te l'avevo detto che la prima settimana sarebbe stata la più dura. Ma una bella doccia ti rimetterà in sesto!» 8


Eden spalancò finalmente i suoi innocenti occhioni blu. «Tu fai tutto così facile...» A quell'ora era sempre di pessimo umore, ma non era giusto prendersela con Candy, ragion per cui si mise in piedi sforzandosi di abbozzare un sorriso. Come d'incanto, la sua espressione si raddolcì. Soffocò sul nascere un ennesimo, poderoso sbadiglio e si guardò intorno sperando di ricordarsi dove avesse lanciato le pantofole la sera prima. «Prova a guardare sotto la brandina» le suggerì l'amica, intuendo i suoi pensieri. Eden si chinò a raccogliere le preziose babbucce di seta rosa che si aveva portato con sé trovandole ancora una volta assolutamente fuori luogo in quel posto di villeggiatura tutt'altro che sofisticato. «Credi che riuscirò a cavarmela?» chiese perplessa all'amica. «Sì, insomma, sono già stata in un campeggio per ragazze, ma non avevo mai immaginato che avrei finito con l'aprirne uno.» «Sbaglio, o stai avendo qualche ripensamento?» fu la risposta di Candy, che in fondo nutriva i suoi stessi dubbi. Altro che!, pensò Eden, per nulla entusiasta di quell'avventura. Ma Camp Liberty rappresentava per lei qualcosa di più di un semplice investimento finanziario, e lamentarsi non avrebbe certo migliorato le cose. «Lascia stare!» esclamò infine scuotendo la testa. «Quando mi sveglio sono sempre di cattivo umore. Hai ragione tu: mi ci vuole proprio una bella doccia.» Si trascinò verso il bagno, ma l'amica la bloccò sulla soglia. «Eden, funzionerà! Ne sono certa.» «Anch'io» mentì lei. Ma una volta rimasta sola, sospirò sconfortata. Aveva paura, una paura folle di quello 9


che le avrebbe riservato il futuro. Aveva investito tutti i suoi averi, fino all'ultimo centesimo, in quelle capanne sgangherate e nelle stalle, e ora Camp Liberty rappresentava il suo ultimo barlume di speranza. Ma che ne sapeva lei di come si gestisce un campeggio per ragazze? Niente. Assolutamente niente. E questo la terrorizzava. Se avesse fallito, avrebbe dovuto ricominciare da capo. O meglio, ricominciare da zero, perché non le sarebbe rimasto più nulla. Oh, avanti! Basta avere un po' di fiducia in se stessi, si disse entrando nella minuscola cabina della doccia. Fiducia, un pizzico di fortuna... e un bel po' di vile denaro, che non guasta mai! Sotto il getto di acqua appena tiepida, allungò una mano e afferrò il delicato sapone francese, forse l'unico piccolo lusso che ancora si concedeva. Solo un anno prima, non avrebbe mai pensato al sapone come a un lusso per pochi fortunati. Un anno fa... Eden Calborough era ancora uno di quei fortunati. Si alzava con comodo, non prima delle nove, poteva permettersi di perdere tutto il tempo che voleva sotto la doccia calda, trovava una ricca colazione già preparata... Verso le dieci se ne andava in biblioteca, poi a pranzo con Eric, in un esclusivo ristorantino francese e infine al museo, o a presenziare a una riunione di una delle innumerevoli associazioni benefiche di zia Dottie. L'unico dilemma era rappresentato dalla scelta dell'abito da indossare: il completo di seta azzurro, o il tailleur di lino, magari l'abito da sera di taffettà color cipria, senz'altro l'ideale per un'uscita serale con Eric, in uno dei sofisticati salotti di Philadelphia. 10


Per il resto, nessun tipo di preoccupazione. Nessun problema. Ma allora suo padre era ancora vivo. Ancora sovrappensiero, Eden si strofinò vigorosamente con l'asciugamano da campo. Solo un anno prima, era convinta che il denaro non le sarebbe mai venuto a mancare. Forse per questo le avevano insegnato a decidere un menu, ma non a cucinare; a governare una casa, ma non certo a dedicarsi alle faccende domestiche. Rimasto vedovo quando Eden era ancora in fasce, suo padre aveva riversato su di lei tutto il suo affetto accontentandola in ogni suo capriccio, concedendole tutto quello che la sua condizione agiata poteva permettergli. Ed Eden era cresciuta felice, in una casa austera ed elegante, in un turbinio di feste sfarzose, di frivoli incontri con ragazze dell'alta società, di riunioni benefiche e di lezioni di equitazione. Il nome dei Calborough era riconosciuto e rispettato; il loro denaro era qualcosa di scontato. Poi le cose erano drasticamente e irrimediabilmente cambiate. Ora Eden era costretta a dare lezioni di equitazione invece di riceverle, e a cercare di far quadrare i conti a fine mese. Passò l'asciugamano sul piccolo specchio reso opaco dal vapore e guardò sconsolata l'ultimo vasetto di crema per il viso ridotto ormai a meno di metà: doveva razionare anche quella, sperando di riuscire a farla durare fino alla fine dell'estate. Ammesso che lei fosse riuscita a sopravvivere fino ad allora. Quando tornò in camera da letto, Candy era già uscita. Sicuramente era già alle prese con quelle ragazzine indiavolate, pensò invidiando l'energia e l'insaziabile voglia di vivere dell'amica. Afferrò i jeans e la maglietta rossa con l'emblema del campo e non poté fare a meno 11


di sorridere: prima di allora, non aveva mai nemmeno posseduto un paio di jeans. Semplicemente perché non rientravano nel suo tipo di abbigliamento, più consono alle feste negli ambienti altolocati, ai fine settimana in montagna, nel Vermont, o a New York per il consueto giro di acquisti. Il pensiero di dovere un giorno guadagnarsi da vivere non l'aveva mai nemmeno sfiorata. Suo padre diceva sempre che una Calborough non poteva lavorare: nessun tipo di lavoro si addiceva al loro rango. Tant'è che Eden era andata all'università solo per completare la sua educazione, non certo perché avesse una qualche prospettiva di carriera. E a ventitré anni, Eden riconosceva di avere tra le mani una bella laurea che non le sarebbe servita praticamente a nulla. Era stata una stupida, ingenua e sprovveduta. E la colpa di tutto era soltanto sua, anche se qualche volta era stata tentata di attribuirne una parte anche a suo padre. Ma sarebbe stato troppo facile, e terribilmente ingiusto. Come poteva serbare rancore nei confronti di una persona talmente generosa e comprensiva, che in vita sua non aveva fatto altro che pensare al benessere della sua unica figlia? Eden adorava sua padre. Ancora adesso, a un anno di distanza, non riusciva a capacitarsi di averlo perso. Per fortuna, tra le tante cose inutili che aveva appreso nella sua vacua esistenza, c'era anche la capacità di nascondere i suoi veri sentimenti, mascherandoli con un velo di freddezza, di contegno e talvolta di sdegno. Nessuno si sarebbe mai accorto di quanto ancora soffrisse per la morte di suo padre: o di quanto ancora le bruciasse il voltafaccia di Eric Keeton. 12


Eric, il giovane banchiere amico di suo padre, sempre così affabile, così premuroso e disponibile. L'uomo che le aveva offerto il suo amore donandole in pegno un anello che per mesi aveva portato con orgoglio al dito. Per quanto le costasse ammetterlo, Eden soffriva ancora, e cercava di soffocare la sua sofferenza affogandola nella rabbia. Con un gesto d'ira, si raccolse i capelli legandoli dietro alla nuca con un elastico che avrebbe fatto inorridire Jean Louis, il suo devoto parrucchiere. Pazienza!, si disse. Per lo meno era più pratico, come ormai doveva essere tutta la sua vita. Tanto valeva rassegnarsi. Doveva smetterla di chiudere gli occhi sperando di svegliarsi e di accorgersi che era stato tutto un brutto sogno. La morte di Brian Calborough era una realtà, orribile, certo, e inaccettabile, ma pur sempre una realtà. Un attacco di cuore improvviso, inaspettato le aveva sottratto suo padre lasciandola sola e sgomenta. E prima ancora di riuscire a riprendersi, Eden aveva dovuto affrontare un altro trauma. Il giorno dopo il funerale, la sua casa era stata invasa da avvocati, da uomini austeri vestiti di nero, che si erano dilungati in pomposi monologhi incomprensibili. Con la mente annebbiata dal dolore, Eden aveva difficoltà a capire quel che cercavano di dirle. Avevano parlato di investimenti sbagliati, di congiunture negative, di prestiti, ipoteche. In parole povere, suo padre era al verde. E più tardi, Eden avrebbe scoperto che Brian Calborough aveva dilapidato una fortuna in speculazioni sbagliate. E adesso, se n'era andato lasciando sua figlia in un mare di debiti. Eden si era vista costretta a liquidare i 13


beni che ancora le erano rimasti e a vendere la casa per soddisfare i rapaci creditori. In breve tempo si era ritrovata senza un centesimo. Come se non bastasse, improvvisamente, Eric le aveva voltato le spalle. Eden ricordava ancora la voce calma, crudele con la quale le aveva comunicato di volere mettere fine al loro rapporto. Lo scandalo. La reputazione da salvare. Quella di Eric, naturalmente. La sua promettente carriera, piena di brillanti promesse. L'amore era stato dimenticato, cancellato dalla preoccupazione che il suo futuro potesse in qualche modo risentirne. No, si disse dirigendosi verso il capanno nel quale si sarebbe tenuta la messa, Eric non mi ha mai amata. Avrebbe dovuto accorgersene sin dal principio, e invece l'aveva capito troppo tardi. Eric era attratto dal nome dei Calborough, dal loro denaro e dalla loro reputazione. Venendo meno tutto questo, non aveva motivo di rimanere al suo fianco. Eden rallentò il passo, accorgendosi di essere ancora rosa dalla collera. Si concesse qualche secondo per riprendersi sperando che nessuno potesse vederla in quello stato. Per un momento, il suo controllo di donna decisa e risoluta era venuto meno. Si guardò intorno e rimase incantata a rimirare lo scenario di quelle minuscole capanne, circondate da una natura pura, incontaminata che si esibiva rigogliosa alle prime calure estive. Anemoni, cornioli e mille altre varietà di fiori la circondavano in un tripudio di colori. Oltre l'accampamento, si stendeva la vallata verdeggiante, che le infondeva un senso di libertà e di spazi sconfinati. Abituata com'era ai rumori e all'indaffarato andirivieni del traffico di città, Eden si sentiva quasi a disagio in 14


questo ambiente a lei così poco familiare. Più volte era stata sul punto di accettare l'invito di zia Dottie, che le aveva offerto di trasferirsi in casa sua. Ma chissà, forse anche Eden amava rischiare, un po' come suo padre: altrimenti non avrebbe impegnato tutto quel che le era rimasto in un'iniziativa in apparenza tutt'altro che promettente. Perché lei doveva tentare: si era imposta di affrontare questo rischio. Per nulla al mondo sarebbe tornata a essere la graziosa ma vuota bambola di porcellana che gli altri avevano sempre visto in lei. Qui, in questo mondo sconosciuto e ostile, avrebbe imparato a conoscere se stessa. Avrebbe scoperto la vera Eden Calborough. Candy aveva ragione: avrebbe funzionato. Ce l'avrebbe davvero messa tutta. «Hai fame?» la sorprese l'amica sbucando alle sue spalle. «Da morire. Ma da dove salti fuori?» «Ho fatto due passi.» L'espressione di Candy tradiva ogni cosa: le ansie, i timori, e lo smisurato affetto che nutriva per lei. «Ti senti meglio?» «Certo!» la rassicurò Eden. «Sai benissimo che al mattino sono assolutamente intrattabile.» «Andiamo, Eden: ci conosciamo da una vita. A me non puoi darla a bere. Credi che non capisca quello che provi?» Proprio perché sapeva di avere in Candy un'amica affettuosa e leale, Eden si ripropose di non assillarla con i suoi problemi. «Non preoccuparti, mi è già passato tutto.» «E invece mi preoccupo. Sono stata io a trascinarti in questa avventura.» 15


«Niente affatto: mi hai soltanto offerto un modo di investire quei quattro soldi che mi erano rimasti.» «Magari non erano una fortuna, ma senza quelli non ci saremmo potute permettere la scuderia. Né un'insegnante di equitazione del tuo calibro.» «Piantala! Le lezioni sono soltanto una scusa per tenere d'occhio il mio investimento. Stai certa che l'anno prossimo, quando avremo ingranato, mi limiterò a fare da supervisore.» Il suo tono sembrava sincero. «Davvero, Candy, nessun rimpianto.» «Sicura?» Eden scrollò le spalle. «Certo. E poi, abbiamo bisogno tutte e due di questo posto: è il sogno della tua vita, e hai lavorato sodo per realizzarlo. Quanto a me... Diciamolo francamente, non mi resta nient'altro. Almeno posso dire di avere un tetto sopra la testa e tre pasti caldi assicurati. Mi sono prefissa uno scopo, e devo riuscire a ogni costo.» L'orgoglio che traspariva in quelle parole era una sensazione che solo da poco Eden cominciava ad assaporare. «Andiamo» suggerì Candy. «Il dovere ci chiama.» Due ore più tardi, Eden era alle prese con le sue allieve del corso di equitazione. Naturalmente, le sue mansioni non si limitavano a questo: Candy le aveva affidato anche la contabilità, un po' perché lei si occupava di tutte le altre discipline sportive, un po' perché non aveva molta dimestichezza con cifre e fatture. Progettava di costruire presto una piscina e un campo da tennis per abbellire il campeggio, ma il suo smisurato ottimismo la induceva troppo spesso a trascurare i passivi dei bilanci, cosa che invece l'oculatezza di Eden non mancava di tenere a freno. 16


«La lezione è finita» dichiarò quest'ultima licenziando le sei allieve bardate come perfette amazzoni. «Ve la siete cavata benissimo. Adesso smontate e ripulite i cavalli.» Un borbottio di protesta fece seguito a quest'ultima osservazione. C'era da aspettarselo: le bambine adoravano cavalcare, ma strigliare i cavalli era un'altra cosa! Nessuna pietà, si impose. La disciplina era una cosa necessaria, come aveva imparato a sue spese, sebbene con grande ritardo rispetto a quelle ragazzine. Non ebbe comunque bisogno di ripetersi: tutte le alunne eseguirono gli ordini ricevuti. «Eden!» la chiamò Candy, «puoi venire un momento?» Il suo tono tradiva una certa preoccupazione. «È successo qualcosa?» «Tre delle bambine... sono sparite.» «Cosa?» Per una frazione di secondo, Eden fu presa dal panico, ma cercò subito di controllarsi. «Come sarebbe, sono sparite?» «Non riesco a trovarle da nessuna parte. Roberta Snow, Linda Hopkins e Marcie Jamison. Dovevano venire alla lezione di windsurf, sul lago, ma non si sono presentate. Ho cercato dappertutto...» «Calma: non è il caso di lasciarsi prendere dal panico» suggerì Eden. «Roberta Snow... non è quella brunetta che ha infilato una lucertola nel letto dell'amica? Quella che fa scherzi a tutte facendo suonare la sveglia alle tre di notte?» «Proprio lei!» confermò Candy impaziente. «Quel mostriciattolo! La diletta nipote del giudice Snow: se dovesse sbucciarsi un ginocchio, ci beccheremmo senz'altro una denuncia!» Scosse la testa e aggiunse in tono più conciliante: «Ne avrà pensata una delle sue, e 17


sono sicura che le altre sono con lei. Stamattina le hanno viste andare verso est». «Vuoi dire... verso il frutteto?» Candy alzò gli occhi al cielo. «Già. Qualcosa mi dice che sono andate a farsi una bella scorpacciata di mele, nel qual caso ci troveremmo nei pasticci con il proprietario: ho dovuto praticamente supplicarlo in ginocchio perché ci facesse usare il lago. Per piacere, vuoi occupartene tu? La mia lezione comincia tra pochi minuti.» «Vai pure, me la sbrigo io.» «Mi raccomando, fai attenzione: se vi dovesse scoprire, quel tipo farebbe il diavolo a quattro. Già quando gli ho detto che avremmo aperto un campeggio estivo ha storto il naso: voleva che gli mettessi nero su bianco che non avremmo sconfinato nella sua proprietà.» «Andiamo, che cosa vuoi che faccia se scopre tre ragazzine arrampicate su un albero di mele...» «Vuoi scherzare? Quello è Chase Elliot, il titolare della Elliot Apples. Hai presente? Succhi di frutta, sidro, gelatine... Praticamente un impero! Se dovesse accorgersi che quelle tre...» «Va bene, ho capito. Vado a cercarle» concluse Eden, avviandosi nella boscaglia. Non fu poi tanto difficile seguire il percorso delle tre fuggiasche: le bambine avevano lasciato dietro di loro una traccia inconfondibile di carte di caramelle accartocciate, provenienti senza dubbio dalla generosa scorta portata dalla viziatissima Roberta. Sola, circondata soltanto da alberi secolari e da qualche scoiattolo vagabondo, Eden si sentiva stranamente in pace con se stessa. Nel suo cuore sentiva accendersi una nuova speranza: quella di aver finalmente trovato 18


un posto suo. Il suo posto. Gli amici di Philadelphia avrebbero certamente riso di lei, eppure Eden cominciava a divertirsi un mondo in quella nuova realtà. A un tratto, i giganteschi pioppi di diradarono ed Eden si ritrovò di fronte ai celeberrimi frutteti Elliot. Grandiosi. Sconfinati. I filari scorrevano interminabili davanti a lei, in tutte le direzioni, occupando completamente la sua visuale. Alcuni vetusti, altri giovani e vigorosi. Tutti carichi di frutti appetitosi; piccoli, lucenti e non ancora completamente maturi. Era davvero uno spettacolo al quale nessuno sarebbe rimasto indifferente. Si avvicinò al recinto che separava le proprietà e, dopo averlo scavalcato, udì il suono squillante di una risata allegra. Quindi vide una mela cadere sul terreno e rotolare fino quasi ai suoi piedi. Guardò in alto e individuò immediatamente tre paia di scarpe da tennis. «Signorine!» esclamò assumendo il tono gelido di chi ha colto il colpevole sul fatto. «Sbaglio o per oggi avevate preso un appuntamento sul lago?» Il volto lentigginoso di Roberta sbucò attraverso le foglie. «Buongiorno, signorina Calborough. Posso offrirle una mela?» Diabolica!, pensò Eden, ma le labbra le si incurvarono impercettibilmente in un sorriso. «Scendete» ordinò perentoria avvicinandosi al tronco per aiutarle. Con un gesto volutamente intimidatorio, sollevò un sopracciglio. «Immagino che sappiate già di aver infranto le regole allontanandovi dal campo senza aver chiesto il permesso.» «Sì, signorina.» Il tono era pentito, ma Roberta aveva un bagliore strano negli occhi. 19


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