986 - Il segreto del soldato - M. Kaye 987 - Il Diavolo di Jedburgh - C. Robyns 988 - Il ritorno del libertino - J. Justiss 989 - Il ricatto del marchese - C. Merrill 990 - Il profumo della passione - S. Bennett 991 - La Signora di Dunborough - M. Moore 992 - I segreti di Sugarland - B. Scott 993 - Le tentazioni del duca - S. Bennett 994 - Il riscatto di un gentiluomo - M. McPhee 995 - Giustizia per il guerriero - D. Lynn 996 - Nozze d'inverno - A. Gracie 997 - Due sconosciuti all'altare - M. Kaye 998 - Segreti scandalosi - H. Dickson 999 - Il sogno proibito di Elise Chantier C. Townend 1000 - Sussurri a palazzo - B. Gifford 1001 - Il fascino del libertino - S. Bennett 1002 - Segreti pericolosi - E. Dreyer 1003 - L'amante del laird - V. Sinclair 1004 - Misteri e complotti - E. Dreyer 1005 - Il guerriero di ghiaccio - M. Willingham 1006 - Doppia identitĂ - E. Boyle 1007 - L'amante spagnola - M. Kaye
ELIZABETH BOYLE
Doppia eredità
Immagine di copertina: Jon Paul Studios Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Along Came a Duke Avon Books An imprint of HarperCollins Publishers © 2012 Elizabeth Boyle Traduzione di Lorenza Braga Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers, LLC. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici febbraio 2016 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2016 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1006 del 17/02/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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Kempton, Sussex, 1810 In quel giorno di maggio, l'alba spuntò come sempre nel villaggio di Kempton, con una spruzzata di sole, un velo di rugiada sull'erba e gli uccellini che intonavano canti felici in giardino. Non c'era alcun indizio che lasciasse presagire che quel giorno Miss Tabitha Timmons si sarebbe ritrovata non solo promessa sposa, ma anche innamorata alla follia. E non necessariamente dello stesso uomo. No, l'unica cosa che passava per la testa di Tabitha mentre quel pomeriggio usciva dalla canonica, richiudendo piano la porta dietro di sé, per recarsi all'incontro del martedì dell'Associazione per la temperanza e il miglioramento di Kempton, era che per le successive, fortunate tre ore, si sarebbe sottratta alle richieste della zia e alle lamentele dello zio. «Oh, eccoti» la salutò con allegria Miss Daphne Dale dal cancello del giardino, dove la stava aspettando. «Iniziavo a temere che non ti avrebbe lasciata venire» continuò in un sonoro sussurro mentre si chinava e dava una grattatina dietro l'orecchio all'onnipresente cane di Tabitha, Mr. Muggins. Il grosso Irish Terrier guardò Daphne con i grandi, espressivi occhi marroni che rilucevano di pura ammirazione. «Allora zia Allegra sarebbe dovuta venire al posto mio, e Dio non voglia che le venga richiesto di presenziare a qualche attività» osservò Tabitha, guardandosi alle spalle e ringraziando 5
che le tende fossero ancora tirate, il che significava che sua zia non era lì a spiarla, cercando di inventare una scusa per richiamarla indietro. «Misera consolazione, quella» dichiarò Daphne, prendendola sottobraccio e trascinandola lontana dalla canonica che un tempo era stata la casa felice di Tabitha. Avrebbe ancora dovuto essere un luogo allegro, situata com'era, piccola e tozza, all'ombra della chiesa di St. Edward, imponente e antica testimonianza dell'epoca normanna, con i suoi alti muri di pietra, la lunga navata e un campanile superato in altezza solo da Foxgrove, l'adiacente residenza del Conte di Roxley. Invece due anni prima, con la morte di suo padre per un disturbo di cuore e l'insediamento dello zio come successivo vicario, l'amata casa d'infanzia di Tabitha non era diventata altro che un luogo cupo e orribile. Almeno, rifletté Tabitha, le era ancora permesso presenziare agli incontri dell'associazione, se non altro perché sua zia trovava che fornire cestini di beneficenza alle numerose zitelle di Kempton fosse una tediosa incombenza. Le due amiche passeggiarono tranquille lungo Meadow Lane, lo stretto sentiero che conduceva dalla canonica a High Street, mentre Daphne chiacchierava, aggiornando Tabitha sui pettegolezzi locali. «... Lady Essex non permetterà mai a Louisa e Lavinia di spuntarla in proposito. Le decorazioni per il ballo della notte di mezza estate sono sempre state color lavanda. Verde mela, sul serio?» Tabitha sorrise e lasciò che le futili chiacchiere la sommergessero come un meraviglioso balsamo, poiché quando era con Daphne o agli incontri settimanali dell'associazione era facile credere che non fosse cambiato niente nella sua vita un tempo idilliaca. «... ho persino fatto visita alle gemelle, ieri, e ho cercato di spiegare loro, nella maniera più garbata, che non faranno altro che suscitare la collera di Lady Essex, se insistono.» Daphne emise un sospiro. «Oh, Louisa e Lavinia amano proprio il rischio!» Tabitha squadrò l'amica. «Pensavi davvero di dissuaderle?» 6
«Ci speravo» confessò Daphne. «E, se avessi fallito, pensavo che il mio cappellino nuovo le avrebbe distratte.» Piegò il capo per mostrare meglio il cappellino di seta verde con il nastro grigio. Tabitha era abituata al pavoneggiarsi di Daphne e rise. «Hai convinto tuo padre ad anticiparti la rendita, vero?» L'amica sorrise senza rimorsi, gli occhi azzurri splendenti, la mano inguantata che si sfiorava il bordo del cappello sbarazzino. «Sì, e ogni scellino è valso la pena» dichiarò. «Temevo che papà non avrebbe ceduto prima che lo scoprisse Miss Fielding e me lo portasse via per sé, e tu sai quanto sta male con il verde!» Tabitha rise. La rivalità tra Daphne e Miss Fielding diventava ogni anno sempre più profonda. «Credo che ti starebbe benissimo» affermò Daphne senza incertezza. «Potresti provarlo quando arriviamo da Lady Essex.» Le lanciò un'occhiata, lo sguardo colmo di gentilezza, i denti che trattenevano il labbro inferiore mentre aspettava una reazione. Sapendo esattamente che cosa intendesse l'amica, Tabitha scosse la testa. «Sai che non posso nemmeno prendere in considerazione un gesto simile. Ti ricordi come ha reagito mia zia quando mi hai regalato quei guanti lo scorso inverno?» «Non è stata beneficenza» dichiarò Daphne, la fronte corrugata. «E non lo sarebbe nemmeno questo. È solo che non hai un cappellino nuovo da...» «Due anni» replicò Tabitha. O un abito nuovo. O delle scarpe. O calze. «Davvero, non m'importa.» «Ma a me sì!» ribatté Daphne. «I tuoi zii dovrebbero vergognarsi del modo in cui ti lesinano persino le briciole.» Che cosa poteva dire Tabitha? Era tutto vero: gli zii erano stati più che felici di migliorare la loro posizione economica grazie alla rendita che avevano ottenuto quando era morto il padre di Tabitha, ma della tutela della nipote squattrinata? Nemmeno un po', anche se non avevano figli. Zia Allegra, che non aveva alcun istinto materno, amava persino lamentarsi del fatto che la nipote occupasse troppo spazio nell'angolo della soffitta che le avevano cortesemente concesso per dormire. Ma a Tabitha non dispiaceva il nascondiglio in soffitta, perché lì erano riposti i bauli di sua madre. La loro vicinanza le 7
permetteva di cogliere ogni tanto una traccia del suo profumo di violetta, in momenti sfuggenti, come i ricordi che aveva della donna dalla bellezza flessuosa che era morta di febbre quando lei era molto piccola. «Ogni volta che tuo zio fa un sermone sulla carità, vorrei alzarmi in piedi e dargli del borioso ipocrita» affermò Daphne. «Sei incorreggibile» la rimproverò Tabitha, anche se poco convinta, perché se c'era qualcuno che aveva a cuore il suo bene era proprio Daphne. «Chi è incorreggibile?» chiese Miss Harriet Hathaway mentre si univa a loro dove Meadow Lane incrociava High Street. Alla solita maniera di Harriet, aveva l'orlo dell'abito infangato, il vestito un po' stropicciato, il cappellino sghembo e una macchia non ben identificata su una delle guance rosee. Probabilmente si era accorta dell'orario ed era uscita di corsa dalle scuderie di Pottage House senza neppure darsi un'occhiata allo specchio. Lady Essex sarebbe stata di sicuro contrariata dall'aspetto disordinato della sua protetta. Sua Signoria nutriva grandi speranze di portare Harriet a Londra per trovarle un buon partito, anche se quasi nessuno a Kempton dava molto credito a una simile idea. Dopotutto, era di Harry Hathaway che si stava parlando. «Io» le rispose Daphne e poi cambiò argomento con maestria. «Ho comprato un cappellino nuovo.» Harriet lo degnò appena di uno sguardo. «Oh, sì, vedo. Non è quello che mi hai mostrato la scorsa settimana nella vetrina di Mrs. Welling?» Daphne annuì. «Grazioso, vero?» Dando una seconda occhiata, Harriet chiese: «Sì, ma pensavo che avesse una decorazione di piume». «L'ho tolta» spiegò tranquilla Daphne, inclinando la testa con noncuranza verso Mr. Muggins. Tabitha morì di vergogna. Voleva molto bene al cane, ma lui non riusciva a comprendere che una rifinitura di piume su una mantella o una piuma infilata sulla falda di un cappello non erano sempre attaccate a un uccello vero. Quando aveva devastato tre dei cappellini di zia Allegra, poco dopo che era arrivata, la donna aveva minacciato di cacciare 8
di casa la bestia dal muso grigio, solo per ritrovarsi con l'intero villaggio di Kempton e buona parte della popolazione dei villaggi intorno che si rifiutavano di accogliere quel diavolo rosso di un cane, con immenso sollievo di Tabitha. Alla fine, la donna indignata aveva fatto come Daphne e aveva tolto le restanti piume da tutti i suoi cappellini. Persino l'indomita Lady Essex aveva tolto le piume dal suo turbante preferito prima di indossarlo a un incontro dell'associazione. Nessuna piuma era al sicuro quando Mr. Muggins era nei paraggi, con enorme disappunto di Tabitha. Perché mai non poteva dimostrare una siffatta animosità nei confronti di scoiattoli o ratti come tutti gli altri terrier? Così, Tabitha era costretta a portare ovunque con sé il compagno malandrino, per timore che zio Bernard trovasse un ignaro passante che fosse abbastanza sconsiderato da portare via il cane. «Sembri stanca, Tabitha» osservò Harriet. «E dimagrita. Stai lavorando troppo.» Lei distolse lo sguardo. «Ho dovuto sfregare i pavimenti prima di uscire, perciò mi sono alzata presto.» Daphne la guardò di traverso. «E immagino tu abbia anche lucidato l'argenteria, lavato i piatti, preparato la tavola per cena e tagliato le verdure per Mrs. Oaks.» L'elenco era quasi completo, ma Tabitha aveva anche stirato. Tuttavia, reagì di fronte alla preoccupazione delle amiche. «Non guardatemi così. Il lavoro non è niente.» Harriet contrasse la mascella. «Qualcuno deve ricordare a tua zia che sei una signora e non una domestica.» «Preferirei che nessuno lo facesse» replicò Tabitha. Almeno aveva un tetto sopra la testa, un punto che gli zii amavano sottolineare ogni giorno. «Potresti sempre venire a vivere...» iniziò Harriet, ma Tabitha la interruppe con una rapida scrollata di capo. Potresti sempre venire a vivere a Pottage House. Proprio come Lady Essex le aveva offerto una sistemazione a Foxgrove e Daphne una stanza a Dale House, ma gli zii si erano rifiutati di permetterle di trasferirsi, convinti che sarebbe diventata frivola e scostumata senza la loro costante protezione. Inoltre, avrebbero perso una domestica gratuita. 9
Ma non bisognava ignorare il semplice fatto che Tabitha amava la canonica; era sempre stata casa sua e, anche se ormai non occupava che un angolino sotto le travi e mangiava in cucina, almeno poteva ancora curare i fiori di sua madre in giardino e indugiare con lo sguardo sulla calligrafia sicura del padre quando annotava una voce sul registro della parrocchia. Era quanto di più simile a una casa avrebbe mai avuto. «Se solo non fossimo di Kempton» si rammaricò Daphne, sospirando vistosamente. «Allora potresti sposarti e scampare alle pretese di tua zia.» «Pensiamo a qualcosa di più allegro» propose Harriet, come se avesse scorto l'ombra che aveva attraversato il volto di Tabitha. «Come per esempio quanto diventeranno scarlatte le guance di Lady Essex quando le gemelle Tempest presenteranno ancora una volta la loro ridicola proposta di cambiare i colori delle decorazioni al ballo della notte di mezza estate.» Risero tutte e tre e proseguirono soddisfatte, con la felicità di Tabitha. Almeno alcune cose non cambiavano mai. Si stavano avvicinando alla bottega del fabbro, dove il martello di Mr. Thury risuonava forte e chiaro mentre l'uomo si dedicava alacremente a un qualche lavoro. Il suono era familiare ma, nonostante ciò, Daphne si arrestò di colpo. «Oh, cielo!» La sua esclamazione fu seguita da Harriet che inciampò, piantando i tacchi degli stivali nella ghiaia. La giovane si sfogò con un'imprecazione di sicuro imparata da uno dei suoi cinque fratelli e terminò con un: «Che cavolo di scherzo è questo?», molto poco signorile. Tabitha smise di camminare e si voltò verso di loro, poi si portò una mano alla fronte per ripararsi dal sole e socchiuse gli occhi finché non fu in grado di vedere che cosa stesse trattenendo le amiche. Giusto davanti alla forgia di Mr. Thury c'era una carrozza elegante; credeva che fosse un phaeton, ma avrebbe lasciato che fosse Harriet a stabilirlo, perché era molto più informata su simili questioni. Qualunque cosa fosse, l'arnese costoso era sbilenco, senza una ruota, che con ogni probabilità era in riparazione dal fabbro del villaggio. Rispetto a quanto si vedeva solitamente a Kempton, era 10
un'enorme stranezza. Perché, sebbene Kempton vantasse un'abbondanza di zitelle e gentildonne non maritate, difettava di popolazione maschile, tanto da rendere la vista di simili trabiccoli da gentiluomini alquanto rara. «Bontà divina, avete mai visto niente di così straordinario?» sussurrò Daphne. Tabitha lanciò una rapida occhiata all'amica. «Dubito che persino tuo padre possa permettersi un mezzo di trasporto del genere.» «Non stavo guardando la carrozza» confessò Daphne. «Piuttosto il gentiluomo con quella splendida giacca.» Spostò lo sguardo verso un uomo alto, vestito in maniera elegante, in piedi sotto la tenda parasole del fabbro. La finissima giacca era aperta e rivelava una cravatta candida, annodata con un grande sfoggio di pizzo, sopra un vivace panciotto a scacchi, un insieme finanche esagerato per i gusti di Tabitha. Il gentiluomo in questione ciondolava appoggiato al muro con un boccale di birra in mano e, peggio ancora, sorrideva nella loro direzione. «Chi mai potrebbe essere?» «Oh, è solo Roxley» spiegò Harriet. Poi, con orrore di Tabitha, l'amica salutò il gentiluomo con la mano, come si poteva fare per chiamare il droghiere o un venditore ambulante. «Salve, milord. Siete venuto a fare visita a vostra zia?» Senza il minimo pensiero per le buone maniere o per il decoro, Harriet si lanciò in avanti, tendendo la mano a Lord Roxley, il fin troppo famigerato e pericoloso Lord Roxley, il quale si vedeva così di rado da quelle parti che non c'era da meravigliarsi che fosse arrivato senza essere riconosciuto. «È il conte?» bisbigliò sottovoce Daphne, lo sguardo fisso proprio come quello di Tabitha sul nipote di Lady Essex. La casa di Sua Signoria, Foxgrove, era una delle numerose proprietà di Roxley. Il conte, che era cresciuto a Londra, si recava a Kempton solo per brevi visite annuali, di solito senza preavviso, così l'astuta zia non avrebbe potuto discutere per costringerlo a partecipare a qualche gran ballo o altro intrattenimento per accasarlo con una gentildonna del posto. «Non sapevo che sareste venuto a Kempton, Roxley» affermò Harriet con disinvolta familiarità. D'altra parte, Tabitha era sempre un po' in soggezione per i modi spigliati di Harriet con 11
il sesso opposto. Immaginava che fosse perché l'amica, essendo cresciuta con cinque fratelli, non vedeva gli uomini come misteriosi e pericolosi portatori di rovina, ma come una buona compagnia. Un concetto davvero strano, per come la pensava Tabitha. «Chaunce mi ha scritto questa settimana e non ha accennato al fatto che stavi arrivando dalla città» continuò a rimproverarlo Harriet. «Ssh, Harry! La mia presenza qui è un diabolico segreto.» Il bell'uomo le fece l'occhiolino. La ragazza drizzò la schiena e scosse la testa. «Sapete bene che non dovete chiamarmi così! Vostra zia inorridirà! Ora sono Miss Hathaway.» Assunse una posa che avrebbe reso orgogliosa Lady Essex. Ma Roxley non sembrò colpito. Le si avvicinò con aria cospiratoria. «Miss Hathaway, ma davvero? Non per me, Harry. Mai.» Allungò il braccio e le pizzicò la guancia. Harriet gli scacciò via la mano e rise. «Non cambierete mai, Roxley.» «Spero di no. Temo che deluderei profondamente la mia famiglia se mi presentassi un giorno tutto tedioso e severo come vostro fratello Quinton.» Rise di nuovo, poi gettò un'occhiata a Tabitha e Daphne prima di rivolgere a Harriet uno sguardo insistente. Ricordando le buone maniere, lei aggiunse: «Milord, posso presentarvi Miss Timmons e Miss Dale?». «Certo che potete» rispose lui. Tabitha gli riconobbe un po' di merito, perché anche se aveva sentito continue lamentele sul suo carattere da parte della prozia, Lady Essex, lui fece un elegante inchino mentre lei e Daphne si piegavano per un'appropriata riverenza. «E questo chi è?» chiese Roxley, tendendo la mano per dare a Mr. Muggins una pacca affettuosa sulla testa. Il grosso cane rispose con un basso ringhio. «Magnifica bestia» commentò lui mentre ritraeva le dita con cautela. «Mi dispiace, milord» si affrettò a scusarsi Tabitha, «temo si senta a disagio con gli estranei.» «È la piuma sulla tesa» disse Harriet al conte. 12
«La che?» domandò lui, tenendo d'occhio l'animale, che ora lo stava studiando come un lupo che punti un agnello smarrito. «La piuma del cappello» ripeté Harriet, alzandosi in punta di piedi e strappandogli la piuma bianca dalla falda. «Ehi, è un ricordo di...» Ma qualunque fosse stato il suo significato, la piuma sparì in fretta, non appena Harriet la gettò a Mr. Muggins, che la catturò con agilità e guardò la padrona con un'espressione oltremodo orgogliosa negli occhi per aver acchiappato la preda. «Mi ringrazierete, un giorno» disse Harriet a Roxley, come se fosse una spiegazione sufficiente. «Che cos'è accaduto alla vostra carrozza, milord?» azzardò Tabitha, cambiando argomento. «Non è la mia carrozza, Miss Timmons. È di Preston.» Il conte agitò la mano verso l'officina del fabbro. «L'avevo avvisato di non prendere la curva presso la grande quercia a quella velocità, ma mi ha ascoltato? È sgarbato e cocciuto come il vostro cane.» Scrollò le spalle e sorrise, come se il pericoloso incidente fosse una prova di coraggio e onore. Harriet rise. «È capitato lo stesso a mio fratello George la scorsa primavera. Un dannato incosciente, dice mio padre.» «Harriet!» esclamò Daphne. «Ricorda quello che dice Lady Essex sul linguaggio! Raddoppierà i rimproveri se dovesse sentirti pronunciare una frase simile.» «Ma, Harry!» protestò Roxley, spostando lo sguardo da Daphne a Harriet. «Non permetterete a mia zia di rovinarvi?» «Non rovinarmi» gli confidò lei. «Solo migliorarmi un po'. Mia madre ha rinunciato. Ma Lady Essex è determinata. Ha in programma di portarmi in città il mese prossimo.» «In città, dite?» chiese Roxley. «Sì, non vi ha scritto?» «Non mi scrive mai» le rivelò lui. «Si presenta e basta, e mi tormenta per settimane senza interruzione.» Le sorrise. «Ora sono avvisato e in debito con voi.» «Sì, be', potete ballare con me da Almack's.» «Non sia mai!» sbottò lui con un brivido. «Starò via per tutto il mese. Sì, via. A caccia.» «Non è stagione di caccia» gli fece notare Harriet, incrociando le braccia sul petto. 13
«Da qualche parte lo sarà» la punzecchiò lui. «Se siete così determinato a evitare Lady Essex, che cosa ci fate qui a Kempton?» domandò Harriet. «Una corsa! Stiamo cercando di battere quel bellimbusto di Kipps sulla via di ritorno a Londra e ho detto a Preston che potevamo prendere la strada di Kempton come scorciatoia. Ho scommesso cinquecento sterline con Dillamore che arriveremo per primi in città.» Si passò una mano tra i capelli scuri e guardò di nuovo la carrozza storta. «Avevo avvisato Preston di quella curva nei pressi della quercia» ripeté scuotendo la testa, avvilito. «Povera me!» esclamò Tabitha. «Cinquecento sterline?» Daphne sgranò gli occhi davanti a quella cifra. «Spero che Mr. Thury sappia quanto sia indispensabile che vi ripari la ruota.» «Oh, lo sa» le confermò Roxley. «Ha dato una mano persino Preston. Che nobile amico. Anche se forse l'ha fatto perché ha scommesso il doppio che si ritroverà nei guai con il suo temuto zio, se perdiamo.» Lord Roxley allungò il collo verso la fucina del fabbro e gridò: «Batteremo ancora Kipps, vero, Preston?». Si udì un basso brontolio provenire da dietro la forgia, dove lavorava una figura piegata. Il conte fece spallucce in un gesto alquanto contrito. «È sempre di pessimo umore. Ehilà, Preston! Vieni a conoscere alcune signorine del posto. Ci sono pochi gentiluomini da queste parti e siamo considerati una rarità.» Su quello, Roxley aveva perfettamente ragione. I gentiluomini lasciavano quell'angolo placido e remoto d'Inghilterra per studiare non appena smettevano i pantaloni corti, e pochi tornavano; i richiami dell'esercito, della Marina e persino del clero offrivano molti posti più eccitanti dei prati tranquilli e delle verdi colline di Kempton. Tutti i fratelli di Harriet, escluso George, l'erede del padre, non erano forse corsi ai quattro angoli del mondo piuttosto che rimanere nel luogo dov'erano nati? E lo facevano perché potevano. Tabitha si meravigliò dell'amico di Lord Roxley, perché conosceva bene la natura libertina del conte grazie agli avvertimenti di sua zia. Ma quel Mr. Preston? Che tipo d'uomo scommetteva tanto per una corsa in carrozza? Era scandaloso, eppure 14
allo stesso tempo lei provò un brivido d'invidia per quegli uomini che avevano la libertà di scommettere cifre così sbalorditive e percorrevano la campagna a loro piacimento, mentre lei era... intrappolata. Qualche momento prima si sarebbe descritta come contenta – stremata, stanca e un po' denutrita, certo – ma d'un tratto si irritò per l'ingiustizia. Sì, intrappolata. Intrappolata dalle proprie condizioni finanziarie, dalla mancanza di opportunità. Non aveva mai provato il richiamo di Londra prima di allora, ma quando vide quella carrozza veloce e pensò alla libertà che dava ai suoi proprietari, il cuore iniziò a batterle con un'insolita nota di ribellione. E anche se Londra era a soli due giorni di viaggio, che diamine avrebbe mai fatto là, una volta arrivata? I suoi parenti a Mayfair l'avrebbero rimandata a Kempton. Ora capiva il vero pericolo rappresentato dagli uomini: mettevano idee impossibili nella testa delle donne. Per una volta fu piuttosto felice che Kempton non ne fosse infestata. «Preston, ci vorrà solo un attimo» stava dicendo Roxley, ancora intento a distogliere l'uomo dal suo lavoro. «Sì, be', non c'è bisogno di incomodare il vostro amico, milord» disse Tabitha più educatamente che poté. «Dovremmo rimetterci in cammino. Verso l'incontro della nostra associazione.» Inoltre, chi poteva sapere che genere di idee sconvolgenti le avrebbe ispirato quel Mr. Preston... «Non vorremmo trattenere voi e Mr. Preston dalla vostra... vostra...» Oh, accidenti, come si descriveva una scommessa che non era altro che uno sciocco e inutile spreco di tempo, denaro ed energie? «Oh, nessun disturbo» replicò Roxley, magnanimo. «A Preston farebbe bene incontrare qualche signora rispettabile. Sua zia non fa altro che ribadirglielo.» Con le braccia conserte sul petto, lo stivale che batteva a terra con impazienza, il conte si voltò verso l'amico. «Vieni, Preston! Vieni a porgere i tuoi saluti o si spargerà voce che frequento compagnie incivili e Lady Essex non smetterà mai di rinfacciarmelo.» Il conte si girò e lanciò un'occhiata di intesa a Harriet. Tabitha sospettava che Lady Essex non sarebbe stata per nulla felice di scoprirle in compagnia di quel tale Preston, per quanto lo ritenesse nobile Lord Roxley. Nobile, certo! A quanto 15
si diceva, quell'uomo doveva essere la peggior specie di... Poi lo scorse, Mr. Preston, mentre si alzava da dietro la forgia, con il mantice in mano, e nobile non fu la parola che le venne in mente. Tutto ciò che Tabitha presumeva di lui, e cioè che non fosse una compagnia consona, che fosse una canaglia scandalosa e temibile, prese fuoco come scintille scaturite da fiamme roventi, brillanti e solide per un attimo... e sparite l'attimo successivo. Oh, Mr. Preston poteva anche essere un giocatore d'azzardo e un donnaiolo, e forse un furfante senza pari, ma, con grande orrore di Tabitha, guardarlo era assolutamente inebriante. Vergognosamente inebriante. E no, la parola che le venne in mente non fu nobile, ma piuttosto qualcosa di più semplice e diretto. Una rovina. L'uomo si drizzò, non come un brutto Efesto, ma come un vero e proprio Adone. Di questo era sicura, perché Lady Essex teneva nel suo salottino una statua dell'eroe leggendario, che il padre le aveva portato dal Grand Tour nel Continente molti anni prima. Almeno la versione di Adone che le stava davanti aveva avuto la decenza di tenersi le brache, gli stivali e la camicia, più o meno. La camicia bianca di lino, che un tempo era stata senz'altro alla moda, gli si era appiccicata al corpo e aperta fino in vita, mostrando il torace liscio e muscoloso, lucido di sudore per la fatica. Un gentiluomo non sarebbe mai apparso in pubblico a quel modo, senza cravatta, senza guanti, senza tutti gli opportuni orpelli. Diamine, quel Mr. Preston era quasi... Tabitha non osava nemmeno pensarlo. Ma non c'era altro modo per descriverlo. Discinto. Svestito. Nudo. Non che avesse bisogno di qualcosa per abbellire il suo aspetto... perché era perfetto. Lei serrò le labbra, sconvolta. Cielo, cosa le passava per la testa? Non era già abbastanza grave che le bruciassero le membra come se fosse stata immersa tra le fiamme della fucina? Il cuore le batteva con una strana eccitazione, sapeva che avrebbe dovuto distogliere lo sguardo, non osservare a bocca aperta, a occhi sgranati, eppure non poteva, non voleva farne a meno. 16
Lui scosse la testa e i capelli castani ramati gli ricaddero sulle spalle in una chioma indisciplinata. Gli occhi scuri guizzarono verso di lei e, per un attimo, Tabitha sperimentò l'insolita impressione di sentirsi immobilizzata, al pari di uno degli insetti di suo padre, come se lo sguardo di quell'uomo potesse catturarla. Ma l'occhiata non durò a lungo, perché lui spostò gli occhi fin troppo in fretta, ignorandola quasi come se non fosse degna della sua attenzione. Qualcosa di molto femminile si agitò, infastidito, dentro di lei. Come osava! L'opinione di quell'uomo non aveva un briciolo d'importanza per lei, ma chi mai si credeva di essere per pensare che il suo sguardo fosse una simile concessione? E lei non fu l'unica a notare il suo rifiuto frettoloso. «Non fare l'intrattabile, Preston» si lamentò Roxley, dondolandosi sui tacchi degli stivali, le mani giunte dietro la schiena. «È maleducazione. Inoltre, sei del tutto al sicuro dagli approcci delle giovani dame, qui a Kempton. Nessuna di queste signorine può sperare o pregare di trovare un uomo da intrappolare nel matrimonio.» Fece l'occhiolino alle signore. «Sono maledette, tutte quante.» Maledette. Quell'affermazione fece alzare lo sguardo all'uomo, un guizzo d'interesse negli occhi scuri. Tabitha, che era piuttosto orgogliosa della maledizione, o meglio, della tradizione di Kempton, si sentì alquanto imbarazzata. Perché Lord Roxley le aveva fatte sembrare delle sempliciotte di campagna, e niente poteva essere più lontano dalla verità. «Maledette?» chiese Preston, posando il mantice e inarcando divertito un sopracciglio, con lo sguardo di nuovo fisso su Tabitha. «Davvero?» Prese uno straccio e iniziò a pulirsi le mani. «Proprio vero» scherzò Roxley, facendo di nuovo l'occhiolino a Harriet. «È così da secoli. Non si riesce a trovare un uomo che ne sposi una. O almeno uno che sopravviva per raccontarlo. Diamine, ancora si narra la storia del povero John Stakes, che ormai è morto da quasi duecento anni. Hanno intitolato a lui il maledetto pub dopo che la sua sposa di Kempton...» Tabitha non poté tollerare altro. «Milord! Nessuno dà più credito a quelle vecchie leggende.» Daphne si fece avanti e aggiunse: «Certo che no! Perché, 17
quattro anni fa, Miss Woolnoth sposò Mr. Amison ed erano una coppia ben assortita». Harriet spalancò gli occhi e sembrò sul punto di rivelare la verità. E cioè che Mr. Amison aveva bevuto in maniera vergognosa e aveva sposato Miss Woolnoth solo perché cercava il modo più economico per comprare il montone migliore dal padre della giovane. Poteva anche essersi procurato l'animale, ma aveva pure ottenuto una moglie che brontolava senza sosta. Peggio, il breve matrimonio degli Amison sembrava solo rafforzare le ultime credenze sulla maledizione, secondo la quale le nozze con una ragazza di Kempton sarebbero finite soltanto in tragedia. Mr. Amison era stato trovato che galleggiava nel laghetto del mulino dopo una nottata particolarmente festosa al pub e un ritorno a casa tutt'altro che festoso. Non c'era bisogno di specificare che Mrs. Amison non aveva niente a che fare con lo sfortunato incidente del marito, ma quella era Kempton, dopotutto. «Proprio così, milord. Non siamo affatto maledette» si affrettò a precisare Tabitha. «Non sposarci è solo una scelta.» Certo, la generale carenza di pretendenti a Kempton, di dote per allettarne uno o di possibilità di attirare l'attenzione di un uomo era sottintesa nella sua spavalderia. Ci fu un momento di silenzio da parte dei gentiluomini, poi Lord Roxley scoppiò in una risata sonora, che fu quanto meno irritante, ma fu la reazione di Mr. Preston a dare sui nervi a Tabitha. L'uomo fece una risatina di scherno. Come se non avesse mai sentito un'assurdità simile. «Le donne non scelgono di non sposarsi!» Lord Roxley rise di nuovo. «Ah, se solo la popolazione femminile di Londra adottasse delle vedute così all'avanguardia, eh, Preston? Riusciresti ad andare a un ballo o a una soirée senza causare un gran trambusto.» Si udì Mr. Preston sbuffare scettico un'altra volta, cosa che infastidì Tabitha ancor di più. E considerato quello che aveva appena rivelato il conte, e cioè che Mr. Preston era fonte di scandalo in città, lei lo riconobbe per l'essere spregevole che era: il genere d'uomo che rifiutava il matrimonio, ma trascorreva 18
inevitabilmente il tempo privando le donne giovani e innocenti della loro virtù, derubandole di qualunque possibilità di felicità futura. Una bestia della più infima specie. «Mr. Preston...» Roxley rise forte. «Miss Timmons, dovreste sapere...» «Suvvia, Roxley, lasciate parlare la ragazza» gli disse Preston. Incrociò le braccia sul petto. «Sì, Miss Timmons?» Tabitha trasse un respiro profondo. «Signore, voglio che sappiate che non ho alcuna intenzione di cercarmi un marito e che sono davvero contenta così.» Ecco, ce l'aveva fatta; era passato molto tempo da quando aveva espresso le proprie idee e, sentendosi rinvigorita da quel primo successo, continuò senza imbarazzo: «Il matrimonio non offre alcun beneficio a una donna, a parte ridurla a serva dei capricci e delle pretese egoiste di un uomo». A suo zio sarebbe venuto un colpo apoplettico davanti a un'affermazione così sfacciata. Con sua somma sorpresa, l'odioso Preston sembrò più divertito che rimesso al suo posto, perché le sorrise e avanzò come un leone, un re della foresta che avesse appena scoperto una facile preda a portata di mano. «Sul serio?» La percorse di nuovo con un rapido sguardo e, quando finì di soppesarla, inarcò un sopracciglio, pronto a colpire. Lei si impuntò e deglutì. «Sì.» Lui annuì. «E voi e le vostre amiche non avete intenzione di sposarvi?» «Non posso parlare per Miss Dale o Miss Hathaway, ma mi considero felicemente sistemata, se posso essere sincera.» D'altra parte, qualunque donna abbastanza sciocca da sposare un uomo come Mr. Preston si sarebbe senz'altro ritrovata abbandonata e con il cuore spezzato. Tuttavia... per un attimo si domandò come potesse una donna rifiutarlo, perché persino la sua ferrea risolutezza nel mandarlo per la propria strada con una sonora lavata di capo iniziò a vacillare quando le si avvicinò, finché non fu, con il petto nudo, a un palmo di distanza dai suoi occhi sgranati. Così vicino che poté vedere i rivoli di sudore scendere lungo la distesa di muscoli davanti a lei e quasi sentirgli il battito del cuore. Odorava di fatica, di carbone della forgia e di qualcos'altro, qualcosa di così virile che lottò con la migliore indole di Tabitha e la lasciò 19
priva di buonsenso. In preda al desiderio di inspirare a fondo e di allungare la mano per toccarlo, se non altro perché all'improvviso le sembrò che le mancasse la terra sotto i piedi. Poi, facendola inorridire, lui si piegò in avanti e le sussurrò all'orecchio: «Forse sto osando troppo, Miss Timmons, ma cosa sapete di preciso dei capricci di un uomo o, addirittura, della passione che prova una donna?». Il sottinteso delle sue parole la colpì con la stessa forza che avrebbe avuto se a percuoterla fosse stato lui. Tabitha incespicò all'indietro, lontano, le guance in fiamme. «Oh! Come vi permettete?» Lo sciagurato rise e le diede le spalle, tornando al lavoro e ignorandola come aveva fatto in precedenza. A metà strada dalla forgia, si fermò e lanciò un'occhiata sopra la propria spalla. «Miss Timmons, se aveste mai osato nella vostra vita, non avreste fatto un'affermazione così sciocca.» Lei respirò a fondo, la mano sullo stomaco, che sembrava essersi riempito di farfalle. Riprendendo quel po' di compostezza che ancora possedeva, lo attaccò con una replica veemente. «Non c'è niente di sbagliato in una donna che ha le idee chiare e sceglie di non essere governata da un uomo e dalla sua arroganza!» «Esprimete piuttosto liberamente le vostre idee, vero, Miss Timmons?» Mr. Preston guardò a malapena dietro di sé quando buttò lì la risposta. Poi però si fermò e tornò indietro. «E tutte le giovani di questa cittadina condividono tale peculiarità?» Ai lati di Tabitha, Daphne e Harriet annuirono concordi come brave sorelle. Lord Roxley iniziò a ridacchiare, ma quando si ritrovò davanti le tre giovani indignate, e forse sapendo che quel trio infuriato avrebbe con ogni probabilità riferito di quell'incontro alla sua prozia, tossì e si fece da parte, lasciando che l'amico affrontasse da solo la violenza della loro collera. Preston raccolse il mantice e le guardò. «Allora direi che la maledizione non gravi tanto sulle donne di questo villaggio, ma su ogni uomo nel raggio di cinquanta miglia.»
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