Duchessa a mezzanotte

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Charis Michaels DUCHESSA A MEZZANOTTE

Immagine di sfondo di copertina: Depositphotos/Fairytale Design

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Duchess by Midnight Avon Books

An Imprint of HarperCollins Publishers

© 2022 Charis Michaels Traduzione di Rossana Lanfredi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers, LLC, New York, U.S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

© 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici novembre 2022

Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100%

I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 5410

Periodico settimanale n. 1331 del 25/11/2022

Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 20132 Milano

HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 20135 Milano

Per Elle Keck, editor geniale di sette libri, conosciuta per caso e diventata meravigliosa amica di una vita. Buona fortuna!

Dedica

Regola di stile e comportamento di Drewsmina Trelayne n. 17: Mai lasciarsi trasportare e finire per parlare ininterrottamente. Gli amici possono non esprimere apertamente il tedio o lo scandalo, ma silenzi prolungati sono eloquenti più di mille parole. Cianciare senza sosta va bene per i bimbetti, non per le signore. Regola di stile e comportamento di Drewsmina Trelayne n. 31: Gli animali viventi sono doni orribili.

Kew Palace, Richmond Upon Thames, ottobre 1818

Quel giorno, l'anticamera della sala del trono di Kew Palace era affollata, e Drewsmina valutò la situazione.

Alla sua destra una donna dall'aria austera, con indosso un rigido abito di lana e un mantello nero, se ne stava accanto alla porta e stringeva fra le mani una bisaccia rigonfia. Un'attivista della beneficenza, ipotizzò Drew.

Alla sinistra, un militare in uniforme con il suo imbarazzato aiutante di campo.

Nei pressi della finestra, tre monache con un gruppetto di ragazzini, forse orfani.

Al centro della stanza si aggiravano due uomini che sembravano studiosi: uno portava una sorta di aggeggio girevole, l'altro un topo impagliato.

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C'erano anche una coppia anziana con una gabbia di uccelli, e una donna pesantemente imbellettata una cantante d'opera o qualcosa del genere? con la cameriera e due cagnolini.

Infine, in un angolo, in una posa un po' stravaccata, un uomo solo. Alto, immobile, forse addormentato.

E poi c'era lei, Drew, un'intraprendente giovane donna d'affari in procinto di iniziare la propria attività.

Per passare in rassegna gli altri presenti aveva impiegato cinque minuti. Era annoiata, ma anche nervosa. Non era la prima volta che si recava al palazzo.

La sua sorellastra, Cynde, era sposata con il Principe Adolphus, figlio di Re Giorgio III e, benché Adolphus fosse il settimo figlio del re e decimo nella linea di successione, era pur sempre un principe. In quanto tale, perciò, lui e Cynde vivevano a Kew Palace e, di solito, quando Drew andava a trovare la sorellastra, veniva ricevuta nelle sue sfarzose stanze private.

La sala del trono, invece, era il luogo in cui la coppia reale concedeva udienza ai postulanti e a chi chiedeva fondi per opere di beneficenza. Quel giorno Drew non si trovava al palazzo per una visita di cortesia, ma per affari, perché sarebbe stata presentata a un nuovo cliente, che le avrebbe cambiato la vita.

Se il suddetto cliente fosse comparso, beninteso. E se si fosse riusciti a convincerlo.

Insomma, se tutto fosse andato esattamente, precisamente, secondo il suo piano.

Un piano che fino a quel giorno era esistito solo sulla carta, ma che era sul punto di diventare realtà grazie a una nota frettolosa che Drew aveva ricevuto da Cynde la sera precedente.

Sala del trono, domani, Drew. Per favore, puoi venire?

Arriva presto, e indugia nell'anticamera con gli altri visitatori (scusa, ma varrà la pena di attendere, spero!). Dovrebbe venire un vecchio amico di Adolphus, che ha

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un disperato bisogno di aiuto per preparare due gemelle alla loro prima Stagione. È il Duca di Lachlan, un uomo molto ricco, ma anche molto rozzo, o solitario, o socialmente inetto, o... Non lo so con certezza. È della Cornovaglia, mi pare. Oppure ha qualcosa a che vedere con la Cornovaglia? Non ne sono certa. In ogni caso, ha due gemelle! Due ragazze sulle quali puoi operare le tue magie, perciò vieni preparata a persuadere, affascinare, ecc. ecc. Segui me, va bene? E speriamo sia l'occasione che aspettavamo.

Quel messaggio aveva lasciato Drew un po' senza fiato, cosa che di solito non succedeva. Aveva atteso per gran parte dell'anno un'opportunità simile. Il biglietto aveva acceso a tal punto le sue speranze che aveva chiesto al suo tedioso cognato, Lord Madewood, marito di sua sorella Anastasia, se conoscesse un Duca di Lachlan forse della Cornovaglia. Madewood aveva accolto la sua domanda con il consueto, inquietante distacco. L'aveva invitata nella sua oscura biblioteca, si era spaparanzato su un sofà e aveva sproloquiato per una mezz'ora buona. Alla fine, però, era valsa la pena di assistere a quella messinscena, perché Drew aveva appreso che sì, esisteva un Duca di Lachlan e che il ducato si trovava a Dorchester, vicino alla costa del Dorset. Tre anni prima il duca si era trovato al centro di uno scandalo che aveva sconvolto il paese. Prima dello scandalo, si era dimostrato promettente, alla Camera dei Lord, ma successivamente si era ritirato nella proprietà ducale e da allora non si era saputo più niente, di lui.

«E le due figlie gemelle?» aveva provato a chiedere Drew. «Forse desidera portarle a Londra e presentarle in società?»

«Figlie?» aveva ripetuto Madewood con aria pensierosa. «Non saprei. Non si era parlato della sua famiglia, sui giornali. Sposare due figlie è un progetto ambizioso.

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Nessuna giovane donna, soprattutto una debuttante, beneficerebbe dal legame con una simile, recente controversia. E non ha importanza se suo padre è un duca.»

«Lo scandalo riguardava qualche... atto inappropriato?» aveva azzardato Drew.

«Inappropriato? No, niente di simile. È rimasto coinvolto in un tumulto luddista. Un uomo rimase ucciso, e ci furono feriti; un ragazzo, credo. La causa fu la pessima gestione da parte del duca di fittavoli ribelli, la quale portò a una rivolta che uccise un uomo e ferì il ragazzo. Lachlan incitò i suoi fittavoli, arrivando persino a unirsi a loro nella protesta, come se fosse uno di loro. Dopo averli portati a un livello altissimo di agitazione, girò loro le spalle e li consegnò alle guardie di Portsmouth.»

Drew aveva riflettuto, valutando il rischio di avere rapporti con una famiglia che aveva un legame con quei ribelli. I luddisti erano artigiani capaci tessitori, creatori di calze o di pizzi furiosi perché temevano che le nuove fabbriche tessili li avrebbero lasciati senza lavoro. I rivoltosi erano considerati traditori, dalla Corona, ma degli artigiani disoccupati non potevano sostentare le loro famiglie, se una fabbrica li lasciava senza lavoro. Si perdevano vite umane, uomini venivano impiccati.

In ogni caso, incitare alla rivolta e una pessima gestione non sembravano colpe tanto gravi, no? Non era certo come se Lachlan fosse un brigante o uno sporcaccione. Quella, dopotutto, era una situazione nella quale Drew avrebbe potuto fare qualcosa di buono... per le ragazze, almeno. «Ormai è passato del tempo» aveva suggerito, speranzosa, «e forse le voci sulla rivolta si sono sopite. È accaduto tre anni fa, avete detto?»

«Sì, nel '15, ma fu legna per il fuoco di molti altri tumulti. Vi assicuro che niente è stato dimenticato. Chiedete a chiunque della Rivolta di Honiton, e vedrete. L'evento suscitò un'indignazione generale. Gli abitanti del villaggio si inferocirono perché il loro signore aveva avvertito la guarnigione, e il reggimento di Portsmouth non

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prese bene il fatto che un duca si fosse schierato dalla parte dei popolani. Una scarsa capacità di comando, ecco cos'è stata. Lachlan mise le due fazioni l'una contro l'altra solo per divertirsi, oppure non fu all'altezza della situazione. In ogni caso fu inesperto e arrogante.»

«Sì» aveva convenuto distrattamente Drew. Quante difficoltà avrebbero avuto, le figlie del duca, se il padre veniva considerato un agitatore, un voltagabbana e un istigatore di disordini?

Posso aiutarle, aveva pensato.

Posso aiutare tutti loro.

Drewsmina Trelayne si occupava o meglio era sul punto di occuparsi di preparare giovani debuttanti ad affrontare la loro prima Stagione londinese. La sua specialità erano o meglio sarebbero state le emarginate. I cosiddetti brutti anatroccoli. Ragazze relegate ai margini della vita sociale.

In breve, proprio il tipo di giovanetta che un tempo lei stessa era stata.

Si sarebbe specializzata in signorine acide, inclini alle frecciatine velenose; in ragazze sciocche, tutte risolini; oppure in giovani silenziose, dimenticate contro le pareti delle sale da ballo.

Avrebbe insegnato a giovani stravaccate ad avere una corretta postura, a giovani silenziose a parlare e a giovani sciocche ad ascoltare.

Si sarebbe occupata di ragazze con padri travolti da qualche scandalo che dovevano elevarsi sui pettegolezzi e godersi un immacolato debutto.

Avrebbe, dunque, fatto per le sue clienti tutto ciò che un cuore spezzato e una notevole capacità di recupero avevano costretto lei a fare da sola.

E per quel servigio si sarebbe fatta pagare, così finalmente la sua infelice situazione di sorella zitella ospite nella casa di Anastasia e del tedioso Lord Madewood sarebbe cambiata.

Prima di tutto, però, le serviva quel cliente.

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«Non sono molto celeri con i visitatori, vero?» l'apostrofò l'anziana donna che le stava accanto nella soffocante anticamera della sala del trono. Lei e il suo compagno reggevano una gabbia per uccelli, e il peso di quella gabbia, per non menzionare la dozzina di magnanine di Dartford svolazzanti al suo interno, doveva essere notevole.

Drew aveva evitato la coppia perché la faceva soffrire vedere qualsiasi animale in gabbia, soprattutto gli uccellini. Nel corso degli ultimi cinque anni aveva imparato ad amare l'osservazione degli uccelli, e le piacevano particolarmente le magnanine di Dartford, che non amavano la cattività.

«È da almeno un'ora che aspettiamo» insistette l'uomo, che reggeva l'altra estremità della gabbia, e la moglie annuì. Indignata.

«Be', non è possibile» replicò la donna dal volto severo, che sembrava la patronessa di qualche opera benefica. «I postulanti non devono arrivare prima delle undici meno un quarto, e ora sono le undici e un quarto, quindi non potete aspettare da un'ora. Se rammentate bene, sono arrivata ai cancelli del palazzo prima di voi. Dunque, quando le Loro Altezze Reali il Principe Adolphus e la Principessa Cynde ammetteranno il prossimo visitatore, di certo sarò io.»

«Se vogliamo spaccare il capello in quattro su questa faccenda» intervenne uno degli scienziati, «io sono arrivato prima di tutti voi.» E accarezzò il suo topo impagliato.

«Mi dispiace smentirvi, signore» insistette la dama di beneficenza. «Sono stata innegabilmente io la prima ad arrivare, per non menzionare che il mio appuntamento è stato preso dal segretario del principe settimane fa.»

«Io non mi sbaglio» ribatté lo scienziato, frugando nella bisaccia in cerca di chissà quale prova.

Drew sospirò e si guardò intorno nella stanzetta male illuminata. Il duca era arrivato? Non vide signorine che

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avrebbero potuto essere sue figlie, così immaginò che non fossero presenti. Lui, tuttavia, doveva esserci. Chissà, forse sarebbe stato accompagnato dalla moglie. Tuttavia dubitava che un duca e una duchessa sarebbero stati costretti a fare anticamera insieme a orfani e uccellini in gabbia.

Si guardò ancora una volta intorno. E se fosse stato l'ufficiale? Il militare, però, sembrava davvero molto vecchio. Le gemelle in questione sarebbero state sue nipoti, o addirittura bisnipoti.

E se Lachlan fosse stato uno degli scienziati? No, probabilmente no.

Drew posò lo sguardo sull'uomo appartato nell'ombra. In teoria poteva essere un duca, e in teoria poteva avere l'età giusta. Tutto, in lui, la invitava a distogliere lo sguardo... ma la curiosità la spinse a osservarlo ancora.

L'uomo era così lontano dalle lampade che Drew riusciva a distinguere soltanto un pastrano voluminoso, un volto oscurato dalla tesa del cappello e alti stivali. Era appoggiato contro la parete, le braccia incrociate, nella postura di chi era presente con il corpo, ma lontano con la mente. Da quello che si vedeva di lui, avrebbe potuto avere anche novant'anni.

Non che alcuno di quei dettagli avesse importanza, poiché aveva un atteggiamento troppo informale per essere amico del principe. E, ancora una volta, i duchi non facevano anticamera con il popolo. Lachlan di certo sarebbe entrato da un'altra porta, e non avrebbe avuto quella postura scomposta. Sì, era il suo atteggiamento a inquietarla, e Drew aveva già ragioni a sufficienza per essere inquieta. Non gliene servivano altre.

«Posso guardare i vostri uccellini?»

Uno dei ragazzini era uscito dal gruppetto che stava con le monache e sbirciava dentro la gabbia le terrorizzate magnanine.

«Non ora, eh?» sibilò la donna ma, nello stesso istante, il suo compagno dichiarò: «Ma certo».

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«Sono passeri?» domandò ancora il ragazzino, tutto a un tratto seguito da un secondo e poi da un terzo. In breve un semicerchio di bambini si era formato intorno alla gabbia.

«State lontani, per favore» li ammonì la donna, cercando di indietreggiare con la gabbia. «Queste magnanine di Dartford sono un dono per il Principe Adolphus e la Principessa Cynde. Fanno un gran chiasso quando sono agitate, e ho pulito la gabbia proprio stamattina.»

«Non le faremo agitare, signora» le assicurò il primo ragazzino, avvicinandosi. Gli altri lo seguirono.

«Non fanno niente di male a guardare» la rimproverò il compagno con gentilezza. E ai piccoli chiese: «Siete amanti degli uccelli?».

Alle loro spalle, la dama di carità continuava a borbottare. «Vedrete. Quando il valletto ci farà entrare, vedrete. I visitatori rumorosi non sono ammessi. Questo è un palazzo, dopotutto.»

«E chi vi ha chiesto qualcosa, vorrei sapere?» osservò l'anziana donna, senza più guardare i volatili.

«Uno degli uccelli può starmi su un dito?» volle sapere il primo ragazzino. «Se lo metto dentro?»

«Te lo morderebbe» gli assicurò il bambino al suo fianco.

Il primo lo ignorò e infilò un dito grassottello tra le sbarre. La proprietaria degli uccelli, nel frattempo, litigava con la dama di carità.

«Fai provare anche me!» esclamò il secondo bambino, seguito subito da un terzo. Diverse dita si agitarono tra le sbarre della gabbia.

Quando ci ripensò, Drew si rese conto che quello era stato il momento in cui tutto era andato terribilmente, irrimediabilmente storto.

La gabbia vacillò, e le magnanine, ormai in preda al panico, cominciarono a beccare e a graffiare con i minuscoli artigli le dita che invadevano la loro casa. I bambini sussultarono e strillarono, ritraendo le mani.

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In mezzo a quella confusione la gabbia si aprì e, nel giro di pochi istanti, una dozzina di magnanine di Dart ford, decise a tornare nel Surrey, invasero l'anticamera.

Nella sala scoppiò un pandemonio. Uccelli, ragazzini, cani che abbaiavano, penne ovunque.

I proprietari della gabbia cercarono di recuperare gli uccellini con le mani e facendo sventolare il grembiule della donna. Le monache si protessero con le loro voluminose cuffie e allungarono alla cieca le mani per tentare di riprendere gli orfani. I ragazzini però correvano e saltavano dappertutto, lanciando grida di gioia. La cantante d'opera si lanciò in una serie di grida gorgheggianti, mentre gli altri visitatori in attesa si scansarono, o si abbassarono per evitare gli uccellini.

«Per favore!» gridò Drew a un tratto. «Mantenete la calma. Se resteremo zitti e tranquilli, gli uccellini si acquieteranno.»

La quiete, ormai era chiaro, era lontana almeno quanto il Surrey. Sotto gli occhi terrorizzati di Drew, i volatili si lanciarono verso il soffitto, poi si gettarono in picchiata e sbatterono contro le pareti. Un ragazzino riuscì a prenderne uno, che giacque, ansimando e senza fiato, nel suo palmo. L'ufficiale colpì con un giornale un uccellino che volava basso, spedendolo in aria come fosse una foglia.

Drew aveva gli occhi colmi di lacrime. Quei piccoli pennuti non avevano chiesto di essere chiusi in gabbia, di essere portati nell'anticamera del palazzo e di venir terrorizzati. «Basta!» gridò ancora. «Se staremo calmi, gli uccelli non si spaventeranno. Possono essere...» Nessuno l'ascoltava, però. Si guardò intorno, impotente e furiosa.

A quel punto anche l'uomo nell'angolo si unì al tumulto. Si staccò dalla parete e, incurante del caos, si diresse verso le doppie porte che affacciavano sul corridoio. «Perché non apriamo queste dannate porte...» borbottò, come se parlasse a se stesso, facendo per girare il pomo-

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lo, «e cerchiamo di liberare queste dannate bestie...» «No, aspettate!» lo fermò Drew, lanciandosi verso di lui e afferrandogli la grossa mano un istante prima che aprisse la porta.

Lui sollevò lo sguardo e, a un tratto, lei vide i suoi occhi. Erano di un gelido, penetrante azzurro, punto focale di un volto eccezionalmente bello.

No, di certo non aveva novant'anni.

L'uomo la fissava da sotto la tesa del cappello con aria di sfida. Sì?, pareva volerle chiedere.

Drew si riprese. «No, vi prego» continuò in fretta. I loro volti adesso erano vicinissimi, quanto potevano esserlo quelli di due persone che avevano la mano posata sullo stesso pomolo.

In quel momento una magnanina volò pericolosamente vicino al volto di Drew, che strillò e si avvicinò ancora di più a lui.

«Io aprirò questa porta» sentenziò l'uomo lentamente, come se parlasse a una pazza, «e gli uccelli voleranno via.»

«No.» Drew scosse il capo con veemenza.

In quel momento un orfanello la urtò a un fianco, facendola quasi finire contro il petto dello sconosciuto. «No» ripeté. «Per favore. Se lo farete, le magnanine fuggiranno per il palazzo, si perderanno e non riusciranno mai a uscire. Moriranno di fame, e saranno uccise dai domestici. Non le riprenderemo mai.»

«Sono... i vostri uccelli?» si informò lui.

«No» negò Drew, tentando disperatamente di fargli capire. «Le magnanine di Dartford non sono inclini a farsi addomesticare. La cosa migliore, per loro, è lasciarle andare... ma all'aperto, non in un palazzo.»

«Cosa proponete?» Stavolta un orfano urtò lui, e si aggrappò alle sue gambe. L'uomo usò la mano libera per sollevarlo per il colletto e rispedirlo in mezzo alla stanza.

«Se riusciremo a calmare tutti, anche gli uccellini si placheranno. Poi potremo prenderli a uno a uno e rimet-

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terli nella gabbia, e infine li libereremo nel modo più corretto. Però prima è necessario...» Drew guardò con una certa frustrazione la stanza affollata di uccelli disorientati, gente urlante, ragazzini scatenati e cani abbaianti. «... recuperare la calma.»

«Giusto» convenne lui, seguendo la direzione del suo sguardo. «Un'idea appena un po' ambiziosa.»

Drew non poté impedirsi di scoppiare a ridere. Quell'uomo era bello, e anche divertente. E lei continuava a tenere la mano sulla sua.

Il cuore le batteva forte nel petto, era come un uovo che conteneva qualcosa di nuovo e selvaggio e che cercava di uscire. «Vi prego, signore» insistette, deglutendo. «Vorrei provarci.»

Lo fissò, sorpresa nel vedere che lui non obiettava. La scrutava con occhi tempestosi, e l'uovo nel suo petto pulsò ancora una volta. Alla fine, lui fece un cenno di assen so.

Drew batté le palpebre, ritirò la mano e si voltò verso la stanza, immersa nel caos. «Basta!» strillò. «Per favore! Fate silenzio, tutti! Dobbiamo calmarci e lasciare che le magnanine trovino la via verso la luce. Vi prego!»

Non ottenne risposta. Nemmeno uno sguardo, quindi aprì la bocca per riprovarci.

«Cosa ne dite» le gridò l'uomo sopra il baccano, «della finestra?» E indicò un'alta finestrella che dava su un muro. «Mi permettete di farli uscire dalla finestra?»

«Sì, sarebbe perfetto!» strillò di rimando Drew. «Se riuscite ad aprirla.»

Lui si fece strada tra gli uccellini impazziti e le persone che andavano dappertutto e raggiunse senza fatica la finestrella. «È incollata dalla vernice!» urlò a Drew.

«Non si può far niente!» gridò lei di rimando.

Un ragazzino le corse davanti, e Drew lo afferrò per un polso. «Dovete smettere di correre!» lo supplicò. Un altro bambino arrivò, e lei lo bloccò con l'altra mano, ma i due si divincolarono, cercando di liberarsi.

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L'uomo tentò ancora una volta di aprire la finestra, ma senza successo. Nel frattempo un uccellino, nella sua folle picchiata, gli sbatté quasi contro la testa. Lui imprecò e lo schivò. Si stava sistemando il cappello quando un secondo uccellino lo colpì, stavolta sull'orecchio.

«Vi siete fatto male?» Drew lasciò andare i ragazzi.

Lui la ignorò, scrutando la stanza. Il suo sguardo si illuminò nel posarsi sul fuoco fumoso nel caminetto, e afferrò l'attizzatoio posato lì accanto. Prima che lei potesse comprendere ciò che stava per fare, lui sollevò l'attizzatoio e ruppe la finestrella, spargendo ovunque frammenti di vetro.

Il rumore assordante risuonò nella stanza e, per un lungo istante, nell'anticamera calò il silenzio.

L'uomo continuava a lavorare, passando l'attizzatoio lungo il bordo della finestra per rimuovere del tutto il vetro. Quando finì, rimase soltanto la cornice di legno. Al l'istante il gelo del mattino e l'odore del torbido Tamigi entrarono nella stanza.

Il silenzio nell'anticamera si protraeva, tutti guardavano la finestra priva di vetri, l'uomo, i frammenti vicino ai suoi stivali.

Per quel che riguardava gli uccellini, il primo impiegò meno di un minuto a volare verso la libertà, gli altri lo imitarono in fretta. Piume fluttuarono nell'aria, un cane guaì. Un colpo di vento chiuse lo sportello della gabbia.

I presenti ritrovarono la voce tutti nello stesso istante.

«Quale diritto avevate di fare una cosa simile, signore? Io vi chiedo...»

«Come avete osato? Quegli uccelli appartenevano a...»

«Ehi! Avete visto?»

Le grida erano furiose e confuse. Ogni commento era accompagnato da uno scricchiolio di vetri sotto le scarpe. I cani ripresero ad abbaiare.

L'uomo ignorò tutti, si tolse il cappello e una penna dall'orecchio, quindi si fece strada tra la gente inferocita,

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dirigendosi verso la sala del trono. Fissò con aria truce il pesante pannello di quercia, quasi potesse aprirlo con la forza della mente, poi si rimise il cappello.

Drew lo fissava, incredula. Aveva conosciuto molte persone, nella sua vita. Persone animate dalle migliori intenzioni, compassionevoli, persone che lavoravano sodo e capaci, ma nessuna di esse aveva mai compiuto un gesto efficace come quello. Senza rendersene conto, andò a mettersi accanto a lui. «Grazie» mormorò.

«L'ho fatto per gli uccelli.»

Lei ridacchiò. Un'altra battuta.

Uno dei ragazzini gli si fermò di colpo davanti, brandendo l'attizzatoio come una spada.

Lui lo ignorò. «Avete idea di quanto fanno aspettare, di solito?» chiese a Drew.

«No» ammise lei, e si costrinse e fissare la porta, non lui. «Rompere finestre non può far male, se intendiamo accelerare le cose.»

Un altro bambino arrivò, e il primo cominciò a spingerlo lontano con l'attizzatoio. Due monache intervennero e li trascinarono via. Alle spalle di Drew e dello sconosciuto, nel frattempo, erano riprese le discussioni sull'ordine di ammissione.

«Perché siete qui?» volle sapere lui.

«Prego?»

«Perché venite dal principe?»

«Oh.» Drew rifletté, cercando il modo migliore per spiegarsi. In seguito avrebbe capito che il vero danno di quella giornata non era stata la finestra fracassata, o gli uccellini usciti dalla gabbia. In seguito si sarebbe resa conto che il vero danno di quella giornata si verificò in quel momento. Quello fu l'istante in cui le cose iniziarono ad andare irrevocabilmente, orribilmente storte. Rispose: «Sono venuta a conoscere un possibile cliente. La Principessa Cynde è la mia sorellastra, e sarà lei a presentarmi».

Ecco, a quel punto avrebbe dovuto smettere di parlare.

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Lui non aveva chiesto ulteriori dettagli, e Drew sapeva soltanto che era bello e intelligente, e che insieme avevano salvato le magnanine.

Purtroppo, fu tutto ciò che le bastò per andare avanti. Drew era una zitella, sì, ma non era morta. Possedeva stile, brillantezza di spirito, persino sicurezza in se stessa ma, quando si trattava di parlare con gli uomini, era un vero disastro. «Mi occupo di preparare le debuttanti» aggiunse. «Non come fanno le scuole per signorine, non ancora, ma offro un servizio simile. Per clienti privati.»

L'uomo al suo fianco si girò lentamente a guardarla. Adesso che aveva la sua completa attenzione, Drew si sentì in dovere di aggiungere: «Il possibile cliente è un duca. Si chiama Lachlan, è un amico del principe. Ha due figlie gemelle che vorrebbe far debuttare... ossia, presentare in società, la prossima Stagione».

Lui socchiuse gli occhi. Era intrigato? Affascinato?

Lo stomaco di Drew ebbe un sobbalzo. «Ha bisogno di aiuto con le ragazze, sapete» riprese quindi, «la responsabilità è sua. Io sono venuta qui per persuaderlo ad assumermi.»

L'altro continuava a tacere, ma adesso la fissava con interesse. Drew si sentì girare un po' la testa sotto lo scrutinio di quei gelidi occhi azzurri.

Continuò a parlare. «Il duca in questione è stato protagonista di uno scandalo, qualche anno fa. La sua reputazione ne ha sofferto, ed è stato costretto a lasciare Londra.»

A quel punto Drew si rese conto che stava davvero parlando troppo, ma non fu in grado di fermarsi.

«Fu un vero peccato» proseguì, riferendo tutto, anche particolari che non aveva nemmeno la certezza fossero veri. «Aveva mostrato un grande potenziale, alla Camera dei Lord, ma era stato ritenuto responsabile di un tumulto luddista. Aveva incitato i lavoratori a ribellarsi e poi li aveva traditi, denunciandoli alle autorità. Se ne parlò molto, sui giornali. Quella storia lo rovinò, il che rende

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alquanto complicato il debutto delle sue ragazze. Dovranno muoversi con molta cautela. Non c'è da temere, però, io sono specializzata in situazioni simili. Anzi, è il genere di progetto che preferisco.»

Aveva appena pronunciato quelle parole che le porte della sala del trono si aprirono e un valletto in livrea comparve. «Sua Grazia, il Duca di Lachlan» intonò.

«Sì» rispose l'uomo accanto a Drew. «Lachlan.»

Lo sconosciuto il Duca di Lachlan! girò intorno al valletto e scomparve nella sala del trono. Non si voltò a guardare indietro. Le doppie porte si chiusero.

Inorridita, Drew rimase a fissare lo spesso legno, mentre le parole che aveva pronunciato poco prima frullavano nella sua mente come magnanine di Dartford.

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