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CHATSFIELD HOTEL Barcellona
Il nuovo appuntamento con la serie vi aspetta
Seduta al tavolo del ristorante dell’elegante albergo, Holly Tsoukatos è in attesa del marito Theo, pronto a chiederle il divorzio. La prospettiva di rivedere Holly, però, ha riacceso in lui un tumulto di sentimenti. Forse perché non è ancora disposto a rinunciare a lei.
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D. Dryden - C. d'Abo - J. Griffin
Fantasia dominante
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Theory Of Attraction A Shot in the Dark Forbidden Fantasies Carina Press © 2012 Delphine Dryden © 2011 Christine D'abo © 2012 Jodie Griffin Traduzione di Flora Dipera Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Passion luglio 2013 Seconda edizione Harmony Passion luglio 2016 HARMONY PASSION ISSN 1970 - 9951 Periodico mensile n. 116 del 21/07/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 71 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
LEZIONI DI SESSO
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BACI NEL BUIO
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EROTICHE LETTURE
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LEZIONI DI SESSO Delphine Dryden
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Le previsioni del tempo davano di nuovo temperature fino a trentasette gradi, il che non era poi così fuori dalla norma a Houston, in agosto. Quando si usciva di casa si aveva l'impressione di sciogliersi, ma tutti fingevano che non fosse poi così afoso, ripetendo a chi incontravano per strada che c'erano state delle volte in cui le temperature avevano raggiunto picchi ben più alti. In fondo non era tanto male. Faceva abbastanza caldo da far appassire la lattuga che avevo tentato di coltivare in giardino, ma se non altro le rose tenevano duro. Riuscivo a vederle dalla mia postazione al computer, i boccioli rossi e rosa che si muovevano alla brezza costante. Fino a quando un'ombra li oscurò, bloccando la luce. Alzandomi per vedere meglio, notai Ivan, il mio vicino, che usciva a fare jogging. Erano già le sei e trenta e io dovevo prepararmi per andare al lavoro, dove avrei potuto finire di controllare la posta elettronica. Non mi presi la briga di guardare la sveglia perché Ivan era più preciso di un orologio. Negli ultimi due anni avevo memorizzato i suoi spostamenti al punto da sapere dove si trovava in ogni momento del giorno. Non sono una persona a cui piace tenere d'occhio chi le sta intorno, ma è un dato di fatto che Ivan ama le sue abitudini tanto quanto a certi uomini piace il football. 9
Lanciando un'occhiata verso la mia finestra sollevò una mano in un saluto al quale risposi come facevo tutte le mattine, tranne durante il fine settimana, quando non mi svegliavo così presto. Lui, invece, andava a correre anche il sabato e la domenica. Scelse uno dei tre percorsi che io conoscevo perché la maggior parte delle volte gli passavo davanti in macchina andando al lavoro. Dal lunedì al giovedì seguiva sempre lo stesso, cambiava il venerdì e, a seconda del traffico, ne sceglieva un altro ancora per il fine settimana in modo da impiegare sempre lo stesso tempo a concluderlo. Sette giorni di osservazione sarebbero bastati a uno stalker per individuare la routine del dottor Ivan Reynolds, scienziato missilistico. Ma dubitavo che qualcuno volesse assillarlo con attenzioni non gradite. Be', almeno fino a quando non avesse vinto un premio Nobel o qualcosa del genere. Ivan è il genere di persona che si impara a valutare con il tempo e a me c'è voluto più di un anno per riuscire ad apprezzarlo. La prima volta che mi sono resa conto che era sexy si era comportato prima da stronzo e poi da eroe. Eravamo nel mio appartamento, dove Ivan trascorre fin troppo tempo per essere uno che dichiara di non amare la compagnia della gente. Ma a me piace cucinare e l'edificio in cui abito pullula di fanatici della tecnologia un po' imbranati, perciò casa mia è diventata una specie di ritrovo. Persino Ivan sembrava apprezzare il cibo, anche se in quella occasione era più concentrato a chiedersi perché la facoltà di astrofisica volesse a tutti i costi organizzare una festa per l'inizio dell'anno accademico. «Serve per conoscersi meglio tra colleghi» gli avevo spiegato con la testa sotto il lavandino, alla ricerca di un detersivo. «Ma io conosco già i miei vecchi colleghi e quelli nuovi 10
li conoscerò molto presto. Sono persone con cui lavoro tutti i giorni, quindi perché dovrei trascorrere il mio preziosissimo tempo libero con loro? Perché sprecare le mie energie sociali con dei semplici colleghi?» Mi aveva posto questo genere di domanda perché ho una laurea in antropologia sociale, anche se al momento mi occupo di linguaggio dei computer. L'idea che Ivan aveva di una bella festa prevedeva che gli ospiti arrivassero con il proprio portatile e pacchetti di patatine per restare svegli tutta la notte a spararsi virtualmente. «Perché è divertente?» gli avevo suggerito. «Per una sera ti si chiede semplicemente di scioglierti un po' e poi la maggior parte della gente non considera l'energia sociale come una risorsa esauribile. Festeggiare non è un'equazione a somma zero.» Non ero solita esprimermi così, ma, dopo un anno di vita in un palazzo popolato quasi esclusivamente da astrofisici e ingegneri informatici, volente o nolente avevo incominciato ad acquisire la loro terminologia. La presenza di tutti quei cervelloni era dovuta al fatto che la maggior parte di loro lavorava in università e che la facoltà di scienze distava pochi passi dal nostro palazzo. La loro presenza mi risultava gradita, perché i ragazzi mi svelavano ogni genere di codice per barare ai videogiochi e, se non altro, sapevo di poter sempre contare su di loro in caso di bisogno. «Non la considero esauribile» aveva detto Ivan. «Ma nemmeno inesauribile. E ci sono già mille obblighi sociali da rispettare durante le festività senza aggiungerne altri. Che cos'è questo odore?» «Non saprei. Potrebbe essere lo spray insetticida che ho usato ieri. Maledizione, ma dov'è il detersivo?» «Nel mobiletto del bagno. Non va tenuto vicino ai detergenti a base di ammoniaca.» Per poco non avevo sbattuto la testa contro il mobile mentre lo tiravo fuori. «L'hai spostato tu?» 11
«Sì. Lo lasci sempre aperto e alla fine ti ritrovi con polvere di clorina da tutte le parti. Il detergente a base di ammoniaca è in una confezione di vetro e, se si dovesse rompere, si verrebbe a formare una nube tossica.» «Per l'amor del cielo! Ti prego, non spostarmi più i prodotti per la pulizia della casa, capito? Correrò il rischio di intossicarmi. Accidenti, ma questa è puzza di fumo?» «È la pancetta affumicata.» Oh, oh. Voltandomi avevo visto le fiamme raggiungere la cappa. «Maledizione! Ci vuole del bicarbonato, vero?» Ne avevo un po' nel frigorifero e cioè dall'altra parte della cucina rispetto ai fornelli in fiamme, perciò avevo rovistato nella dispensa con la speranza di trovarne una vecchia confezione. Aprendo lo sportello per poco non avevo dato una gomitata a Ivan che, incurante delle fiamme, con gesti precisi e misurati aveva spento il fornello e, dopo aver chiuso la padella con un coperchio, l'aveva fatta scivolare via, contenendo le fiamme. Era rimasto solo il fumo a testimoniare lo scampato pericolo. Il fumo e le imprecazioni di Ivan con la mano sotto l'acqua corrente. Si era ustionato il polso. «Oh, merda!» avevo esclamato io non riuscendo a formulare una frase più articolata mentre abbandonavo la ricerca del bicarbonato, concentrandomi sul mio eroe bruciacchiato. «Ti sei fatto male? Che cosa posso fare?» Ivan aveva sollevato la mano come per bloccarmi. «Non è niente. Sto bene. Nel peggiore dei casi si tratterà di un'ustione di primo grado. Tu, piuttosto, stai bene?» «Ti si sta formando una bolla» avevo osservato indicando il suo braccio come se appartenesse a qualcun altro, qualcuno che non mi piaceva. «Non è niente» ripeté lui, un po' più incerto. «Tu stai bene, Camilla?» 12
«Sono solo spaventata. Fammi andare a prendere qualcosa per medicarti» avevo replicato, sollevata nel ricordare che avevo tutto l'occorrente in bagno, lì dove doveva essere. «Prendi anche un fazzoletto» mi aveva suggerito lui. Fino a quel momento non mi ero resa conto che stavo piangendo. Probabilmente per via del fumo, avevo cercato di rassicurarmi. Non mi ci era voluto molto per rendermi conto che la cassetta del pronto soccorso avrebbe offerto una soluzione solo temporanea, quindi avevo portato Ivan in ospedale ed ero rimasta seduta con lui per tre ore fino a quando i medici non si erano occupati della sua ferita. Poi lo avevo riportato a casa e gli avevo preparato la cena mentre gli antidolorifici facevano effetto. Non aveva fatto nessuna battuta, suggerendomi per esempio di evitare di dare fuoco alla sua cucina. E io mi ero astenuta dal fargli presente che, se qualcuno non avesse spostato il mio detersivo senza avvertirmi, io non avrei lasciato la pancetta sul fuoco così a lungo. Era stata una bella cena. Braciole di maiale, riso e zucchine. Ivan aveva apprezzato il cibo. O forse erano stati gli analgesici a rallentare i suoi riflessi, inducendolo a mangiare lentamente e dando a chi lo guardava l'impressione che si stesse godendo quelle che considerava delle vere leccornie. Non lo avevo mai visto ubriaco prima di allora e osservarlo lasciarsi andare grazie all'effetto degli antidolorifici era stata un'esperienza affascinante. Quella che avevo davanti era una versione di Ivan più gentile e più amabile. Un Ivan che diceva che le mie braciole di maiale erano fantastiche e che mi aveva chiesto se volevo restare da lui a guardare Doctor Who. Avevo accettato e lui si era addormentato sul divano cinque minuti dopo l'inizio del telefilm. Intanto io pensavo ancora all'Ivan che aveva spento l'in13
cendio nella mia cucina, gestendo brillantemente la situazione di emergenza. Da buon abitudinario non amava modificare la sua routine, ma in caso di emergenza si poteva contare su di lui. E durante la visita all'ospedale si era comportato in modo stoico. Il mio vicino di casa recluso e un po' imbranato si era appena trasformato in un eroe forte e silenzioso. Era stata una rivelazione stupefacente. Il fatto che in seguito l'ondata di caldo lo avesse spinto a fare jogging a torso nudo per una settimana intera non aveva influenzato la percezione che avevo di lui. Avevo scoperto che era bello, proprio come piaceva a me, ma era stato il suo eroismo sereno a farmelo considerare sotto una nuova luce. Il problema con Ivan è che non sembra rendersi conto che io sono una donna. Tanto meno una donna disponibile e interessata. Mi tratta come tratta tutti gli altri, secondo standard rigidi e severi, quasi con precisione clinica, e sembra non conoscere le buone maniere. A suo modo è paziente in classe, in laboratorio e al computer, ma è terribilmente insofferente in altre situazioni. Per esempio quando i suoi amici si attardano nel decidere dove andare a cena, lui li precede tutti in macchina esortandoli a sbrigarsi. E non accetta le critiche, nemmeno quelle costruttive. Quindi la sua prima proposta non mi fece impazzire. «Ho bisogno che mi aiuti a socializzare.» «E cioè?» «Ho bisogno che mi insegni come fare a socializzare con la gente.» La richiesta arrivò all'improvviso e quasi un anno dopo l'incidente con la pancetta affumicata. Eravamo impegnati a sistemare il giardino sul retro del palazzo in religioso silenzio, io concentrata sulla mia lattuga avvizzita e sulle rose rigogliose e lui sulle sue piantine di pomodoro. Erano le 14
nove, nove e mezzo del mattino di un fine settimana, perché nel mondo di Ivan è quello l'orario in cui ci si dedica al giardinaggio. «Credo di avere bisogno di maggiori informazioni» dissi infilando la paletta nel terreno sotto un cespo di lattuga che procedetti a rimuovere. Ivan emise un sospiro di pura esasperazione, innaffiando una delle piantine di pomodoro che penzolava da un supporto di legno. Ognuna delle quattro piantine era stata piantata in modo diverso e l'esperimento di Ivan, qualsiasi fosse, stava funzionando perché erano oscenamente vitali. «Devo partecipare a una festa a cui saranno presenti altri scienziati che operano nel mio stesso settore insieme a una serie di potenziali finanziatori. Dovrò parlare con loro e convincerli a donare sostanziose cifre all'università, che in questo modo potrà sovvenzionare le mie ricerche. O meglio» si corresse subito, «le ricerche della mia facoltà. Naturalmente la mia motivazione è dettata dall'egoismo, dato che mi interessa che in primis venga sovvenzionato il mio, di progetto.» «Va... bene.» Esitai qualche secondo prima di rispondere, sradicando un altro cespo di lattuga. «Potresti incominciare evitando di dire quello che hai appena detto a me riguardo alle tue motivazioni. Pensalo e basta.» Ivan corrugò la fronte. Aveva solo ventinove anni, uno più di me, ma aveva già una ruga d'espressione semipermanente tra le sopracciglia che correva in senso verticale come un punto esclamativo, sottolineando il suo sguardo irritato. «Be', è la verità.» «Ma non è una cosa carina da dire. Hai ammesso tu stesso che si tratta di un atteggiamento egoista.» «Le bugie per omissione sono sempre e comunque bugie. Non capirò mai perché non vengano considerate tali» commentò Ivan, lanciando un'occhiata all'orologio. Con 15
ogni probabilità per lui era ora di rientrare in casa, fare una colazione superproteica e passare due ore e un quarto davanti al computer a sparare alla gente. Stavamo abbandonando l'argomento un po' troppo in fretta. «Quindi, in pratica, vuoi una lezione su come comportarti a un evento per raccogliere fondi.» Ivan piegò la testa da un lato e annuì. «In sintesi.» Sarebbe stata un'occasione per trascorrere un po' di tempo insieme a lui. Forse ero masochista, ma la cosa mi intrigava. Per qualche ragione a me sconosciuta, Ivan mi piaceva e passare più tempo con lui mi avrebbe permesso di guadagnarmi la sua attenzione. Era anche vero che mi si chiedeva di istruirlo in un campo in cui nemmeno io eccellevo, perciò non ero sicura di essere masochista fino a quel punto. Ivan si asciugò il sudore dal viso con l'orlo della maglietta, rivelando un addome a guscio di tartaruga. I pantaloni corti aderivano in modo provocante ai suoi fianchi e un paio di centimetri sotto il suo ombelico si intravedeva una traccia di peluria che scendeva verso... «Lo farai?» mi chiese, la voce soffocata dalla stoffa. «Come?» Ivan si risistemò la maglietta, riportandomi alla realtà. «Lo farai? Mi insegnerai a... a fare quello che bisogna fare, di qualsiasi cosa si tratti?» «Quando avrà luogo la raccolta di fondi?» «Fra tre settimane. Prima del ritorno degli studenti.» Tre settimane. Avrebbe potuto funzionare. Forse. «E io avrò carta bianca? Non ti arrabbierai con me se ti dirò di fare cose che ti sembrano stupide?» La stupida ero io a credere che potesse mantenere una promessa del genere. Ma, nonostante tutti i suoi spigoli, era pur sempre un eroe. Un eroe che coltivava pomodori, che spegneva gli incendi e che andava in giro a torso nudo. 16
Tutti dettagli in grado di annebbiare la lucidità di una ragazza. Ivan promise di non arrabbiarsi e io mi impegnai a dargli lezioni giornaliere di etichetta a cominciare da quella sera stessa. «Posso avere qualche pomodoro? Come anticipo?» osai chiedergli. Avevano un aspetto invitante, anche quelli che non erano ancora maturi, e io adoravo i pomodori verdi fritti. «Prendi tutti quelli che vuoi, basta che tu mi dica quanti ne hai colti da ogni pianta. Io non li mangerei comunque, non mi piacciono.» Lo guardai con aria interrogativa, poi spostai lo sguardo sulle piantine rigogliose e sui frutti appesi ai ramoscelli verdi. Ce n'erano abbastanza per fare insalate, sughi, bruschette e da friggere ancora verdi, per non parlare della preparazione di un pico de gallo con aglio e il coriandolo che ero riuscita a mantenere in vita fino al momento di raccoglierlo. «Allora perché...?» «Si tratta di un esperimento.» Smettere di interrompere le persone mentre parlavano sarebbe stata una delle prime lezioni. «Bene, allora siamo d'accordo. Tu non ti arrabbierai e io prenderò tutti i pomodori che mi servono. Incominciamo stasera a cena?» Ivan mi tese la mano sudicia. «Affare fatto.» Io la strinsi con la mia ancora più sporca, poi rimanemmo per un istante a guardarci, mano nella mano. Ivan era più alto di me di una testa ed era illuminato dal sole del mattino, quindi non riuscii a leggere l'espressione del suo viso, ma percepii il calore della sua stretta e la forza delle sue lunghe dita che scatenarono un brivido lungo tutta la mia spina dorsale. «Affare fatto.» 17
Questo volume è stato stampato nel giugno 2016 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)