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Katana Collins

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Wicked Release Kensington Publishing Corp., New York © 2015 Katana Collins Traduzione di Alessandra De Angelis Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Passion luglio 2016 HARMONY PASSION ISSN 1970 - 9951 Periodico mensile n. 114 dello 07/07/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 71 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Prologo

Frenai lentamente per avvicinarmi con la mia berlina nera dietro la Lincoln parcheggiata al bordo della strada. Il mio socio nell'altra vettura era scaltro, ma non sempre una mente brillante riesce a tradursi in abilità e prontezza nel rapportarsi al mondo esterno. Inoltre anch'io ero intelligente, una dote che talvolta dovevo ribadire alle persone con cui avevo a che fare. Lampeggiai due volte, facendo il segnale convenuto, e lui rispose accendendo le quattro frecce per un paio di secondi, come d'accordo, poi mise in moto e si allontanò, lasciandomi libero lo spazio. Avanzai per occupare il suo posto, al riparo dietro i finestrini oscurati che impedivano ai passanti di vedermi in faccia. Poco dopo ricevetti il suo messaggio: Non ci sono stati movimenti in casa per tutto il fine settimana. Ha aperto la porta solo al fattorino che le ha consegnato la spesa e al ragazzo del Pizza Express. Però quell'informazione non teneva conto del tunnel che collegava il suo scantinato alla riva, di cui ora la padrona di casa era a conoscenza. Quel passaggio segreto era il principale motivo per cui avevamo chiesto a Cassandra di partecipare alle nostre attività. Attraverso la galleria era facile portare fuori gli scatoloni con i farmaci senza farsi vedere da nessuno. Inoltre le sue feste in maschera fornivano un pretesto perfetto per l'andirivieni a casa sua di persone dal volto coperto. Adesso però avevamo perso quel vantaggio. Ben presto nel tunnel si sarebbe visto un brulicare di poliziotti, come formiche lungo una scia di miele. Be', significava che avremmo 5


dovuto buttare qualche goccia di miele da un'altra parte, come esca per distrarli... Avvertii un brivido improvviso al ricordo del drammatico episodio di qualche notte addietro, quando Jess si era irrigidita nel vedermi correrle incontro, mentre stavo scappando dopo aver aggredito il suo innamorato, quel detective ficcanaso. Avevo la pistola in pugno e mi formicolavano le dita sotto il guanto per la voglia di premere il grilletto. Fortunatamente avevo il viso coperto dalla maschera con cui avevo partecipato alla festa, eppure mi aveva colto di sorpresa, perché avevo la convinzione che non avrebbe trovato tanto presto il tunnel. Invece il fatto che l'avesse scoperto dimostrava che ci stava mettendo i bastoni fra le ruote, intromettendosi in affari che non la riguardavano. Avrei proprio voluto uccidere Sam, quella notte, tuttavia non era il caso di aggiungere anche l'omicidio di un poliziotto ai nostri problemi. Si sarebbe scatenata una caccia all'uomo proprio in un momento delicato in cui avremmo dovuto evitare di attirare l'attenzione. Forse ora, con Zooey come capro espiatorio, tutti si sarebbero calmati, soprattutto Jessica. Scossi la testa. Quella ragazza mi indispettiva immensamente. Presi la macchina fotografica dalla borsa poggiata sul sedile anteriore, puntai l'obiettivo verso le finestre della casa e aumentai lo zoom. Le tende erano tirate, non si scorgeva alcun movimento. Rilassandomi, appoggiai le spalle allo schienale. Se Jessica somigliava a sua sorella, avrebbe impiegato una vita a prepararsi. Invece, proprio mentre stavo abbassando leggermente il sedile per mettermi comodo, preparandomi a un lungo appostamento, la porta rosa si aprì, e lei uscì con le chiavi in mano, trascinando un trolley. Raddrizzai subito la schiena, allarmato. Stava partendo? Era la decisione più saggia da prendere, per il suo bene. Si guardò intorno con aria circospetta, poi scese i gradini e caricò la valigia in macchina. Dove stai andando, Jessica? Il suo atteggiamento era stranamente esitante, timoroso, e mi strappò un sogghigno compiaciuto. Ebbene sì, aveva paura! 6


Uscì dal vialetto d'accesso e si immise in carreggiata. La seguii senza perdere tempo, ma tenendomi a distanza di sicurezza per non farmi notare, lasciando sempre almeno due vetture tra noi. Imboccò la seconda a destra, svoltò a sinistra, poi di nuovo a destra... Il sangue mi si gelò nelle vene quando feci l'ultima svolta a destra. Oh, cazzo... Avevo capito dove stesse andando. Sentivo la pistola contro la caviglia, e il contatto con il metallo mi diede sicurezza. Mossi il collo da un lato e dall'altro per sgranchire i muscoli e feci un respiro profondo per calmarmi. Mi fermai appena in tempo per vedere Jessica che si fermava davanti a un chiosco di caffè e ordinava, portandosi dietro il trolley. Aveva parcheggiato a poca distanza. Sollevai il bavero della giacca e abbassai il berretto sugli occhi per schermarmi la faccia, poi guardai un'ultima volta le foto poggiate sul sedile accanto al posto di guida. Passai un dito sull'immagine del volto di Cassandra e sospirai. Era proprio un peccato averla persa. Era un ottimo soggetto, uno dei nostri distributori più affidabili. Modesta e discreta, era insospettabile... e invece aveva rovinato tutto. Sfogliando le foto, mi soffermai su quella in cui stava tirando su la cerniera del vestito e avvertii un fremito al basso ventre ricordando il suo ultimo grido, prima che la pallottola le trapassasse il cuore. Mi sbottonai i pantaloni e tolsi un guanto, poi strinsi forte il pene, fissando il suo volto in un'altra foto. Aveva gli occhi sgranati in un'espressione terrorizzata mentre guardava fuori dalla finestra, perché aveva appena visto qualcuno sul marciapiede. La sua paura mi eccitò a tal punto che venni con un gemito soffocato, mordendomi l'interno della guancia tanto forte da sentire in bocca il gusto metallico del sangue. Dolore, sesso, terrore, sangue... Era una miscela esplosiva che non smetteva mai di eccitarmi fino all'inverosimile, procurandomi un piacere intenso. 7


Appoggiai la nuca al poggiatesta e chiusi gli occhi per un istante, poi presi un fazzoletto di carta, mi pulii e infilai il guanto. Jessica poteva farmi un grande favore: togliersi dai piedi e lasciare libera la casa, in modo da permetterci di fare il nostro lavoro e trovare ciò che ci serviva. Se quelle immagini non l'avessero spaventata, avrei trovato il modo di farle recepire il messaggio piÚ chiaramente. Passai in rassegna le foto un'ultima volta per controllare che ci fossero tutte: tre ritraevano Cassandra mentre si vestiva e altre tre Jess che si preparava per la festa di venerdÏ. Le infilai nella busta poi aprii la portiera e mi avviai, tenendo la testa bassa per precauzione, nonostante conoscessi esattamente l'ubicazione delle telecamere di sorveglianza dentro e fuori dall'edificio, e sapessi che gli angoli piÚ lontani del parcheggio erano ciechi. Passai davanti all'auto di Jessica e infilai la busta sotto il tergicristalli, quindi mi allontanai alla svelta.

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Jess attendeva nella segreteria antistante l'ufficio di Elliot Warner. Impaziente, strusciò la punta del piede avanti e indietro sul pavimento di marmo bianco lucente. Era incredibile pensare che, fino a due settimane prima, sua sorella era andata a lavorare in quel palazzo tutti i giorni. Aveva preso l'ascensore, magari addirittura insieme a Elliot, il suo amante, ed era scesa al piano della Holtz mentre lui saliva fino all'ultimo piano per recarsi nel proprio ufficio. Scosse la testa, stringendo in mano uno dei bicchieri di carta pieni di caffè che aveva posato sul bancone della reception. Non era solo quell'ufficio a essere di Warner, si corresse mentalmente. Tutto il palazzo era di sua proprietà, benché lui usasse solo l'attico per le sue attività imprenditoriali. Gli altri piani erano affittati a varie ditte, tra cui la Holtz¸ l'azienda farmaceutica per cui lavorava sua sorella. Per cui aveva lavorato fino alla sua morte, si corresse di nuovo. Stentava ancora a credere che Cass fosse morta. Non le sembrava possibile. Si aspettava quasi di vederla entrare a passo deciso per rimproverarla di stare lì a perdere tempo e ordinarle di tornare a casa per lavare la montagna di panni che aveva lasciato accumulare. A quel pensiero cupo le tremò la mano mentre si portava alle labbra il bicchiere di caffè, e una goccia cadde sul pavimento candido. Trattenne a stento un'imprecazione di disappunto. Posò di nuovo il bicchiere accanto all'altro caffè che aveva preso per Elliot. Sentiva le lacrime bruciarle gli occhi e strizzò le pal9


pebre per un istante, poi fece un respiro profondo per calmarsi. Benché in precedenza avesse visto Elliot Warner solo una volta, quando era salita insieme a lui in ascensore, lo conosceva già abbastanza bene grazie alle e-mail che aveva trovato sull'iPad di Cass, nascosto sotto le assi del parquet a casa di sua sorella insieme a un sostanzioso gruzzolo di soldi, un passaporto falso e la chiave della porta da cui si accedeva a un tunnel nello scantinato. Com'era cambiata la sua vita! Un tempo conduceva un'esistenza relativamente tranquilla, ora invece era invischiata in una storia misteriosa, tra passaggi segreti, soldi sporchi, figure oscure e omicidi. Per ingannare l'attesa, tirò fuori l'iPad dalla borsetta e lo accese per rileggere le e-mail di sua sorella. Stranamente, invece di turbarla, guardare i suoi messaggi aveva un effetto calmante, forse perché le sembrava di sentire la sua voce e di poter condividere i suoi pensieri. Erano gli unici ricordi freschi che avesse di lei, in fondo. Guardò l'elenco della posta in arrivo. Ormai aveva letto quasi tutte le e-mail, perciò ne scelse una a caso. Mia cara Cassandra, ho organizzato una seratina speciale per noi due. Resterà documentata per sempre, ma in forma assolutamente privata, che potremo vedere solo noi. Credo proprio che tu te la sia meritata, perché ti sei impegnata a fondo, e mi riempie di gioia vedere come ti sforzi di compiacermi, anche se non ti trovi esattamente a tuo agio nel ruolo di succube. Devi ancora capire tante cose su te stessa... ma devo ammettere che mi diverte moltissimo cercare di svelare i tuoi misteri e comprenderti meglio anch'io. Sei tanto diversa dagli altri miei allievi. So che ti piace partecipare alla tua istruzione e apprezzi quanto me i momenti che trascorriamo insieme. Sinceramente, a giudicare dall'intensità con cui hai goduto, ieri sera, quando ti ho dato piacere con la lingua, non posso che ritenermi soddisfatto e dedurre che la nostra conoscenza è 10


molto appagante per te, dal punto di vista sessuale. Eppure continui a resistere, e non per provocarmi o per puro spirito di contraddizione. No, la tua opposizione è più intima e profonda. Hai l'istinto di un puledro selvaggio che non vuole farsi domare. Ti ribelli alla sottomissione perché è contraria alla tua natura, e non posso fare a meno di soffermarmi a riflettere sul significato della tua riluttanza, sulle ripercussioni che ha sul tuo addestramento... e sul nostro rapporto, perché alcuni dominatori trovano stimolante la sfida di domare la puledra, ma io preferisco vederla galoppare senza redini. Per sempre tuo, Padron X Jess scorse rapidamente con lo sguardo anche la risposta di sua sorella. Padron X, forse la puledra selvaggia vuole correre al galoppo accanto allo stallone e non essere costretta a procedere al trotto dietro di lui, con le briglie tirate. Questa dimensione è la mia, mi ci trovo bene, anche se a te sembra che mi opponga. Alla fine di ogni giornata, sei tu l'unica persona con cui abbia voglia di parlare. Mi sento me stessa quando sono legata, imbavagliata e sculacciata da te, molto più di quanto mi senta a mio agio quando mi trovo tra colleghi e amici che conosco da anni. Non arrenderti, insisti con me, ti prego. Tua Cassandra Le parole le ballavano davanti agli occhi, offuscate da un velo di lacrime, e Jess si affrettò a prendere un fazzoletto di carta dalla borsetta. Forse invece il suo padrone si era arreso? Aveva rinunciato a istruirla al punto da avvertire l'esigenza di spararle e lasciarla morire? Jess non ne era sicura. Aveva passato l'ultima 11


settimana a leggere le e-mail che Cass e quell'uomo si erano scambiati. Aveva appreso i particolari più torbidi della loro relazione e le era parso chiaro che l'individuo che si firmava Padron X amasse Cass. E anche se lei ed Elliot Warner non avevano niente in comune, l'affetto di entrambi nei confronti di Cass era sufficiente a unirli, almeno in quello. Doveva bastarle. Non aveva nessuno a cui rivolgersi, ora che Sam voleva che lei rinunciasse a indagare e partisse da Portland, dimenticando il fatto che la morte di Cass non era stata una semplice rapina finita male, ma nascondeva ben altro. Tranne lei, Sam e il capitano Straimer, nessun altro era a conoscenza dei traffici di sostanze illegali in cui era coinvolta Cass, neppure Matt. Tutti quelli che un tempo avevano sostenuto Jess, ora non le causavano altro che dolore. I suoi genitori erano morti da anni, Cass non c'era più. L'amico di sua sorella, Dane, le aveva mentito fin dal momento in cui si erano conosciuti. E poi c'era Sam. Sam era il ragazzo con cui era cresciuta. A lui aveva dato il primo bacio, con lui aveva fumato la prima sigaretta... era stato il primo in tutto, ma ora non poteva più fidarsi di lui. Oddio, a dire il vero non aveva mai potuto fidarsi di lui. Le mentiva da quando avevano quindici anni, da quando i genitori di Jess erano morti e Sam aveva occultato il fatto che sua madre fosse al volante dell'auto che li aveva uccisi. Però il ricordo di Sam, pesto e malconcio nel letto di ospedale, le provocava una stretta al cuore. Era arrabbiata con lui e non si fidava di lui, ma ciò non significava che desiderasse vederlo soffrire o mettere a repentaglio la sua vita. Qualcuno l'aveva aggredito per causa sua, ma adesso a lei non restava nessuno a cui credere, tranne Elliot. Si asciugò gli occhi, decisa a farsi forza perché quell'uomo non la vedesse in lacrime. Era sicura che il suo pianto non gli avrebbe sortito alcun effetto e non l'avrebbe mosso a compassione. Infilò l'iPad in borsa e si impose di non mostrare alcun segno di debolezza e vulnerabilità. 12


Si era ripresa appena in tempo, perché erano trascorsi non più di due minuti da quando la segretaria era andata ad avvertire Elliot Warner del suo arrivo, e stava già tornando da lei. «Prego, si accomodi» la invitò. Jess prese le sue cose e, quando la donna ebbe fatto scattare la chiusura della porta del divisorio a vetri tra le due zone della stanza, la seguì fino all'ufficio di Elliot, in fondo al corridoio. La segretaria la invitò a entrare, e Jess varcò la soglia di una porta di vetro opaco a due battenti, imponente come l'ufficio di Elliot Warner, abbellito da enormi vetrate da cui si godeva una splendida visuale del porticciolo di Portland. «Signorina Walters» la salutò Elliot in tono pacato. La sua voce aveva una nota cupa in sottofondo, come il brontolio di un lupo affamato. Era seduto dietro la scrivania, e Jess trasalì quando le rivolse la parola. Lui reagì al suo sussulto con un accenno di sorriso divertito. Era chiaro che aveva percepito immediatamente il suo nervosismo. Dopotutto Jess se lo aspettava. Un lupo individuava immediatamente una possibile preda non appena se la trovava davanti. «La stavo aspettando» aggiunse lui senza mai staccare lo sguardo dai suoi occhi. Aveva in mano la chiave di una macchina che posò sul piano della scrivania davanti a sé. «Mi chiami Jess, la prego» replicò lei, agitatissima. «Doveva andare da qualche parte?» gli chiese poi, indicando la chiave. «Veramente sono appena rientrato.» Elliot fece un colpetto di tosse per schiarirsi la gola. «Mi ha smascherato quando ci siamo incontrati in ascensore, eppure ha fatto passare diversi giorni prima di venire a parlare con me.» Jess posò sulla scrivania il caffè che gli aveva portato e bevve un sorso del suo. Aveva scoperto, dalle e-mail tra Cass ed Elliot, che secondo lui il caffè del chiosco davanti all'ufficio era il più buono di tutta Portland. «Era un commento, o c'era una domanda sottintesa, nella sua affermazione?» ribatté. 13


«Allora riformulerò la frase» dichiarò lui, ringraziandola per il caffè con un cenno, prima di bere un sorso. «Perché ha aspettato così tanto, quando è chiaro che la scorsa settimana sapeva già chi sono?» «Ho avuto da fare, e mi è parso che il nostro incontro potesse aspettare. Mi sono fidata del mio istinto. Di solito ho un certo intuito per queste cose.» Elliot bevve un'altra lunga sorsata di caffè, ma con una certa compostezza che Jess non poté fare a meno di paragonare al modo in cui Sam trangugiava rapidamente il caffè anche quando era bollente. Con un nodo in gola, spostò lo sguardo verso il panorama fuori dalle ampie finestre. Non poteva pensare a Sam in quel momento. Lui non la meritava, e il fatto che tra loro ci fosse ancora un'attrazione prepotente non cambiava le cose. Sam aveva avuto una seconda possibilità, e l'aveva bruciata. Ora di lui si sarebbe occupato Matt dopo che Sam era stato dimesso dall'ospedale. Jess non voleva più avere a che fare con lui. «Non direi» commentò Elliot. «Come?» mormorò Jess, riscuotendosi. «Non mi fiderei del suo istinto se fossi in lei» precisò lui, alzandosi in piedi e mettendo in mostra il gessato blu dal taglio impeccabile, completo di gilet. Sembrava fatto su misura perché gli calzava come un guanto, e sicuramente lo era, considerato che Elliot Warner era ricco sfondato. «Magari grazie al suo intuito ha visto giusto decidendo di venire a trovarmi, oggi, ma fino a ora il suo sesto senso ha fatto cilecca, dato che per poco non ha fatto finire male sia lei sia il suo fidanzato.» Jess arrossì. «Non è il mio fidanzato.» «Allora è il suo... padrone, forse?» la stuzzicò Elliot. A quell'insinuazione, Jess non poté fare a meno di ricordare le parole ardenti e trasgressive che le aveva sussurrato Sam la settimana prima. Ho intenzione di strapparti di dosso il vestito e poi di sbatterti contro il muro... darti una dimostrazione di quello che ti è mancato in tutti questi anni, con una 14


sonora sculacciata. Sollevò il mento per dimostrare una sicurezza che non provava affatto, poi scosse la testa. «No, tra noi non c'è niente. Siamo solo colleghi, tutto qui.» «Be', questa sì che è una novità interessante. Vedo che ci sono stati degli sviluppi, nel vostro rapporto...» Jess fu invasa da un profondo senso di disagio che le fece tremare la mano che reggeva il caffè. «Come fa a sapere tante cose che mi riguardano?» «È mio interesse sapere tutto di tutti» rispose lui, sibillino. Fece il giro della scrivania e si avvicinò a lei. «Quindi Sam è fuori dai giochi... e non è un gioco di parole. Non mi riferisco a un altro tipo di giochi» precisò, allusivo. «Direi di sì.» Jess si fece forza. Poteva farcela, anzi, doveva farcela, non solo per Cass, ma anche per la propria sopravvivenza e quella di Sam. Non sarebbero più stati insieme, ma non per questo lo voleva morto. «È chiaro che lei sa più di quanto voglia ammettere. Forse ne sa anche più della polizia, e io e Cass abbiamo bisogno del suo aiuto» dichiarò, resistendo all'impulso di abbassare lo sguardo per non mostrarsi intimidita. «Non vedo come una donna morta possa avere bisogno del mio aiuto» osservò Elliot. A Jess non sfuggì che, nonostante il tono aspro, un lampo di dolore gli aveva attraversato lo sguardo. Sbatté il bicchiere di carta sulla scrivania con tanta forza da bagnarsi le dita con qualche goccia di caffè, che la ustionò. Elliot sorrise della sua smorfia di dolore. «Non finga che mia sorella non contasse niente, per lei» lo apostrofò. «Anche se era solo la sua succube, Cass l'amava, e penso che anche lei amasse mia sorella.» «Lei pensa troppo» sentenziò Elliot, laconico, trapassandola con il suo sguardo intenso. Si diresse verso un angolo bar e prese una bottiglia di whisky. «Le va una piccola correzione al caffè?» le offrì. Jess scosse la testa mentre lui versava il whisky nel suo bicchiere e poi assaggiava il caffè corretto. «Sì, amavo Cassandra» ammise infine. «Comunque, se 15


non fa attenzione, rischia di fare la stessa fine di sua sorella.» «Mi permetto di farle notare che la collega di Cass, Zooey, è stata accusata dell'omicidio di Cass e di quello del dottor Brown. Però non credo sia stata lei. O, almeno, secondo me non ha ucciso Cass. Quanto a Richard Brown, sinceramente non lo so.» Elliot serrò le palpebre per una frazione di secondo. «Zooey? Quella ragazza minuta dall'aria spaurita?» Scosse la testa. «Accidenti, la polizia dev'essere davvero ansiosa di chiudere il caso se si accontenta di considerare colpevole una come lei.» «Temo proprio di sì, ma la posizione di Zooey non è migliorata affatto dopo che ha confessato di avere ucciso accidentalmente Brown, prima di sparire. Però sono convinta che sia stata incastrata.» Allungò la mano per sfiorare il braccio di Elliot e se ne pentì immediatamente, perché lui abbassò lo sguardo sulle sue dita con fastidio. Jess si affrettò a ritrarre la mano. «Avanti, sappiamo entrambi che non è stata lei.» Elliot sospirò e si passò una mano sul volto, con un'espressione improvvisamente stanca. «Non so niente, e le consiglio caldamente di rispondere allo stesso modo a chiunque le chieda qualcosa, Jessica.» «Jess» lo corresse lei. Sam era l'unico ad averla mai chiamata Jessica, quando erano a letto, e preferiva che nulla le ricordasse quei momenti. Elliot sollevò un angolo della bocca in un sorrisetto arrogante. «A me piace di più Jessica.» «Non sta a lei deciderlo, veramente.» Il suo sorriso divenne ancora più sfrontato. «Veramente a me non importa affatto.» Ma chi si credeva di essere?, pensò Jess, rabbrividendo. E perché diamine più un uomo si comportava in maniera insolente e più lei lo trovava affascinante? Detestava la propria debolezza, perché era attratta dall'atteggiamento spavaldo di Sam e provava risentimento anche nei confronti di Cass perché le erano piaciuti i modi prepotenti di Elliot Warner. Alla fine, erano entrambi solo dei bastardi, per quanto carismatici. 16


«Allora, ha intenzione di aiutarmi o no?» lo incalzò. «Solo se facciamo a modo mio, Jessica.» Jess imprecò mentalmente. Elliot sapeva esattamente come stuzzicarla e godeva un mondo nel metterla a disagio e irritarla. Aprì la bocca per replicare, ma sentì la suoneria del cellulare in tasca, che la fece sussultare. Lo tirò fuori e vide che era Sam a chiamarla. Le bastò leggere il suo nome sullo schermo per avvertire una stretta al cuore. Rifiutò la chiamata e infilò il telefono in tasca. Sam era fuori dai giochi, come aveva detto Elliot. L'uomo che aveva davanti, invece, l'ex amante di sua sorella, nonché l'organizzatore delle feste in maschera, c'era entro fino al collo. Ed era la sua unica speranza, e l'unica speranza di Cass. «Affare fatto» accettò.

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Fotogramma proibito di Katana Collins Dato che l'inchiesta sull'omicidio di sua sorella continua, la fotografa della scientifica Jessica è ancora assorbita dalla ricerca del responsabile e questo ha delle ripercussioni anche sulla sua relazione con Sam, detective che si occupa del caso. Quando una foto scattata da Jess rivela l'identità del fidanzato della sorella, lei...

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Questo volume è stato stampato nel giugno 2016 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)


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