Una storia familiare intensa, coinvolgente, indimenticabile. Una nuova ricetta per innamorarsi firmata
Susan Wiggs
“Natura e famiglia, gli ingredienti perfetti. Susan Wiggs, una meravigliosa autrice al numero uno della classifica del New York Times.” Grazia Annie, produttrice di un popolare show di cucina, innamorata persa di suo marito e incinta del loro primo figlio ha tutto ciò che ha sempre sognato. Ma il destino così come dà, toglie. Quando Annie si risveglia dopo un lungo periodo di coma, scopre che il tempo le ha portato via tutto e decide di tornare nella fattoria di famiglia nel Vermont, dove da generazioni si produce lo sciroppo d’acero. Qui ritroverà il mondo dei suoi ricordi e quando scopre il vecchio libro di ricette della nonna, si rende conto che forse non tutto è perduto.
PER CHI SOGNA L’AMORE
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IL PRIMO INCANDESCENTE APPUNTAMENTO CON LA SLOW BURN SERIES, IL RITORNO DI MAYA BANKS, AUTRICE DELLA FORTUNATISSIMA BREATHLESS TRILOGY.
“Un romanzo forte, diretto come un pugno nello stomaco. Lascerà i lettori con un solo desiderio: leggere il seguito.” Publishers Weekly
Il rampollo di una potente dinastia, una bambina rapita, una donna - una sensitiva – sulle tracce della piccola scomparsa. Ma quando sarà lei a trovarsi in pericolo, il giovane e affascinante Caleb sarà disposto a tutto per salvarla, a costo di rischiare la vita… e il suo cuore.
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Georgina Devon
Gli scandalosi St. Simon
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Untamed Heart Scandals Betrayal Harlequin Historical Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 1994 Alison J. Hentges © 1996 Alison J. Hentges © 1999 Alison Hentges Traduzione di Rossana Lanfredi Traduzione di Fabio Pacini Traduzione di Patrizia Tosi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici maggio 2006 novembre 2004 settembre 2000 Questa edizione Harmony Special Saga ottobre 2016 HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248 Periodico bimestrale n. 97 dello 05/10/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 02/05/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Sommario
Pagina 7
Cuore indomito
Pagina 257
Scandali di famiglia
Pagina 517
Tradimento
Cuore indomito
Prologo Londra, 1814 Michael Johnstone, Barone Stone, deglutì. Il mormorio delle aristocratiche voci maschili era un ronzio assordante nelle sue orecchie e il fumo del sigaro quasi nascondeva le carte che teneva in mano. Erano tutte sbagliate e lo guardavano beffarde. Cercando di apparire indifferente, il giovane barone alzò lo sguardo sull'uomo che gli sedeva di fronte, l'uomo che quella notte, da Brooks, aveva il banco al tavolo del faraone, e al quale stava andando piuttosto bene. Lord Alastair Gervase St. Simon... o Santo, come veniva chiamato in società, a Michael sembrava piuttosto un demone. Secondogenito del Duca di Rundell, Lord Alastair aveva occhi color metallo, di un intenso grigio scuro, e i capelli neri striati d'argento, anche se non superava la trentina. Si diceva che il suo cuore fosse il più gelido del bel mondo londinese e, vedendo quello sguardo duro posarsi su di lui, Michael non aveva difficoltà a crederlo. Un rivolo di sudore gli colava per la schiena mentre si costringeva a sostenere quello sguardo implacabile, e non riuscì a trattenere la balbuzie che lo affliggeva ogni qualvolta si sentiva teso. «Ho... ho perso.» Posò sul tavolo le carte perdenti e tentò di atteggiare le labbra aride in una sorta di sogghigno: sapeva di avere un aspetto miserevole. Liza gli diceva sempre che, quando era sconvolto, sembrava un cagnolino maltrattato. «La vostra fortuna è finita, Stone» dichiarò Lord Alastair in 9
un pigro tono strascicato che fece venire i brividi a Michael. «Perché non ve ne andate a casa?» Michael si raddrizzò con tutto l'orgoglio dei suoi vent'anni. «Io... io credo che farò un'altra mano, milord.» I denti dell'altro brillarono, alla luce del candeliere, simili a lucide lame di spada. «Come volete.» Con studiata indifferenza, Lord Alastair si alzò. «Io, però, non trovo più divertente questo gioco.» La disperazione fece accelerare i battiti del cuore di Michael, mentre il sudore cominciava a inzuppargli la camicia sotto la giacca all'ultima moda che aveva acquistato solo quella mattina. Non poteva smettere di giocare proprio in quel momento. Doveva rifarsi di tutto quello che aveva perso. Doveva. Come avrebbe potuto affrontare Liza, altrimenti? Oh, lei non l'avrebbe rimproverato, ma la tristezza nei suoi occhi l'avrebbe punito più di ogni parola. «Solo u... un'altra... partita, S... Santo.» Le mani cominciarono a tremargli, un violento rossore gli colorò le gote piene: aveva osato chiamare l'altro con il suo nomignolo, ma aveva un disperato bisogno di continuare a giocare. Ogni minuscola particella del suo corpo gridava che presto avrebbe vinto. La buona sorte doveva pur abbandonare Lord Alastair. Nessuno poteva essere tanto fortunato per una notte intera. Le spalle robuste di St. Simon s'irrigidirono nella redingote grigia che, secondo un suo vezzo personale, portava meno attillata di quanto fosse in uso. «Il mio nome è Lord Alastair St. Simon.» «S... sì, certo, Lord A... Ala... stair» mormorò Michael, ben comprendendo il gelo di quelle parole apparentemente cortesi. «U... un'altra partita?» Lord Alastair serrò le labbra. «La mia risposta è no. Ne ho abbastanza di ragazzini che hanno ancora il latte alla bocca e che non sanno quando devono fermarsi. Ne ho visti morire tanti a Salamanca. E non ho nessuna voglia di vedere voi andare in rovina.» Persino Michael, che era a Londra solo da due settimane, conosceva le imprese di Lord Alastair in battaglia. Si diceva 10
che Re Giorgio gli avesse offerto un titolo onorifico. Si diceva anche che lui l'avesse rifiutato, dichiarando che non avrebbe ridicolizzato il nome dei Rundell accettando un titolo che sarebbe stato ben misera cosa se paragonato a quello di suo padre. Un uomo duro, orgoglioso. E Michael gli doveva una somma considerevole. Lord Alastair sollevò un nero sopracciglio in una silenziosa, inequivocabile domanda. Michael aveva le mani umide mentre le intrecciava strette per impedire che tremassero. Si alzò e si costrinse a guardare il suo avversario negli occhi. «I... io non ho il denaro con me. Volete accettare un impegno scritto?» Lord Alastair lo guardò, un sorriso di scherno sulle labbra. «Un cucciolo che gioca fuori dal suo recinto viene sbranato in fretta dai cani.» Michael deglutì, sentendosi impallidire. Non riuscì a trovare nulla da rispondere ed ebbe il folle impulso di inginocchiarsi davanti a quell'uomo arrogante e implorare il suo perdono per aver avuto la presunzione di recarsi a giocare da Brooks. Ma non l'avrebbe fatto. Firmò invece l'impegno con il quale riconosceva il suo debito e lo porse a Lord Alastair. «Quanto avete perduto della vostra eredità, questa notte?» Quelle parole crude trafissero Michael. Metà? Tutto? Non ne aveva idea. Prima che potesse rispondere evasivamente, Lord Alastair gli si rivolse di nuovo. «Venite a casa mia domani a mezzogiorno per illustrarmi le vostre modalità di pagamento» concluse brusco, poi si girò e, senza mai voltarsi indietro, si allontanò fino a che la sua alta figura non si confuse tra i tavoli da gioco. Michael si accasciò sulla sedia, il mento tremante, e si passò le dita affusolate tra i capelli, vanificando tutto il lavoro del suo domestico per acconciarglieli come Bruto, secondo l'ultima moda in città. Ormai non aveva più importanza. Che cosa avrebbe fatto Liza a quella notizia? Lo avrebbe guardato con i suoi solenni occhi blu, prima di voltarsi per 11
non mostrargli tutto il dolore che la sua passione per il gioco le causava. Imponendosi di controllare il tremito delle labbra, Michael si riprese e uscì dalle esclusive sale da gioco di Brooks. Una volta in strada, fermò una vettura e si fece condurre a casa. Era la cosa migliore, Liza avrebbe saputo come fare. Lo sapeva sempre. A oriente, stava sorgendo il sole. Michael aveva giocato tutta la notte. Il caldo color sabbia della residenza che Liza aveva preso in affitto per la Stagione lo salutò dopo poco e, con esso, anche una rinnovata speranza. La situazione non poteva essere così drammatica, Liza avrebbe sistemato ogni cosa. Con passo più leggero di quando era salito, Michael lasciò la vettura e fece gli scalini di corsa, spalancando la porta d'ingresso. Era sicuro di trovare Liza nella saletta della prima colazione, che lei aveva trasformato in ufficio. «Lizabeth» la salutò, entrando nella stanza e sentendo la dolorosa tensione alle spalle allentarsi un po'. «Lizabeth, devo...» Guardò l'ambiente luminoso che Liza aveva preferito alla biblioteca, poiché la trovava scura e opprimente. Accanto alla parete su cui si aprivano le finestre c'era l'imponente scrivania in quercia che lei aveva spostato lì. In un angolo erano impilati con ordine i libri contabili. Ma di Liza nessuna traccia. L'ansia contrasse lo stomaco di Michael e sulla leggera peluria dei suoi baffetti il sudore formò goccioline dorate, alla luce del sole che entrava dalla finestra aperta. Doveva parlarle. Fino a quando Liza non avesse sistemato ogni cosa, lui non avrebbe trovato pace. Nell'ingresso, l'orologio batté con un rintocco leggero le sette e lui si rilassò. Liza era ancora fuori per la sua consueta cavalcata mattutina e sarebbe rientrata entro un'ora. Tutto ciò che doveva fare era perciò aspettare le otto. Alle otto Liza avrebbe risolto la faccenda, gli avrebbe detto dove trovare il denaro per pagare i suoi debiti e si sarebbe occupata di ogni cosa: lo faceva sempre. 12
Sentendosi come un logoro pupazzo di stracci, crollò su una poltrona di pelle dall'aria vissuta e, nonostante tutto quello che era accaduto nella notte, si abbandonò al sonno. Era nel suo oblio che si rifugiava ogni volta che qualcosa andava storto. Si svegliò sentendo battere la mezz'ora. Una serva stava finendo di attizzare il fuoco. Appena vide Michael alzarsi, gli fece un rapido inchino e si affrettò ad andarsene. Lui si accorse che era uscita solo perché il rumore della pesante porta di quercia che si chiudeva era penetrato nella malinconia che il risveglio aveva portato con sé. Poco dopo udì la stessa porta aprirsi e il passo leggero della sorella sul tappeto consunto. Le andò incontro per salutarla. «Oh, Liza, credevo c... che n... non saresti mai t... tornata.» Liza sollevò un sopracciglio ramato, mentre i suoi brillanti occhi blu guardavano divertiti l'aria scarmigliata del fratello. Era uno sguardo che lui conosceva bene... il suo sguardo materno, che in qualche modo contrastava con la massa fiammeggiante dei capelli che le scendeva sulle spalle e con le curve voluttuose della sua figura statuaria. Non aveva mai conosciuto nessuna madre che avesse quell'aspetto. «Michael, sembra che tu abbia passato una notte brava.» Lui diventò rosso, l'ombra di un dubbio lo assalì, ma fu lesto a scacciarla. «S... sì» rispose, costringendosi a sorridere. La preoccupazione che cominciava a velare gli occhi della sorella gli confermò che il suo sorriso era stato in realtà una smorfia. Liza gli si accostò, passandogli un braccio intorno alle spalle; era di poco più bassa dei suoi sei piedi di statura, e lo scrutò in volto. «C'è qualcosa che non va» dichiarò con quella sua voce da contralto, che già rivelava tracce di angoscia. Lo condusse alla poltrona presso il fuoco e lo fece sedere, poi gli s'inginocchiò ai piedi. «Dimmi tutto, Michael.» Lui deglutì e l'aria gli entrò nei polmoni, formando un groppo enorme, doloroso. Liza sistemerà tutto, si ripeté. «T... tu sai cosa fare. N... non è grave come sembra» la scongiurò con uno sguardo angosciato. Lei alzò una mano dalle lunghe dita affusolate e gli scostò i 13
sottili capelli bruni dal volto. Si era presa cura del fratello dalla scomparsa dei loro genitori, morti in una sciagura marittima diciotto anni prima. «Che cosa è successo, Michael? Non può essere così terribile.» Un lieve sorriso increspò quelle labbra generose, ma gli occhi restarono velati di preoccupazione. Michael si raddrizzò sulla poltrona. «I... io... ho perso un sacco di denaro, stanotte.» Quelle parole spavalde restarono sospese tra loro, scure come nuvole di temporale. Michael vide Liza deglutire, vide il sorriso lasciare il suo volto. Lei alzò le sopracciglia. «Quanto?» «Molto.» Non riusciva nemmeno a trovare il coraggio di dirle la cifra esatta. Non aveva mai avuto problemi a scaricare i suoi guai sulle spalle della sorella, questa volta tuttavia era diverso. Era più che sicuro che lei avrebbe trovato il denaro: quel che temeva era la povertà. Liza gli pose entrambe le mani sulle spalle e lo scosse dolcemente. «Michael, non prolungare questa tortura. Dimmi quanto.» Lui bisbigliò la risposta attraverso le labbra aride, lo sguardo fisso su quel viso angosciato. Liza serrò gli occhi, le sue dita affondarono nelle spalle del fratello. «Oh, mio Dio!» Quando li riaprì, erano di un blu opaco. Celavano ogni emozione, eppure Michael capì. Persino quella risata strozzata che le morì in gola fu la conferma che lei stava cercando di nascondergli l'enormità di quel che aveva combinato. Lo stava proteggendo, come aveva sempre fatto. Solo che questa volta lui lo aveva capito. Nelle ultime ore era cresciuto più che in tutti i suoi vent'anni. «Possiamo pagare, n... non è vero?» le chiese, cominciando a tremare. Lei distolse lo sguardo. «Certo che possiamo.» Era quello che voleva sentire, quello che voleva credere. «E non sarà troppo dura per noi?» Liza lo guardò negli occhi. Il sole le illuminava il volto, gli 14
zigomi pronunciati. Quando parlò, la sua voce era brusca. «Michael, quel denaro è più di quanto la proprietà produce in vent'anni. Certo che sarà dura. Dovremo vendere tutto.» Mai gli aveva parlato così. Gli occhi gli si riempirono di lacrime che offuscarono l'immagine di lei, e per la prima volta sentì un violento disgusto per se stesso. Aveva perduto al gioco tutta la loro eredità e ora piangeva. Quanto si disprezzava! Liza dovette accorgersi della disperazione del fratello, perché la sua espressione si addolcì: le sue labbra non erano più una linea dura e sottile. «Sei abbastanza grande, Michael, e non ti mentirò dicendoti che sarà facile. Comunque ce la faremo.» Lui capì che la sorella cercava di rassicurarlo, vide l'amore nel suo sguardo, e scorse anche la rassegnazione che tentava di nascondergli abbassando le ciglia. E allora comprese che aveva rovinato non solo se stesso, ma anche lei. Una volta perduto tutto il loro capitale, Liza non avrebbe mai trovato un marito, non sarebbe mai stata altro che una parente povera, nella migliore delle ipotesi, una istitutrice nella peggiore. Per lui sarebbe stato più facile. Avrebbe potuto arruolarsi nell'esercito, anche se non come ufficiale, dato che non ci sarebbe stato denaro per un brevetto. Eppure il suo destino sarebbe stato sempre meglio di quello che attendeva Liza. Lei si alzò, interrompendo il corso di quei pensieri. «Perché non vai a letto, Michael?» disse, con voce stanca. «Hai l'aria di uno che potrebbe dormire una settimana. Va' a riposare, mi occuperò io di questa faccenda.» La guardò lasciare la stanza, la gonna nera da cavallerizza che frusciava sul tappeto consunto. Si era rifiutata di sostituirlo: già la Stagione londinese aveva costi esorbitanti, non si sarebbe mai sognata di rimpiazzare un tappeto in una casa presa in affitto. E ora lui aveva ridotto entrambi in miseria, si era giocato tutto ciò che avevano senza neppure rendersene conto. Calde ondate di vergogna, rimpianto, senso di colpa lo travolsero. Aveva lo stomaco serrato in una morsa, il volto imperlato di sudore. Come avrebbe potuto vivere con la consapevolezza di ciò 15
che aveva fatto? Che le aveva fatto. Che razza d'uomo era? Gli sfuggì un singhiozzo amaro. Non era un uomo. Non lo era mai stato. Era Liza che si occupava della proprietà e controllava che tutto procedesse a dovere. Senza di lei non ci sarebbe stata nessuna eredità da perdere al gioco. Sprofondò nella poltrona di pelle, il volto nascosto tra le mani, i gomiti sulle ginocchia. Era mai stato capace di fare qualcosa di buono per lei? E per se stesso? In vita sua non aveva fatto altro che recare dolore e rovina. Liza si era occupata di lui. Dato che era troppo gracile per andare a Eton, gli aveva procurato un tutore privato. Quando aveva preso la difterite, era stata lei ad assisterlo, non fidandosi di nessun altro. Da sempre Liza era stata una madre per lui, non l'aveva mai abbandonato. E lui la ripagava così. Oh, quelle sue spalle contratte, quello sguardo spento! Sapeva molto bene quel che le aveva fatto. E adesso che lo sapeva, come avrebbe potuto continuare a vivere con se stesso?
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1 Nel suo spogliatoio, Lord Alastair Gervase St. Simon si appoggiò allo schienale della pesante sedia di quercia, e lasciò che il sole gli battesse sul viso. La sua camera da letto era ampia e ben illuminata, le tende di damasco beige alle due finestre alte dal pavimento al soffitto erano aperte. Le pareti della stanza erano rivestite con pannelli in legno di noce: li aveva preferiti alla tappezzeria a disegni orientali che costituiva l'ultimo grido in fatto d'arredamento. La nonna materna gli aveva lasciato quella residenza a Grosvenor Square e lui non aveva nessuna intenzione di modificarla per seguire le mode. Il rumore prodotto da Rast, il suo fedele domestico, mentre affilava la lama del rasoio, lo cullava dolcemente, ed era rilassante dopo una mattina trascorsa fra le braccia di Marie. Un sorriso sardonico gli piegò le labbra. Marie era davvero una creatura esigente, la più insaziabile delle amanti. Le sue considerazioni furono interrotte da qualcuno che bussava alla porta. «Avanti» disse, nel preciso istante in cui Tristan Montford entrava nella stanza. «Mi chiedevo quando saresti riuscito a liberarti dai tentacoli della diabolica Marie, Santo» esordì Montford. Piuttosto alto, con capelli biondissimi, quasi bianchi, e penetranti occhi azzurri, era il migliore amico di Alastair. «Mi provochi di nuovo, Tristan?» replicò con voce strascicata Alastair, attraverso la schiuma che Rast gli aveva appena steso sulla mascella. Aprendo un occhio, vide l'amico accomodarsi senza ritegno 17
sul suo letto, facendo penzolare gli stivali dal bordo. Lui e Tristan erano uniti quanto possono esserlo due uomini. Erano cresciuti nel nord dello Yorkshire, ognuno presenza abituale nella casa dell'altro. Avevano frequentato insieme Eton e Cambridge e insieme avevano combattuto a Salamanca agli ordini di Wellesley, Duca di Wellington. Entrambi erano scapoli impenitenti e decisi a godersi la loro libertà. «Avanti, Santo, sai bene che Marie è una vipera dalla lingua biforcuta. E non si fermerebbe davanti a nulla pur di farti finire dritto davanti a un pastore.» Alastair lanciò all'amico un'occhiataccia. «Marie è una compagnia gradevole, ma non certo il tipo di donna che prenderei in considerazione come moglie o madre dei miei figli.» Tristan ridacchiò. «Non credo che portare dei marmocchi nel grembo sia quel che Marie ha in mente quando pensa a te.» «Hai assolutamente ragione» replicò asciutto Alastair, raddrizzandosi poiché il domestico aveva terminato. Invece di permettere a Rast di pulirgli i rimasugli di schiuma dal volto e dal collo, lo fece da sé, porgendogli poi l'asciugamano e sorridendo all'espressione scontenta del valletto. «So quanto sia doloroso, Rast, vedere che mi ripulisco da solo dopo i tuoi inestimabili sforzi, ma non posso proprio farne a meno.» «Sì, milord» replicò Rast, con malcelata insoddisfazione. «Sono stati tutti quegli anni che avete passato da soldato, se mi permettete di ricordarvelo.» Il sorriso di Alastair si fece più accentuato. «Nulla di più giusto. Dopotutto, eri con me allora, quindi sai che sono anche in grado di vestirmi da solo, ora che c'è Tristan ad aiutarmi con la redingote. Perché non scendi a vedere se Simpson ha bisogno d'aiuto per i conti di casa? Mi fido ciecamente di te.» Il cipiglio del domestico si fece meno cupo. Non era un segreto che Rast godesse della totale fiducia del suo padrone, ma andarsene prima che fosse vestito... eppure uscì dalla stanza senza una parola. «Povero Rast! Deve davvero sopportarmi, a volte.» 18
Tristan si passò le dita tra i capelli biondi, tagliati corti come si conveniva a un Corinzio. Sia lui sia Alastair erano infaticabili sportivi e si erano guadagnati quel titolo per il loro valore, che li rendeva assai ricercati in società. «A volte lo provochi oltre ogni limite, Santo. Per tua fortuna, Rast darebbe la vita per te.» «Già.» Alastair finì di vestirsi. I suoi abiti erano di fattura squisita, ma meno attillati di quel che i suoi pari ritenessero appropriato. In men che non si dica si stava già annodando con destrezza e semplicità la cravatta immacolata. «Vorrei avere io la tua abilità con quella» dichiarò Tristan. Alastair gli sorrise. «Be', non sprecare il tuo tempo. È un talento che non porta lontano.» «Può essere, ma di certo dare il proprio nome al modo in cui ci si annoda la cravatta aumenta il prestigio di un uomo con le signore. Tutti dicono che la semplicità del Santo è elegante, persino Brummell la adotta.» Alastair scoppiò a ridere. «George Brummell è un uomo singolare.» Finì il nodo della cravatta e ne sistemò i bordi in rigide pieghe. «Ma non può esser stata la mia abilità con le cravatte ad averti spinto giù dal letto così presto. Il pomeriggio è appena cominciato.» Non così imperturbabile come l'amico, Tristan arrossì. «Ho saputo che hai vinto parecchio, la notte scorsa.» I suoi limpidi occhi azzurri fissavano quelli freddi e grigi di Alastair. «Non pensavo che avresti giocato contro ragazzini ingenui e inesperti, appena arrivati dalla campagna.» Alastair sostenne con calma lo sguardo accusatorio dell'altro. «C'è sempre una prima volta. E poi, è stato così facile con quel ragazzo! Come far girare un bambino tenendolo per le cinghie.» Tristan sollevò un sopracciglio quasi bianco. «Le anime innocenti non ti hanno mai interessato. Non guardi nemmeno le giovinette che cercano di attirare la tua attenzione, mentre secondo me amoreggiare con loro sarebbe più divertente. Dici sempre che è troppo faticoso insegnar loro a fare l'amore co19
me solo una donna fatta sa. E allora perché giocare con un ragazzino che non distingue picche da fiori? Non hai certo bisogno di vincere.» Aveva appena finito di pronunciare l'ultima frase, quando notò una strana luce negli occhi di Alastair, che intanto stava terminando di abbottonarsi il gilet. Tristan scosse il capo in segno di resa. «Ci sono cascato di nuovo.» «Con tutto il tuo savoir faire, Tristan, a volte sei davvero ingenuo.» «Già. E tu ne approfitti sempre.» Tuttavia non c'era rabbia in quelle parole, perché Tristan era lieto di vedere che Alastair aveva ricominciato a scherzare. Gli anni trascorsi dal loro ritorno da Salamanca erano stati durissimi per lui. Alastair andò al cassettone in noce e prese la spilla da cravatta d'argento con la perla, che sistemò tra le candide pieghe. «Come hai fatto a sapere tanto presto delle mie imprese notturne?» «Me lo ha detto il mio domestico. Se ne parla in tutta Londra. È molto strano da parte tua. O, se qualcuno è tanto stupido da dar retta a Bent, assolutamente normale per l'uomo che sei in realtà.» Tristan gli rivolse uno sguardo scrutatore, al quale l'altro rispose con un sorriso cupo. «Un consiglio, Tris. Non battere mai un uomo più vecchio. Di solito non lo gradisce affatto.» «Sei stato provocato.» «Forse.» Alastair indossò la redingote, un'espressione indecifrabile negli occhi. «Ma ora basta col passato. Sai dove vive Stone? Sto cominciando a pensare di dovergli dare la caccia. Sarebbe già dovuto essere qui: da quel giovane allocco che è, non vorrei che facesse qualche sciocchezza. L'unico scopo di tutta la mia noiosa serata era quello di dargli una lezione, piuttosto opportuna, a quanto sembra; non voglio certo fargli commettere una follia, come farsi saltare le cervella o fuggire dalle proprie responsabilità... che evidentemente nessuno gli ha mai insegnato ad assumersi.» Tristan si alzò e seguì l'amico fuori della stanza. I loro stiva20
loni risuonavano sul pavimento di legno lucido del corridoio. «Stone ha affittato una casa a Mayfair. Vive con la sorella.» Guardò Alastair di sottecchi. «Non sono sul mercato: come hai appena detto, le verginelle ingenue non fanno per me.» Tristan ridacchiò. «Sì, ma pare che la sorella di Stone sia un tipo insolito. Una specie di amazzone.» Alastair lo guardò con un certo interesse. «Chi te l'ha detto?» «Westford. Era seduto accanto a lei la settimana scorsa durante una cena informale data da una delle sue zie. Quella che viene dalla zona di Romney Marsh. Sembra che Stone e sua sorella siano venuti in città per la Stagione.» Alastair sbadigliò. «Tutti vengono per la Stagione, Tris. Dovrai trovare qualcos'altro per suscitare il mio interesse.» L'amico scrollò le spalle. «Non posso. Westford non sapeva nulla di più, quando ho cercato di spremergli nuove informazioni nella palestra Gentleman Jackson. E sai quanto sia maledettamente difficile concentrarsi quando Jackson incrocia i pugni con te.» «Mi pare di ricordarlo.» «Ti pare!» replicò Tristan con una punta di sarcasmo. «Sei il solo uomo che conosco in grado di battere Jackson sul ring.» Giunto ai piedi della scalinata in quercia, Alastair prese il bastone dall'impugnatura d'argento. «Dev'essere il mio salutare stile di vita.» Tristan scoppiò a ridere. «Dev'essere la tua fenomenale fortuna! Tutti dicono che una sorta d'incantesimo ti protegge... ed è senz'altro così, altrimenti non saresti sopravvissuto a Salamanca senza neanche un graffio.» Non appena le ebbe pronunciate, Tristan rimpianse di aver detto quelle parole. Immediatamente il volto di Alastair si oscurò, le labbra divennero una linea sottile in quella che il suo amico definiva la mia espressione da battaglia. Ogni volta che si faceva cenno alla Guerra Peninsulare e alla battaglia di Salamanca, Alastair si chiudeva in se stesso. «Perché non vieni prima a mangiare un boccone con me da 21
White's? Lascia friggere Stone un altro po'. Imparerà ancor meglio la lezione» suggerì Tristan per tentare di alleggerire la tensione. «Mi piacerebbe» rispose Alastair, facendo un cenno al valletto che gli teneva aperta la porta d'ingresso, «ma ho l'impressione che Stone sia un tipo impulsivo. Non è un buon segno che non si sia presentato all'appuntamento. La maggior parte dei gentiluomini si fa un punto d'onore nel far fronte con puntualità ai debiti di gioco.» «Da quel che hai detto, Stone è solo un ragazzo.» Tristan calzò il cappello di pelliccia di castoro. «Comunque fa' come credi, quando avrai finito mi troverai da White's.» Alastair rifiutò la carrozza a noleggio che si era fermata accanto a lui. Voleva godersi il pallido sole di febbraio e, nonostante l'aria fosse impregnata dell'odore metallico della fuliggine formata dal carbone che bruciava incessantemente nei camini, decise di recarsi a piedi nel poco prestigioso quartiere di Mayfair. Giunto a destinazione, consegnò il suo biglietto, con un angolo ripiegato all'ingiù a indicare che era venuto di persona, a un decrepito maggiordomo. L'uomo, dagli occhi castani contornati da rughe profonde, senza dire una parola lo condusse in un salotto. Forse l'impulsività di Stone aveva qualche fondata ragione, se era circondato da domestici che avevano già un piede nella fossa. Un uomo aveva pur bisogno di vivacizzare la sua esistenza! Alastair si guardò intorno nella stanza scura e osservò le pesanti tende di velluto marrone, i massicci mobili di quercia forse provenienti dalla soffitta di qualche casa di campagna e il tappeto consunto che un tempo doveva essere stato rosso borgogna e ora quasi s'intonava al marrone delle tende. Non v'era dubbio che quella fosse una casa in affitto e che i suoi attuali occupanti non avessero speso molto denaro per migliorarne l'aspetto in vista di futuri ricevimenti. Nessuno avrebbe potuto pensare di ricevere in un ambiente tanto squallido. Eppure, la notte precedente, Stone si era impegnato personalmente a pagare una somma di denaro con la quale si sareb22
bero potute acquistare venti dimore come quella, compreso tutto ciò che conteneva. Alastair cominciò a temere che il ragazzo avesse mancato l'appuntamento perché non poteva pagare il suo debito. Alla fine del corridoio, nella saletta della prima colazione, Lizabeth Emily Johnstone sollevò la testa e si massaggiò gli occhi doloranti. Pochi minuti prima, il rumore della porta d'ingresso che si apriva le aveva dato una buona scusa per distogliere lo sguardo dalla colonna di cifre che rappresentavano il frutto della sua vita di lavoro... frutto che tra poco sarebbe finito nelle tasche di qualcun altro. Chi mai era venuto a farle visita? Erano a Londra solo da due settimane e conoscevano ben poche persone. Mrs. Snowdrop, la sorella del vicario, li aveva invitati a cena una volta, ma a parte quello... Mrs. Snowdrop aveva detto che li avrebbe introdotti in società, ma Liza aveva già capito che la sorella di un vicario non frequentava certi ambienti. A lei questo non importava, era Michael che desiderava tanto farsi un nome. Sospirò, facendo scivolare lo sguardo sul ritratto appeso alla parete. Lo aveva portato da Thornyhold, la loro tenuta a Romney Marsh, perché non sopportava di lasciarlo laggiù. Era il simbolo di tutto ciò che era dovuta diventare: madre, sorella, amministratrice della tenuta. Dipinto da Sir Thomas Lawrence, raffigurava una famigliola; il padre e la madre sorridevano all'artista, mentre un bimbo biondo e paffuto se ne stava felice tra le braccia della donna. Alla destra di lei, lo sguardo imperturbabile fisso davanti a sé, stava una bambina di sei anni, i capelli rossi trattenuti in una treccia. Erano una famiglia, erano tutto ciò che Liza aveva tentato di mantenere dopo la morte dei genitori. Aveva cercato di essere sia madre protettiva sia padre e abile amministratore. Ma aveva fallito. Il rumore di qualcuno che bussava alla porta annunciò la comparsa di Timmens, il suo decrepito maggiordomo, e interruppe quelle inutili reminiscenze. Scacciò dalla mente il senso di fallimento provocato dalla febbre del gioco di Michael e 23
concentrò la sua attenzione su Timmens. I capelli candidi cadevano sulla fronte rugosa del vecchio, che ormai si trascinava più che muoversi: era al servizio della famiglia da quando il loro padre era un ragazzo e l'aveva confortata allorché i genitori erano scomparsi. Non gli avrebbe mai imposto di ritirarsi, non fino a che lui non fosse stato pronto a farlo. «Miss Liza» borbottò con la confidenza di un servitore che in giorni lontani soleva farla saltare sulle sue ginocchia, «c'è un gentiluomo che vuole vedere il signorino Stone.» Anche se Michael era da diciotto anni il Barone Stone, Timmens lo chiamava ancora il signorino Stone e Liza non aveva mai avuto il coraggio di correggerlo. Le porse il cartoncino bianco con l'angolo ripiegato che, a caratteri chiari, portava scritto il nome di Lord Alastair Gervase St. Simon. Era un nome in qualche modo familiare, forse lo aveva sentito prima di arrivare a Londra, e si domandò che tipo d'uomo potesse avere una reputazione che era giunta persino nelle regioni selvagge di Rodney Marsh. «Avete avvertito mio fratello?» domandò al vecchio, incuriosita. «No, Miss Liza. Il padrone non è nelle sue stanze e nessuno sa dove sia andato.» Lei soffocò un sospiro di esasperazione. Era tipico di Michael scomparire dopo aver combinato un disastro. Questa volta, però, non v'era un luogo dove fuggire. Sarebbero stati fortunati se fossero riusciti a tenersi un unico cottage nella loro proprietà. Eppure non sarebbe dovuta essere tanto severa e sleale nei confronti di Michael. Del resto era solo un ragazzo, e non poteva capire a fondo la gravità di ciò che aveva fatto. Era suo dovere proteggerlo. Un colpetto di tosse di Timmens interruppe i suoi foschi pensieri. «Il gentiluomo ha spiegato il motivo della sua visita?» «Non gliel'ho chiesto» replicò, imperturbabile, il maggiordomo. Liza lanciò un'occhiata ai registri aperti sulla scrivania. Doveva ancora calcolare quanto la sconsideratezza di Michael li 24
Questo volume è stato stampato nel settembre 2016 da CPI, Moravia