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ANNE BARTON
Ritratto di uno scandalo
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Once She Was Tempted Grand Central Publishing - Forever © 2013 Anne Barton This edition published by arrangement with Grand Central Publishing, New York, New York, USA. All rights reserved. Traduzione di Silvia Zucca Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special luglio 2014 Questo volume è stato stampato nel giugno 2014 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379 Periodico mensile n. 194 del 16/07/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Pelo: (1) vello animale usato per fabbricare pennelli.(2) Parola usata nell'espressione rizzare il pelo col significato di agitarsi o adirarsi, come: Le innocenti domande della fanciulla fecero rizzare il pelo al conte. Londra, 1816 Quando incontrò Miss Daphne Honeycote per la prima volta, Benjamin Elliot, Conte di Foxburn, ebbe due pensieri distinti. Il primo fu che sembrava la futura moglie ideale per il suo giovane e virtuoso protetto, Hugh. I capelli dorati erano pettinati lisci in un modesto intreccio sulla nuca, e la scollatura dell'abito era abbastanza pudica da poter passare l'ispezione in un convento. Tutto in lei emanava luce, bontà e purezza. Il secondo pensiero del conte riguardo a Miss Honeycote fu che probabilmente doveva togliere il ritratto di lei nuda appeso nello studio. A onor del vero, e a suo imperituro rammarico, Miss Honeycote non era del tutto nuda nel dipinto. Era sdraiata su un'ottomana blu zaffiro, l'abito slacciato che lasciava intravedere la schiena fino in fondo, mostrando le spalle delicate e la lunga curva della spina dorsale. Lo sguardo che gettava oltre la spalla era sereno e saggio. E del tutto seducente. Una volta il suo maggiordomo gli aveva suggerito, con fare nervoso, che un dipinto meno pruriginoso, raffigurante 5
per esempio la campagna inglese, o una scena di caccia alla volpe, sarebbe stato più adatto allo studio di un conte. Ma Ben gli aveva spiegato, con una pazienza che non gli apparteneva, che dal momento che non aveva intenzione di ospitare le Dame delle Sacre Scritture, nel suo studio avrebbe appeso il ritratto di quel che diamine gli pareva. Ora però, nell'osservare il povero Hugh che maldestramente si dava da fare per impressionare Miss Honeycote alla cena della Duchessa di Huntford, comprese che doveva togliere quel dipinto. Non aveva senso che Hugh vedesse quel ritratto scandaloso e scoprisse che la donna che stava corteggiando non era il modello di virtù che immaginava. Ben non era tipo da lanciare la prima pietra, ma per lo meno non fingeva di essere diverso da ciò che era: un amaro e cinico bastardo. Tutti lo sapevano, eppure gli inviti non gli mancavano mai. Era davvero incredibile quali difetti di carattere la gente potesse tollerare se si avevano titolo, fortuna e qualche cicatrice interessante. Preferiva mangiare da solo, ma non aveva potuto rifiutare l'invito di Huntford. Aveva il sospetto che la duchessa avesse organizzato quel ricevimento per far approfondire la conoscenza tra Miss Honeycote e Hugh. Quella cena era l'equivalente sociale dell'avanzata di una colonna di fanteria e probabilmente necessitava di maggior strategia. Era il tipo di manovra che Robert, fratello maggiore di Hugh e migliore amico di Ben, avrebbe affrontato con destrezza. Ben infilò l'indice tra il collo e la cravatta, che sentiva improvvisamente stretta. Robert se n'era andato, ucciso mentre faceva il suo dovere, e aveva lasciato il fratello più giovane senza nessuno che se ne occupasse a parte Ben, un mentore piuttosto carente, era il caso di dirlo. Il minimo che potesse fare era proteggere Hugh dalle mercenarie e moralmente reprensibili Miss Honeycote di tutto il mondo. Per tutta la serata, Ben guardò con diffidenza la bionda rimarchevole. Se non avesse saputo che era impossibile, avrebbe giurato che fosse scesa dal ritratto nello studio per 6
saccheggiare l'armadio della morigerata moglie del vicario, prima di venire alla cena. La contraddizione tra la pittura a olio e la versione in carne e ossa di Miss Honeycote gli tenne la mente occupata piacevolmente, seppur con malizia, durante tutta la cena, che altrimenti sarebbe stata, com'era da presumersi, tediosa. Huntford sedeva a un capo del tavolo, più con l'aria del signore medievale che del sofisticato duca. La deliziosa moglie era all'altro capo, mentre le due sorelle del duca, Olivia e Rose, insieme a Miss Honeycote, sedevano tra gli uomini rimanenti. Lo stesso Hugh e il suo avvocato, nonché avversario nella boxe, James Averill. Era il tipo di evento sociale che Ben aveva evitato sin da quando aveva fatto ritorno da Waterloo. Incontri conviviali, pieni di conversazioni inutili sulla condizione delle strade e la possibilità che piovesse, lo facevano sentire il peggiore degli ipocriti. Se ne stava seduto in una delle sale da pranzo più eleganti di Londra ad assaporare roast beef mentre alcuni soldati del suo reggimento giacevano sepolti nella fredda terra. Gli sembrava quasi un tradimento. Le gambe minacciarono di cedergli, segnalando di essere d'accordo. Dannazione. Quel cedimento era come uno sparo d'avvertimento prima del fuoco di cannoni. Il sudore gli imperlò la fronte, e Ben strinse così forte la forchetta che il pregiato manico d'argento si piegò. Al di sotto del tavolo di mogano, Ben serrò il bracciolo della sedia, mentre i muscoli della coscia destra si contraevano in spasmi come in una morsa. Strinse i denti, mantenendo il respiro normale. La conversazione intorno al tavolo divenne ovattata, come se la stesse ascoltando attraverso una porta chiusa. Gli oggetti che aveva di fronte divennero sfocati, tanto che non sarebbe più stato in grado di dire dove finiva la tovaglia e iniziava il piatto. Contò silenziosamente. Uno, due, tre... Quello stato poteva durare dieci secondi così come decine di migliaia, ma Ben traeva un barlume di conforto dalla consapevolezza che sarebbe finito. Forse. 7
Arrivò a ottantasei prima che il dolore scemasse e la stanza lentamente tornasse a fuoco. E dopo aver gettato un discreto sguardo a destra e a sinistra, si rilassò un po', poiché nessuno sembrava allarmato, il che significava che doveva essere riuscito a superare l'attacco senza emettere gemiti. Con la maggiore naturalezza possibile, si passò il tovagliolo sulla fronte sudata. Miss Honeycote gli lanciò uno sguardo incuriosito, ma lui la ignorò, prese un bel sorso di vino e cercò di raccapezzarsi nella conversazione che gli si svolgeva intorno. Hugh sorrideva a Miss Honeycote come un ebete, e sembrava sempre più soccombere al suo fascino di portata in portata. Di quel passo, per il dessert sarebbero stati fidanzati. «Se non ho capito male, il giovedì prestate aiuto come volontaria all'orfanotrofio» disse Hugh. «Sì, mi piace circondarmi di bambini.» La giovane abbassò gli occhi, come se fosse a disagio nel parlare della sua opera di volontariato. C'era poco da stupirsi, visto che probabilmente non avrebbe riconosciuto un orfano anche se le avesse morso l'adorabile caviglia. «I bambini amano Daphne» disse la giovane duchessa con orgoglio. «Mia sorella può illuminare le stanze più buie col suo sorriso.» «Su questo non ho dubbi!» esclamò Hugh. Miss Honeycote arrossì graziosamente, mentre Ben si tratteneva a stento dall'arricciare il naso. Tuttavia doveva ammetterlo: lei riusciva davvero bene a illuminare il suo studio. Probabilmente non si sarebbe mai degnata di battere le ciglia in direzione di Hugh se lui non avesse ereditato il titolo di visconte. E Hugh era talmente cotto che si era già messo a comporre orribili poesie in suo onore, il che significava che Ben avrebbe dovuto affrontarla riguardo al dipinto, in privato e presto. Con un po' di fortuna, avrebbe risparmiato a Hugh l'umiliazione di apprendere che la donna di cui si credeva innamorato sembrava essere di facili costumi. «Lord Biltmore dice che siete una specie di eroe.» Lady Olivia Sherbourne, la più vivace delle sorelle del duca, si 8
sporse in avanti guardando Ben, speranzosa. Lui scoccò a Hugh uno sguardo severo prima di rispondere a Lady Olivia: «Ne dubito. Ho avuto la sfortuna di trovarmi lungo la traiettoria di un proiettile. Vi assicuro che non c'è nulla di eroico in questo». «Sciocchezze.» Hugh raddrizzò la schiena. «Il colonnello stesso ha fatto visita a Lord Foxburn e gli ha detto...» «Basta così» lo interruppe Ben, più ruvido di quanto avesse inteso essere. La duchessa perse la forchetta, che sbatté rumorosamente nel piatto. Seguì un silenzio carico d'accuse. Le donne lo guardarono con occhi da civette e, a capotavola, Huntford lo fissò torvo. Ben posò il tovagliolo accanto al piatto e si appoggiò allo schienale. Se stavano aspettando delle scuse, avrebbero atteso a lungo. In effetti, il suo gelato, che era stato sapientemente modellato nella forma di un ananas, stava già iniziando a squagliarsi. Invece disse: «Sono certo che ci siano argomenti di conversazione più appropriati durante una cena». Il duca inarcò un sopracciglio scuro. Ben rispose con un ghigno, che però non raggiunse gli occhi. «Meglio indugiare in argomenti meno sconvolgenti quando si conversa col gentil sesso.» Doveva avere tutta l'aria di un cretino bugiardo, senza dubbio. «Dunque dobbiamo limitare la nostra conversazione al tempo e alle strade?» Lady Olivia sembrava una ragazzina che avesse appena scoperto che i suoi orecchini di diamanti erano semplice bigiotteria. «Certo che no.» Ben attaccò la punta del suo gelato d'ananas con il cucchiaino. «Ci sono molti argomenti interessanti e appropriati per giovani signorine.» «Quali, per esempio?» Ben si irrigidì, il cucchiaio a metà strada verso la sua bocca. «Non saprei... Il colore del nuovo turbante di Lady Bonneville?» Le teste di tutte le persone al tavolo si voltarono verso di lui, e nessuna sembrava particolarmente compiaciuta. Miss Honeycote si schiarì la voce, distogliendo l'attenzio9
ne da lui come un torero che agita una cappa scarlatta. Sorrise, aumentando all'istante la temperatura della stanza di diversi gradi. «Lord Foxburn, non posso parlare per tutte le esponenti del mio sesso, ma vi assicuro che mia sorella, Olivia, Rose e io non siamo minimamente fragili come voi pensate. Se ci conosceste meglio, non avreste timore di offendere la nostra sensibilità. Avreste timore invece che noi si possa offendere la vostra.» Le signore ridacchiarono, mormorando parole di approvazione, e anche Huntford sogghignò sommessamente. Miss Honeycote mise il broncio e piegò la testa incrociando lo sguardo di Ben. Il suo sorriso consapevole e gli occhi, contornati da lunghe ciglia, erano esattamente gli stessi della donna del ritratto. E, allo stesso tempo, gli stessi della donna che aveva turbato i suoi sogni. Daphne prese un sorso di vino e si meravigliò del lusso che la circondava. C'era il fuoco che scoppiettava nel camino di marmo della sala da pranzo del duca, quadri in cornici dorate che adornavano le pareti color verde acqua, e un candeliere che brillava sul tavolo di mogano. Sua sorella, Anabelle, arrossì graziosamente all'occhiata d'apprezzamento del marito. Se la pienezza delle sue guance e il bagliore nei suoi occhi erano indicativi, l'essere una duchessa le si addiceva molto. Sua sorella, la Duchessa di Huntford. Quel pensiero ancora le faceva girare la testa. Solo un anno prima lei e Belle vivevano in un piccolo appartamento domandandosi come avrebbero fatto a sfamarsi, o anche a permettersi le medicine di cui la loro madre aveva bisogno. Daphne aveva passato notte dopo notte nella camera della mamma a vegliarla, come se in tal modo avesse potuto fermare la morte. Ogni tanto la mattina, quando l'aria era più appesantita dagli odori pungenti del tè forte e della medicina amara, aveva avuto paura ad avvicinarsi al letto della mam10
ma. Aveva avuto timore di prenderle la mano e di trovarla fredda e rigida. Daphne non riuscì a trattenere un brivido. Non era tipo da soffermarsi sui brutti ricordi, ma ricordare era utile in certe occasioni, anche solo per apprezzare maggiormente la propria fortuna. E lei ne aveva avuta tanta. La mamma ora era il ritratto della salute. Lei e Daphne vivevano in una casa che era venti volte più grande del loro vecchio appartamento e cento volte più bella. Avevano un maggiordomo, una cuoca e delle domestiche, per l'amor del cielo! Se una zingara le avesse predetto tutto quello, Daphne sarebbe caduta dalla sedia per le risate. Eppure eccola lì, nella sala da pranzo di un duca, niente meno. A godersi la sua prima Stagione. Persino lei, l'eterna ottimista, non aveva mai osato sognare una cosa del genere. Grazie al matrimonio di sua sorella, un'unione d'amore che sfidava quelle delle favole, Daphne avrebbe guadagnato l'ammissione ai balli più sfarzosi e magari avrebbe addirittura ricevuto il lasciapassare per Almack's. Forse avrebbe potuto anche essere presentata a corte, e il solo pensiero le faceva battere più forte il cuore. Sì, era quel pensiero che le faceva battere più forte il cuore, non Lord Foxburn e i suoi occhi blu dalle profondità infinite o il suo sorriso irriverente. Aveva l'aria annoiata e sembrava un uomo cinico, ma Lord Biltmore teneva il conte in gran stima, perciò doveva avere qualche qualità che lo redimesse. Qualcosa che andava al di là delle ampie spalle e della fossetta sulla sua guancia sinistra. Si sforzò di non fissarlo, ma lui le stava seduto di fronte, e una fanciulla non poteva certo guardare il soffitto per tutta la serata. Se era tanto nervosa quella sera, era solo perché la sua recente fortuna sembrava quasi troppo perfetta, troppo fragile. Come una torre di bicchieri di cristallo in equilibrio precario, che poteva collassare alla minima vibrazione. Accantonò quell'immagine, inspirò a fondo, e assaporò l'ultimo boccone di gelato all'ananas, che era una cucchiaiata di paradiso. 11
Poco dopo il dessert, Daphne e le altre signore si accomodarono ordinatamente in salotto per il tè. Nel momento stesso in cui le porte si chiusero dietro di loro, Belle la prese da parte e, come solo una sorella poteva fare, iniziò a interrogarla senza preamboli. «Che cosa ne pensi di lui?» «È un po' villano, ma credo che, viste le circostanze, possiamo soprassedere.» Belle strinse gli occhi dietro gli occhiali che aveva appoggiati sul naso, perplessa. «Lord Biltmore?» Oh, diamine. Certo, sua sorella le stava domandando di Lord Biltmore, il giovane e gentile visconte che le aveva mandato dei fiori ed era andato a trovarla due volte. «Pensavo che mi stessi chiedendo di Lord Foxburn.» Le guance di Daphne si arrossarono. «Lord Biltmore è un vero gentiluomo. Piacevole, aggraziato e...» «Hai notato le sue spalle? Sono piuttosto larghe.» Daphne corrugò la fronte, desiderando che sua sorella mettesse il soggetto alle sue frasi con più cognizione. «Le spalle di chi?» «Di Lord Biltmore!» Belle le rivolse un'espressione piccata, poi lasciò andare il fiato. «Non importa. Se non colpisce la tua fantasia, ci sono molti altri gentiluomini adatti che posso presentarti. Pensavo solo che lui potesse...» Daphne prese la mano che Belle stava facendo ondeggiare. «Lord Biltmore è il migliore dei gentiluomini. Grazie per aver dato questa cena. L'hai organizzata per me, non è vero?» Un sorriso carico di mistero incurvò l'angolo della bocca di Belle e un bagliore le illuminò gli occhi. «È solo l'inizio.» Oh, no! Belle non prendeva mai sotto gamba nessuna missione. Una volta, Daphne le aveva chiesto di sostituire la fusciacca di un vecchio abito da giorno, e in poche ore Belle aveva trasformato il vestito in una scintillante creazione di seta e delicato pizzo. Se avesse accolto come missione quella di combinare matrimoni, Daphne non avrebbe avuto un momento di pace. «Ti sei sposata di recente e devi imparare a fare la duchessa. Di certo ci sono questioni più pressanti a 12
cui devi pensare piuttosto che riempire il mio calendario di eventi sociali.» «Non uno. Questa è la tua possibilità, Daph. Nessuno più di te merita di essere felice.» «Io sono felice.» Ma non era felice quanto Belle con Owen. Quella era una cosa rara. «Sai cosa intendo dire.» Daphne si mordicchiò il labbro. «Sì.» Se sua sorella era determinata, perché non lasciare che facesse del suo meglio? Non c'era nessuno al mondo di cui Daphne si fidasse di più. Strinse Belle in un abbraccio forte e poi se ne districò prima di cadere completamente nel sentimentalismo. Si versò del tè, per prendere tempo, vagò fino in fondo al salotto e si lasciò sprofondare su una poltrona imbottita, accanto alla finestra aperta. Una brezza calda le solleticò ciocche di capelli sul collo, e quel piacere semplice le fece chiudere gli occhi. Quella Stagione era la sua possibilità di essere presentata su un vassoio d'argento. Lei, la ragazza povera di St. Giles, si sarebbe mescolata con la nobiltà. Con un po' di fortuna in più, avrebbe potuto sposare un rispettabile gentiluomo. Qualcuno gentile e buono. E visto che non si accontentava mai, osava anche sperare di innamorarsene. Sognava un uomo che vedesse la vita nella sua stessa maniera, come un modo di portare la felicità nell'esistenza altrui. Lord Biltmore sembrava il candidato perfetto. Le sue maniere erano impeccabili e la trattava come un raro tesoro, o un uovo fragile che poteva rompersi non appena urtato. Il suo sorriso da ragazzino non aveva traccia di cinismo, e il modo in cui i suoi capelli color ruggine si sollevavano sul capo, come un ciuffo d'erba, era molto tenero. Anche se aveva perso i genitori e due fratelli maggiori negli ultimi anni, riusciva a vedere il buono che c'era nel mondo che gli stava intorno e a rifletterlo moltiplicato per dieci. Il visconte avrebbe potuto scegliere qualunque debuttante della Stagione, eppure sembrava essere preso da lei, una nuova arrivata con pochi legami sociali e nessuna fortuna 13
degna di nota. Il vantaggio di essere una sconosciuta era che non aveva alcuna reputazione, perciò era incontaminata. Stentava quasi a credere che tutti i pezzi della sua vita stessero andando al proprio posto in quel modo. Un'ombra coprì la tazza colma di tè che aveva in grembo e Daphne alzò gli occhi. Le apparve un petto, avvolto in un panciotto blu scuro di fine sartoria, precisamente a livello dei suoi occhi. «Miss Honeycote, posso scambiare qualche parola con voi?» Daphne batté le palpebre, spostò la testa all'indietro e diresse lo sguardo sul volto al di sopra della cravatta bianca come la neve. Laddove mancava di buone maniere, Lord Foxburn suppliva con il suo bell'aspetto. La pelle abbronzata faceva risaltare gli occhi blu, le sottili linee agli angoli degli occhi sembravano essere il risultato non tanto di sorrisi ma di occhiatacce, a dar credito all'espressione che aveva ora. Pur se la sua bocca si incurvava all'ingiù agli angoli, le sue labbra erano piene. Daphne era quasi sicura che un suo sorriso genuino, semmai gliene avesse visto fare uno, sarebbe stato pericolosamente seducente. I capelli castano chiaro si arricciavano, ammorbidendo la spigolosità degli zigomi e del naso, ma erano gli occhi a lasciarla senza fiato, a farle smarrire l'equilibrio. Burrascosi come un mare in tempesta, covavano una bufera di accuse, curiosità, determinazione e, forse, un bagliore di speranza. E quella era solo la superficie. Non poteva immaginare cos'altro si nascondesse al di sotto, e il solo pensiero di esplorare le loro profondità le faceva formicolare la pelle come... Lord Foxburn si raschiò la gola. Lei sobbalzò, e il tè si rovesciò formando una pozza nel piattino. Sperò di rimediare a quella piccola mancanza di etichetta, ma cosa le aveva appena chiesto il conte? Sorrise per scusarsi. «Che sbadata.» Si sentì scaldare il collo, e probabilmente il suo rossore aveva travalicato i limiti del dignitoso. Attese che lui le offrisse una parola gentile, o per lo meno un bonario sorriso. 14
Lui non fece nessuna delle due cose. Invece, sospirò come se già fosse annoiato dalla conversazione, come se, a quel punto, quella tra loro potesse davvero considerarsi tale. Ah be', il conte aveva fatto ritorno dal campo di battaglia non molto tempo prima, perciò si poteva capire che le sue buone maniere fossero un po' arrugginite. «Volete sedervi?» «Se non avete obiezioni» rispose lui con sarcasmo. «Ne sarei deliziata.» Mentre prendeva posto sul divanetto, stirò le labbra in una linea sottile. Si muoveva con la naturale sicurezza di un atleta, ma prima Daphne lo aveva scorto zoppicare. «La gamba vi fa male?» Lui strinse gli occhi. Sì, le rughe che si allungavano verso le tempie erano quasi certamente dovute al fatto che strizzava gli occhi, un atteggiamento che non donava alla maggior parte degli uomini, ma che a lui si addiceva. «Sono molte le cose che mi fanno male, Miss Honeycote.» Il suo sopracciglio sollevato le disse che non si riferiva solo ai dolori fisici. Bene. Anche se ne era molto tentata, non avrebbe contraccambiato. «Mi dispiace sentirlo.» Lui la studiò, senza alcuna traccia di rimorso sul volto. «Vi chiedo di scambiare una parola con voi in privato.» Daphne si guardò attorno per il salotto. La persona più vicina era a diversi passi di distanza, e la sua curiosità era solleticata. «Vi ascolto.» Il conte si pizzicò la base del naso. Era forse la persona più impaziente che Daphne avesse mai incontrato. «La questione che desidero discutere è di natura delicata. Penso sarebbe meglio organizzare un incontro per domani.» «Vi confesso che non ho mai ricevuto una richiesta tanto strana e stuzzicante.» Daphne aveva subito la sua dose di attenzioni inappropriate da parte degli uomini, ma Lord Foxburn non sembrava il tipo da imporre la sua presenza a una donna. Con il suo bell'aspetto, Daphne era piuttosto sicura che non ne avesse bisogno. Forse desiderava condividere con lei qualche informazio15
ne riguardo Lord Biltmore. Il giovane visconte aveva accennato al fatto che Lord Foxburn era stato l'amico più caro del fratello e che, dopo la morte di quest'ultimo, il conte lo aveva aiutato ad adattarsi al nuovo ruolo. Ma cosa aveva a che fare con lei? «Comprendo che ciò debba sembrare fuori dall'ordinario. Tuttavia, penso che apprezzerete il bisogno di discrezione una volta che il soggetto della discussione vi verrà reso noto. Posso passare da voi domani?» Daphne finse di guardarlo pensierosa per un lungo momento, per dargli l'impressione di essere fortemente dibattuta dentro di sé. In verità era troppo curiosa per dire di no. «Risiedo qui, con mia sorella, mentre nostra madre è a Bath.» Il volto del conte fu attraversato dalla preoccupazione. Perciò non era così freddo come la gente pensava. «Per le cure idrotermali?» «No, sorprendentemente, la mamma gode di ottima salute. Ma non è avvezza alla teoria di ricevimenti e intrattenimenti sociali. Penso che desiderasse evitarli tutti.» «Vostra madre è una donna saggia.» Il conte si alzò e inclinò la testa in una maniera che poteva essere percepita sia come cordiale sia come derisoria. «A domani, Miss Honeycote.» Prima che potesse porgli una delle venti domande che le giravano per la testa, Lord Foxburn se ne andò. Per avere una gamba ferita, si allontanò molto in fretta. Esasperante. E imperdonabilmente maleducato ad andarsene senza fare neppure un accenno a ciò che desiderava discutere, un qualche indizio sul motivo per cui insisteva sulla segretezza. Se stava giocando, a Daphne non importava di quel gioco. La sua aria pensierosa e cinica poteva intimidire i fiori delicati del bel mondo, ma una ragazza di St. Giles non sopravviveva a lungo se aveva paura. E Daphne non era mai stata tipo da intimidirsi di fronte a una sfida. 16
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