GRS830_CAVALIERE DEL DESIDERIO

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MARGARET MALLORY

Cavaliere del desiderio


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Knight of Desire Grand Central Publishing © 2009 Peggy L. Brown Traduzione di Graziella Reggio Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici giugno 2012 Questo volume è stato stampato nel maggio 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 830 del 15/06/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Prologo

Castello di Monmouth Inghilterra, vicino al confine con il Galles Ottobre 1400 Il cigolio della porta della scuderia lo svegliò. William posò la mano sull'elsa della spada e sollevò il capo dalla paglia per ascoltare. Udì passi felpati e, in perfetto silenzio, si alzò. Nessuno sarebbe entrato in quel luogo in piena notte animato da buone intenzioni. Una figura incappucciata con in mano una candela avanzò lungo la fila di cavalli, facendoli sbuffare e scuotere la testa. William attese che l'uomo accendesse la lanterna appesa a un palo. Quali che fossero le sue finalità, il fuoco rappresentava il pericolo maggiore. Appena lo vide soffiare sulla fiammella, lo raggiunse con tre falcate. Lo sconosciuto si voltò proprio quando lui stava per agguantarlo. William scorse il movimento di una gonna e il volto spaventato di una fanciulla. D'istinto la cinse tra le braccia e, appena prima di abbattersi al suolo insieme a lei, ruotò su se stesso a mezz'aria per attutire l'urto. «Vi prego, perdonatemi» si scusò, divincolandosi e 5


levandosi in fretta in piedi. «Vi ho fatto male?» Le porse la mano per aiutarla, ma lei si alzò da sola con agilità. Aveva lunghi capelli biondi che spuntavano dal cappuccio e ricadevano sul petto in morbide onde. Protendendo il busto in avanti, lo scrutò con circospezione. William la fissò a occhi sbarrati. Come aveva potuto scambiare per un uomo quella graziosa e fragile donzella? A giudicare dall'abito di seta pregiata, che si intravvedeva attraverso l'apertura del mantello, si trattava di una nobildonna. I lineamenti erano fini e delicati, le labbra carnose appena socchiuse. Lui strizzò le palpebre nel tentativo di distinguere, nella penombra, il colore dei suoi occhi. Poi, senza riflettere, le levò una pagliuzza dai capelli. E si ritrasse all'istante quando scorse tra le sue dita lo scintillio di una lama. Avrebbe potuto disarmarla con facilità, ma non voleva impaurirla ancora. «Chi siete e cosa ci fate qui?» gli chiese la ragazza, ansimando e puntandogli il pugnale al petto. «Rispondetemi subito, altrimenti grido e chiamo le guardie.» «Sono un cavaliere al servizio del Conte di Northumberland» si presentò lui con calma. «Sono arrivato tardi e ho trovato la sala piena di ospiti, quindi ho deciso di dormire qui.» Non intendeva spiegarle che, in realtà, si stava nascondendo. Quella sera, infatti, dopo avere consegnato il messaggio del conte, aveva notato tra gli invitati una certa vedova conosciuta a corte e, poiché preferiva dormire da solo, si era rifugiato nelle stalle. «Ora che vi ho risposto, posso rivolgervi la stessa domanda?» la interrogò a sua volta. «A mio parere, siete voi che non dovreste essere qui a quest'ora.» Lei arrossì senza rispondere. «Di sicuro vi rendete conto che non è prudente per una giovane signora aggirarsi da sola a notte fonda, 6


soprattutto quando il castello è affollato di uomini e il vino scorre in abbondanza» insistette William. «Non riuscivo a dormire» affermò la ragazza in tono di sfida, «quindi ho deciso di fare una cavalcata.» «Non potete uscire da sola a cavallo nel buio!» Abbassando la voce, lui aggiunse: «Siete davvero tanto imprudente?». Un lampo le balenò negli occhi e le labbra si serrarono. A quel punto si profilò una spiegazione piuttosto fastidiosa. «Se avete appuntamento con un uomo, sappiate che non vi merita. Come può, infatti, chiedervi di avventurarvi all'aperto, nel cuore della notte?» Dimostrava circa sedici anni, cinque o sei meno di lui. Forse era abbastanza giovane da giustificare tale ingenuità. «Incontrarmi con un uomo?» La fanciulla alzò gli occhi al cielo. «Sarebbe davvero idiota.» Ripose il pugnale nel fodero appeso alla cintura, poiché, a quanto pareva, non si sentiva minacciata. Senza lasciargli nemmeno il tempo di provare sollievo, si girò e afferrò le briglie appese a un palo. «Ora vado» annunciò, redini alla mano. «Non ve lo posso permettere» dichiarò William, chiedendosi intanto come fermarla. Riportarla a forza in camera sua, scalciante e strillante, avrebbe provocato un trambusto eccessivo. «Di sicuro potete aspettare fino a domattina.» Lei lo fissò con feroce intensità, inducendolo a domandarsi che trucco avrebbe messo in atto per tentare di aggirarlo. «Se vi rivelo per che motivo non mi è possibile attendere, mi lascerete andare?» gli propose. Lui annuì, pur avendo tutte le intenzioni di trattenerla. «Domani mi sposerò.» 7


La fitta di delusione lo colse di sorpresa. Benché sapesse che il castello era tanto affollato a causa di un matrimonio, William non aveva nemmeno concepito l'ipotesi che quella leggiadra donzella potesse essere la sposa. Non udendo risposta, lei dedusse che servivano ulteriori spiegazioni per convincerlo. «Non prevedo che per me sarà un connubio felice» affermò, sollevando il mento. «Non provo alcun sentimento né ammirazione per il mio promesso sposo.» «Allora ditelo a vostro padre; magari cambierà idea.» Tuttavia, mentre parlava, William si rendeva conto che sarebbe stato impossibile cancellare le nozze previste per il giorno dopo. «Sono l'unica erede di un castello importante» gli spiegò la ragazza con evidente impazienza. «Non mi posso certo aspettare che mio padre o il re tengano conto dei miei desideri.» «Quali critiche riservate a quest'uomo?» Non aveva il diritto di chiederlo, ma gli premeva troppo saperlo. Temeva infatti che quell'innocente fosse destinata a unirsi in matrimonio con un lurido satiro, abbastanza vecchio per essere suo nonno, cosa che accadeva fin troppo spesso. «È malvagio, ne sono sicura. Non merita fiducia.» La serietà del suo tono lo sorprese. «Domani lo sposerò, secondo il volere di mio padre e del sovrano. Da quel momento in poi dovrò obbedire ai suoi ordini e sottomettermi in ogni senso.» Com'era ovvio, lui pensò all'unione carnale e si domandò se la fanciulla fosse del tutto consapevole di quello che diceva. «Stanotte mi dovete concedere un'ultima ora di libertà» aggiunse lei con determinazione. «Non chiedo molto.» William si sentiva in dovere di convincerla a fidar8


si del giudizio del padre e del re, che di sicuro non l'avrebbero promessa a un uomo tanto spregevole, ma non ne era persuaso nemmeno lui. «Vi accompagnerò io, altrimenti non andrete» dichiarò infine. La fanciulla strinse gli occhi e lo studiò con attenzione. Essendo in controluce, non riusciva a distinguerlo bene. Era una fortuna, altrimenti si sarebbe spaventata per il suo aspetto fiero e serio, che intimoriva persino i guerrieri più temprati. «Permettetemelo, vi prego» insistette William, tendendo la mano per prendere le redini. Sospirò di sollievo quando lei, dopo una breve esitazione, annuì e gliele porse. Mentre sellava il cavallo, tentò di ignorare i rimproveri della coscienza. Era un'autentica follia! Il monarca in persona era intervenuto per combinare quel matrimonio. Lo avrebbe fatto spellare vivo, se lo avesse scoperto da solo insieme alla sposa proprio la notte prima delle nozze. «Restate a testa bassa» le raccomandò mentre attraversavano il cortile esterno, diretti alle porte del castello. «Accertatevi che il manto copra bene il vestito e i vostri capelli.» Le guardie ricordavano che era arrivato quella sera con il messaggio di Northumberland e non lo fermarono nemmeno. William e la ragazza cavalcarono per un tratto nella notte fredda e stellata. Quando raggiunsero il sentiero lungo il fiume, lei lo superò e si lanciò in un galoppo sfrenato, quasi fosse stata inseguita dal demonio. Infine tirò le redini, mentre lui l'affiancava con il cavallo ansimante. «Vi ringrazio.» Gli elargì un sorriso che gli fece battere forte il cuore. Nel guardarla, William si accorse di respirare più 9


in fretta. Quella giovane era di una bellezza straordinaria, con il volto radioso di felicità e i capelli biondi scompigliati che risplendevano al chiarore lunare. Quando allargò le braccia e, sollevando il viso, rise di gioia alle stelle, lo lasciò senza fiato. Senza accordargli il tempo di riprendersi, scese con eleganza di sella e corse verso la riva del fiume. Lui legò i cavalli a un ramo e la seguì. Senza curarsi di quanto fosse rischioso per entrambi trattenersi laggiù, William distese il mantello sull'erba umida sotto gli alberi. La fanciulla si sedette in silenzio al suo fianco, contemplando il riflesso della luna sull'acqua. William ne approfittò per studiarne il profilo e assaporarne il profumo. Quando ormai sembrava essersi dimenticata della sua presenza, gli rivolse la parola. «Mi rammenterò sempre di questa notte» dichiarò stringendogli la mano. «La serberò nel cuore come un ricordo lieto, che mi aiuterà nei momenti difficili.» Lui le prese con delicatezza le dita e lei tornò a tacere. Sembrava smarrita altrove, mentre William era del tutto presente. Pur vantando molta esperienza con le donne, si stupiva della propria reazione a quella fanciulla. Ne percepiva con estrema intensità la vicinanza ed era felice di sedere semplicemente al suo fianco per guardare insieme il fiume nella fredda notte autunnale. Non avrebbe mai voluto andarsene. Solo quando la sentì rabbrividire, si costrinse a spezzare l'incantesimo. «Avete freddo e siamo già rimasti fuori troppo a lungo. Se qualcuno si dovesse accorgere della vostra assenza...» Non ebbe bisogno di terminare la frase. La ragazza era consapevole quanto lui del disastro che sarebbe avvenuto, qualora fosse stati sorpresi. Rassegnata, gli permise di aiutarla ad alzarsi. Si avviarono a passo più lento, cavalcando fianco a 10


fianco e scambiandosi poche parole. William tentò di imprimersi la scena nella memoria: la luce della luna, il fiume scuro, il leggero sbuffare dei cavalli... Di sicuro non avrebbe mai scordato quella fanciulla. Le guardie li lasciarono rientrare senza porre domande. Fuori dalla scuderia, William l'aiutò a smontare di sella e, mentre le stringeva la vita sottile un po' più a lungo del dovuto, sentì il cuore martellare nel petto e la testa girare. Chinò il capo per guardarla in viso e, pervaso da un desiderio indicibile, puntò gli occhi sulla sua bocca. Solo quando la vide arretrare di un passo, si rese conto di essere stato sul punto di baciarla. Sarebbe stato un grave errore, eppure William si dispiaceva di non aver ceduto alla tentazione. Infine, con un sospiro, la lasciò appena oltre la soglia e, al buio, condusse i cavalli al loro posto. Quando tornò indietro, lei sussurrò: «Vi sono tanto grata». «Mia signora, vi salverei volentieri da queste nozze, se mi fosse possibile» dichiarò lui d'impulso, pentendosi subito dell'imprudenza. Era bravo con la spada, ma non disponeva di armi adeguate per quella battaglia. Un giorno sarebbe diventato un signore potente e rispettato, ma, al momento, in quanto cavaliere senza terra, avrebbe soltanto esposto la fanciulla a un rischio, se avesse interferito con i piani del re. «Svolgerò il mio dovere assecondando la volontà di mio padre e del sovrano» dichiarò con fermezza lei. «Comunque vi ringrazio per il pensiero.» Quasi senza rendersene conto, William le sfiorò una gota con i polpastrelli e poi le prese il volto fra le mani. Appena la vide protendersi verso di lui, non poté più fermarsi. Le sfiorò le labbra con estrema delicatezza. Al primo contatto, una fitta di eccitazione lo percorse, tanto 11


potente da fargli tremare le ginocchia. Premette la bocca sulla sua e la sentì ricambiare con tenera innocenza. Si impose di lasciare le mani dov'erano, trattenendo l'impulso di toccarla. Se solo avesse percepito una certa esperienza da parte sua, non avrebbe esitato a distenderla sulla paglia. Quando interruppe il bacio, la prese tra le braccia. Chiuse gli occhi e attese per qualche istante che il battito folle del cuore tornasse regolare. Nel nome di Dio! Cosa gli era preso? La giovane donna, che si fidava tanto di lui, non aveva idea del pericolo appena corso. Deglutendo a fatica, William sciolse l'abbraccio, incapace di parlare. Con cura le nascose i capelli sotto il cappuccio, poi lasciò ricadere le braccia inerti lungo i fianchi. «Non volevo che fosse lui il primo a baciarmi» dichiarò la ragazza, come per giustificarsi. William sentì le viscere contrarsi al pensiero del privilegio di cui avrebbe goduto il futuro marito. Lei avanzò di un passo e, levandosi in punta di piedi, gli sfiorò di nuovo le labbra. Dopo un istante attraversò di corsa il cortile, tenendo stretti i lembi del mantello. William sognò quella notte per parecchi anni a venire, però nei sogni stringeva la fanciulla tra le braccia sotto la luna, in riva al fiume, e la baciava fino a cancellare dal suo volto ogni timore, ogni apprensione. In sogno, la salvava da un destino ingrato. In sogno era sua.

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Castello di Ross Inghilterra, vicino al confine con il Galles Giugno 1405 Seduta su una panca in camera da letto, Lady Mary Catherine Rayburn aspettava notizie. Se il suo ultimo messaggio era arrivato in tempo, l'esercito reale doveva avere ormai catturato suo marito insieme ai ribelli. Scostò l'ampia manica della tunica ed esaminò il braccio ai raggi del sole che filtravano dalla stretta finestra. I lividi stavano ormai sbiadendo; Rayburn era partito da due settimane. Lasciò ricadere il tessuto e appoggiò la nuca alla parete di pietra. Per tutti quegli anni, il consorte non aveva mai sospettato di lei, ma a quel punto avrebbe capito. A parte i suoi fedeli seguaci, Catherine era l'unica persona presente nella sala quando aveva rivelato il giorno e il luogo dell'incontro con i rivoltosi gallesi. Nascose il volto fra le mani tremanti, pregando di tutto cuore di non avere commesso un grave errore. Del resto, che cos'altro avrebbe potuto fare? Sorprendendolo con gli insorti, il sovrano si sarebbe finalmente convinto che Rayburn fosse un traditore. Se però fosse fuggito illeso, sarebbe tornato al ca13


stello e l'avrebbe uccisa. E cosa sarebbe stato di Jamie? Era impensabile lasciare il bambino solo con quell'uomo. Il freddo della pietra, che penetrava attraverso l'arazzo, le provocò un brivido. La febbre si era placata soltanto durante la notte. Catherine era stata l'ultima ad ammalarsi al castello. Esausta, chiuse gli occhi. Come era accaduto tutto questo? Tornò con la mente a qualche anno addietro, prima che Rayburn tradisse il sovrano... e prima che lei tradisse Rayburn. Il re glielo aveva destinato come marito poiché lo giudicava fedele e leale. A sedici anni, lei era stata molto ambita; unica figlia del padre malato, era destinata a ereditare uno dei castelli più importanti delle Marche gallesi, lungo il confine strategico tra Inghilterra e Galles. Il che l'aveva resa degna dell'attenzione personale del monarca. A dieci anni era promessa a un giovane rampollo di una famiglia vicina a Re Riccardo, proprio come la sua. Tuttavia il connubio aveva perso interesse appena Enrico Bolingbroke aveva usurpato il trono. Poco dopo, il padre di Catherine aveva appreso con piacere la notizia che il giovanotto si era rotto l'osso del collo cadendo da cavallo e accolto con gioia ancora maggiore la proposta del nuovo monarca di scegliere un altro consorte, cogliendo al volo l'occasione per dimostrargli la propria fedeltà. Re Enrico aveva riflettuto a lungo, presentandola come un prezioso premio a personaggi ricchi e potenti che voleva far sentire in debito. Tuttavia, quando il padre si era ammalato gravemente proprio allo scoppio della rivolta gallese, il sovrano aveva affrettato i tempi. Non poteva permettersi di lasciare il castello di Ross e i circostanti terreni di confine privi di un uomo forte pronto a difenderli. E, mentre il genitore 14


giaceva sul letto di morte, Catherine era stata scortata dalle truppe reali al castello di Monmouth per celebrare le nozze. Rievocando il passato, incrociò le braccia al petto e prese a dondolare avanti e indietro. Ancora prima dello sposalizio, aveva intuito che Rayburn era freddo e non si era aspettata da lui alcuna tenerezza. Tuttavia la prima notte di nozze era stata sconvolgente. Il marito era riuscito a stento a sottrarle la verginità. Forse era stata la novità a renderlo possibile, quella prima volta. Rayburn le aveva ordinato di spegnere tutte le candele e di aspettare in silenzio a letto. Soltanto in seguito Catherine aveva compreso che gli strani suoni uditi al buio erano prodotti dallo sposo, mentre si stimolava da solo per prepararsi al compito. Non c'erano stati baci né carezze. Almeno, per sua fortuna, tutto si era svolto molto in fretta. Appena concluso l'atto, Rayburn si era allontanato e lei aveva pianto per l'intera notte, convinta che la sua vita non sarebbe potuta andare peggio. Quanto era stata ingenua! Il marito, infatti, le rendeva visita una volta alla settimana, determinato a ingravidarla. Lei tentava di non ascoltare le parole sconce che le bisbigliava all'orecchio né sentire le sue mani ruvide che le palpavano cosce e natiche. E, se i tentativi riuscivano, Catherine si sforzava di assentarsi con la mente mentre lui si spingeva ansimando nel suo grembo. Con il passare del tempo, il marito aveva avuto sempre più difficoltà a svolgere i doveri coniugali. Quando non ci riusciva, la picchiava. A volte veniva eccitato dalla violenza per il tempo appena sufficiente. Aveva preso l'abitudine di bere prima di andare da lei, e questo lo rendeva ancora più violento. Infine, per miracolo, Catherine aveva concepito un figlio. La gravidanza le aveva salvato la vita. 15


Rayburn restava un uomo indegno, ma perlomeno non la terrorizzava più in camera da letto. Tuttavia, qualche settimana prima aveva deciso che gli occorreva un erede di riserva. Catherine non si pentiva di ciò che aveva fatto per mettersi in salvo, oltre che per difendere la corona destinata al Principe Harry, che un giorno sarebbe diventato un grande Re d'Inghilterra. Tuttavia moriva di paura per le possibili conseguenze del proprio inganno. Lasciando divagare la mente, tornò ai dolci ricordi infantili di quando giocava con Harry a Monmouth. Erano tempi felici, prima che la madre morisse e che il caro amico diventasse principe ed erede al trono. Infine si raggomitolò sulla panca e si assopì. «Milady, cosa fate giù dal letto?» La voce dell'ancella la destò da un sonno tormentato. «Che cosa c'è?» domandò, alzandosi a sedere. «Uomini armati si avvicinano al castello» le spiegò la donna con evidente tensione. «Che vessillo portano?» «Quello del sovrano.» La ventata di sollievo fu così potente da costringere Catherine ad aggrapparsi al bordo della panca per non perdere l'equilibrio. «Cosa significa, milady?» chiese la domestica, torcendo fra le dita il tessuto del grembiule. «Non saprei» rispose lei, tentando di mostrarsi rassicurante. «Comunque non dobbiamo temere gli uomini del re.» Se Rayburn era stato catturato, come mai il sovrano mandava truppe al castello di Ross? Forse lo cercavano perché era scappato. Il panico le serrò la gola. Ma il marito, sapendosi scoperto, si sarebbe davvero rifugiato a casa? No, era improbabile. Al contrario, sarebbe fuggito verso la Francia. «Milady, i soldati sono quasi arrivati. Le guardie 16


attendono indicazioni da voi» la spronò l'ancella. «Poiché mostrano le insegne reali, bisogna aprire le porte. Però avvisateli di lasciarli aspettare fuori fino al mio arrivo.» «Siete ancora troppo debole. Non potete...» Catherine azzittì l'obiezione con un gesto. «Aiutatemi a vestirmi. Devo sapere che notizie portano.» Si alzò in piedi, appoggiandosi al braccio che le veniva offerto. Ebbe un lieve capogiro, ma subito si riprese. Approvò con un cenno distratto il primo abito proposto e si lasciò abbigliare. Perché mai il monarca inviava le proprie truppe subito dopo la battaglia? «Non c'è tempo per questo.» Respinse un elaborato copricapo di broccato blu. «Basterà una reticella adorna di gemme.» Arrotolò quindi i lunghi capelli e li raccolse nella retina. E, appena l'ancella ebbe sistemato il cerchietto per trattenerla, le ordinò di correre alle porte con il messaggio. Con sollievo, trovò Jacob in attesa in corridoio. Lo prese sottobraccio e sorrise al suo volto rugoso. «Permettetemi di presentare le vostre scuse ai visitatori» le propose il vecchio servitore, corrugando preoccupato le sopracciglia. «Spiegherò loro che siete troppo malata per accoglierli.» «Grazie, Jacob, ma andrò di persona. Non metteranno piede dentro il castello finché non sarò sicura che siano davvero uomini del re.» E finché non capirò cosa vogliono. Dopo avere trascorso tanti giorni nella penombra della camera, sentì gli occhi bruciare alla luce del sole. Era debole, ma l'aria fresca le schiarì le idee mentre attraversavano i cortili. Metà degli abitanti del castello aspettava con ansia presso le porte. Appena il figlio la scorse, si divincolò dalla stretta della mano di Alys e le abbracciò le gambe. 17


Lei si inginocchiò per baciarlo. «Jamie, resta qui con Alys mentre io vado a parlare con i soldati» gli raccomandò con fermezza. «Non uscire dalle mura.» Diresse una rapida occhiata alla balia, che annuì. Quando si rialzò, vide scintille davanti agli occhi. Non era mai svenuta in vita sua e non poteva permettersi di farlo in quel momento. Al contrario, avrebbe svolto il proprio dovere di castellana. Allontanò gli altri agitando la mano e varcò da sola le porte. Con un cenno, indicò alle guardie di abbassare il ponte levatoio. Attraverso le sbarre della saracinesca, osservò da lontano gli uomini a cavallo. Avevano un aspetto duro, come se avessero assistito a molte battaglie e fossero pronti ad affrontarne altre. Infine si girò e impartì l'ordine: «Alzate la saracinesca, ma siate pronti ad abbassarla a un mio segnale». Tra cigolii e rumori metallici, le guardie girarono la manovella e sollevarono con lentezza l'inferriata. Appena le fu possibile passare, Catherine uscì sul ponte levatoio, suscitando la sorpresa dei soldati. Questi la squadrarono da capo a piedi, ma rimasero dov'erano, proprio come lei voleva. Mentre cavalcava in direzione del castello di Ross, William Neville FitzAlan non smetteva di pensare alla moglie del traditore, rimasta vedova. L'ultimo messaggio inviato al principe da Lady Rayburn aveva condotto alla cattura e all'esecuzione del marito. Lord Rayburn meritava tale sorte, ma che razza di donna poteva condividere il letto con un uomo e poi consegnarlo ai nemici? Cupo in volto, si domandò se gli fosse stata infedele anche in altri modi. Era probabile. Secondo la sua 18


esperienza, infatti, la fedeltà era rara tra le nobildonne. Gli ideali cavallereschi della lealtà e dell'onore non dettavano certo il comportamento femminile. Forse era stato il desiderio di un altro uomo, e non tanto la lealtà verso i Lancaster, a indurla a denunciare il tradimento del consorte. In ogni caso la signora meritava la gratitudine sua e del sovrano, anche se al momento rappresentava un problema politico. In quel periodo di debolezza, infatti, Re Enrico doveva mostrarsi deciso a punire con severità i traditori e i loro familiari. Era importante che le famiglie potenti recepissero il messaggio. In quanto moglie di un signore alleato dei ribelli, Lady Rayburn andava rinchiusa nella Torre di Londra, dove le morti cosiddette accidentali erano all'ordine del giorno. D'altro canto, il Principe Harry insisteva nell'affermare che era stata proprio lei a inviare i messaggi anonimi riguardo alle forze ribelli. Tuttavia ben pochi lo credevano e il messaggero che li aveva consegnati era irreperibile. Il sovrano teneva per sé le proprie convinzioni in proposito, e comunque la verità era irrilevante. Nel pieno di una rivolta, non si poteva lasciare un castello di confine in mano a una donna con il rischio che se ne impadronisse un altro traditore, con la forza o tramite il matrimonio. Andava consegnato a un uomo degno di fiducia. La scelta era ricaduta su William, la cui lealtà aveva già superato dure prove e il cui desiderio di possedere terre era tanto profondo da garantirne una strenua difesa. Quella mattina aveva comandato l'attacco, cogliendo i rivoltosi di sorpresa. Su ordine del re, l'esecuzione di Rayburn era avvenuta sul campo. Non appena la testa del traditore si era staccata dal collo, titolo e 19


proprietà erano stati confiscati e assegnati a lui. Con la sopravveste ancora intrisa di sangue nemico, William era partito alla volta del castello di Ross per reclamarne il possesso. Tuttavia aveva ancora un prezzo da pagare. Il monarca, infatti, aveva messo nelle sue mani il destino della vedova. Stava a lui scegliere. Poteva mandarla a Londra perché venisse imprigionata per le colpe del marito, oppure salvarla prendendola in moglie. Re Enrico aveva inviato un vescovo per garantire una dispensa dalle pubblicazioni, in caso di nozze. Il Principe Harry sarebbe andato su tutte le furie se Lady Rayburn fosse stata incarcerata. William non poteva ignorare la sua reazione, poiché un giorno sarebbe diventato re. Del resto aveva già deciso di sposare la vedova; non era certo il tipo da fare del male a donne e bambini, avendo la possibilità di evitarlo. Distolse la mente dal problema quando raggiunse la cima del colle successivo e si fermò a contemplare per la prima volta i suoi nuovi terreni. Le colline verdeggianti digradavano verso i campi coltivati che circondavano il castello, situato su un'altura naturale lambita da un fiume. Era una fortificazione imponente, con due recinzioni concentriche erette attorno a un antico mastio squadrato. Edmund Forrester, il comandante in seconda, gli andò accanto. «Sul fiume, facile da difendere» commentò in tono di approvazione. William annuì senza distogliere lo sguardo dal castello. Il desiderio di una vita intera si stava realizzando. A casa del padre era benaccetto, ma non aveva alcun diritto, alcun potere; viveva in una posizione precaria e incerta. Finalmente ora possedeva terreni suoi e vantava un titolo nobiliare che definiva il suo posto nel mondo. 20


Se soltanto John avesse potuto essere con lui in quella giornata memorabile! Erano già trascorsi quattro anni dalla morte del fratello, eppure il dolore per la sua perdita era ancora straziante. John era l'unico con cui sentisse un vero legame. Tuttavia era contento di avere con sé Edmund. Per anni avevano combattuto fianco a fianco nel nord. William si fidava di poche persone e tra queste c'era lui. Infine spronò il cavallo e condusse gli uomini al galoppo lungo il sentiero del castello, con il cuore che batteva forte per l'emozione. Benché le guardie avessero riconosciuto le insegne regali, non si affrettavano ad aprire. William ardeva d'impazienza quando il ponte levatoio fu finalmente abbassato. Quando venne alzata la saracinesca, una donna esile chinò il capo per passarvi sotto e avanzò da sola sul ponte. Lui strizzò le palpebre alla luce del sole per vederla meglio. Il portamento e l'espressione determinata della signora generarono un certo nervosismo tra i soldati. Si dimostrava tanto ardita che strappò a William un sorriso di ammirazione. Avanzò ancora, con l'evidente intenzione di lasciare spazio alle guardie per abbassare di nuovo la saracinesca, nel caso le truppe si fossero rivelate nemiche. In questo modo, però, avrebbe salvato il castello, ma non se stessa.

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