DEBORAH SIMMONS
L'ultimo cavaliere
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Last de Burgh Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2013 Deborah Siegenthal Traduzione di Angela Medi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici novembre 2013 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2013 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 898 del 22/11/2013 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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Nicholas de Burgh teneva una mano sull'elsa della spada e lo sguardo sulla compagnia che lo attorniava. Si era trovato in posti peggiori, anche se quella taverna avrebbe preoccupato anche i suoi fratelli. Come tutti i de Burgh era coraggioso, ma non stupido, e la sua presenza lĂŹ era da imputare soltanto a un attacco di irrequietezza. Il puzzo di liquore e vomito gli riempiva le narici. Quel posto non aveva pretese di pulizia, il che non sembrava interessare gli avventori che riempivano la buia sala comune e che avevano tutti l'aria indurita degli uomini disposti a uccidere per un pugno di monete. Tranne uno. Era stata la vista di quel tipo singolare a far indugiare Nicholas. Poco piĂš che un ragazzo, lo sconosciuto indossava l'abbigliamento distintivo degli Ospitalieri e probabilmente era di ritorno da un periodo di battaglie in Terra Santa. Sebbene fosse un cavaliere, la zoppia e l'apparente man5
canza di uno scudiero lo rendevano una preda facile per i ladri, le prostitute e i giocatori che frequentavano i posti come quello. I suoi occhi brillavano, forse per il troppo vino o per qualche tipo di febbre, il che poteva giustificare la sua mancanza di prudenza. O forse era talmente felice di trovarsi di nuovo in Inghilterra da aver dimenticato che anche a casa si correvano molti rischi. Qualunque fosse la ragione di tanta incoscienza, comunque, appariva ignaro dei pericoli che lo circondavano e Nicholas era determinato ad avvertirlo. Quando fece per avvicinarsi, però, un Templare arrivò a catturare l'attenzione del ragazzo. Benché girassero voci di faide in corso tra i diversi ordini militari, i due cavalieri si immersero ben presto in una conversazione, lasciando Nicholas libero di andarsene. Però c'era qualcosa, nell'atteggiamento di quel Templare che lo faceva esitare... L'immancabile rissa esplose accanto a lui. Nicholas balzò in piedi e si abbassò per evitare la coppa di vino diretta contro la sua testa. Il liquido scuro si sparse sul muro sopra di lui. Tenendosi accosto alla parete, si fece strada attraverso la crescente baraonda. Superò con un salto una panca che si era rovesciata con un tonfo davanti ai suoi piedi ed evitò una candela che crollò sibilando sul pavimento. Raggiunta la porta, si girò a esaminare la sala, ma non riuscì a scorgere né l'Ospitaliere né il Templare. Neppure all'esterno 6
c'era traccia dei cavalieri. Non si soffermò a cercare, perché era ansioso di mettere la maggior distanza possibile tra sé e la taverna prima che ne uscissero gli attaccabrighe. Tenendo un occhio all'entrata, si incamminò per la strada. Aveva percorso solo un breve tratto quando una figura emerse dall'ombra e si pose sul suo cammino: un esile giovanotto che sarebbe stato un misero avversario per un cavaliere armato. Nicholas non si fermò, ma gli si mise al fianco. «Stai facendo la guardia, Guy?» «Vi avevo detto che quel posto puzzava di guai» rispose lo scudiero. «Motivo per cui l'ho abbandonato» rispose lui, compiacente. «A dispetto di quanto puoi pensare, tengo ancora al mio collo.» Guy gli lanciò uno sguardo cauto e Nicholas sollevò una mano per prevenire ogni altra discussione. Lo scudiero si accigliò, ma non disse niente. Nel silenzio che seguì si udì un rumore, troppo vicino per provenire dalla taverna. Nicholas si fermò e inclinò la testa verso uno stretto vicolo cosparso di rifiuti. Ignorando le proteste di Guy, si fece avanti e udì l'inconfondibile rumore di un pugno che si schiantava su carne e ossa. Aggirando l'angolo di una bicocca abbandonata, si sporse a guardare nel buio e vide la veste bianca del Templare, poco più avanti. Dalla posizione dell'uomo Nicholas ebbe l'impressione che tenesse qualcuno per la gola, presumibilmen7
te l'Ospitaliere con cui stava fraternizzando poco prima. «Dove si trova?» stava domandando il Templare... sempre che quell'uomo appartenesse davvero a tale ordine. Anche se l'ordine dei Poveri Cavalieri del Tempio di Salomone non era più quello di un tempo, di sicuro i suoi membri non praticavano il furto. Di chiunque si trattasse, Nicholas non aveva intenzione di restare a guardare mentre assaliva un cavaliere innocente. «Fermo!» gridò, estraendo la spada. La canaglia si limitò a gettargli contro l'Ospitaliere, obbligandolo ad afferrarlo o lasciare che il giovane cadesse a terra. «Pericolo...» ansimò quello. «Dovete aiutare... Emery.» Mormorando qualche parola di rassicurazione, Nicholas passò l'uomo ferito a Guy, per lanciarsi all'inseguimento dell'altro. Il vicolo però era così stretto e scuro che non poté muoversi in fretta e presto si ritrovò a fronteggiare un muro. Il Templare doveva aver preso la stessa direzione, perciò rinfoderò la spada e cominciò a scalare il muro, sperando di non trovare sull'altro lato uno scarico a cielo aperto, o peggio. Il salto non fu alto e lui riuscì ad atterrare sui suoi piedi. Il Templare stava aspettando nascosto nell'ombra, spada in mano. Balzando lontano dalla lama, Nicholas la evitò di poco, mentre estraeva la propria arma. Il rumore di metallo contro metallo ri8
suonò aspro nel silenzio, ma senza richiamare l'attenzione di testimoni. L'area sembrava deserta e comunque chi avrebbe osato mettersi in mezzo a due cavalieri? Perché, fosse o meno un Templare, l'uomo che stava affrontando era ben addestrato. «Chi siete voi?» domandò il Templare, riecheggiando i pensieri di Nicholas. «Un cavaliere che prende seriamente il proprio giuramento» rispose lui. «La vostra lealtà invece era solo un inganno, fratello?» L'altro rise, quasi divertito dall'insulto. «Non vi riguarda, straniero» dichiarò. «Fareste meglio a badare agli affari vostri... e alle vostre spalle.» Aveva appena terminato di pronunciare quella provocazione, che Nicholas avvertì un colpo. Se fosse stato nel pieno delle sue facoltà si sarebbe accorto che qualcuno si stava avvicinando, o avrebbe immaginato che il bastardo chiacchierava per distrarlo. Qualche anno prima non si sarebbe fatto mettere in trappola così facilmente, pensò, prima di cadere al suolo. Emery Montbard si svegliò di colpo, il cuore che le martellava nel petto, chiedendosi cosa l'avesse strappata al sonno. Si guardò attorno, ma non vide niente di diverso nel buio che la circondava. Eppure qualcosa l'aveva disturbata, così restò sdraiata, immobile, attenta al minimo rumore. E allora lo udì: un tonfo all'esterno, come se ci 9
fosse qualcosa nel suo giardino. E non si trattava di un animale di piccole dimensioni. Che una mucca fosse entrata a calpestare i suoi ordinati filari? Si alzò e si avvicinò alla stretta finestra, pronta a scacciare l'animale, ma dovette reprimere il grido, perché non era una bestia a quattro zampe quella che barcollava verso il suo rifugio, ma la figura corpulenta di un uomo. Il vicino comando degli Ospitalieri, una presenza che incombeva indesiderata sulla sua vita, in quel momento sembrava troppo lontana per essere d'aiuto. Forse uno degli operai o anche uno dei fratelli aveva alzato il gomito e sconfinato. Emery esitava a convincersi che l'intrusione fosse deliberata, ma c'era sempre la possibilità che uno straniero avesse saputo che viveva in quel posto da sola. Il pensiero la raggelò e mentre cominciava a pensare a come difendersi l'uomo sollevò la faccia e la luce della luna rivelò i lineamenti ben noti e amati. «Gerard!» Sbalordita, Emery gridò il nome di suo fratello. Lui non rispose e parve non averla udita. Invece di chiamarlo di nuovo, corse alla porta e l'aprì, scoprendo che era crollato al suolo. Spaventata, gli si inginocchiò accanto. «Cosa succede? Sei ferito?» Le ciglia di lui si alzarono e abbassarono, come in una conferma. Benché detestasse l'idea, Emery sapeva che sarebbe stato accudito meglio 10
dai membri del suo ordine. «Non muoverti. Avvertirò i fratelli» affermò. Stava per alzarsi quando la mano di Gerard le strinse il polso con forza sorprendente. «No» mormorò lui. «Attenta, Em. Io ti ho messo in pericolo. Non fidarti... di nessuno.» «Ma hai bisogno d'aiuto!» Alla sua protesta, la stretta divenne più forte. «Prometti» sussurrò lui. I suoi occhi apparivano brillanti perfino nel buio, ma ardevano per la determinazione o per la febbre? Quando Emery annuì, la mano di lui ricadde e gli occhi si chiusero, le forze evidentemente esaurite dallo sforzo di parlare. Non fidarti di nessuno. L'avvertimento indugiava nell'aria, rendendo il silenzio inquietante, e d'un tratto il familiare paesaggio notturno assunse un aspetto angoscioso, come se le ombre sotto gli alberi nascondessero minacce sconosciute. Una brezza improvvisa smosse le foglie ed Emery trattenne il respiro, ascoltando con attenzione per cogliere il rumore di inseguitori: un soffice calpestio di passi o il battere di zoccoli di un cavallo contro il terreno. Tutto quello che riuscì a sentire furono il vento e il martellare del suo cuore. E se qualcuno si trovava là fuori, a osservarla nascosto dalle tenebre, c'era poco che lei potesse fare da dove si trovava, accucciata presso suo fratello, priva di protezione. Finalmente capì che doveva agire e balzò in piedi, trascinando Gerard 11
nella relativa sicurezza della sua piccola abitazione. Una volta all'interno, sbarrò la porta. Attizzando il fuoco, mise dell'acqua a scaldare e studiò Gerard alla luce delle fiamme. Aveva delle escoriazioni sulla gola e sulla faccia, e un taglio sul labbro; assai più preoccupante fu la ferita che scoprì sulla sua coscia. C'era un taglio profondo, non del tutto guarito, che si affrettò a medicare. Era quello il motivo per cui era tornato dalla Terra Santa? Non avendo ricevuto sue notizie per circa un anno, Emery aveva temuto il peggio. Tuttavia il suo sollievo nel rivederlo era diminuito dalle circostanze della sua comparsa. Era tornato senza averne ricevuto licenza? Si accigliò, perché chi disobbediva ai superiori rischiava l'espulsione o anche la scomunica da parte della chiesa. E cosa poteva motivare il suo rifiuto di richiedere l'aiuto dei fratelli Ospitalieri? Scuotendo il capo, si disse che forse Gerard non era consapevole di ciò che stava dicendo. Il suo primo dovere era di curarlo, così ripulì la ferita e quindi gli somministrò una tisana che lo fece cadere in un sonno profondo. Esausta, alla fine si allungò contro il bordo dello stretto letto, appoggiando la testa sul braccio di suo fratello. Il calore del contatto, dopo essere rimasta sola tanto a lungo, era confortante, ma ben presto Gerard sobbalzò, lanciando un grido. Benché si trovasse così vicino a lui, Emery 12
riuscì a capire poco di quel che diceva, eccetto le parole Saraceni e Templari, che pronunciò in tono talmente atterrito che lei si guardò dietro le spalle, quasi aspettandosi di trovarvi un'altra presenza. Quando Gerard si zittì di nuovo, ne fu sollevata, ma lui continuò a borbottare, ripetendo spesso esclamazioni d'allarme che riguardavano i Templari o i Saraceni. Una volta risvegliò con urgenza Emery dal suo dormiveglia, apparendo lucido e attento. «Dove si trova il pacchetto che ti ho spedito?» le domandò afferrandola per un braccio. «Pacchetto? Non ne so niente» rispose lei. Con un verso di disappunto, Gerard lasciò andare il suo braccio. «Siamo perduti» sussurrò, girando il volto dall'altra parte. «Perché? Cos'è successo?» domandò Emery. Ma lui chiuse gli occhi di nuovo e lei si chiese se fosse stato consapevole delle proprie parole. Era preoccupata che potesse occorrergli l'aiuto più esperto dei fratelli, al comando. Il suo avvertimento tuttavia continuava a risuonarle nelle orecchie; inoltre, non si sentiva pronta a consegnare suo fratello agli Ospitalieri, che potevano allontanarlo da lei. Avrebbe atteso fino al mattino e poi avrebbe stabilito il da farsi. Emery si svegliò lentamente, battendo gli occhi, disorientata, prima di rendersi conto che era sdraiata sul pavimento. Era caduta durante il 13
sonno? Aveva appena formulato tale pensiero che il ricordo degli eventi della notte precedente le tornarono alla mente. Si raddrizzò in fretta per controllare nel letto, ma era vuoto. Si guardò attorno, incerta. Era stato un sogno? Il suo cuore si strinse al pensiero di aver sognato l'apparizione di suo fratello. Forse era uscito, pensò, alzandosi in piedi. Quando esaminò la piccola stanza, però, non riuscì a scorgere alcun segno che Gerard fosse stato lì. Il panno che aveva usato per lavargli le ferite era sparito e la ciotola che aveva contenuto l'acqua era vuota, così come la tazza della tisana. La pentola in cui l'aveva preparata era appesa sopra il fuoco morente, ma all'interno non c'erano erbe. Come avrebbe potuto immaginare quegli avvenimenti in modo così vivido? Confusa, si portò le mani alla faccia, per riabbassarle non appena qualcosa colse la sua attenzione. Era un piccolo dettaglio, ma non sarebbe stato possibile eliminarlo mentre dormiva. Sotto le sue unghie c'era la prova della presenza del fratello. Erano sporche del suo sangue. Ma perché Gerard si sarebbe preso tanto disturbo per cancellare ogni traccia della sua presenza? Per uno spaventoso momento, Emery si chiese se qualche nemico non l'avesse trascinato fuori, ma scosse subito il capo, allontanando il sospetto. Di sicuro nessuno sarebbe potuto entrare a sua insaputa. Suo fratello se n'era andato di propria 14
volontà, senza neppure salutarla, dopo che loro erano rimasti lontani tanto a lungo. Perché? Non fidarti di nessuno. Le parole di Gerard le tornarono alla mente, assieme agli enigmatici avvertimenti che aveva pronunciato durante le ore trascorse nel letto. Emery aveva pensato che stesse delirando, forse per la febbre, il che rendeva la sua sparizione ancora più allarmante. Il pensiero la spinse all'azione. Corse alla porta, sperando di trovarlo all'esterno. La luce pallida che stava trasformandosi nell'alba non rivelò nulla e il boschetto era silenzioso, a parte i richiami degli uccelli. Cosa doveva fare? Esitò, restia ad abbandonare la relativa sicurezza della propria abitazione, ma Gerard poteva trovarsi ancora nelle vicinanze, troppo malato per viaggiare, inseguito dai demoni creati dalla propria fantasia. O, peggio, in fuga da una minaccia reale. Emery rabbrividì. In ogni caso sarebbe stato meglio per suo fratello che lei lo trovasse, così rientrò in casa per vestirsi. Nell'afferrare la sua modesta veste, lanciò di nuovo uno sguardo verso il letto, individuando tra le coperte qualcosa che non aveva notato prima. Allungò una mano e afferrò quello che sembrava un pesante pezzo di pergamena. Non somigliava a niente che avesse mai visto prima. Era lungo metà di un piede, stretto, ed era completamente ricoperto da un disegno a vividi colori, come quelli dei manoscritti. Infatti, dapprima pensò 15
che fosse stato strappato da un volume, ma i bordi non rivelavano traccia di un simile trattamento. Esaminando l'illustrazione, Emery si rese conto che il grazioso decoro circondava una figura centrale costituita da un grande serpente nero, curvo in maniera sinistra. O era forse una spada? Rabbrividì di nuovo di fronte a quell'immagine vagamente minacciosa. L'oggetto era caduto dalle cose di Gerard, o suo fratello l'aveva lasciato lì deliberatamente, come una sorta di messaggio? Lo studiò con maggior attenzione, cercando altre figure che potessero essere nascoste nell'intreccio di fiori e foglie. Trovò subito qualcosa. Sotto il serpente era stata tracciata una frase che chiunque avrebbe immaginato fosse parte dell'illustrazione, ma Emery sapeva che era opera di suo fratello. Le parole l'atterrirono. Non fidarti di nessuno. Che fosse padrone dei suoi sensi o meno, era evidente che Gerard si trovava in qualche guaio. Emery si lasciò cadere sul letto, con le mani tremanti. Il suo primo pensiero fu di andare dagli Ospitalieri, perché loro avevano l'obbligo di assistere i propri membri, ma non riusciva a ignorare l'avvertimento che stringeva tra le mani. A chi altri poteva rivolgersi? Lei e Gerard non avevano parenti, a parte lo zio Harold, e non ci si poteva fidare che lui anteponesse gli interessi dei familiari ai propri. Chi, allora? Chi aveva i mezzi per affrontare dei nemici ignoti che potevano ap16
partenere alle alte gerarchie ecclesiastiche? Ben pochi in tutta l'Inghilterra, pensò, con il cuore stretto in una morsa. Non riusciva a pensare a nessuno e la fuga di Gerard suggeriva che non dovesse fare o dire niente. Lei però non poteva ignorare la comparsa, e la seguente sparizione, di suo fratello, specialmente quando era malato e nei guai. Emery scosse la testa, come per negare la realtà, ma non era in grado di trarre altra conclusione. Lei era l'unica persona che potesse aiutarlo. C'era stato un tempo in cui non avrebbe esitato. Anni prima, simile al suo gemello sotto tutti gli aspetti, aveva desiderato l'avventura e l'eccitazione e creduto di essere ben preparata ad affrontarle. L'esperienza le aveva insegnato che non era così e adesso si sforzava di accettare il proprio destino, mentre i sogni di una vita differente erano ormai sepolti da lungo tempo. Stavolta, però, la situazione era diversa. Una cosa era abbandonare le proprie speranze e un'altra lasciare Gerard alla mercé di chi lo perseguitava, reale o immaginario che fosse. Emery non poteva volgere le spalle all'unica persona cui tenesse al mondo. Solo, non osava lasciare quel posto. La paura e la lealtà lottarono dentro di lei, finché i suoi pensieri non vennero messi in fuga da un rumore all'esterno. I visitatori, in quella località remota, erano pochi, soprattutto a un'ora così mattutina. Suppose che Gerard fosse tornato. 17
Quando però si affrettò alla finestra, non vide suo fratello. Il cavaliere solitario che si stava avvicinando al comando indossava la veste bianca caratteristica dei Templari. Emery si allontanò in fretta dalla finestra, con il cuore in gola. L'apparizione di quel particolare cavaliere, subito dopo gli avvertimenti di Gerard, non poteva essere una coincidenza e la obbligava ad agire. Cadendo in ginocchio, tirò un'asse non inchiodata del pavimento finché non venne via, rivelando un foro scavato nel terreno. Sollevò la sacca che era riuscita a seppellire quando si era stabilita al vecchio posto di guardia, circa un anno prima. Al suo interno c'erano alcuni vecchi abiti di Gerard, che appartenevano al periodo in cui aveva avuto l'abitudine di travestirsi come il suo gemello. Era passato qualche tempo da quando li aveva indossati l'ultima volta, ma fu sollevata di scoprire che le andavano ancora bene. Riempì lo spazio lasciato nella sacca con tutto il cibo che riusciva a portare, la sua piccola scorta di erbe e il pezzo di pergamena, temendo che cadesse in mani estranee. Suo fratello si era allontanato a piedi? Emery sentiva la mancanza del palafreno che una volta le era appartenuto, ma di certo non avrebbe potuto presentarsi alla stalla del comando in abiti maschili, né prendere la sua vecchia cavalcatura. Avrebbe dovuto cercare Gerard da sola, a piedi, e respingere l'apprensione che minacciava di paralizzarla. Si costrinse a muoversi, gettandosi la 18
sacca sulle spalle e aprendo di scatto la porta. Nella fretta aveva abbandonato ogni cautela, un errore di cui si rese conto solo quando si accorse di non essere sola. In piedi davanti a lei c'era un uomo che non era Gerard e neppure il Templare che aveva visto a cavallo, ma poteva ben essere un compagno di questi, intento a ispezionare i dintorni del comando. Emery fece un passo indietro, lontano dalla figura che torreggiava su di lei. Difatti, l'uomo era più alto di chiunque altro avesse mai visto, un buon piede sopra Gerard, con spalle larghe e braccia muscolose che non dovevano sorprenderla, considerando la corta cotta di maglia che indossava e la pesante spada al suo fianco. Ovviamente, si trattava di un cavaliere, anche se privo del feroce aspetto di alcuni di loro. Benché di certo pericoloso, non appariva minaccioso. I suoi capelli nocciola erano fitti e un po' arruffati, a incorniciare un volto baciato dal sole. Emery non l'avrebbe definito bello, dal momento che non aveva niente di aggraziato, ma era notevole, con gli occhi dello stesso colore dei capelli, caldi e intensi, e i brillanti denti bianchi... Lui si accorse che Emery lo stava fissando e sorrise. Traendo un respiro tremante lei si schiarì la gola e riuscì a pigolare una domanda. «Cosa fate qui?» «Sono Nicholas de Burgh» rispose lui abbassando il capo. «Ho promesso di aiutare un cavaliere Ospitaliere che ho incontrato sulla strada e 19
volevo accertarmi che fosse arrivato in tutta sicurezza. Siete voi Emery, giovanotto?» Le occorse un momento per capire che quel cavaliere era convinto che lei fosse un ragazzo e un altro momento per riconoscere il suo nome. I de Burgh erano una famiglia potente, nota per il bell'aspetto dei suoi membri come per l'abilità nel combattimento. Se il volto di costui era un indizio, le voci erano veritiere, ma, più importante per Emery rispetto a una faccia attraente, era la reputazione d'onorabilità della famiglia. I cavalieri erano tenuti a proteggere i deboli e gli indifesi, onorare le donne e prestare aiuto a coloro che ne avessero bisogno, ma non tutti tenevano fede ai loro voti. Invece un de Burgh... Ogni cosa riguardo a quell'uomo, dagli abiti al portamento, parlava di ricchezza, potere e privilegi quali Emery non aveva mai conosciuto. Non aveva appena desiderato l'arrivo di un salvatore in grado di affrontare chiunque? Di certo Nicholas de Burgh era uno dei pochi in grado di farlo... ma quali erano le possibilità che un simile, famoso personaggio di colpo apparisse alla sua porta? Non fidarti di nessuno, l'aveva ammonita Gerard. Sollevando lo sguardo sul grande cavaliere, Emery si chiese se l'avvertimento del fratello includesse quell'uomo, che appariva al contempo gentile e affidabile; ma altrettanto le sarebbe apparso un Templare o un fratello Ospitaliere, tutti votati al servizio di Dio. Eppure Gerard l'aveva messa in guardia contro di loro. 20
Batté le palpebre, incerta, e sarebbe rimasta così per sempre se un altro giovane uomo non fosse emerso dagli alberi per darle uno sguardo indagatore. «Il mio signore è stato ferito combattendo contro un Templare che ha attaccato questo Ospitaliere e tu faresti meglio a fargli la cortesia di una risposta. Tu sei Emery o no?» Lei sbiancò. Il Templare! Presto si sarebbe fatto vivo, su indicazione dei fratelli al comando. Gerard non aveva nominato un de Burgh, l'avvertimento che le aveva dato riguardava il Templare. Deglutì a fatica. «Sì, sono Emery. E Gerard è stato qui, ferito, ma è andato via prima che io mi svegliassi» rispose. «Stavo giusto andando a cercarlo.» «A piedi?» ribatté il giovane con ovvio scetticismo. «È mio fratello» rispose lei. Mentre l'altro continuava a guardarla con sospetto, Nicholas de Burgh annuì alla sua affermazione e lei sentì una subitanea vicinanza con il grande cavaliere. A disagio, distolse lo sguardo, perché non aveva niente in comune con un personaggio così importante. E tuttavia avrebbe preferito fidarsi di lui che del Templare e comunque aveva poche possibilità di aiutare Gerard da sola. Si schiarì la gola. «Mi aiuterete a cercarlo, mio signore?» Trattenne il respiro mentre aspettava la risposta dell'uomo con un'ansia che non aveva niente a che fare con l'affetto per Gerard. 21
«Puoi cavalcare con Guy, il mio scudiero» concesse lui ed Emery emise un lungo respiro di sollievo. Guy borbottò una protesta, ma dopo un'occhiata del suo padrone le fece cenno di raggiungerlo. Nel saltare a cavallo dietro di lui, Emery si rese conto dei problemi inerenti al viaggiare con due maschi. Anni prima, quando era solita accompagnare Gerard, lui era stato al corrente del suo travestimento. Adesso era obbligata a nascondere la verità, perché nessun uomo avrebbe tollerato un simile comportamento da parte di una donna adulta. A dispetto delle sue preoccupazioni, sentì i timori precedenti abbandonarla, rimpiazzati da una certa eccitazione. Di nuovo a disagio, si ricordò dell'avvertimento di Gerard e decise di non fidarsi di nessuno, non importava quanto attraente o potente fosse. Tuttavia, mentre Guy avvicinava il proprio cavallo al destriero del cavaliere, Emery ebbe la strana sensazione che avrebbe seguito Nicholas de Burgh anche in capo al mondo. Se soltanto avesse potuto.
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