MICHELLE STYLES
La concubina del vichingo
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Paying the Viking's Price Harlequin Historical © 2013 Michelle Styles Traduzione di Graziella Reggio Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici novembre 2014 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 947 del 25/11/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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Yorkshire settentrionale, inizio di marzo 876 La sua terra. Sua e di nessun altro, conquistata con la spada e ottenuta grazie alla benevolenza del sovrano. Brand Bjornson s'inginocchiò sul suolo scuro e prese una manciata di terreno scaldato dal sole. Lo strinse tra le dita e ne sentì la ricchezza. Dopo più di un decennio di guerre e conflitti non sognava altro: una tenuta in cui mettere radici per creare il suo angolo di paradiso. Finalmente. Ormai non era più un mercenario senza beni, destinato a una morte rapida, ma uno jarl, con un vasto possedimento che attestava il titolo. Halfdan, prima capo del felag conquistatore della Northumbria e al momento suo sovrano, aveva mantenuto la promessa e gli aveva assegnato una proprietà di valore, tra le migliori della regione. Con un sorriso, Brand guardò la polvere che gli ricopriva la mano. Tra i vichinghi non capitava spesso che venisse onorata una vecchia promessa; alleanze e lealtà stavano in 5
equilibrio sulla punta della spada e seguivano il tintinnio delle monete. Si rialzò per ammirare le dolci colline. L'erba primaverile cominciava a spuntare tra le secche zolle invernali. Era tutto suo, fin dove spaziava lo sguardo. Brand aveva combattuto tanto per averlo, da Bisanzio alle terre selvagge della Northumbria. Se l'era guadagnato e sarebbe stato un buon signore. Di cattivi lui ne aveva già conosciuti fin troppi in vita sua. «Incendiamo i granai vuoti per impartire una bella lezione?» gli propose Hrearek, suo compagno d'armi e braccio destro, indicando con un cenno alcune costruzioni fatiscenti. «Qui ci sono di sicuro risorse che tentano di nasconderci lasciando i pascoli senza bestiame, pecore e cavalli. Tutta uguale questa gente della Northumbria. Stessi trucchi e tentativi di ingannare. Ci credono stupidi perché non adoriamo il loro Dio e abbiamo usanze diverse, io però sento l'odore dell'oro e delle provviste a dieci passi di distanza. E in questo posto non mancano, nonostante le apparenze.» «Siamo venuti per stabilirci, non per razziare. Per me il tempo della spada è finito.» Brand si pulì le mani nelle brache. Nella brezza di marzo aleggiava il sentore della primavera, ma non solo. Era giunto il momento di guardare al futuro e chiudere con il passato sanguinario. Rinato a nuova vita, Brand avrebbe riorganizzato quei terreni per adattarli alle sue esigenze. «È arrivata l'ora di piantare e coltivare. I sudditi capiranno che conviene comportarsi bene con il nuovo signore. E quando mi conosceranno, saranno ben contenti di avermi come jarl.» «E sei convinto che si arrenderanno così?» Hrearek schioccò le dita. «Proprio qui è scoppiata la rivolta. 6
Hanno bisogno di una lezione da non dimenticare tanto in fretta.» «Non hanno scelta. Ormai i ribelli sono stati sconfitti. La mia stessa spada ha ucciso il loro capo e ti ha salvato la vita.» Brand scrollò le spalle. In fondo la guerra non era altro che un gioco in cui il vincitore prendeva tutto. Così andava il mondo e gli abitanti della Northumbria lo sapevano. Per questo erano insorti anziché accettare la perdita di ogni potere quando i norreni, dieci anni prima, avevano sconfitto i loro padri e fratelli a Jorvik. «Halfdan è il sovrano. Chiunque si rivolti, verrà punito ed espropriato dei terreni.» «E ti sposerai? Farai venire da casa la bella Sigfrieda? Ne parlavi in continuazione.» Brand scrutò il cielo sereno. In passato l'idea di conquistare la mano di Sigfrieda aveva guidato ogni sua mossa, ma ormai non pensava più a lei da mesi. Era stato troppo impegnato a reprimere la ribellione e ottenere finalmente una proprietà terriera. Si sforzò di rammentare il suo aspetto, i folti capelli d'oro che rilucevano al bagliore delle candele, di rivedere i suoi lineamenti regolari. Per lui sarebbe stata una moglie ideale, mite e discreta. Insieme loro due avrebbero cresciuto parecchi figli robusti. «Questo è il piano.» Tastò la cicatrice sul collo e si ricordò di quando era stato scacciato, sanguinante e malconcio, dalla dimora del padre mentre questi giaceva sul letto di morte. Ai tempi era noto come il figlio bastardo di un'amante rinnegata che osava esprimere le sue opinioni. «Dopo che mi sarò sistemato, manderò un messaggio a suo padre. Se la sorte sarà favorevole, la leggiadra fanciulla arriverà prima che l'autunno renda difficoltosa la traversata. Mi occorrono figli maschi 7
per essere certo che tutto ciò che ho fatto non si disperda al vento.» Il suo braccio destro annuì senza discutere. Hrearek non era un vero amico, ma solo un compagno d'armi; non era necessario che conoscesse al completo la sua storia. «Sono davvero colpito. Nel realizzare i tuoi programmi non hai mai incertezze né esitazioni. Mi auguro soltanto che la fortuna mi assista allo stesso modo. Nel nome di Freya, mi piacerebbe tanto avere una donna che apre le gambe e mi regala un figlio.» «Il mio sogno mi ha aiutato a sopravvivere nei momenti più bui. Adesso è arrivato il momento di realizzarlo.» Brand indicò il castello anglosassone, fiero e pronto a sfidarlo. Gli occupanti avrebbero presto appreso chi era il nuovo padrone. «È giunta l'ora di prendere possesso delle mie terre e di capire quanto fosse davvero impoverito Lord Egbert» concluse Brand. «I norreni! Sono arrivati i norreni!» L'alto grido echeggiò per la sala. Lady Edith s'immobilizzò, lasciandosi cadere in grembo il fuso. Se lo aspettava da settimane, sin da quando aveva ricevuto notizia della morte del marito durante la rivolta contro il sovrano di Jorvik, comandante dei norreni. Il suo consiglio di evitare la ribellione era andato purtroppo inascoltato. Ormai Egbert era stato ucciso in battaglia e lei era costretta ad affrontare le conseguenze delle sue azioni. Ringraziò in silenzio Dio perché le provviste erano per la maggior parte al sicuro e i terreni apparivano brulli e improduttivi, come sempre dopo l'inverno. 8
Nulla rivelava agli invasori il loro effettivo valore. «Cosa facciamo, cugina? Ci sono i vichinghi! Non è rimasto più nessuno a difenderci. Siamo rovinate!» esclamò Hilda, scattando in piedi e spargendo sul pavimento di pietra lana e fusarole. «Rovinate, ti dico!» «Speriamo che se ne vadano in fretta come sono venuti, senza fare tanti danni.» Edith appoggiò con cautela il fuso sul baule e raccolse la lana e le tre fusarole di terracotta che riuscì a trovare. Una, notò con un sospiro, si era incrinata. Hilda non si curò nemmeno di aiutarla, ma continuò a torcersi le mani e ripetere le stesse parole, in preda a un panico incontrollabile. «Se ne andranno?» le chiese dopo che lei ebbe raccolto l'ultima fusarola. «Certo» la rassicurò Edith stringendo tra le dita la pallina forata. «I norreni non si stabiliscono mai da nessuna parte. Arraffano quello che possono e ripartono subito.» Era la sua unica certezza. Benché da dieci anni occupassero Eoferwic, che avevano ribattezzato Jorvik, non si fermavano mai nell'entroterra. Vi si inoltravano solo per razziare bestiame, pecore e donne, uno dei motivi per cui Egbert era riuscito a reclutare tanti uomini per la rivolta. Edith arricciò il naso con disgusto. Erano barbari che non dedicavano nemmeno un pensiero alle esistenze che distruggevano. Opponendosi agli ordini del consorte, si era assicurata che le provviste essenziali venissero ben nascoste e aveva chiuso i gioielli della madre nel vano segreto nella camera padronale. A differenza di Egbert, Edith si trovava a Eoferwic quando i norreni avevano preso possesso della città e aveva visto quant'erano bravi a 9
combattere. Nonostante le affermazioni spavalde del marito, aveva dubitato sin dall'inizio che riuscisse a liberarla con il suo esercito raffazzonato, mentre tanti altri avevano fallito. Poco dopo le nozze, Egbert aveva vinto qualche duello, ma da allora era diventato pesante e impacciato. Gli abitanti della tenuta avevano di che sopravvivere fino alla tarda primavera, quando il cibo sarebbe tornato ad abbondare. Edith non intendeva permettere a uno straniero di ridurli alla fame. «Cosa farai? Di certo sanno di Eg... Lord Egbert e del suo ruolo nella rivolta. Verremo puniti tutti quanti, proprio come avevi previsto!» «Non sono affatto contenta di aver visto giusto, credimi...» borbottò lei. «Comunque sai bene cosa accadrà: saccheggi, incendi, stupri...» Tremando, la cugina sbarrò gli occhi per il terrore. Edith serrò le labbra. Se non l'avesse rassicurata, Hilda si sarebbe accasciata al suolo, insensibile a qualsiasi ragionamento, creando così un problema in più da risolvere in fretta. Si concentrò per concepire una frase tranquillizzante, anziché intimarle di dominarsi. Non si sarebbe mai umiliata al punto di adirarsi con lei. Sapeva bene con chi andava a letto suo marito negli ultimi tempi. Chiunque ne era al corrente. Sussurri e commenti erano circolati per l'intero castello, fino a darle l'impressione di essere compatita da tutti quanti. Edith non sopportava la pietà. Questo non significava che approvasse la relazione della cugina con il marito, al contrario. Tuttavia conosceva il vero carattere di Egbert sotto la maschera allegra che mostrava agli ospiti e a chiunque potesse tornargli utile. Se Hilda si fosse opposta ai suoi approcci, l'avrebbe violentata. Scac10
ciarla sarebbe stato inammissibile quando Egbert era ancora vivo. E a quel punto c'erano i norreni alle porte. «Giurerò fedeltà, se si renderà necessario» dichiarò Edith con la maggior fermezza possibile. «Vedrai, Hilda: se lo farò, andrà tutto bene.» «Tu?» La cugina si portò una mano alla gola e si riprese all'istante dall'isteria. «E questo jarl accetterà la tua parola?» Lei strinse i pugni. Meritava la fiducia di Hilda. Non aveva forse amministrato bene la proprietà, facendola prosperare mentre il marito si sollazzava con la caccia e con le donne? «Dovrà. Queste terre appartengono da sempre alla nostra famiglia e non sarò io a perderle.» «Insomma, ti aspetti che ti prenda in moglie.» Hilda si batté la punta dell'indice sul naso. «Molto astuto. Vorrei tanto essere sveglia come te, anziché bella. Ti abbiglierai in sete e nastri e ti scorderai di noi.» «Non ho alcuna aspettativa» la corresse. In effetti il matrimonio con un capo norreno era la soluzione più logica, benché l'idea di risposarsi le ripugnasse. Una vedova con vasti possedimenti rappresentava una tentazione troppo grande per resistervi. «Comunque sbagli se credi che io possa trascurare la tenuta e i suoi abitanti. Tengo a tutti loro, dal primo all'ultimo.» «Tuo marito si rivolterebbe nella tomba se sapesse che sei pronta a giurare fedeltà a un sovrano norreno.» «Dieci anni fa mio padre lo fece con Halfdan a Eoferwic. È stato Egbert a tradire la parola data, non io.» Hilda scosse la testa dall'acconciatura impeccabile e imbronciò un poco le labbra carnose. «Mi aspettavo altro. Sei stata sua moglie per sette anni. Sei sicura che il re non ne terrà conto? Devi aver pur condiviso alcune sue idee.» Edith sollevò il mento. Come si permetteva di met11
tere in dubbio le sue parole, quasi fosse stata una serva? Fremente di collera, provò l'impulso di rinfacciarle alcune semplici verità. Invece prese fiato e si sforzò di dominarsi. «Quando mai io e il mio consorte abbiamo avuto le stesse opinioni?» le domandò con una certa durezza. «Ormai Egbert non è più il padrone. Ha smesso di esserlo quando ha esalato l'ultimo respiro. Del resto il castello e i terreni non erano tutti suoi. Condividevamo le responsabilità. Conosco gli accordi matrimoniali negoziati da mio padre. La tenuta era destinata a tornare in mano mia se fosse accaduto qualcosa a mio marito. Intendo tenerla al sicuro.» «Cugina, non è il momento di scherzare.» Hilda sbarrò gli occhi celesti. «Sai ben poco dell'arte della guerra. Egbert diceva sempre...» «Debbo innanzitutto prendere in considerazione la gente di qui» la interruppe con un'occhiataccia. L'ultima cosa che desiderava ascoltare erano le idee del defunto marito riguardo ai suoi numerosi difetti. «I norreni accetteranno, penso, le mie garanzie e le mie offerte. E poi passeranno alle proprietà vicine senza incendiare il castello né impormi le nozze. Qualunque cosa accada, sopravvivremo, ed è fondamentale.» Edith era incerta se intendesse convincere più se stessa oppure la cugina. «Prenderanno tutto quello che riusciranno a trasportare, matrimonio o meno.» Hilda impallidì. «Conosco i norreni! Due anni fa, a meridione, prima che mi trasferissi da te, tutte le fattorie erano in fiamme e le donne... Promettimi che non permetterai che mi succeda niente. Ho assistito ad atrocità indicibili. Mi devi proteggere, Edith! Lord Egbert te lo chiederebbe.» «Ho preso opportune precauzioni. Sono stata adde12
strata bene dai miei genitori. I vichinghi rappresentano una minaccia da tempo.» Edith le scoccò un'occhiata severa. «Siamo sopravvissuti anche in passato. Nei primi anni, i miei ospitavano persino Halfdan.» «Cosa posso fare?» si domandò la cugina torcendosi le mani. «Lord Egbert si assicurava sempre che, nelle emergenze, avessi un compito preciso da svolgere. Ripensandoci, dovrei essere io a incontrarli per prima per addolcire i loro cuori con qualche frase gentile. Tu tendi a essere troppo brusca, Edith. Consentimi di conquistare il loro rispetto con qualche sorriso.» Lei la guardò incredula. Era una proposta seria? L'idea che Hilda accogliesse gli invasori al posto suo la infastidiva da morire. Per giunta era sempre stata lei ad affidarle incarichi per salvarla dall'ira del marito. Egbert assecondava i suoi capricci solo quando gli faceva comodo. Hilda cominciò a camminare impettita per la sala, atteggiandosi a signora del castello. «Vedi, cugina, come me la cavo bene?» «Hilda, ti chiedo di andare subito alla peschiera a controllare che le chiuse siano ben serrate. Non voglio perdere pesci a causa della negligenza dei servitori» le indicò Edith a quel punto, assumendo di nuovo il controllo della situazione. «Vuoi dire...» «Accoglierò io i norreni, in abiti modesti, e spiegherò che le nostre condizioni sono misere. Già in passato abbiamo evitato incendi. Ce la faremo ancora, fidati di me.» «Dunque potrei anche non vederli? Per nulla?» Hilda si fermò sui suoi passi. «La possibilità esiste.» Edith le porse la mano. «Mi 13
faresti questo piccolo favore, cugina? Mi sentirei più tranquilla se sapessi che è tutto a posto.» «Come desideri. Adesso sei tu la padrona.» Si sprofondò in una riverenza quasi beffarda e uscì dalla sala principale in un fruscio di tessuti. Edith sospirò. Doveva pur esserci un agricoltore buono e rispettabile disposto a prenderla in moglie. Per convincerlo, gli avrebbe offerto una dote ragionevole. Il punto era trovarlo, poiché tutti sapevano che Hilda era stata l'amante di Egbert. Si picchiettò con l'indice le labbra. Tutto ciò poteva aspettare finché non fosse stata risolta l'emergenza. Occorreva concentrarsi sui problemi attuali e assicurarsi che ogni cosa procedesse con ordine. Non erano ammissibili errori. Sistemò il soggolo in modo da nascondere i capelli corvini e intanto si guardò attorno per controllare che non restasse nulla da sistemare. La maggior parte dell'oro e dell'argento era al sicuro nel vano segreto. Non era necessario verificarlo, poiché Edith era l'unica a conoscerne l'esistenza. I norreni, essendo pagani, non rispettavano chiese e monasteri, erano anzi attratti dalle loro ricchezze. Quando il padre le aveva mostrato il nascondiglio, le aveva raccontato del saccheggio di Lindisfarne e di innumerevoli altri. Tuttavia si vantava dell'alleanza con Halfdan e, con fiducia, prevedeva che Edith non ne avrebbe mai avuto bisogno. Lei era pronta a consegnare alcuni gingilli per placare la sete di denaro dei guerrieri vichinghi, tuttavia intendeva convincerli che la tenuta era povera e male amministrata affinché non imponessero tasse ingenti. Il padre le aveva inculcato simili idee sin da quando aveva fatto i primi passi nel cortile. «I norreni non si trattengono mai a lungo. Sono pre14
datori e non si stabiliscono da nessuna parte. Si spostano in fretta, senza trovare quello che è ben nascosto...» sussurrò più volte tra sé, tentando di scegliere dove aspettare. Provò e riprovò i gesti, escludendo subito l'idea di inginocchiarsi con le braccia alzate in segno di supplica. Il capo chino sarebbe stato sufficiente. Edith li avrebbe accolti, ma senza mostrarsi servile. Ce l'avrebbe fatta, era necessario. Tutti, nella tenuta, contavano su di lei perché li salvasse. Non c'erano uomini validi per combattere. Dalla rivolta non era tornato nessuno, tranne un ragazzo quasi imberbe. E questo era morto di febbre un paio di giorni dopo aver raccontato del tradimento dei norreni e della fine eroica di Egbert. Il marito aveva trovato il coraggio solo all'ultimo momento, ma almeno era accaduto e lei ne era contenta. Passi pesanti risuonarono sul selciato del cortile. Edith si premette un pugno sullo stomaco per placare la nausea. Troppo presto. Non aveva nemmeno avuto il tempo di riporre il fuso e le fusarole. Perché non era arrivato alcun avvertimento? Come mai nessuno aveva scorto i fuochi che le orde vichinghe lasciavano sempre sulla loro scia? In silenzio maledisse il defunto consorte per aver coinvolto nella rivolta tutti gli uomini in grado di battersi. Una fitta di dolore le trapassò il cranio. In seguito Edith avrebbe escogitato un modo per migliorare i sistemi di allarme. Indicò a uno dei pochi maschi rimasti al castello di levare le sbarre dalla porta. L'anziano servitore avanzò strascicando i piedi. Prima che potesse arrivarvi, il massiccio battente piombò al suolo. Sulla soglia si profilò uno degli uomini più alti che Edith avesse mai visto. Ben rasato, aveva capelli biondo cenere che ricadevano sulle spal15
le. Come un perfetto esempio di guerriero vichingo, indossava un mantello di pelliccia e brache di cuoio. In mano reggeva un'ascia bipenne, ma a catturare l'attenzione di Edith furono soprattutto i penetranti occhi azzurri e, subito dopo, il segno rosso attorno al collo. Un vero barbaro, un autentico pagano. Edith s'inumidì le labbra, ma nessun suono, a parte un verso inarticolato, le scaturì dalla gola. Tentò ancora di dare il benvenuto, però non riuscì a comandare la voce. Il terrore la pervase. Tremando, sollevò le braccia. Con gli occhi della mente vide il castello in fiamme e gli abitanti trucidati, senza che lei potesse intervenire per impedire la carneficina. Se fosse nata uomo, come si erano augurati i suoi genitori, niente di tutto questo sarebbe accaduto. Edith aveva soltanto l'intelligenza e la lingua pronta, ma al momento tutte e due parevano averla abbandonata. Pregò tra sé che avvenisse un miracolo. Il barbaro venne avanti e i suoi uomini lo seguirono, invadendo la sala. Lei arretrò fino a urtare con le gambe il baule e far cadere il fuso, che rotolò sul pavimento e scomparve nella paglia. Era il suo preferito. Che sciocchezza preoccuparsi per un oggetto senza valore mentre la sua stessa vita era in pericolo! Del resto era tipico. Edith emise una risata simile a un singulto. Il suono la risvegliò dal panico. Fiera, raddrizzò le spalle. La sua mente eguagliava quella di tanti uomini, compreso il colossale norreno che la guardava truce, tastando il manico dell'ascia. «È consuetudine attendere risposta prima di abbattere la porta» osservò. La fermezza della propria voce le diede coraggio. 16
Era alla pari con quella montagna umana, non era una sua schiava. «È consuetudine salutare il nuovo signore con prontezza e cortesia. A giudicare dall'accoglienza ricevuta, credevo che il castello fosse abbandonato da tempo.» La profonda voce virile risuonò per la sala. Edith si stupì che pronunciasse tanto bene la sua lingua. I guerrieri vichinghi incontrati a Eoferwic, ammesso che la conoscessero, avevano un accento così marcato da dare l'impressione di parlarne un'altra. Lui invece aveva soltanto una lieve cadenza straniera. «Abbiamo saputo troppo tardi del vostro arrivo» ribatté Edith, sostenendo il suo sguardo feroce. «Per dare il benvenuto occorre un preavviso adeguato.» «Questo non cambia la situazione. Il vostro nuovo signore è qui. Meritavo un'accoglienza migliore di una porta sbarrata.» Nuovo signore? Mentre assimilava la notizia, Edith sentì lo stomaco contrarsi. Cosa significava? Dunque il sovrano norreno aveva deciso di darla in moglie a costui? Un brivido le percorse la schiena. Nonostante quanto dichiarato poco prima a Hilda, non aveva alcun desiderio di risposarsi. E di sicuro non con un gigante che pareva capace di schiacciarla con una mano sola. Avrebbe forse accettato un uomo colto, amante degli studi e della musica e pronto a rispettarla per la sua intelligenza. Ne aveva avuto abbastanza della brutalità con il primo marito. Respinse il pensiero. L'importante non erano i suoi sentimenti, ma la proprietà. «Siete voi il nuovo signore?» L'uomo confermò con un cenno e negli occhi gli balenò un lampo. «Così ha stabilito il sovrano.» «Io sono Lady Edith, signora del castello. Prima di me, ne era signore mio padre. Il re norreno Halfdan 17
non mi ha inviato alcun messaggio.» Sollevò il mento in segno di sfida. Grazie al cielo, dieci anni prima, suo padre era stato tanto saggio da genuflettersi per baciare l'anello di Halfdan. «Mio padre era amico del vostro monarca. Lo ospitò qui nei primi tempi del regno, dopo l'incendio di Eoferwic.» Il barbaro inarcò con arroganza un sopracciglio. «Negate forse che questa tenuta apparteneva al ribelle Egbert di Breckon?» Edith fece una smorfia. «Il mio defunto consorte.» «È morto ribellandosi contro il re, commettendo un tradimento di una viltà inaudita.» «Il castello è della mia famiglia da tempo immemorabile. Io e il mio sposo ne condividevamo la custodia. Quando Egbert di Breckon ha esalato l'ultimo respiro, il possesso delle terre è tornato all'istante a me, poiché non ho generato alcun erede.» «È così, dunque?» «Quando sposai Egbert di Breckon, Halfdan acconsentì a rispettare l'accordo. Ho una pergamena con il suo sigillo.» Alzò il capo, preparandosi a rivolgergli la fatidica domanda. Era il momento di scoprire le intenzioni del re vichingo rispetto a quel gigante, altrimenti Edith sarebbe crollata al suolo in un tremito convulso. Doveva conoscere il proprio destino. Era sopravvissuta a Egbert; ci sarebbe riuscita anche con quel norreno. «Quindi il sovrano desidera che noi due ci uniamo in matrimonio?» Il guerriero incurvò gli angoli della bocca e la esaminò da capo a piedi. Edith si costrinse a tenere le braccia lungo i lati del corpo, ma era ben consapevole di avere un fisico sgraziato, con fianchi troppo larghi. Le sarebbe tanto piaciuto essere minuta e graziosa come Hilda, il genere di donna che qualunque uomo a18
vrebbe deciso di sposare nel giro di un istante, non solo per acquisire terreni e ricchezze. «Il vostro consorte ha infranto la promessa di fedeltà al sovrano. Perché Halfdan dovrebbe onorare gli accordi con vostro padre?» dichiarò infine. «Mi ha assegnato tutti i terreni di Egbert come ricompensa per i miei servizi.» Quella montagna umana aveva ucciso in battaglia Egbert? Il ragazzo aveva accennato alla rottura di una tregua e a un'imboscata in cui era stati massacrati tutti gli insorti. Edith accantonò il pensiero e si concentrò. La situazione era peggiore del previsto. La sua intera esistenza era a repentaglio. «Mio marito ha agito contro il mio parere. Noi che siamo rimasti qui non abbiamo mai mancato di lealtà. Nel nome della pace e dell'amicizia con mio padre, sono più che certa che Halfdan richiede una qualche forma di matrimonio.» Edith tese il braccio. «Mostratemi il documento.» Gli occhi azzurri la percorsero di nuovo, più lentamente, senza lasciarle dubbi sulla sua inadeguatezza come donna desiderabile. Ossuta e spigolosa, Edith aveva il mento volitivo e le mani chiazzate d'inchiostro, anziché candide come si richiedeva a una signora. Combatté contro la vampata di calore che le pervase le guance. Era già stato duro sopportare il compiacimento di Egbert mentre le rinfacciava le sue scarse qualità femminili, ma sostenere lo sguardo critico di quello straniero era davvero umiliante. «Non ci sono condizioni per il dono, milady» le rispose a voce abbastanza alta perché tutti lo udissero. «Le terre e il castello mi sono stati regalati da Halfdan. Non ho un bisogno pressante di una moglie. Il re cono19
sce le mie idee riguardo al matrimonio e sa che tipo di donna desidero in sposa.» «Errore mio...» ammise lei in un sussurro, poi si costrinse a inchinarsi. La bile le montò in gola. Gli era bastata un'occhiata per scartarla come possibile consorte. «Sì, infatti. E con ciò la discussione è chiusa. Mi dichiaro signore supremo di queste terre.» Avanzò di un passo e abbatté l'ascia sul pavimento di pietra. Il colpo echeggiò nell'ampio locale. Edith rifletté in fretta. Signore supremo? Forse era il miracolo in cui aveva sperato. Aveva tratto conclusioni troppo affrettate pensando alla necessità delle nozze. «Saremo felici di pagarvi la decima, se mi dimostrate che affermate il vero. Perdonatemi, ma la mia esperienza con altri norreni è limitata e so che, a volte, le differenze linguistiche generano confusione. Avete un documento che indichi la somma da versare?» «Vi ostinate a fraintendermi, milady.» Il guerriero strinse le dita sull'ascia. «Le terre di Egbert di Breckon sono confiscate, poiché si è ribellato contro il suo legittimo sovrano. Qui non avete più alcun diritto, tuttavia non ho malanimo nei vostri confronti. Potete andare via incolume, se partite all'istante.» Edith sentì il sussulto dei servitori, schierati alle sue spalle. Le lacrime le spuntarono agli occhi. Era la sua casa, la sua terra, la sua gente. Non aveva mai approvato la ribellione di Egbert, che le aveva soltanto procurato guai. Era vittima di una grave ingiustizia. Si morse la lingua. Occorreva tatto, non vuote parole di protesta. Il marito aveva capeggiato la rivolta fino alla sua disastrosa conclusione. A quanto sapeva, era stato uno degli ultimi a cadere. Una morte eroica, aveva mormorato il ragazzo. 20
«Le proprietà sono a nome mio e io non mi sono mai opposta al sovrano. Resteranno mie finché Halfdan non invierà un documento che dichiari altrimenti. So che è un uomo d'onore.» Incrociò le braccia al petto. Doveva prendere tempo. «Ignoro come si proceda nei luoghi da cui provenite, ma qui in Northumbria esigiamo una prova più attendibile di un'ascia bipenne e una porta sfondata.» Fissò il norreno con sguardo di sfida, sforzandosi di non far caso all'arma che stringeva con nervosismo. Sarebbe bastato un colpo per mozzarle il capo come, a quanto si diceva, era capitato a molti. Attese la risposta con il cuore che martellava nelle orecchie. Una rauca risata risuonò alle spalle del gigante, rompendo il silenzio. «Ha fegato questa signora della Northumbria, bisogna ammetterlo» commentò uno dei guerrieri. «Non tanti fronteggiano a testa alta Brand Bjornson né osano discutere con lui.» «Forse dovrebbero» disse Edith con la maggior fermezza possibile, benché sentisse cedere le ginocchia. Ormai lei era stata davvero disertata dalla fortuna. Brand Bjornson in persona reclamava le sue terre. Era considerato uno dei capi più feroci, un nome sussurrato dalle balie ai bambini per spaventarli. Aspettò per qualche istante con il fiato sospeso. Se lui avesse sollevato l'ascia, sarebbe stato il suo ultimo respiro. Bjornson la fissò con i suoi occhi feroci, intento a riflettere. Edith si costrinse a sostenere lo sguardo. Infine lui allentò la presa sull'ascia e rilassò le spalle. Lei fu sopraffatta dal sollievo. Dunque sarebbe sopravvissuta. L'idea la colmò di un'insensata euforia. «Mi dispiace, milady, ma vi sbagliate. Il castello e i 21
terreni appartengono a me.» Infilò le dita nella cintura e ne estrasse un frammento di pergamena. «Il re aveva previsto che qualcuno avrebbe messo in dubbio le mie parole. Tutto è in ordine, con il sigillo e la data. Chiamate il prete per leggere ad alta voce.» «Non è necessario. Mio padre ha provveduto a insegnarmi a leggere.» Notando la sua espressione interrogativa, lei si affrettò ad aggiungere: «Non apprezzava molto il sacerdote». «Un uomo assennato.» Edith guardò il documento, ma vide le parole roteare davanti agli occhi. Tutti i beni di Egbert erano stati assegnati a Brand Bjornson, compreso il castello e i suoi terreni. I nomi delle proprietà erano bene indicati, ma il proclama non era indirizzato a nessuno in particolare. Il sovrano non si era nemmeno curato di rivolgersi a lei. Non la teneva in nessuna considerazione. Un nodo le si formò in gola. Stava perdendo tutto nel giro di pochi istanti. Quanto le sarebbe piaciuto stringere il collo tozzo di Egbert! Suo padre aveva commesso un grave errore nel costringerla a sposarlo, convinto che avesse bisogno di un guerriero forte. Eppure Edith avrebbe potuto amministrare la tenuta da sola. «Anche se diventerete il padrone dei terreni, riuscirete a conquistare il cuore di chi ci lavora? Non ho mai visto un guerriero vichingo trattenersi a lungo in un posto. Senza dubbio il vostro sovrano vi chiamerà di nuovo per servirlo» azzardò Edith, senza concedersi il tempo per riflettere e spaventarsi. «Ora che ho letto la pergamena, sarò lieta di versarvi un'imposta ragionevole e di tenere tutto in ordine. Conosco questa terra e i suoi abitanti.» «E avete il loro cuore, anche se tutti gli uomini abili 22
sono defunti? Potete garantire che nessuno si ribellerà ancora contro Halfdan o i suoi successori?» «Oso pensarlo.» Edith sollevò il mento. «La mia famiglia amministrava la tenuta già da lungo tempo. Ci vivono persone oneste e leali. I ribelli hanno seguito mio marito e non torneranno più.» Un sorriso sardonico gli incurvò le labbra. «Secondo la mia esperienza, la pancia piena garantisce la lealtà più del sangue o delle tradizioni.» Un sogghigno si levò tra le fila dei guerrieri. «Che razza d'uomo obbedisce a una femmina?» Edith serrò la mascella e ignorò il commento, che le ricordava troppo l'atteggiamento di Egbert. Aveva dimostrato al marito che si sbagliava e, potendo, lo avrebbe provato anche a Brand Bjornson. Indicò ai servitori di non muoversi. Dove sarebbe potuta andare? In un convento? A lavorare come una schiava? Le sarebbe toccato di certo, se si fosse presentata senza un soldo. Egbert l'aveva minacciata tante volte in questo senso. Essere uccisa da un colpo d'ascia era preferibile a morire di stenti. Edith aveva un'ultima possibilità. «Dovreste consentirmi di dimostrare quanto affermo. Qui posso rendermi utile. Voi siete un guerriero; siete capace di gestire una grande tenuta? Io sì. Mettetemi alla prova!» esclamò.
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