956 - La resa di Miss Fairbourne - M. Hunter 957 - L'erede dei MacLerie - T. Brisbin 958 - Il leone e l'usignolo - B. Stuart 959 - Fascino creolo - L. Martin 960 - Scandalo per il visconte - M. Hunter 961 - Scherzi del destino - M. McPhee 962 - Intrigo a corte - J. Landon 963 - La promessa del crociato - A. Herries 964 - I segreti di Mademoiselle Lyon - M. Hunter 965 - La ricerca di Lady Aria - J. Ruesch 966 - Il tocco di un ribelle - H. Dickson 967 - Seduzione vichinga - J. Fulford 968 - Scommessa con il gentiluomo - M. Hunter 969 - II segreti di Justine - C. Merrill 970 - La proposta di Lord Delsey - A. Herries 971 - Tra luce e ombra - A. McCabe 972 - Gli eredi perduti di Pembrook: Sebastian L. Heath 973 - Il passato della cortigiana - B. Stuart 974 - L'abito scarlatto - S. Mallory 975 - Una rosa nella tempesta - B. Joyce
BRONWYN STUART
Il passato della cortigiana
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Behind the Courtesan Carina Press © 2013 Bronwyn Stuart Traduzione di Maria Chiara Balocco Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici giugno 2015 Questo volume è stato stampato nel maggio 2015 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 973 dello 08/06/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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Gli uomini e le donne del ton non pensano che dietro ogni cortigiana c'è una donna, la quale, in circostanze diverse, sarebbe potuta diventare duchessa. O magari regina. Da qualche parte sulla via della perdizione Inghilterra, 1805 I leoni hanno le loro leonesse, i maharaja il loro stuolo di mogli e gli sceicchi i loro harem. Si direbbe che, a qualunque specie appartengano, tutti i maschi ritengano sia una loro prerogativa, e un loro diritto, l'avere diverse femmine a loro totale disposizione. Gli uomini del ton in questo non fanno eccezione. Sophia Martin sbuffò e gettò il volume rilegato in pelle sul pavimento umido della carrozza. Il sesso, non c'era altro che quello. Famiglia e doveri, patria e sovrano, tutto quanto passava in secondo piano per i maschi smaniosi di soddisfare i loro appetiti sessuali. 5
Inspirò profondamente e a lungo, trattenendo il fiato e contando sino a quattro prima di espirare. Faceva sempre così ogni volta che l'ansia minacciava di sopraffarla. Quel trucco aveva funzionato spessissimo, in passato. Ma non in quel momento. Non quando si preparava ad affrontare l'ostacolo più grande di sempre. Blake. Una morsa simile a un groviglio di rovi le serrò lo stomaco e il suo respiro tornò a farsi affannoso, mentre le sue mani madide tormentavano il velluto color lavanda dell'abito da viaggio. Non avrebbe saputo dire cosa la spaventasse maggiormente, se trovarsi accanto a un neonato o tornare sui luoghi in cui aveva visto la propria vita andare in pezzi. Sentiva già il biasimo che la risucchiava e la risputava, sconfitta e abbattuta. L'immagine di una folla inferocita armata di forconi acuminati, in attesa del suo arrivo, le attraversò la mente. Perché mai Matthew le aveva chiesto di assistere alla nascita del suo futuro nipote o nipotina? E perché lei gli aveva risposto di sì, infliggendosi il tormento di assistere a un'esperienza che pareva destinata a non vivere mai di persona? Lacrime cocenti le bruciarono gli occhi mentre le mani le scivolavano sul ventre. Era tardi, ormai, per cambiare idea, troppo tardi per farsi venire dei rimpianti. Quando la vettura smise di sobbalzare e scricchiolare, il silenzio si fece opprimente. Sophia attese che il cocchiere saltasse giù dal predellino e l'aiutasse a scendere. Non accadde nulla. Si alzò, incurvando la schiena in modo da non sbattere la testa contro il tettuccio e aprì lo sportel6
lo. La ragione per cui il vetturino non aveva fatto il suo lavoro le stava davanti agli occhi: il cortile in terra battuta della locanda si era trasformato in un pantano di fanghiglia nerastra, che avrebbe inghiottito i suoi stivaletti di morbida pelle di capretto, e non solo quelli, se lei fosse saltata giù da sola. Nemmeno a parlarne. A denti stretti, si rivolse al vetturino: «Johnson». «Signora?» «Scendete e fate il lavoro per cui vi pago.» Uno sbuffo, seguito da una risatina sommessa, accompagnò la risposta dell'uomo. «Non mi pagate abbastanza per una simile sfacchinata.» Se avesse potuto immaginare che la parsimonia le sarebbe costata quell'affronto, di certo avrebbe speso volentieri un po' di più. D'altra parte, quella era l'assistenza che doveva aspettarsi avendo ingaggiato la sola persona disposta ad accompagnare una cortigiana nel bel mezzo del nulla, durante l'inverno più umido che si ricordasse da anni. Sophia rimpianse di non aver accettato l'offerta del Duca di St. Ives, che le aveva messo a disposizione la propria carrozza con cocchiere. Ma al momento di decidere la volontà di mantenere l'anonimato aveva avuto la meglio. Nessuno doveva conoscere la sua destinazione. «Vi pagherò un'altra ghinea se scendete ad aiutarmi.» Johnson sbuffò ancora e la vettura oscillò leggermente. «Nemmeno per tutto l'oro di Londra, ragazza mia.» «Non vi aspetterete certo che io scenda da...» Sentì il labbro tremolare, e strinse i denti imponendosi di mantenere la calma. «Oh, fate un po' come volete. Io non ho fretta, 7
posso anche starmene qui seduto tutto il giorno...» «Portatemi sul retro» sibilò Sophia. «Stessa cosa anche di là, la pioggia ha ridotto tutto in fanghiglia.» Imprecando sottovoce, la giovane guardò verso l'ingresso della locanda, dove una piccola folla si era radunata per assistere a quello che si preannunciava come il diversivo del giorno. Considerando che quella gente doveva ben aver raggiunto la loro destinazione in qualche modo, si guardò intorno sperando di scorgere delle assi o un vialetto lastricato che portasse fino alla soglia, ma le sue speranze quel giorno parevano destinate a non realizzarsi. «Scommetto un boccale di birra che cade a faccia in giù!» gridò una voce sghignazzante dalla porta aperta. «E io due che finisce col culo per terra!» Gli avventori scoppiarono in una risata sguaiata. Esasperata e stizzita, Sophia fu sul punto di mettersi a urlare, poi però riuscì a dominare la rabbia. Stringendo i denti, esclamò: «Offro io tre birre a entrambi se mi procurate aiuto!». I due ceffi si guardarono e, per un istante, la speranza rifiorì. Ma fu di breve durata. «Niente da fare, bellezza.» «Quattro?» Di nuovo, inutili lacrime le bruciarono gli occhi e le parve che le sottane dell'abito si fossero fatte pesanti tanto si sentiva stanca. Questa volta nessuno si prese la briga di rispondere e continuarono a guardarla sghignazzando. «Cosa abbiamo qui, ragazzi?» La voce che giunse dall'interno non era affatto divertita. Sophia inspirò a fondo e incominciò a contare. 8
Non si era aspettata d'incontrarlo così presto. Non si sentiva pronta. Si raddrizzò quanto glielo permise il tetto della vettura. La spessa pioviggine le impediva di vedere chiaramente da dove provenisse la voce, ma un uomo – dalla sagoma insieme nota eppure sconosciuta – non tardò molto ad apparire, riempiendo con la sua mole l'intero vano della porta della locanda. «Sei proprio tu, piccola Sophie?» Anche a quella distanza, lei avvertì il peso del suo sguardo su di sé e sentì stringersi il petto. Da quanto tempo nessuno la chiamava piccola Sophie! Strinse le labbra, cercando di ignorare il tono sarcastico della voce. «Presumo che vogliate una mano, signora?» chiese di nuovo lui dal suo riparo sotto il portico. «Se non vi dà troppo disturbo.» Sophia attese, mentre Blake procedette a sfilarsi gli stivali di pelle consunta e a levarsi le spesse calze di lana. Dopodiché arrotolò le rustiche braghe da lavoro sino alle ginocchia, scoprendo i lunghi polpacci muscolosi, il tutto sotto lo sguardo divertito di quel branco di zotici sghignazzanti. Sophia aveva così freddo che le labbra smisero di ubbidirle e i denti presero a battere. «Non c'è bisogno che vi svestiate per venirmi a prendere.» «Col vostro permesso, questo pantano si è già inghiottito un mio paio di scarpe, oltre alle assi della passerella, e non ho intenzione di lasciarci nient'altro. D'altra parte, non so proprio perché vi prema tanto di scendere, sono certo che la vostra bella carrozza è molto più confortevole della mia locanda.» Nemmeno le bocche dell'inferno avrebbero potuto essere meno confortevoli, pensò Sophia. E alme9
no nella locanda sarebbe stata al caldo. Quando Blake mosse il primo passo attraverso quella fanghiglia gelida, Sophia cedette alla curiosità e osservò com'era cambiato l'uomo che avanzava verso di lei. I capelli castani ondulati erano tagliati corti, attraversati da un riflesso dorato come un solitario raggio di sole che spunti da un cielo nuvoloso. Ad attirare maggiormente il suo sguardo – e a trattenerlo, come ipnotizzato – furono però le braccia. Muscoli possenti modellavano le spalle e gli avambracci che tanti anni prima non erano stati che pelle e ossa. Un repentino, inatteso calore le invase il petto mentre Sophia immaginava la stretta di quelle forti braccia attorno al proprio corpo. Furiosa con se stessa, si costrinse a riportare l'attenzione alle circostanze presenti. «Ecco il vostro cocchio, mia signora.» Blake sporse quelle braccia verso di lei e attese, senza cercare il suo sguardo. «Non penso proprio che sia una buona idea. Peso più di quanto sembri.» Le avrebbe stretto le mani attorno alla vita? Emanava davvero tutto il calore che sembrava? Blake sollevò un sopracciglio, squadrandola con palese disapprovazione, risalendo dagli stivaletti grigi lungo l'abito da viaggio stazzonato e macchiato, soffermandosi sulle rotondità della scollatura e incontrando – infine – gli occhi. L'inscrutabile profondità delle sue iridi le tolse il respiro. Fino a quando lui non parlò. «Sono abituato a spostare le mucche nel recinto... penso di potermela cavare anche con voi.» Al suono delle risate e delle pacche sulla schiena 10
che salutarono quella replica, Sophia sentì avvampare le guance. Il suo nervosismo fece sì che le parole le uscissero di bocca più taglienti e insieme petulanti, persino un po' infantili. «Come vi permettete di parlarmi in questo modo!» sbottò. «Dov'è il proprietario? Forse lui si comporterà da gentiluomo e verrà in mio soccorso.» «Ne dubito, duchessa. Ora ditemi: preferite che vi prenda in braccio o volete salirmi in spalla?» Alzò il mento, sdegnosa. «Non oserete.» La bocca incurvata in un sorrisetto luciferino, Blake avanzò di un passo, e troppo tardi lei ricordò che qualsiasi tipo di rifiuto aveva sempre costituito una sfida per lui, da ragazzo. A differenza del corpo, evidentemente, il suo cervello era rimasto quello di allora. «Decidetevi.» Ma Sophia non prestò molta attenzione a quel che diceva. Si sorprese invece a chiedersi di cosa potessero essere capaci quelle mani forti e quelle braccia possenti. Stava delirando, pensò. Non c'erano altre spiegazioni. Perché, certamente, quattordici anni di assenza da quella che lei chiamava casa li avevano trasformati in perfetti estranei. O no? In un attimo, il mondo si ribaltò e lei si ritrovò a testa in giù, la guancia premuta contro la ruvida lana della giacca che ricopriva la schiena di Blake. Mentre si dibatteva cercando di scivolare dalla sua spalla, lui strinse la presa. «Piantala, o ci ritroveremo entrambi a sguazzare nella melma.» A quelle parole, Sophia si dibatté con ancora maggiore foga, sino a quando una larga mano calda si piantò saldamente sulla sua natica. Immobilizzata dallo sconcerto, incapace sulle prime di profferire parola, sentì l'altra mano afferrarle una coscia per tenerle ferme le gambe. I suoi gesti non erano 11
stati bruschi e nemmeno le sue mani la stavano palpeggiando in modo lascivo, ciononostante non erano richiesti e non le erano graditi. Erano anni che non permetteva a un uomo di toccarla senza il suo consenso e nemmeno Blake l'avrebbe fatta franca, oh, no! Strinse i denti e cominciò a cercare un appiglio nel caso quell'imbecille avesse avuto l'intenzione di lasciarla cadere. Riuscì a infilare i pollici di entrambe le mani nella cintola delle sue brache consunte: in tal modo, se l'avesse fatta scivolare nel fango, lei avrebbe trascinato con sé anche un po' della sua dignità. «Cosa diamine stai facendo?» gridò lui in tono allarmato e sobbalzando. «Hai le mani ghiacciate!» «Se mi lasci cadere, Blake, sappi che i tuoi pantaloni verranno giù con me.» Se pensava di dare spettacolo di fronte a quella gente, avrebbe fatto in modo di non essere l'unica buffona in quel numero. I muscoli del dorso si contrassero sotto di lei, mentre lui tentava di soffocare una risata. «Non c'è nulla di divertente» lo apostrofò furiosa, abbarbicandosi come poteva per non scivolare. Il corpo di lui tornò a sussultare. «È l'evento più memorabile della giornata.» Sophia protestò con un brusco scatto, cercando di assestarsi meglio in quella scomoda posizione. Ma fu allora che accadde l'impensabile. Sentì che i possenti muscoli si contraevano mentre lei scivolava giù. La stretta di Blake divenne un morsa nel tentativo di trattenerla e Sophia finì sbatacchiata a destra e a sinistra mentre lui cercava di raddrizzarsi. Invano. Una delle cortigiane più ricercate di Londra, fino a un attimo prima gettata come un sacco di patate 12
sulla schiena di uno zotico, con le mani indecentemente infilate nella cintura delle sue brache, ora stava annaspando assieme a un uomo nel futile tentativo di mantenere l'equilibrio, slittando e scivolando infine nel fango gelato a pochi passi dalla soglia della locanda. La melma era infinitamente più soffice delle pietre o dei forconi o delle invettive, ma per l'orgoglio ferito si rivelava altrettanto dura. La risata era sorta nel profondo del suo petto, e crebbe fino a quando Blake non fu più in grado di contenerla. Era l'ultimo suono che lui stesso avrebbe desiderato udire, ma la situazione era davvero troppo ridicola. Dai rumori che stava emettendo, capì che Sophia doveva aver assaggiato qualcosa di più sgradevole ancora del suo umore di quel momento, fatto che scatenò i lazzi e le battute licenziose degli uomini che assistevano alla scena. «Lo hai fatto di proposito!» strillò lei, schizzando fango dalle mani, con gesti irati. «Niente affatto» replicò, il volto ancora increspato da un sorriso. Sapeva che non gli avrebbe creduto, ma davvero non era stata sua intenzione lasciarla cadere. «L'ultima cosa di cui avevo bisogno oggi era di annaspare nel fango con Vostra Altezza.» «Smettila di stuzzicarmi e aiutami, piuttosto.» Non si usavano, a Londra, le buone maniere? Non gli aveva chiesto per favore una sola volta da quando Blake aveva intravisto la sua elegante vettura attraverso la finestra della locanda. Poiché tanti anni prima se n'era andata in piena notte senza una parola di spiegazione, lui aveva sempre pen13
sato che quando fosse ritornata l'avrebbe fatto di nascosto, con la coda tra le gambe, implorando perdono e accoglienza. Ma era probabile che lei avesse dimenticato tutto della sua vita precedente, lui compreso, nel momento stesso in cui aveva scelto la carriera della cortigiana. La risata si spense quando lui la guardò, e la vide veramente... come la donna che era diventata. Il volto incorniciato dai capelli neri come la notte aveva ancora lineamenti familiari, ma i tratti distintivi della fanciulla di un tempo non c'erano più. Le efelidi che le punteggiavano le guance, motivo di spietata presa in giro da parte sua, le increspature del sorriso attorno agli occhi, le fossette sulle guance, ora talmente pallide che l'epidermide pareva quasi trasparente... tutte sparite. Be', c'era da aspettarselo quando una poltriva a letto tutto il giorno dedicandosi ad attività esclusivamente notturne. Quell'amara considerazione interruppe bruscamente il filo dei suoi pensieri e portò con sé una ventata di rabbia. Quella non era la Sophie Martin che andava a pescare con lui quando aveva dieci anni. Quella ragazzina avrebbe riso sino a farsi mancare il fiato se fosse finita nel fango. Non era certamente più la stessa di cui lui si era innamorato, soltanto per venir tradito e abbandonato senza una parola, un cenno. Era una donna ora, e le scelte compiute ne avevano fatto una reietta. «Ti sei già insozzata l'abito di fango, col mio aiuto. Meglio se fai da sola.» Lei lottò per alzarsi, ma ricadde goffamente nel pantano. «Blake, perché mi stai facendo questo?» mormorò. Accidenti! Si sarebbe detto che stesse trattenen14
do a fatica... delle lacrime? In quel momento, mentre l'odio lottava con il suono familiare della sua voce, Blake si rese conto che continuava a non sopportare di vederla turbata. Imprecò sottovoce e, alzatosi a fatica, le porse la mano. «Niente scherzi?» chiese lei a voce bassa, le ciglia imperlate. «Hai la mia parola.» Esitando, Sophia accettò la sua mano e per un attimo Blake si sentì invadere dalla vergogna al pensiero di come si era comportato. La sorpresa di rivederla gli aveva sicuramente dato alla testa. La raccolse fra le braccia e se la appoggiò al petto, portandola all'interno della locanda, entrambi gocciolanti fanghiglia puzzolente. Ignorò i commenti dei presenti che gli suggerivano cosa fare di Sua Altezza e tentò anche d'ignorare la ferita d'orgoglio che la rendeva rigida come un pezzo di legno fra le sue braccia, benché sapesse di esserne lui il responsabile. «Mi dispiace, Sophie.» «Pensi che questo ritorno sia facile per me, Blake?» Il tremito nella voce, lo sguardo rivolto al suolo mostravano tutta la sua vulnerabilità e lo fecero sentire ancora peggio. Era davvero un poco di buono. Sin dal momento in cui Matthew gli aveva annunciato il possibile ritorno di Sophie, Blake l'aveva attesa con ansia e ora che lei era giunta... ecco che si affrettava a rovinare tutto. Le scuse che stava per rivolgerle andarono immediatamente perdute, perché Sophia proseguì: «Quando sono partita di qui, avevo giurato a me stessa che non ci avrei mai più messo piede». 15
Lo aveva detto come se il villaggio fosse stato un covo di appestati. «Perché sei tornata allora? Se per te è così terribile essere qui, come mai non te ne sei rimasta a Londra?» «Sono venuta perché me lo ha chiesto Matthew.» «Non hai mai risposto a nessuno dei suoi inviti prima di oggi.» L'accusa gli uscì di bocca prima che potesse rimangiarsela. In fondo, non erano affari suoi. Un'espressione smarrita adombrò il volto di Sophia, che gli voltò le spalle, la mano sulla porta. «Le cose sono cambiate, ora.» «Almeno cerca di mostrarti felice quando arriverà.» Non voleva sapere come erano cambiate le cose. Per lui tutto era rimasto come prima. La stessa locanda, lo stesso lavoro, la stessa vita, tutto uguale. Mentre Blake si voltava per andarsene, poiché doveva avvertire il fratello di lei, Sophia riprese a parlare. «Ero nervosa. Preoccupata, se proprio lo vuoi sapere. Forse persino spaventata.» «Oh?» sbottò lui. Quella confessione era irrilevante di fronte alla noncuranza con cui lo aveva trattato, ignorandolo per anni. Ora voleva confidarsi con lui? La rabbia così a lungo covata lo istigò di nuovo a pronunciare parole sferzanti. «Spaventata da me, forse? O all'idea di affrontare tuo fratello? O di trovarti in mezzo alla campagna senza domestiche e senza lacchè?» Le spalle di Sophia si sollevarono sotto l'impulso di una brusca inspirazione, in uno scatto d'ira. «Hai dimenticato da dove vengo? Sono perfettamente in grado di cavarmela senza servitù, grazie tante.» 16
Come se lui potesse dimenticarlo. C'erano state nella sua vita soltanto due donne che aveva amato senza riserve ed entrambe lo avevano abbandonato senza una parola e senza rimpianti. Un tradimento impossibile da dimenticare. O perdonare. «Eri una ragazzina allora. Cosa è successo a quella Sophie?» «La stessa cosa che è capitata al bastardo del duca. Siamo cresciuti.» Blake strinse i denti fino a che gli dolsero le gengive, per riuscire a trattenere l'impulso irrefrenabile di metterle la mano davanti alla bocca impedendole così di pronunciare altre parole. «Crescendo, io sono diventato quello che le oscure circostanze della mia nascita mi destinavano a essere, un uomo qualunque con un destino qualunque.» «E io allora?» Sophia incrociò le braccia sul petto. «Pensi che al mondo sia importato qualcosa della mia nascita? O credi che fosse scritto nel mio destino che sarei diventata una cortigiana?» «No.» Blake si sentì invadere da una profonda tristezza, una sensazione che aveva provato soltanto e sempre quando c'era di mezzo lei. «Sei tu che hai scelto. Nessun altro lo ha fatto per te.» «Esatto. E nonostante quel che tu credi, la mia vita è piena e felice. Ho imparato ad accettarla da tempo.» Se lo avesse guardato negli occhi ripetendo ancora una volta che era felice, si sarebbe certamente rivelata per quello che era diventata: una bugiarda, oltre che un trastullo per ricchi clienti. La collera gli fece montare il sangue alla testa finché Blake non fu più in grado di vedere se non la donna che Sophie avrebbe potuto essere. La moglie che sarebbe potuta diventare. L'amore che avrebbero condiviso. Se. Strinse le palpebre e quando le riaprì la Sophie 17
dei suoi sogni si era di nuovo trasformata in Sophia. Non doveva alcun tipo di rispetto o cortesia speciale a quella donna. Non era obbligato a provare nulla per lei in modo che potesse nuovamente spezzargli il cuore quando sarebbe ripartita. Meglio lasciarla andare dal fratello. «Ad accettarla supinamente, come fai con i tuoi clienti?» le chiese. Il rumore dello schiaffo rimbalzò sulle pareti. Subito dopo averlo colpito, Sophia spalancò la porta che dava sul corridoio per andarsi a rifugiare nella saletta privata. Blake rimase dov'era, nella penombra, massaggiandosi la guancia in fiamme e maledicendo la propria linguaccia. Le aveva praticamente dato della sgualdrina. Ma nonostante tutte le accuse che le rivolgeva, nella sua mente, lei era sempre la sua Sophie. La piccola Sophie, che aveva tante volte portato in spalla quando la strada da percorrere era troppo lunga o il fiume troppo profondo. Le aveva pulito le ginocchia quando se le era sbucciate, l'aveva tenuta in braccio in modo che potesse raggiungere le mele più succose sui rami più alti, l'aveva baciata per la prima volta in primavera, in mezzo a un prato fiorito. Ma non avrebbe mai potuto perdonarla per essersene andata senza una parola. Non poteva perdonarle gli anni di silenzio che erano trascorsi da allora né le sue maniere di quel giorno. Non poteva e, a essere onesti, non lo voleva nemmeno.
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