Grs984 un campione per lady

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968 - Scommessa con il gentiluomo - M. Hunter 969 - II segreti di Justine - C. Merrill 970 - La proposta di Lord Delsey - A. Herries 971 - Tra luce e ombra - A. McCabe 972 - Gli eredi perduti di Pembrook: Sebastian L. Heath 973 - Il passato della cortigiana - B. Stuart 974 - L'abito scarlatto - S. Mallory 975 - Una rosa nella tempesta - B. Joyce 976 - Sedotta da un principe - K. Hawkins 977 - I misteri di Belryth Abbey - A. Everett 978 - Gli eredi perduti di Pembrook: Tristan L. Heath 979 - Nel castello del Lupo - M. Moore 980 - Gli eredi perduti di Pembrook: Rafe L. Heath 981 - Una seconda opportunitĂ - J. Justiss 982 - La rosa e la spada - B. Joyce 983 - Intrighi d'autunno - A. Gracie 984 - Un campione per Lady Matilda - M. Fuller 985 - Innocente seduzione - S. Bennett 986 - Il segreto del soldato - M. Kaye 987 - Il Diavolo di Jedburgh - C. Robyns


MERIEL FULLER

Un campione per Lady Matilda


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Innocent's Champion Harlequin Historical © 2014 Meriel Fuller Traduzione di Francesca Tilli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici settembre 2015 Questo volume è stato stampato nell'agosto 2015 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 984 dello 01/09/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


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Inghilterra sudoccidentale, estate 1399 «Cos'è quello? In fondo al vestito! Il mio vestito.» La voce di Katherine si levò stridula e indispettita dall'interno della portantina. Matilda, che le camminava a fianco di buon passo, rallentò l'andatura e si guardò l'orlo della veste. La nauseante calura pomeridiana le faceva appiccicare alla pelle il corpetto di seta arricciata, e il collo alto, abbottonato stretto fino alla pallida curva del mento, le dava un senso di costrizione. La sorella aveva insistito per farle indossare quell'abito elaborato, con un mantello azzurro, sostenendo con una smorfia che nel suo guardaroba non ci fosse nulla di adeguato a una visita al Santuario di Nostra Signora di Worlebury. «Ebbene?» insistette Katherine con tono petulante, sbirciando dalle cortine a motivi floreali. «Santo cielo, smettete di sballottarmi in questo modo!» proruppe rivolta ai servitori che, stanghe in spalla ai quattro angoli della portantina, cercavano di tra5


sportare la loro signora con tutta la cautela possibile lungo la strada sconnessa. Quindi si lasciò ricadere sui cuscini imbottiti, pallida in viso, con il ventre arrotondato proteso nell'ombra. Matilda si voltò da una parte, poi dall'altra, cercando di individuare il problema alla veste. La liscia seta blu si increspava sotto una cintura di gemme, portata alta intorno all'esile busto. Uno dei cavalieri al servizio del cognato, in testa al gruppo su un destriero imponente, sogghignò sotto il camaglio, per poi riportare subito lo sguardo di fronte a sé. Che rida pure, pensò lei. Era avvezza a essere rimproverata dalla sorella maggiore e non se ne curò più di tanto. Quasi al termine della gravidanza, Katherine era molto sofferente e quel caldo sfiancante non aiutava. «Non è niente» rispose. «È solo un riccio di bardana che si è attaccato all'orlo.» Si chinò e tirò via l'erbaccia, lanciandola sul ciglio del sentiero. I serici capelli castano scuro, raccolti in due trecce arrotolate ai lati della testa, risplendevano sotto il sole che filtrava tra gli alberi. La ricercata acconciatura era coperta da una fine retina, tenuta ferma da un sottile cerchietto d'argento. «Per favore, Matilda, vieni a sederti insieme a me» disse Katherine sporgendo la testa dalle spesse tende di velluto che le garantivano un po' di discrezione. C'era, nella sua voce, una certa disperazione nervosa. Aveva il viso gonfio e un colorito cereo che le accentuava i cerchi violacei sotto gli occhi. Matilda osservò la posizione del sole. La luce intensa si riversava tra i faggi che costeggiavano la 6


strada e a tratti le foglioline verdi, sollevate da qualche alito di vento, lasciavano cadere fasci brillanti sul suolo inaridito. Non pioveva da settimane. «Non farebbe che rallentarci, Katherine» le spiegò. Uno dei portantini davanti si asciugò la faccia con la manica. «Siamo quasi al fiume, non manca molto ormai.» Fu colta dal senso di colpa quando lesse lo sgomento negli inquieti occhi azzurri della sorella. «Camminerò più vicino, accanto a te.» Le strinse la mano. «Ti senti bene?» le chiese subito, sconvolta da quanto fosse fredda e senza nerbo. La reticella ingioiellata di Katherine scintillò quando lei annuì piano. «Sento il bambino scalciare» mormorò. «È un buon segno, no?» «Sì che lo è» le assicurò Matilda in tono più convinto di quanto non fosse in realtà. Aveva il palmo bagnato del sudore freddo di Katherine. Il terrore negli occhi della sorella le diceva che stava ricordando la spaventosa volta precedente. E quella prima ancora. «Pensi che le nostre suppliche funzioneranno? Avrò pregato abbastanza?» Matilda annuì, rivolgendole un sorriso rassicurante. Lo sperava. Dubitava che Katherine potesse sopportare l'ennesimo travaglio infruttuoso, l'ennesimo bambino incapace di vivere, di respirare. John, il marito, aveva insistito perché si recassero al santuario il più spesso possibile, dotandole di una portantina, di una scorta di servitori e di due suoi cavalieri. Quella gravidanza doveva avere buon esito. Gli serviva un erede. Un erede maschio. Presa dall'inquietudine, Matilda calciò un sasso 7


con lo stivaletto di cuoio, facendolo rotolare nell'erba alta al margine della strada. Sebbene Katherine avesse quattro anni di più e fosse sposata, spesso era lei a sentirsi la sorella più matura, che doveva badare all'altra, proteggerla. Era rimasta a guardare Katherine tutto il giorno, inginocchiata sulla dura pietra grigia della cappella, a mormorare le sue preghiere, a invocare la Vergine Maria perché le concedesse un figlio vivo, mentre le lacrime le rigavano il bel viso perfetto. Aveva dovuto aiutarla ad alzarsi, quasi trascinarla via dall'effigie di legno intagliato: era come se volesse restare lì per sempre, come se le probabilità di successo del parto dipendessero dal tempo che vi avrebbe trascorso. Matilda toccò la spalla della sorella in un gesto di supporto. Il ricamo a rilievo dell'abito le solleticò i polpastrelli. «Il bambino nascerà presto e starà bene. Devi smettere di angustiarti, Katherine...» «Cosa mi farà John se...» «Non devi neppure pensare a certe cose.» Matilda le strinse forte le dita. Doveva dire ciò che Katherine voleva sentire, pur essendo la prima a non crederci. «John ti ama.» «Ho bisogno di fermarmi... subito.» La voce di Katherine esprimeva una nuova urgenza. Cercò gli occhi della sorella, in segno di intesa. «Ho bevuto troppo» disse, piegandosi sul ventre rigonfio. Matilda fece cenno ai servitori di abbassare la portantina, quindi sorresse Katherine per un braccio per aiutarla a scendere. «No, restate qui» ordinò agli uomini che, liberati dal pesante carico sulle spalle, si sgranchivano le 8


braccia per alleviare l'indolenzimento ai muscoli affaticati. «Mia signora?» Uno dei cavalieri era smontato da cavallo. «Dovrei venire con voi...» si offrì esitante, facendo scivolare lo sguardo sul grembo prominente della donna. Ma insomma, questi uomini!, pensò Matilda, notando il rossore del giovane soldato. Trattavano la gravidanza come una malattia, qualcosa di cui avere vergogna, sebbene fosse la cosa più naturale del mondo. Sapeva che man mano che il bambino cresceva Katherine aveva necessità sempre più frequenti, e in mancanza di agi... be', doveva accontentarsi del riparo offerto da alberi e cespugli. Prese il proprio arco dalla portantina e si mise la faretra in spalla. Colse il sorrisetto di un servitore alla vista dell'arma. Che pensassero ciò che volevano, si disse irritata. Non faceva mai male a una signora sapersi difendere, soprattutto se, come lei, aveva una situazione familiare precaria. «Non occorre, non ci vorrà molto. Andremo al di là di quel ponticello, dentro quel rudere dietro gli alberi.» Indicò un basso ponte per cavalli da soma sopra il rapido corso del fiume e una torre crollata. Prese Katherine sottobraccio e le due sorelle si incamminarono con passo greve attraverso l'erba soffice e ondeggiante della riva. Risalirono con lentezza la ripida pavimentazione del ponte. Katherine aveva il viso arrossato, imperlato di sudore. «Questo caldo, questo caldo mi fa stare così male» ansimò al culmine della salita. Si fermò, piegandosi in avanti e appoggiandosi con 9


una mano al parapetto pericolante. La sua manica smerlata formava un grazioso arco sulla pietra riscaldata dal sole. «Perché non ti togli il mantello?» le suggerì Matilda con un'occhiata al velluto di seta rosso drappeggiato sulle spalle della sorella. Faceva il paio con quello azzurro che indossava lei, allacciato al collo con una catenina d'argento e appuntato da una parte con un fermaglio di perle. Katherine rabbrividì e fissò sconcertata la sorella. «E dovrei farmi vedere in pubblico senza mantello? Sei forse impazzita? Ma insomma, Matilda, non hai alcun senso del decoro!» L'altra fece spallucce. «Ho solo pensato che saresti stata più fresca. Non dovresti neanche viaggiare nelle tue condizioni. Mi stupisco che John...» «È proprio lui che ha insistito» la interruppe Katherine. «Sai com'è fatto.» Sì, pensò Matilda, purtroppo sapeva bene com'era fatto John. Arrogante e dispotico, di temperamento irascibile, era insopportabile nei momenti migliori e dieci volte peggio se le cose non andavano secondo il suo volere. Sposando Katherine non aveva fatto mistero della propria gioia nell'ereditare metà del patrimonio di Lilleshall: il castello di Neen, con le sue grandi distese di fertili pascoli. E adesso pareva non accontentarsi più, aveva iniziato a lasciar cadere allusioni ben poco velate riguardo al fatto che avrebbe controllato anche l'altra metà, il maniero e la tenuta di Lilleshall stessi, ancora appartenenti alla madre di Katherine e a Matilda. Matilda condusse con cautela la sorella al di là 10


del ponte, fino all'ombra discreta della torre in rovina. Katherine le strinse le dita affusolate intorno al braccio con una forza inaspettata. «Rimarrai con me, Matilda? Fino a che non darò alla luce il bambino? Ho bisogno di averti a Neen... me lo prometti?» «Katherine, sai che devo tornare a Lilleshall... È una promessa che non posso farti.» Sollevando le gonne, Katherine si fece strada in mezzo all'ammasso di pietre cadute, scoccando alla sorella uno sguardo arrabbiato. «Solo perché la nostra inetta madre si rifiuta di fare ciò che dovrebbe!» «Sei ingiusta, Katherine! Sai bene in che stato è caduta dalla morte di nostro padre.» Matilda si sistemò dietro l'orecchio un ricciolo sfuggito. «Devo accertarmi che tutto proceda bene alla tenuta.» «Sì» mormorò la sorella, avanzando tra i massi muscosi con una buffa andatura barcollante. «Perdonami, so quanto soffra nostra madre. È solo che sono così preoccupata per questo bambino...» «Starò con te più che potrò» la rassicurò Matilda, dandole dei colpetti sulla mano, ma la sua voce suonò falsa alle sue stesse orecchie. C'era così tanto da fare a Lilleshall in quel periodo dell'anno! Sebbene le colture fossero state seminate e stessero prosperando bene con quel clima caldo, adesso doveva occuparsi dei primi raccolti. «Mi vedono?» Raccogliendosi le gonne intorno alle ginocchia, Katherine si addentrò impacciata nel sottobosco dietro la torre, dove gli ispidi cardi sel11


vatici le graffiavano i ricami delicati. Le farfalle svolazzavano placide sulla vegetazione selvatica: spighe piumate dai toni purpurei, ciuffi di acetosa, denti di leone a frange gialle. «Aspetta, fammi controllare.» Matilda poggiò un piede su una scala fatiscente che percorreva in diagonale una parte di muro e sbirciò la scorta. Due dei servitori ne avevano approfittato per sedersi sul suolo asciutto e riposare le schiene stanche contro la portantina. Uno dei due masticava indolente uno stelo d'erba, sorbendone la freschezza. Colse il riso malizioso di uno dei cavalieri che, con il capo piegato, ascoltava l'altro raccontare qualche licenziosità. «No, non possono vederci» le annunciò ridendo piano e saltellando con grazia giù dal gradino. «Siamo ben nascoste.» Katherine si accovacciò, chiudendo gli occhi con sollievo. «Che aspetto ho?» domandò, dopo essersi tirata su, con l'aiuto della sorella, e aver risistemato il vestito. Matilda inclinò la testa da un lato e un sorrisetto canzonatorio le incurvò le labbra. «Ho sentito bene? Stai chiedendo a me che aspetto hai?» dichiarò con finto sconcerto. «E da quando in qua ti fidi del mio giudizio in materia?» Katherine si passò una mano languida sulla fronte. «Non burlarti di me, Matilda. Sai che John mi vuole sempre al meglio. Ho qualcosa fuori posto?» «Sei perfetta, come sempre» le assicurò Matilda. I capelli bruni della sorella si erano mantenuti ripartiti in due identici, rigidi torciglioni ai lati della te12


sta. Tutti i bottoncini sullo stretto colletto erano a posto. Sulla raffinata stoffa rossa non c'erano foglie, macchie né polvere. Era fonte di costante sorpresa per la loro madre che, nonostante le due figlie si somigliassero tanto, non avrebbero potuto essere maggiormente diverse quanto al carattere e all'approccio alla vita. Mentre Katherine era sempre curata, Matilda era disordinata e trasandata; riservata e leziosa era l'una, polemica e ostinata era l'altra. D'un tratto, un grido squarciò l'aria. L'urlo furioso di un uomo. Impressionata da quell'aspro suono gutturale, Matilda strinse il braccio di Katherine e si mise in ascolto. Si udì un rumore spaventoso di legno spezzato, un clangore di metallo. Di là dal fiume i cavalieri imprecarono allarmati. «Dio Onnipotente!» Katherine si accasciò tra le braccia di Matilda, gli occhi spalancati per la paura. «Che succede?» L'aria pesante fu attraversata dall'inconfondibile sibilo di una freccia. Poi di un'altra, scoccata con maestria. Matilda conosceva bene quel suono, le era familiare. La paura la raggelò. «Resta qui!» Balzò di nuovo sui gradini, trascinando la seta leggera sulla pietra grezza. Da quell'osservatorio privilegiato, con il viso pallido e preoccupato celato dall'ombra delle fronde, vide con orrore un cavaliere crollare da cavallo in preda all'agonia, afferrandosi una spalla. Il sangue gli colava tra le dita, impregnando il sorcotto. Mentre faceva girare il cavallo, l'altro cavaliere sguainò la spa13


da, gettando lo sguardo tutto intorno, per avvistare gli aggressori. I servi, accortisi di cosa stava accadendo, si misero a gridare e a correre qua e là, cercando febbrili nella portantina le armi che avevano portato per difendersi. «Matilda? Cosa sta succedendo?» Katherine era in piedi in fondo alla scala e si proteggeva il grembo con un braccio. «Ssh! Sta' giù!» Sentendo le ginocchia venire meno, Matilda conficcò le dita nei calcinacci frantumati in cerca di una presa, di equilibrio. Si scansò dal punto aperto che era stato un tempo una finestra e si addossò al muro, il cuore che le martellava nel petto. «I cavalieri sono stati attaccati!» sussurrò con urgenza. «Katherine, va' via da qui. Devi nasconderti!» «Ma tu?» Matilda sollevò l'arco. «Li terrò lontani più che potrò. Devi andartene, Katherine. Subito! Trova un posto sicuro!» Con un movimento esperto delle redini, Gilan, Comte de Cormeilles, indusse il proprio destriero a rallentare al passo, spronandolo a raggiungere il gruppo di cavalieri radunati sulla sponda del fiume. Sotto il pesante pettorale di metallo il sudore gli faceva pizzicare la pelle. Non vedeva l'ora di toglierselo di dosso. Le piastre degli spallacci tiravano sui muscoli delle braccia, le dita gli prudevano nei guanti di maglia. Se li sfilò, gettandoli a terra, quindi si slacciò l'elmo e lo posò sul collo del cavallo. La lieve brezza gli soffiò tra i capelli, sollevando le 14


ciocche di un biondo brillante, dando refrigerio alla cute. Tra le folte ciglia nere, i suoi occhi penetranti, metallici, percorsero l'area in cui si erano fermati. «Ti va una nuotata?» Henry, Duca di Lancaster, gli andò incontro a grandi passi sul terreno fangoso calcato dagli zoccoli, muovendosi con grazia a dispetto del fisico tarchiato. Diversi cavalieri si erano già spogliati delle armature lucenti, abbandonate alla rinfusa in mezzo ai cavalli. Immersi nel fiume che scorreva rapido, lanciavano grida di gioia, schizzandosi manciate di acqua limpida come bambini. Gilan porse l'elmo a uno dei soldati. Il metallo brunito scintillò sotto il sole pomeridiano. «Sei sicuro che ne abbiamo il tempo?» domandò con aria accigliata. «Ci restano ancora diverse ore di luce.» Henry sorrise. «Gli uomini sono stanchi, Gilan. Non tutti hanno la tua resistenza. E, a mio parere, in un paio di giorni saremo a destinazione. Riposiamoci qui per stanotte e rimettiamoci in marcia domattina.» Gilan annuì con un'alzata di spalle. Qualunque cosa Henry decidesse faceva poca differenza per lui. Alla fine sarebbe dovuto tornare a casa dai genitori, ma era lieto di rimandare quel momento il più a lungo possibile. Si massaggiò soprappensiero la coscia, cercando di alleviare il dolore alla cicatrice. Quindi fece passare la gamba sopra la groppa del cavallo e smontò. «Dovresti risparmiarti un po' di più» suggerì Henry all'amico, dandogli una pacca sulla schiena. «Molti dei miei uomini non sono in forma come te. 15


Devo accertarmi che tu non li sfinisca, altrimenti saranno inutili quando troveremo Re Riccardo.» «Purché ci teniamo in guardia, Henry.» Gilan osservò i cavalieri nell'acqua, socchiudendo gli occhi argentei. «Ricordati che questo paese ci è ostile.» «Come posso scordarlo?» replicò Henry adombrandosi. Si passò una mano tra i capelli ramati. «Esiliato in Francia dal mio stesso cugino, il re, solo perché potesse mettere le sue luride mani sui miei possedimenti.» «Ed è per questo che siamo qui.» Gilan gli sorrise, scoprendo i denti bianchissimi. «Per riprenderceli.» Raccolse le redini e si diresse verso la riva, scostando il cavallo sudato. Lo stallone gli spintonò una spalla con il muso, smanioso di raggiungere l'acqua. Alcuni dei cavalieri avevano guadagnato il centro del fiume e stavano ora nuotando dove la corrente era più forte e profonda; altri invece erano usciti e, le brache gocciolanti, si asciugavano su grossi teli di lino che avevano tratto dalle bisacce. Più avanti, dove il flusso si restringeva attraversando i prati, delle rondini si tuffavano a pelo d'acqua, catturando insetti volanti. Gli stivali al polpaccio di Gilan, già sporchi per il viaggio, si chiazzarono di melma tutto intorno alla suola. Henry gli si fece accanto con indosso soltanto una camicia bianca sul petto robusto e le brache. «Sei sicuro di non voler venire?» ripeté. Gilan scosse il capo. «Più tardi.» Strattonò il cavallo che, incalzato dalla sete, tirava le briglie. Un nugolo di zanzare vorticava sulla superficie dell'acqua e lui si schiaffeggiò il collo, infastidito. 16


Un grido rauco lacerò l'aria umida. Poi un altro. Il fragore infranse il torpore pomeridiano. Gilan lasciò cadere le redini all'istante. Afferrò con le dita magre e abbronzate l'elsa ingioiellata della spada e la sguainò, producendo un lungo fischio metallico. «Tu e anche tu!» Additò un paio di cavalieri ancora vestiti. «Venite con me, subito.» Henry stava già arrancando fuori dall'acqua. «No, tu rimani qui» gli gridò Gilan secco. «Io non sono indispensabile. Tu sì.» Malgrado la pesantezza del pettorale, Gilan correva a una velocità sorprendente per un uomo della sua corporatura, agile e forte come un gatto, con falcate rapide e sicure. Lasciata in fretta la riva assolata dove stavano facendo sosta, lui e gli altri due cavalieri risalirono il fiume fino al punto in cui entrava nel bosco. Grossi faggi lasciavano ricadere sull'acqua, come trecce splendenti, i rami delicati, solleticando la superficie a specchio. Non aveva avuto il tempo di prendere l'elmo e la sua folta capigliatura dorata brillava nell'ombra sotto gli alberi, dove l'aria si ammassava opprimente, vagamente sinistra. Erano trascorsi soltanto un paio di mesi da quando lui e Henry si erano addentrati nelle foreste ghiacciate della Lituania? Squarciando l'impenetrabile sottobosco dove le cavalcature non potevano avanzare, abbattendo ortiche e rovi gelati? La neve a tratti era così profonda che i cavalli erano stati costretti ad avanzare dentro fossi artificiali, tra pareti di ghiaccio. Lui aveva goduto di quegli stenti, del17


l'impossibile paesaggio che avevano dovuto aggirare, di quelle condizioni tanto rigide, ostili. Gli si confacevano, si addicevano al suo stato d'animo dopo che... Scrollò il capo con prontezza, per scacciare quei pensieri. Il dolore gli montò dentro, ma lo soffocò. Non ci avrebbe pensato adesso. Si acquattò sulla proda, con una spallata a un alto cespuglio di lucide felci, ordinando ai cavalieri, con un gesto deciso, di fare lo stesso. Riusciva a scorgere, più avanti, una portantina adagiata sul terreno: le cortine svolazzavano nell'aria calda come ali stremate di una farfalla. Un soldato giaceva a terra con la faccia livida, una mano premuta su una spalla. Sebbene fosse immobile, lo vide sbattere gli occhi. Dietro il soldato caduto, altri uomini combattevano, azzuffandosi, prendendosi alla gola, in un incrociarsi di lame, un risuonare di ringhi. Scattò verso di loro, brandendo la spada dardeggiante con un ruggito, e si gettò nel vivo della lotta. Afferrò un uomo per il collo e lo trascinò fuori dalla mischia, prendendolo a calci dietro gli stinchi così che cedesse con facilità. «In ginocchio. Mani sulla nuca, bene in vista.» Segnalò a uno dei propri cavalieri di stare di guardia, con voce aspra, imperativa. «So... sono loro che... che ci hanno attaccati» balbettò l'uomo, cadendo in ginocchio. Il sibilo delle piume tremolanti di una freccia rasentò l'orecchio di Gilan. Si conficcò nel terreno di fronte a lui, con l'asta che vibrava con violenza per la forza del tiro. Troppo vicino! Irato, roteò su se stesso in cerca dell'arciere. Una simile scoccata po18


teva essere inferta soltanto da una certa distanza, perciò qualcuno li osservava da lontano. Perlustrò il fiume, le chiome fruscianti, i solidi tronchi, fino a un piccolo ponte di pietra, un muro diroccato macchiato di licheni giallognoli. E, da una certa altezza della torre in rovina, vide balenare furtivo lo scintillio della punta di una freccia. I suoi cavalieri stavano chiudendo lo scontro. Tre uomini erano già a terra, con le mani legate dietro la schiena, le teste chine, soggiogati. Ne rimaneva soltanto uno da abbattere e la sua situazione sembrava sempre più critica. Gilan si gettò nell'ombra, riparandosi dietro i tronchi poderosi. Avanzò senza fare rumore in mezzo al cerfoglio selvatico che gli arrivava alla vita, strusciando con le gambe i delicati fiori bianchi simili a pizzo. Non poteva oltrepassare il ponte, sarebbe stato in piena vista. Avrebbe ridisceso il sentiero di soppiatto e attraversato il fiume più a valle. L'elemento sorpresa aveva sempre giocato a suo favore.

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Un campione per Lady Matilda MERIEL FULLER

INGHILTERRA, 1399 - Di fronte al coraggio di Matilda, Gilan de Cormeilles si mette al suo servizio. E ammirato non può che sperare che anche lei provi gli stessi sentimenti.

Innocente seduzione SARA BENNETT

INGHILTERRA, 1837 - Olivia Monteith è la fondatrice del club Caccia al marito. Dominic è un barone fascinoso e impudente... nonché preda dell'intraprendente fanciulla!

Il segreto del soldato MARGUERITE KAYE

INGHILTERRA - FRANCIA, 1815 - Congedatosi dall'esercito, Jack fronteggia una doppia sfida: aiutare Celeste a risolvere l'enigma della morte della madre e resistere al fascino della giovane!

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SCOZIA, 1565 - Breghan non vuole sposare il famigerato Diavolo di Jedburgh. E Arran ritiene la sua promessa sposa troppo delicata. Il loro matrimonio combinato diventerà...


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