DEANNA RAYBOURN
Silenzi e sussurri
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Dark Road To Darjeeling Mira Books © 2010 Deanna Raybourn Traduzione di Gigliola Foglia Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Historical maggio 2011 Seconda edizione I Grandi Romanzi Storici Special maggio 2011 Questo volume è stato impresso nell'aprile 2011 presso la Mondadori Printing S.p.A. stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn) I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379 Periodico mensile n. 141 dell'11/05/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Dedica
Sono migliaia gli orrendi misfatti perpetrati con la disinvoltura di chi uccide una mosca; e, in veritĂ , niente mi affligge il cuore piĂš del pensiero di non poterne commettere altri diecimila.
William Shakespeare Tito Andronico
1 Madre, immaginiamo che stiamo viaggiando, e attraversando un paese strano e pericoloso. Rabindranath Tagore - L'Eroe
Colline ai piedi dell'Himalaya, 1889. «Pensavo ci fossero cammelli» protestai. «Pensavo ci sarebbero stati palazzi di marmo rosa e deserti polverosi e file di cammelli da cavalcare. Invece c'è... questo.» Agitai una mano indicando l'eterogenea raccolta di bovini, somari e un elefante dall'aria piuttosto annoiata che ci aveva portati fin lì dalla città di Darjeeling. Non guardai il fiume. Avremmo dovuto attraversarlo, ma una sola occhiata mi aveva fermamente persuaso a non farlo. «Ti avevo detto che era l'Himalaya. Non è colpa mia se il deserto più vicino è a quasi mille miglia. Non biasimare me per le tue scarse conoscenze di geografia» ribatté Portia, la mia sorella maggiore. Sospirò con aria drammatica. «Per amor del cielo, Julia, non fare la difficile. Sali su quel bufalo galleggiante e falla finita. Dobbiamo attraversare questo fiume prima che sia notte.» Portia incrociò le braccia sul petto e mi fissò, severa. Io rifiutai di lasciarmi intimidire. «Portia, un bufalo galleggiante non è certo un mezzo di trasporto normale. Ora, non mi aspettavo che i trasporti indiani includessero carrozze imbottite e treni a vapore, ma devi ammettere che questo 7
sistema è decisamente primitivo secondo qualsiasi parametro» ribattei, indicando con la punta del mio parasole il bordo dell'acqua, dove erano state allestite alcune zattere piuttosto rudimentali legando pelli di bufalo gonfiate a irregolari pezzi di legname. Le pelli assomigliavano in modo orribile all'animale vivo, come se i bufali si fossero rotolati sul dorso per schiacciare un pisolino, e quando il vento cambiò direzione notai che esalavano un odore molto caratteristico e sgradevole. Portia impallidì nell'avvertire quell'effluvio, ma si fece forza. «Julia, siamo inglesi. Non ci facciamo spaventare da un po' di autentico sapore locale.» Sentii la collera montare, il risultato del troppo viaggiare e del troppo tempo passato a contatto con i miei familiari. «Ho appena trascorso la gran parte dell'anno a esplorare gli angoli più remoti del Mediterraneo durante la mia luna di miele. Non è il colore locale a preoccuparmi, bensì la possibilità di morire annegata» aggiunsi, accennando con la testa alle piccole minacciose increspature sulla superficie grigioverde dell'ampio fiume. Nostro fratello, Plum, che aveva osservato con interesse il battibecco, intervenne con insolita fermezza. «Attraverseremo il fiume e lo faremo adesso, dovessi mettermi voi due sulle spalle e passarlo a guado.» La sua irritazione era montata più in fretta della mia, ma non potevo biasimarlo. Gli era stato ordinato da nostro padre, il Conte March, di accompagnare le sorelle in India, e fino a quel momento l'esperienza si era dimostrata poco piacevole. La bocca di Portia si incurvò in un sorriso. «Hai aggiunto il camminare sulle acque ai tuoi talenti, carissimo?» domandò con cattiveria. «Lo ritenevo al di là delle tue pur prodigiose capacità.» Plum abboccò all'amo e cominciarono ad azzuffarsi come una coppia di gatti selvatici, con grande divertimento dei nostri portatori che iniziarono subito a scommettere sull'esito del diverbio. «Basta!» gridai, tappandomi le orecchie con le mani. A8
vevo dovuto sentire i loro litigi fin da quando mi avevano rintracciato in Egitto, e non li sopportavo più. Mi feci coraggio e mi diressi a grandi passi verso la zattera più vicina, determinata a dare una dimostrazione di stoicismo inglese ai miei fratelli. «Andiamo dunque» ordinai. «Non è che un gioco da ragazzi.» Mi voltai a guardare, compiaciuta di vedere che avevano interrotto il loro sciocco bisticcio. «Julia...» esordì Portia. Alzai una mano. «Non dite altro. Non un'altra parola da nessuno dei due.» «Ma...» cominciò Plum. Lo squadrai. «Sono serissima, Plum. Vi siete comportati come bambini, tutti e due, e adesso ne ho abbastanza. Abbiamo tutti più di trent'anni, e non abbiamo scusanti a litigare come scolaretti viziati. Ora, proseguiamo questo viaggio come degli adulti, volete?» E con quel discorsetto, la zattera affondò sotto di me e io fui sommersa dalle gelide acque del fiume. Pochi minuti dopo i portatori mi avevano ripescata e riportata sulla terra asciutta, dove fui a un tempo seccata e sollevata nello scoprire che la mia piccola disavventura aveva suscitato nei miei fratelli tanta ilarità che erano stretti l'uno nelle braccia dell'altro e si asciugavano gli occhi per il troppo ridere. «Spero che lo troverete ancora divertente quando morirò di qualche terribile malattia» sibilai, scolando l'acqua dal cappellino. «La Santa Madre Gange può anche essere un fiume sacro, ma è lurido e ho visto abbastanza cadaveri galleggianti oltrepassarci per sapere che non è posto per i vivi.» «Vero» riconobbe Portia, asciugandosi gli occhi. «Ma questo non è il Gange, carissima. È l'Hooghly.» Plum sbuffò. «L'Hooghly è a Calcutta. Questo è il Rangeet» corresse. «A quanto pare Julia non è l'unica ad avere approssimative conoscenze di geografia.» 9
Prima che potessero scagliarsi di nuovo l'uno contro l'altro, feci un deciso starnuto cui seguì un intermezzo piuttosto caotico durante il quale i portatori si affrettarono ad allestire un falò per evitare che mi buscassi un'infreddatura e aprirono i miei bauli per fornirmi degli abiti asciutti. Starnutii un'altra volta e innalzai al cielo la fervida preghiera di non aver contratto qualche morbo virulento, qualunque fosse. Ma pur temendo per la mia salute, mi affliggevo soprattutto per la perdita del mio cappellino. Era una deliziosa creazione in tulle violetto punteggiato di farfalle in seta... per nulla pratico perfino con il sole di inizio primavera delle colline ai piedi dell'Himalaya, ma bellissimo. «Era un regalo di Brisbane» dissi tristemente rigirandomi tra le mani i lembi fradici. «Credevo ci fosse proibito pronunciare il suo nome» commentò Portia, porgendomi una tazza di tè. I portatori preparavano grandi quantità di rancido tè nero in enormi latte ogni volta che ci fermavamo. Dopo tre giorni di quella roba, era quasi arrivata a piacermi. Ne bevvi un sorso, facendo una smorfia a mia sorella. «Certo che no. È solo un lievissimo disaccordo. Non appena ci raggiungerà da Calcutta sarà tutto risolto» risposi, con molta più convinzione di quanta ne provassi. La verità era che la mia luna di miele si era conclusa in modo piuttosto repentino quando mio fratello e mia sorella erano arrivati allo Shepheard's Hotel la prima settimana di febbraio. Si avvicinava il termine della stagione archeologica, e Brisbane e io ci eravamo goduti da cima a fondo svariate cene con le diverse spedizioni quando passavano dal Cairo andando o tornando dagli scavi a Luxor. Brisbane era già stato in Egitto, e la nostra più recente capatina in campo investigativo mi aveva lasciato un'attrazione per quel luogo. Era stata l'ultima tappa del nostro prolungato tour del Mediterraneo e pertanto era stata intaccata da una sorta di malinconica dolcezza. Saremmo in breve tornati in Inghilterra, e sapevo che non avremmo mai più condiviso quel tipo di intimità che il viaggio di nozze ci aveva offerto. L'attività di 10
investigatore privato di Brisbane e la mia numerosa ed esigente famiglia lo avrebbero impedito. Proprio mentre stavamo trascorrendo quegli ultimi giorni dolce-amari in Egitto, colsi una nuova inquietudine in mio marito e, se dovevo essere sincera, in me stessa. Otto mesi di viaggio l'uno con la sola compagnia dell'altra, della mia cameriera Morag e del suo valletto Monk, ci avevano lasciati bramosi di un diversivo. Nessuno di noi due era disposto a parlarne, ma aleggiava nell'aria tra noi. Vidi le sue mani serrarsi sui quotidiani per tutto l'autunno mentre l'assassino noto come Jack lo Squartatore terrorizzava l'East End, arrivando pericolosamente vicino al rifugio per prostitute redente di mia zia Hermia. Sospettavo che a Brisbane sarebbe piaciuto occuparsi del caso, ma lui non lo disse mai, e io non chiesi. Invece ci trasferimmo in Turchia per esplorare le rovine di Troia, e alla fine gli omicidi di Whitechapel cessarono. Brisbane parve contento di intraprendere lo studio della fauna locale mentre io facevo poco convinti tentativi con gli acquerelli, ma piĂš di una volta lo sorpresi a scassinare con destrezza una serratura con le sottili verghette che portava sempre addosso. Sapevo che intendeva tenersi in allenamento, e intuii anche dai suoi occasionali mormorii nel sonno che la vita matrimoniale non lo appagava completamente. Io personalmente non gli dispiacevo, e lo manifestava con regolari ed entusiastiche dimostrazioni d'affetto. Anche troppo entusiastiche, come aveva commentato arcigno il proprietario di un albergo a Cipro. Ma Brisbane era un uomo d'azione, costretto a vivere del proprio ingegno fin dalla tenera etĂ , e la quotidianitĂ domestica per lui era un mantello difficile da portare. A dire il vero, soffocava un po' anche me. Non ero il genere di moglie che rammenda sottane o cuoce torte, e in effetti lui aveva chiarito alla perfezione che non era quello il genere di consorte che desiderava. Ma eravamo stati compagni di indagini in tre casi, e senza il pungolo del rischio mi sentivo sempre piĂš irritabile. Per quanto delizioso fosse 11
stato avere mio marito tutto per me per quasi un anno, e per quanto splendido fosse stato viaggiare in lungo e in largo per l'Europa, sentivo la mancanza di un po' di avventura, di una sfida, del genere di imprese che avevamo affrontato insieme in passato. Proprio quando mi ero decisa a sollevare l'argomento, erano arrivati mia sorella e mio fratello, gettando nello scompiglio lo Shepheard's e pretendendo che li accompagnassimo in India. Detto a suo onore, Brisbane non sembrò neppure sorpreso di vederli quando comparvero nella sala da pranzo e si accomodarono al nostro tavolo senza tante cerimonie. Sospirai, distogliendo lo sguardo dal panorama. La luna piena era sospesa sopra la città vecchia del Cairo, e riversava il suo argenteo chiarore sui minareti che trapassavano il cielo, gettando un delicato chiarore sulla città. Era una vista terribilmente romantica... o lo era stata finché non erano arrivati Portia e Plum. «Vedo che siete già arrivati al pesce. Nessuna possibilità di avere una minestra, dunque?» chiese Portia, prendendo un panino. Resistendo all'impulso di infilzarle la mano con la forchetta, guardai Brisbane, imperturbabile e impeccabile nel suo abito da sera del nero più puro, e in fretta distolsi gli occhi. Perfino dopo quasi un anno di matrimonio, talvolta mi coglieva un bizzarro senso di pudore quando lo guardavo a sua insaputa... una stranezza, l'avrebbero chiamata gli scozzesi, la sensazione che entrambi avessimo sfidato il destino godendo di troppa felicità insieme. Brisbane chiamò il cameriere e ordinò l'intero menu per Portia e per Plum, che si era buttato su una sedia e aveva assunto un'aria imbronciata. Mi guardai intorno, niente affatto sorpresa di scoprire che il nostro gruppo era diventato oggetto non solo di occhiate furtive, ma anche di sfacciata curiosità. Noi March eravamo avvezzi a sortire quell'effetto quando apparivamo in massa. Senza dubbio alcuni degli ospiti ci avevano riconosciuti – i March non sono mai stati schivi della pubblicità e le nostre eccentricità sono ben cata12
logate sia dalla stampa sia dagli osservatori della buona società – ma sospettavo che gli altri fossero incuriositi dall'eleganza sartoriale dei miei fratelli. Portia, una bellissima donna di portamento eccelso, vestiva sempre da capo a piedi di un'unica tinta, e per l'occasione aveva scelto una sorprendente sfumatura di arancio, mentre Plum, i cui abbinamenti non sono mai completi senza qualche tocco di purissimo capriccio, indossava un panciotto ricamato a papaveri e un berretto di velluto violetto. Il mio abito da sera scarlatto, che era parso così audace ed elegante fino a un momento prima, a quel punto sembrava modesto. «Perché siete qui?» chiesi loro senza preamboli. Brisbane si era appoggiato allo schienale della sedia con la stessa espressione di studiato divertimento che spesso assumeva quando si confrontava con la mia famiglia. Lui e Portia avevano un rapporto eccellente, basato su un genuino seppur cauto attaccamento, ma nessuno dei miei fratelli si era particolarmente affezionato a mio marito. Plum in particolare poteva essere molto cattivo quando veniva provocato. Portia posò il menu che stava esaminando e mi fissò con uno sguardo grave. «Siamo diretti in India, e voglio che veniate con noi, tutti e due» aggiunse, affrettandosi a includere Brisbane nello sguardo. «India! Che cosa mai...» sbottai. «Si tratta di Jane, vero?» L'ex amante di Portia l'aveva abbandonata la primavera precedente dopo vari anni di comoda e stabile convivenza. Era stato un colpo per mia sorella, anche perché Jane aveva scelto di sposarsi dal momento che desiderava bambini propri e una vita più convenzionale di quella che avevano condotto insieme a Londra. Era andata in India con il novello sposo, e da allora non avevamo più avuto notizie di lei. Ero stata a lungo preoccupata per Portia, in seguito. Era dimagrita, la sua carnagione luminosa si era spenta al punto che sembrava quasi friabile, e i suoi gesti erano a scatti e rapidi come quelli di un colibrì. «Si tratta di Jane» ammise. «Ho ricevuto una lettera. È vedova.» 13
Bevvi un sorso di vino, scoprendo che tutto a un tratto aveva un sapore acido. «Povera Jane! Dev'essere addolorata di aver perso il marito così in fretta dopo le nozze.» Portia non disse niente per un momento, ma si morse il labbro. «È in qualche genere di guaio» affermò pacato Brisbane. Portia gli lanciò un'occhiata sbalordita. «In verità no, a meno che non consideriate la maternità imminente un guaio. Aspetta un bambino, e abbastanza presto, si dà il caso. Non ha avuto un periodo facile. Si sente sola e mi ha chiesto di andare a trovarla.» Gli occhi neri di Brisbane diventarono acuti come spilli. «Questo è tutto?» Il cameriere ci interruppe, portando della zuppa per Portia e Plum e riempiendo di vino i bicchieri. Aspettammo che tornasse alle sue faccende prima di riprendere la discussione. «Potrebbe esserci qualche difficoltà con la famiglia di lui» rispose Portia, la mascella serrata. Conoscevo bene quell'espressione. Era quella che aveva sempre quando partiva alla carica contro i mulini a vento. Portia possedeva un senso della giustizia molto spiccato e all'antica. Se fosse stata un uomo, lo si sarebbe chiamato cavalleria. «Se la proprietà è assegnata secondo le regole convenzionali, il fatto che lei sia incinta potrebbe sconvolgere la successione ereditaria» ipotizzò Brisbane. «Se generasse una bambina, la proprietà andrebbe al più vicino parente maschio del marito, mentre se si trattasse di un figlio, sarebbe lui a ereditare, e finché non fosse abbastanza grande da assumere il controllo, Jane sarebbe regina del castello.» «È esattamente così» ammise Portia. Il suo viso assunse un'espressione ostinata. «Un'emerita idiozia. Una donna potrebbe gestire quella piantagione di tè bene come qualsiasi uomo. Basta guardare come Julia e io abbiamo amministrato le proprietà ereditate dai nostri mariti, per capirlo.» Mi agitai. Non mi garbava che qualcuno mi ricordasse il mio primo marito. La sua morte mi aveva lasciato con una 14
sistemazione finanziaria assai generosa ed era stata la causa del mio incontro con Brisbane, ma il matrimonio non era stato del tutto felice e il suo era un fantasma che preferivo non evocare. «Come mai Jane non conosce la situazione della proprietà?» chiese Brisbane. «Non dovrebbe esserci stata la lettura del testamento quando suo marito è morto?» Portia fece spallucce. «La proprietà è relativamente recente, fondata dal nonno di suo marito. E dal momento che la tenuta è passata direttamente dal nonno al marito di Jane, nessuno ha pensato di esaminare i dettagli. Ora che suo marito è morto, la situazione è un po' nebulosa, almeno nella mente di Jane. La documentazione rilevante è da qualche parte a Darjeeling o a Calcutta, e a Jane non va di chiedere direttamente. Pensa che potrebbe sembrare venale, e sembra credere che la questione si risolverà da sé quando nascerà il bambino.» «Credevo che suo marito fosse una specie di spiantato che andava in India a cercare fortuna. Com'è riuscito a entrare in possesso di una piantagione di tè in così breve tempo?» domandai a Portia. Lei arrossì. «Sembra che Jane abbia voluto risparmiarmi ulteriore sofferenza quando mi scrisse del suo matrimonio. Omise di precisare che il tizio era Freddie Cavendish.» Io soffocai un'esclamazione e Brisbane mi lanciò un'occhiata interrogativa, inarcando un nero, folto sopracciglio. «Freddie Cavendish?» «Un lontano... molto lontano cugino da parte di nostra madre. I Cavendish si stabilirono in India secoli fa. Credo che mamma sia stata in corrispondenza con loro per qualche tempo, e quando Freddie venne a scuola in Inghilterra, si premurò di fare visita a papà.» Plum mi lanciò un'occhiata da sopra il bicchiere di vino. «Papà subodorò in lui il mascalzone nell'istante stesso in cui quell'individuo varcò la soglia. Non appena Freddie si rese conto che non avrebbe cavato niente da lui, sparì. Fu una specie di scandalo quando terminò la scuola e rifiutò di tor15
nare dalla sua famiglia in India. Si fece un nome ai tavoli da gioco» aggiunse con un tocco di malignità. Un tempo Brisbane era solito giocare qualche mano ai tavoli quando si trovava in ristrettezze economiche, di solito per disgrazia dei compagni di gioco: aveva una fortuna non comune alle carte. Mi affrettai a soffocare qualsiasi lite si preparasse. «Come fece Jane a incontrarlo? Lui avrà lasciato la scuola almeno dieci anni fa.» «Quindici» mi corresse Portia. «Ero solita invitarlo a cena di tanto in tanto. Sapeva essere molto divertente se era dell'umore giusto. Ma persi i contatti con lui alcuni anni fa. Supposi fosse tornato in India finché un giorno non lo incontrai per strada. Ricordo che stavo per dare una cena quella sera e avevo bisogno di pareggiare i numeri, così lo invitai. Pensavo che una bella chiacchierata tranquilla fosse l'ideale, ma un migliaio di cose andarono per il verso sbagliato, e dovetti chiedere a Jane di intrattenerlo al posto mio. Si incontrarono di nuovo pochi mesi dopo, quando lei si trasferì a Portsmouth con la sorella. Freddie era amico di suo cognato e si videro spesso. Entro due settimane erano sposati e diretti in India.» Raggranellai tutti i dettagli che riuscivo a ricordare. «Mi sembra di ricordarlo come un giovanotto piuttosto piacente, con un ricciolo di capelli rosso scuro che gli ricadeva sempre sulla fronte e vagonate di fascino.» «Da adulto era uguale. Avrebbe saputo ammaliare le giarrettiere al punto da indurle a sfilarsi dalle ginocchia della regina» osservò Portia con amarezza. «Finì indebitato fino al collo e quando suo nonno in India si ammalò, lui pensò di tornare, stabilirsi alla piantagione di tè e prendere in mano la situazione.» Guardai Plum. «E tu come sei giunto ad aggregarti a questa spedizione?» domandai in tono leggero. «Aggregarmi?» Il suo viso attraente si imbronciò. «Non immaginerai certo che l'abbia fatto di mia spontanea volontà?! È stato papà, naturalmente. Non poteva lasciare che 16
Portia viaggiasse fino in India da sola, così mi ha richiamato dall'Irlanda e mi ha ordinato di mettere nei bagagli il cappello da sole. Così, eccomi qua» concluse con amarezza, accennando al cameriere di riempirgli il bicchiere del vino. Mi feci un appunto mentale di tenerlo d'occhio perché non eccedesse nel bere. Come avevo spesso osservato, un Plum annoiato era un Plum pericoloso, ma ubriaco sarebbe stato anche peggio. Riportai l'attenzione su mia sorella. «Se papà voleva tanto che avessi una scorta, perché non è venuto lui? Dice sempre che vorrebbe visitare dei paesi esotici.» Portia fece una smorfia. «Era troppo occupato a litigare con il suo eremita.» La guardai battendo le palpebre e Brisbane sbuffò, mascherando in fretta quel verso poco elegante con un colpo di tosse. «Il suo cosa?» «Il suo eremita. Ha assunto un eremita. Riteneva potesse essere un'aggiunta interessante al giardino.» «È impazzito? Chi ha mai sentito parlare di un eremita nel Sussex?» domandai, anche se non ero del tutto sorpresa. Papà amava pasticciare con la sua tenuta di campagna, anche se la sua devozione a quel luogo era tale che si rifiutava di modernizzare l'Abbazia con qualsiasi cosa si avvicinasse a un idoneo impianto idraulico o all'elettricità. Portia continuò a sorseggiare placida la sua zuppa. «Oh, no. L'eremita non è nel Sussex. Papà l'ha sistemato nel giardino di March House.» «A Londra? Nel giardino sul retro di una residenza cittadina?» Mi scagliai contro Plum. «Nessuno ha tentato di parlargli per dissuaderlo? Diventerà uno zimbello!» Plum agitò una mano in aria. «Come se fosse cosa nuova per questa famiglia» replicò. Ignorando mio marito, che stentava a controllare la propria ilarità, mi rivolsi di nuovo a mia sorella. «Dove vive l'eremita?» «Papà gli ha costruito un piccolo grazioso eremitaggio. Non ci si poteva certo aspettare che vivesse nella natura 17
selvaggia» aggiunse in tono ragionevole. «Non è molto selvaggio se è nel bel mezzo di Mayfair, no?» ribattei, alzando involontariamente la voce. Poi bevvi un sorso di vino e contai fino a venti. «Così papà ha costruito questo eremitaggio nel giardino sul retro di March House. E ci ha installato un eremita. Con il quale non va d'accordo.» «Esatto» annuì Plum. Tese la mano verso il mio piatto e, dal momento che io non opposi resistenza, si servì dei resti del mio pesce. «Come si fa poi a trovare un eremita, di questi giorni? Pensavo che fossero tutti estinti dopo Capability Brown.» «Papà ha messo un annuncio» spiegò Plum tra un boccone e l'altro di trota grenobloise. «Sul giornale. Ha ricevuto diverse risposte, in effetti. Sembra che molti uomini sognino la vita da eremita... e anche alcune donne. Ma papà ha deciso per questo tizio delle Ebridi, Auld Lachy. Pensava che avere un eremita delle Ebridi avrebbe aggiunto un tocco di fascino al luogo.» «Non ci sono parole» mormorò Brisbane. «Hanno cominciato a litigare per l'eremitaggio» spiegò Portia. «Auld Lachy ritiene che dovrebbe esserci un adeguato servizio igienico anziché un vaso da notte. E non gli garba un fuoco di torba o un letto di paglia. Vuole ottimo carbone e un materasso di piuma.» «È un eremita. Dovrebbe vivere di erbe selvatiche e frutti della terra» sottolineai. «Ebbene, questo è argomento di dibattito. In effetti lui e papà hanno intrapreso dei negoziati, ma le cose erano a un punto così delicato che lui proprio non poteva partire. E il resto dei nostri fratelli sono altrimenti impegnati. Solo il carissimo Plum se ne sedeva ozioso» disse Portia rivolgendo un sorriso da coccodrillo a nostro fratello. «Sedevo ozioso?» Plum spinse da parte il pesce. «Stavo dipingendo, come ben sai. Capolavori» insistette. «Il miglior lavoro della mia carriera.» «Allora perché hai acconsentito a venire?» domandai. 18
«Perché mai acconsento sempre a fare qualcosa?» replicò lui amaro. «Ah, i cordoni della borsa» dissi, pacata. Era il metodo di manipolazione preferito di papà. La matematica della situazione era piuttosto semplice: un padre danaroso, più una schiera di figlioli dai gusti costosi e con pochi soldi propri, uguale a un uomo che l'aveva vinta il più delle volte. Era un fatto curioso nella nostra famiglia che le cinque figlie femmine avessero tutte raggiunto un certo grado di indipendenza finanziaria, mentre i cinque maschi dipendevano quasi per intero da papà per la loro sussistenza, in un modo o nell'altro. Erano dilettanti, la maggior parte di loro. Plum si dedicava all'arte, credendosi un grande pittore quando in realtà aveva solo una mediocre tecnica con il pennello. Ma i suoi schizzi erano molto spesso straordinari, ed era uno scultore dotato anche se di rado terminava una scultura, dal momento che non gli piaceva molto l'argilla in quanto gli sporcava i vestiti. «Se potessi richiamarvi all'argomento presente» intervenne a quel punto Brisbane con garbo, «mi piacerebbe saperne di più sulla situazione di Jane. Se fosse semplicemente questione di riportarla in Inghilterra, avreste benissimo potuto farlo voi due. Ergo, avete bisogno di qualcosa di più.» Portia si mise a giocherellare con la zuppa. «Ho pensato che per voi fosse magari possibile fare un po' di lavoro investigativo intanto che ci siamo. Mi piacerebbe conoscere le condizioni ereditarie della tenuta. Se Jane avrà bisogno di assistenza, legale o d'altro genere, sarei lieta di saperlo prima che giunga il momento. Uomo avvisato è mezzo salvato» concluse, senza guardarlo. Brisbane chiamò il cameriere per avere altro vino e facemmo una pausa mentre la portata di carne veniva servita con le consuete cerimonie. Brisbane si prese un momento per assicurarsi che la sua anatra fosse cotta a puntino prima di rispondere. «Un avvocato potrebbe esservi più utile di me» sottolineò infine. «Di noi» lo corressi. 19
Di nuovo lui mi guardò sollevando un sopracciglio, ma prima che potessimo darci battaglia sulla questione del mio coinvolgimento nel suo lavoro, Portia intervenne. «Sì, certo. Ma ho pensato sarebbe stata una conclusione splendida per la vostra luna di miele. Le lettere di Jane descrivono in modo affascinante la bellezza de I Pavoni.» «I Pavoni?» Rizzai le orecchie nel sentire quel nome. Già ero attratta dall'esotismo del luogo, e sospettai che mio marito fosse già a metà strada per l'India nella sua immaginazione. «I Pavoni è il nome della tenuta, una coltivazione di tè al confine del Sikkim, vicino a Darjeeling, proprio sulle colline ai piedi dell'Himalaya.» «Il tetto del mondo» commentai, pacata. Brisbane mi scoccò il suo imperscrutabile sguardo nero e capii che stavamo pensando tutti e due la stessa cosa. «Certo che verremo, Portia» le assicurai. Le sue spalle si afflosciarono un poco per il sollievo, e per la prima volta notai le rughe di preoccupazione e dell'età incise sul suo viso. «Partiremo non appena possibile» dissi, asciutta. «Verremo in India, sistemeremo la questione della tenuta, e porteremo Jane a casa, dov'è il suo posto.» Ma naturalmente, niente che tocchi la mia famiglia è mai così semplice.
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