KASEY MICHAELS
Intrighi a corte
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: How To Wed A Baron HQN Books © 2010 Kathryn Seidick Traduzione di Graziella Reggio Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Historical ottobre 2011 Seconda edizione I Grandi Romanzi Storici Special novembre 2011 Questo volume è stato stampato nel settembre 2011 presso la Mondadori Printing S.p.A. stabilimento Nuova Stampa Mondadori - Cles (Tn) I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379 Periodico mensile n. 151 del 23/11/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Prologo Boemia, 1816 Poco lontano da una lussuosa villa, situata a cinque miglia dall'antica città di Praga e ombreggiata da querce secolari che velavano in parte il sole di settembre, una figura solitaria sedeva sulla riva erbosa di un ruscello. Teneva le ginocchia raccolte contro il petto e osservava con attenzione il movimento di una foglia caduta anzitempo, che infine rimase intrappolata in un groviglio di ninfee e scomparve sotto la superficie. La giovane donna sospirò mentre girava la testa e fissava lo sguardo su un'altra foglia trasportata dalla corrente, rassegnata a seguire la sua inesorabile corsa verso la cattura e l'oblio, impotente di fronte al destino. Dunque, pensò l'uomo che la stava spiando, era stata informata. Luka Prochazka rimase nascosto dietro un tronco, maledicendo il fato che gli aveva negato ogni talento con il pennello, poiché la scena era degna di essere immortalata sulla tela. L'esile corpo femminile avvolto in un vecchio abito, la magnifica cascata di riccioli bruni che parevano quasi troppo pesanti per il collo lungo e delicato, gli occhi malinconici, la carnagione eburnea... Un altro profondo sospiro sollevò le spalle della fan5
ciulla. Cara Lady Alina. Non aveva ancora compiuto diciannove anni, eppure era già incline al dramma. Sì, il titolo del ritratto sarebbe stato: Lady Magdaléna Evinka Nadeja Valentin disperata. Persino i cuori meno sensibili si sarebbero spezzati vedendola in quello stato. Lady Mimi Valentin, la zia, avrebbe dato dieci o anche vent'anni della propria vita per essere bella almeno la metà di lei; forse era proprio per questo che aveva acconsentito con tanto entusiasmo alla richiesta del sovrano. In effetti, conoscendola, era evidente che pregustava già la possibilità di frequentare la corte senza Lady Alina, che catturava gli sguardi di tutti gli uomini dai dodici ai novant'anni. Povera, affascinante Lady Alina. Quanto si era sforzata di essere diversa da com'era: selvaggia, libera e indomita. Ma una madre inglese e un padre per metà rom, morti entrambi da tempo, non avevano fatto di lei una vera zingara. Alla fine era stato il sangue inglese a contare di più per quelli che detenevano il potere; e per loro una ragazza in età da marito non era altro che una pedina. Sarebbe diventata una magnifica moglie, una volta che Luka l'avesse consegnata al proprio destino. Lo sposo, l'inglese sconosciuto che l'avrebbe ricevuta dopo sei settimane, era davvero fortunato. Luka Prochazka si voltò e, in silenzio, tornò sui propri passi, lasciando Alina sola con la sua tristezza. In fondo, si disse, riuscirà a cavarsela. Troverà il sistema. È figlia di suo padre e non accetta di essere sconfitta...
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1 Londra Justin Wilde salì lo scalone di Carleton House con l'entusiasmo di un condannato a morte condotto al patibolo, affiancato da due lacchè di Sua Maestà. Per lo meno l'esecuzione sarebbe stata solo formale, e apparentemente non affrettata. Mentre i lustri stivali si posavano con sicurezza sui gradini di marmo, gli attenti occhi verdi notavano ogni dettaglio e l'intelligenza di prim'ordine catalogava e registrava ogni particolare di ciò che lo circondava. Era corretto affermare che il barone viveva in un stato di costante allerta, pronto a battersi o fuggire, a seconda delle esigenze. I due ridicoli domestici in livrea, identici per altezza, corporatura e carnagione come se fossero stati scelti così di proposito – cosa più che probabile, del resto – non sembravano minimamente consapevoli del fatto che Lord Wilde avrebbe potuto spedirli al Creatore prima che potessero batter ciglio. Del resto, i poveretti non potevano certo essere accusati di mancanza di intuito. Vedevano, come il resto del mondo, solo quello che il barone intendeva mostrare: un gentiluomo elegante e di bell'aspetto, che pareva in7
nocuo come una splendida mattina di maggio. Soltanto chi lo conosceva bene, ed erano ben poche persone, era capace di vedere al di là del pizzo squisito che gli ornava colletto e polsi, della giacca dal taglio impeccabile e della perfezione dei capelli che portava un po' lunghi sulle spalle e spettinati ad arte, scuri come le sopracciglia perfette. Quello che più colpiva era il sorriso pronto, di volta in volta beffardo, ironico, divertito, aperto, disarmante, amichevole e, come sapevano i pochi privilegiati, di rado sincero. Al momento, tuttavia, il barone non sorrideva, né sul serio né per finta. Aveva previsto che prima o poi sarebbe stato convocato dal Principe Reggente. Era stato avvisato di quell'eventualità in occasione del loro ultimo incontro. Tuttavia rendersi conto, a pochi mesi dall'accordo, di doversi considerare agli ordini del principe per il resto della vita gli aveva fatto toccare con mano quanto quella situazione fosse sgradevole. «Quel lampadario non c'era l'ultima volta che sono venuto, vero?» domandò ai lacchè, indicando un orrore d'oro e cristallo appeso al soffitto. «È probabile che lo abbia pagato io. Dio mio, è proprio una colomba di cristallo quella al centro?» Il domestico più giovane alzò lo sguardo e rischiò di inciampare su un gradino, tanto che Justin dovette afferrarlo per le spalle per sostenerlo. «Santo cielo, ho rischiato grosso! Grazie, milord.» «Di nulla. Vi domando scusa io per avervi distratto, conoscendo il pericolo. Mia moglie perse la vita su questo stesso scalone, alcuni anni fa.» «Davvero, milord? Una brutta caduta?» 8
«Be', non è annegata» confermò scherzando Justin. «Silenzio, Silas» intervenne il domestico più anziano, scandalizzato dalla domanda del collega e dalla risposta del barone. «Da questa parte, milord, se non vi dispiace» aggiunse in fretta, indicando verso sinistra, in direzione opposta alle sontuose sale pubbliche e verso gli appartamenti privati del Reggente. Magnifico. L'unica cosa peggiore di Prinny a mezzogiorno era lo stesso Prinny a mezzogiorno con il berretto da notte indosso. Meno di cinque minuti dopo, le paure di Justin furono confermate. Dopo averlo annunciato, i lacchè si ritirarono in un turbine di profondi inchini. Incamminandosi sui tappeti pregiati e il lustro parquet, Justin arrivò fino al sontuoso letto a baldacchino, così alto, largo e adorno di tendaggi di velluto che persino il Principe dei Galli sarebbe apparso insignificante, seduto al centro appoggiato ai guanciali, intento a mangiare uova bazzotte. Justin batté i tacchi degli stivali e chinò la testa abbastanza per mostrarsi cortese. «Da umile servitore, sono pronto a obbedire ai vostri ordini, Altezza.» «Wilde» rispose il Principe di Galles, riponendo la forchetta con un sospiro, «siete l'unico uomo di mia conoscenza a saper trasformare un'espressione di rispetto in un insulto. Ve ne rendete conto?» Lui finse di riflettere per un istante, poi annuì. «Forse la colomba è un po' troppo esagerata persino per voi. Cosa seguirà, signore, un panciotto rosa?» «Nessuno ha mai osato esprimersi con tanta libertà in mia presenza fin dai tempi di George. Ah, quanto mi manca quel briccone!» «Anche ai suoi numerosi creditori, a quanto ho senti9
to dire» commentò Justin. Rammentava bene la sera di qualche mese prima, quando aveva contribuito a far fuggire George Beau Brummell da Londra e l'aveva aiutato a rifugiarsi a Calais. «Per questo sono qui, signore? Per aiutarvi a rievocare affettuosi ricordi dell'antico amico del cuore? Mi lusinga, e tuttavia devo ammettere con rammarico che il mio Wigglesworth non possiede la sua stessa abilità con il lucido da scarpe.» Il principe alzò di scatto un braccio, rovesciando per terra il vassoio d'argento, carico di cioccolata calda, pasticcini e altre leccornie. «Maledizione! Chi siete per rivolgervi a me con... Cosa volete? Fuori di qui!» Le ultime parole erano rivolte alle guardie che, allarmate dal fracasso, avevano fatto irruzione nella camera con le spade in pugno. Justin rimase dov'era. E attese. «Pur conoscendo i suoi difetti, sento davvero la mancanza di George» dichiarò infine il principe, quasi con tristezza; il suo umore volubile era di nuovo mutato. «Stava bene, quando lo avete visto per l'ultima volta?» «Ahimè, non posso rispondere alla domanda, signore, poiché purtroppo non l'ho mai incontrato di persona» mentì con disinvoltura Justin. «Già, certo.» Il principe parve ricordare che non avrebbe dovuto dimostrare interesse né per la sorte di Lord Brummell, né per il fatto che era stato tanto affezionato a quel personaggio da ricorrere ai servigi di Justin per sottrarlo alle grinfie dei creditori e all'incarcerazione per debiti. «Passiamo ad altri argomenti.» «Come desiderate, signore. Sono a vostra completa disposizione.» «Bene, dunque rammentate chi sono; a volte fatico a 10
crederlo. E ricordate anche il nostro accordo, Wilde?» Justin annuì. «Sì, penso di averlo impresso nella memoria. Desiderate che lo sintetizzi?» «Ve ne prego. Voglio assicurarmi che lo abbiate ben presente.» «Quanto un terribile mal di denti, Maestà» confermò lui con uno splendido sorriso. «In cambio di una somma di denaro che si aggira in prossimità di quello che in parole povere potrebbe definirsi un riscatto degno di un re, versata direttamente nelle casse private di Sua Altezza...» «A questo non va mai fatto cenno.» «Chiedo venia. Anche se, per la precisione, si trattava di cinquantamila sterline» proseguì Justin, che iniziava a divertirsi. «Vostra Altezza Reale, conosciuto dagli intimi come Giorgio il Benevolo, se posso azzardarmi a dirlo, spinto dall'immensa generosità di spirito per cui è noto nell'intero regno, senza curarsi del proprio tornaconto personale, ha perdonato alla mia misera persona il crimine di avere sparato per legittima difesa contro l'idiota che ero stato costretto a sfidare a duello e che si era voltato scaricando la pistola al due. Errore che si è rivelato fatale per lui e disastroso per me, poiché sono dovuto fuggire dall'Inghilterra per evitare l'arresto e un'esecuzione sommaria.» «Già meglio, anche se avete trascurato di menzionare il fatto che i duelli sono fuorilegge, in qualunque maniera si concludano» commentò il principe in tono compiaciuto. «Una grave negligenza da parte mia! Credete che dovremmo dissotterrare Robbie Farber e condannarlo per il reato?» 11
«Che impertinenza! Avanti, finite.» Justin avrebbe preferito evitarlo, comunque non esitò a rendere esplicito l'insulto contenuto nella risposta. «In cambio di questo munifico e nobile gesto, io, Barone Wilde, grato di poter posare di nuovo i piedi sul suolo che i miei illustri antenati calcavano già molto prima che i vostri conoscessero l'esistenza dell'Inghilterra e mentre ancora parlavano tedesco e si nutrivano di cavoli, dopo otto lunghi anni di doloroso esilio, rientrato in possesso delle proprietà e del patrimonio della mia famiglia – o almeno di buona parte di esso – sono diventato il devoto e obbediente servitore di Sua Altezza Reale, pronto a prestargli assistenza in qualunque momento ciò si renda necessario. Così stabilisce il nostro accordo, finché Vostra Altezza non deciderà che la pena è stata scontata a sufficienza.» «Detesto i cavoli, quindi ignorerò il vostro meschino tentativo di offendermi ancora. Tuttavia non vi nascondo che vi state avvicinando pericolosamente ai limiti della mia tolleranza.» Il Principe Reggente agitò l'indice nella sua direzione. «Vi siete espresso abbastanza bene, Wilde, quasi fino alla fine. Ammetto che ci sapete fare, ma ho notato la vostra riluttanza nel pronunciare le ultime frasi. Non siete forse un mio devoto e obbediente suddito?» «Sono qui» confermò lui, estraendo di tasca la tabacchiera. Non si divertiva più, anzi, cominciava ad annoiarsi, il che era sempre pericoloso. Aprì con destrezza la scatoletta d'oro cesellato, si portò alla narice sinistra una minuscola presa di tabacco e aspirò. «In segno di devozione, suggerisco a Vostra Altezza Reale di accettare in dono la possibilità di scegliere il migliore esem12
plare della cucciolata che la mia cagna preferita ha appena partorito.» «Caspita, che disinvoltura, che eleganza! Dovete spiegarmi come fate. Non avete nemmeno starnutito.» «Starnutire è così plebeo» rispose Justin, rimettendo in tasca la tabacchiera. «Sta tutto nella dose, signore. Inoltre ho chiesto al fabbro di foderarmi di piombo le narici.» «Stavo quasi per credervi. Ora però bando agli scherzi. Devo presentarmi a palazzo alle tre per incontrare mio padre. Grazie a Dio, oggi non sbraita né sbava. Sto per rendervi un uomo felice, Wilde.» «Interessante, Vostra Altezza. Anche se ho l'impressione di essere già contento. Forse intendete estasiarmi?» Il principe si sistemò le coperte sul ventre prominente. «A volte penso che preferirei rendervi muto. Peccato che siamo tanto moderni e civili. Un'efficiente sala delle torture è stata spesso l'unica amica dei sovrani. Come si fa a mangiare senza lingua, lo sapete?» «A piccoli bocconi, immagino.» Justin diffidava dell'improvviso bagliore negli occhi azzurri del reggente. Per prudenza, evitò di rammentargli che, tra lui e il trono, c'era ancora il padre malato di mente. «Vostra moglie è defunta da circa otto anni, vero?» «Credo di sì» confermò lui, improvvisamente attento, anche se non lo dava a vedere. «Dovreste ricordare la data meglio di me, poiché io ero già fuggito sul Continente, all'epoca. Comunque mi sono sempre posto una domanda, Altezza, come si elimina un cadavere dai piedi di uno scalone? Si tratta a dir poco di un'autentica seccatura. L'avete fatta trascinare via, oppure nasconde13
re in un armadio, mentre la festa continuava senza di lei?» «Siete davvero senza cuore, Wilde. In fondo era vostra moglie. Un po' troppo generosa nel concedere le sue grazie, ma molto bella. Splendida, a dire il vero.» Lui non rispose. Sì, Sheila era stata senza dubbio una donna molto attraente, almeno per quanto riguardava l'aspetto esteriore. A quel tempo Justin era giovane e attribuiva molta importanza alla bellezza. E persino dopo aver perso ogni interesse per la consorte, si era ritrovato a combattere un duello per difendere il suo onore inesistente. «Non siete d'accordo?» «Rammento a malapena il suo viso, signore. Da qualche parte devo avere una miniatura. La gradireste?» «Quale freddezza, Wilde. Sono quasi pentito dell'offerta che sto per farvi. Un ultimo servigio per porre termine alla vostra... disponibilità. E per saldare il vostro debito. Vi piacerebbe, vero?» Wilde si portò la mano alla bocca e sbadigliò. Era incredibile quanto si potesse osare quando si smetteva di preoccuparsi. «Vi ho trovato una sposa» annunciò il principe con aria di sfida, il tono che implicava chiaramente che gli scherzi di Justin non lo divertivano più. «Oh, io credo di no, Altezza. Non sto cercando moglie.» «Non siete nemmeno in cella, in attesa del boia. Quale alternativa scegliete?» Lui non gli concesse la soddisfazione di una risposta. Anche se la conoscevano entrambi. «Bene, dunque, proseguirò. Pare sia figlia di un eroe 14
di guerra, purtroppo deceduto. Sappiate soltanto che questa unione è molto importante per colui che ancora preferisce l'antico titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero a quello di...» «Francesco d'Austria» tagliò corto Justin. «Padre di Maria Luisa, moglie di Napoleone finché lui non la convinse a tradirlo. Nipote della disgraziata Maria Antonietta, che rifiutò di salvare dalla ghigliottina perché non vi vedeva alcun vantaggio personale. Da quando è salito al trono ha voltato gabbana così tante volte che c'è quasi da stupirsi che non sia stato condotto al patibolo da Bonaparte... o da noi. Dunque la femmina che non sposerò è tedesca? Austriaca?» Il principe scosse il capo. «Boema. Tuttavia mi hanno assicurato che la madre, anch'essa defunta, era inglese e che il padre godeva del favore del sovrano, a corte, finché non ha trovato la morte su qualche campo di battaglia.» Justin si sforzò di restare impassibile, anche se un'eventualità che sperava esclusa per sempre metteva a dura prova la sua indifferenza. «Ho visitato una città in quella zona, Trebon. Non mi sono divertito.» «Soltanto un idiota si trova bene fuori dall'Inghilterra. Ma capisco cosa intendete. Forse temete sia una zingara? Di sicuro no.» «Preferiscono essere chiamati rom, Altezza. Meglio non definirli zingari. In ogni caso, se la signora è boema anche solo per metà, scelgo di essere impiccato domattina. Vi ringrazio.» «È gente poco pulita?» domandò spaventato il reggente, forse rammentando il primo incontro con la moglie Carolina, da cui era ormai separato. Correva voce 15
che la principessa disdegnasse il sapone e i bagni regolari. «No, signore. E sono certo che la persona in questione è del tutto civile. Ho soltanto reagito in maniera eccessiva a un ricordo spiacevole, nient'altro.» «Vi prego, non vi scusate. Ammetto che mi piace vedere l'imperturbabile Justin Wilde un po' scombussolato. Trebon, dite? Un postaccio? Comunque questa giovane donna, questa... Un momento.» Estrasse una striscia di carta da una tasca della camicia da notte e lesse con attenzione: «Lady Magdaléna Evinka Nadeja Valentin. I nomi stranieri sono inutilmente complicati, non trovate? Datemi una buona Mary, Elizabeth o Anne. Comunque sia, la ragazza ha bisogno di un marito». «Mi dispiace ripetermi, ma io non ho bisogno di una moglie, signore.» «Perdonate la franchezza, Wilde, ma non mi importa affatto di che cosa abbiate bisogno voi. A me serve... Anzi no, mi correggo: all'Inghilterra occorre uno sposo di nobili natali per la signorina. Questione di trattati commerciali e faccende simili... Dovete considerare questo matrimonio come un dato di fatto. Qualunque informazione desideriate, vi verrà fornita prima che andiate via. Ricordate inoltre che, dopo averla sposata, non avrete più alcun obbligo nei miei confronti. E prima che siate tanto sfrontato da chiederlo, riceverete una lettera di conferma, firmata di mio pugno. Vi saranno inoltre comunicati tutti quei particolari fastidiosi, quali la data dell'arrivo a Portsmouth, che credo piuttosto imminente. Adesso cercate di allontanarvi senza esprimere commenti sgradevoli, che mi farebbero pentire della mia generosità. E mandate qualcuno a pulire questo disastro.» 16
Justin si inchinò a denti stretti e arretrò di tre passi, prima di voltarsi per uscire dalla camera surriscaldata. Poteva punzecchiare il principe, poteva persino insultarlo, ma disobbedirgli era fuori discussione, e lo sapevano entrambi. Aveva posato la mano sulla maniglia, quando il reggente parlò ancora. Ignorava che cosa avrebbe detto, ma era certo che avrebbe aggiunto qualcosa. Capitava sempre. «A proposito, Wilde...» «Sì, Altezza?» gli domandò senza nemmeno voltarsi. Cristo, quell'uomo era davvero prevedibile! «Credo di aver dimenticato di menzionare un'altra cosa. Mi è proprio sfuggita di mente. Del resto, perché altrimenti avrei trascurato i vostri evidenti difetti come marito per la gentildonna a vantaggio dei talenti unici che vantate? Vedete, pare che qualcuno si auguri la morte della vostra promessa sposa. Se le capitasse una disgrazia, Francesco e io – o meglio l'Inghilterra – ne saremmo oltremodo dispiaciuti. Mi divertite, Wilde, Dio solo sa perché. Tuttavia la mia tolleranza ha un limite. Adesso potete andare.» Il caos del porto di Portsmouth e la schiera di alberi maestri che Justin vedeva dalla finestra della camera non erano molto cambiati nel lasso di tempo che aveva impiegato per lavarsi e vestirsi; tempo che per un gentiluomo elegante come il Barone Justin era, casualmente, piuttosto lungo. Era arrivato nella cittadina la sera precedente piuttosto tardi, perché aveva procrastinato la partenza da Londra finché non aveva avuto la certezza che il Prin17
cipe Reggente fosse stato informato del fatto che pareva che il Barone Wilde avesse intenzione di trasgredire agli ordini di Sua Maestà. Del resto, perché mai Prinny doveva dormire in pace mentre alla vittima impotente di quella triste farsa era negato il giusto riposo? «Meschino» borbottò tra sé. «Sei davvero un uomo meschino. Che per giunta ha mal di schiena per aver passato in sella due giornate intere.» «Desiderate qualcosa, milord?» «No grazie, Wigglesworth. Stavo solo rimproverando me stesso per la mia totale idiozia.» «Qualcuno deve pur farlo» confermò il suo valletto, chinando la testa imparruccata. «Impiegherò giorni e giorni a spazzolare via la polvere della strada dai calzoni scamosciati per renderli di nuovo presentabili, cosa che non sarà impossibile, temo. Allora, se non avete bisogno di me, torno alle mie faccende, milord.» «Senza di voi sarei finito, Wigglesworth» dichiarò Justin. «Andate pure.» Scherzava solo in parte, e lo sapevano entrambi. Non aveva bisogno del valletto per sopravvivere, non in senso letterale, almeno, soprattutto da quando Bonaparte era stato di nuovo messo in gabbia e il mondo era libero di crogiolarsi nel letame senza di lui. Tuttavia era Wigglesworth a mantenere intatta la facciata di Lord Wilde, e per un uomo come Justin, costretto a nascondersi per tanti anni e per molti motivi, quell'ometto meticoloso, affettato e vecchio stile, era la copertura perfetta. Inoltre Wigglesworth comprendeva l'importanza di non inamidare troppo le camicie, un talento da non sottovalutare. 18
«Al porto non c'è ancora traccia di bandiere austriache e ceche, Wigglesworth. Fremo al pensiero di dover trascorrere un'altra giornata in questo squallido tugurio, in attesa della signorina. Eppure, solo due giorni fa, l'inviato del principe mi ha assicurato che il viaggio procedeva secondo i piani.» «Un gentiluomo sensibile come voi non dovrebbe essere disturbato da simili preoccupazioni, milord. Se la nave non compare entro le tre, mi occuperò della vostra cena di persona. Non è giusto che, oltre a una camera scomoda, dobbiate sopportare anche i pasti di dubbia qualità della locanda.» «Nel malaugurato caso in cui questo si renda necessario, portate ancora con voi il nostro caro amico Brutus» gli raccomandò Justin. Wigglesworth era l'unico al mondo a illudersi che fosse la sua importanza ad aprire le porte di santuari come le cucine delle locande, e non la corporatura gigantesca – e l'espressione feroce – di Brutus. Quell'uomo equivaleva a un intero esercito e aveva un valore inestimabile per Justin. «Sì, milord.» Il domestico spazzolò via un peluzzo immaginario dal vaporoso jabot della camicia. Nel profondo del cuore, credeva che Mr. Brummell andasse frustato a sangue per aver persuaso i gentiluomini ad abbandonare pizzo, raso e seta e ad assumere l'aspetto di pinguini diretti a un funerale perpetuo. Iniziò a svolazzare per la stanza come un uccello esotico che non sapesse dove posarsi. Povero Wigglesworth. Aveva nel cervello uno sciame di api... Torcendosi le dita delicate, si soffermò infine davanti al tavolino da toilette e contò per la quarta volta pettini, 19
spazzole e altri oggetti dal manico d'argento che appartenevano al suo raffinato datore di lavoro, così da assicurarsi che nessuno fosse scivolato nelle mani rapide ed esperte dei camerieri della locanda, entrati in camera ad accendere il fuoco o servire l'ottima colazione, confezionata sotto la sua attenta supervisione. «Smetterete di preoccuparvi, prima o poi?» gli domandò pigramente Justin dalla sedia di fronte alla finestra, prima che Wigglesworth potesse farsi male per mancanza di altre attività da svolgere. «Oppure sarò costretto a trovare un cavastivali in questo albergo decrepito per togliermi queste calzature? Avete notato la macchiolina sulla punta dello stivale sinistro, vero?» Il valletto alzò le braccia in un gesto di disperazione mista a sollievo. Aveva un gran bisogno di rendersi necessario. «Merde! Una chiazza di fango? Ditemi che non è vero!» Justin si grattò il naso per nascondere un sorriso divertito. «Wigglesworth, avete idea di cosa andate dicendo da quando, ieri sera, avete cenato con il cameriere del cadetto francese?» «Scusate, milord?» Frugò in una delle numerose borse da viaggio che a suo avviso erano necessarie al barone per trascorrere una notte fuori casa, e recuperò un panno pulito, insieme a un barattolo di lucido nero. «A cosa vi riferite?» «Alla parola merde. È tutta la mattina che la ripetete.» Il cameriere stese un apposito tappetino davanti alla sua sedia, vi appoggiò con cura un ginocchio rivestito di raso color malva e invitò cortesemente Sua Signoria a sollevare il piede che calzava lo stivale sporco. 20
Un irreprensibile conte CANDACE CAMP Inghilterra, 1825 - Lady Vivian Carlyle e Oliver, Conte di Stewkesbury, sono come il diavolo e l'acquasanta. Lui la ritiene estremamente pericolosa fin da quando era il bersaglio preferito dei suoi scherzi di fanciulla. Ora a imbarazzarlo sono il suo atteggiamento anticonformista e l'ironia pungente, capace di mandare chiunque al tappeto. Neppure la notte di passione che hanno vissuto sembra averli avvicinati. Oliver, infatti, è scandalizzato dalla proposta di Vivian, che preferirebbe una relazione senza impegno, e vorrebbe porre subito fine alla storia. Solo quando la giovane scompare nel nulla, l'irreprensibile conte ammette finalmente di non poter vivere senza di lei. A quel punto, però, forse è troppo tardi...
Intrighi a corte KASEY MICHAELS Praga - Londra, 1816 - Quando il Principe Reggente gli ordina di sposare una donna che non ha nemmeno mai visto, il Barone Justin Wilde sa di dover obbedire anche se la sola idea del matrimonio gli fa orrore. Scoprire, però, che entrambi sono stati usati come pedine in un gioco più grande di loro lo convince che quelle nozze siano da evitare a tutti i costi, tanto più che la giovane è riluttante quanto lui a compiere un passo tanto importante senza conoscerne il vero motivo. Alina, tuttavia, si rivela inaspettatamente arguta e coraggiosa, oltre che molto seducente, tanto che tutto a un tratto l'idea di averla al proprio fianco per sempre acquista agli occhi di Justin un fascino speciale. Ma la crudele verità che emerge a poco a poco, costringendoli ad affrontare mille pericoli e peripezie, rafforzerà il tenero sentimento che nonostante tutto è sbocciato tra loro o lo distruggerà per sempre?
Scandalo in società NICOLA CORNICK Inghilterra - Norvegia, 1811 - Lady Joanna Ware non ha intenzione di risposarsi, ma questo non basta a scoraggiare i numerosi pretendenti che bussano alla sua porta. E proprio per togliersi di torno l'ennesimo corteggiatore un po' troppo insistente si ritrova a baciare Lord Alex Grant, un affascinante esploratore appena tornato dall'Artico. È un gesto a dir poco azzardato per una donna attenta a rispettare le convenienze come lei, e che scatena immediatamente un vespaio di pettegolezzi nei salotti del ton. Vittima di un marito infedele e violento, Joanna è abituata agli scandali, ma non è preparata ad affrontare l'attrazione travolgente per quel chiacchierato avventuriero. E nemmeno la sconvolgente notizia che li condurrà loro malgrado alla scoperta di territori selvaggi e inesplorati, e di un amore capace di sconfiggere qualunque avversità.
Sensuale tentazione ANNE STUART Londra, 1842 - La vita di Benedick Francis Alistair, VI Visconte di Rohan, è costellata di amori finiti che l'hanno reso un uomo cinico e freddo. E quando torna a Londra lo fa con un obiettivo ben preciso: trovare una moglie seria e senza pretese, che gli dia un erede e soprattutto che non lo infastidisca se lui sfoga altrove i suoi appetiti sessuali. Poi Lady Melisande Carstairs irrompe nella sua vita pretendendo che la aiuti a sventare i progetti scellerati dell'Esercito Celeste. Dotata di un'energia incontenibile e di un corpo morbido e sensuale che accende la sua fantasia, non è il genere di donna che Benedick aveva in mente, eppure esercita su di lui un'attrazione incontenibile. E così pericolosa da indurlo a troncare ogni rapporto. Melisande però è abituata a vincere. Che si tratti di salvare donne maltrattate o di sedurre l'uomo di cui si è sconsideratamente innamorata.
A gennaio 2012