CAROL MARINELLI
Il cuore del deserto
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Heart of the Desert Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2011 Carol Marinelli Traduzione di Chiara Fasoli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Collezione Harmony novembre 2013 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2013 presso la Rotolito Lombarda - Milano COLLEZIONE HARMONY ISSN 1122 - 5450 Periodico bisettimanale n. 2844 del 26/11/2013 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 22 del 24/01/1981 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 «Proviamo da qualche altra parte.» Georgie sapeva che non avevano alcuna possibilità di riuscire a entrare nell'esclusivo club londinese. Non voleva nemmeno provarci. A dire la verità, Georgie avrebbe preferito andare a dormire, ma era il compleanno di Abby e, anche se tutti i loro amici erano già tornati a casa, lei non voleva ancora porre fine alla sua giornata speciale. Sembrava contenta di sostare in quella coda impossibile a guardare personaggi ricchi e famosi che sfilavano davanti a loro, mentre il buttafuori continuava a tenerle dietro a un cordone rosso. «Rimaniamo ancora un po'. È divertente stare qui a guardare.» I flash dei paparazzi inondarono la strada quando una limousine accostò al marciapiede lasciando uscire una giovane donna accompagnata da un attore. Georgie rabbrividì, ma continuò a chiacchierare con l'amica, determinata a non fare la guastafeste. Dopotutto Abby aveva tanto desiderato quella serata. Il buttafuori si diresse verso di loro e Georgie sperò quasi che fosse sul punto di invitarle a tornare a casa. Ma improvvisamente si rese conto che l'uomo le stava guar5
dando... Automaticamente con la mano si sistemò i capelli biondi in un gesto nervoso. «Venite avanti, signore.» Spostò il cordone rosso per lasciarle passare e le due donne si guardarono incredule, stupite per ciò che stava accadendo. «Mi dispiace molto, non ci eravamo accorti che foste qui fuori.» Georgie stava per aprire bocca e parlare, chiedere chi pensava che fossero, quando sentì le dita di Abby premere sulle sue costole. «Cammina.» Tutte le persone in coda si erano voltate a guardarle e cercavano di indovinare chi fossero. Una macchina fotografica scattò e, subito dopo, altre la seguirono, i paparazzi erano convinti che fossero delle vip mentre le pesanti porte di vetro si aprivano per lasciarle entrare nel locale esclusivo. Abby era fuori di sé per l'eccitazione. «È il compleanno più bello della mia vita!» esclamò. Il cuore di Georgie invece batteva all'impazzata, mentre sentiva la gola serrata e una strana stretta allo stomaco. Sospettava che non ci fosse stato alcun errore da parte del buttafuori. Quel tipo di errori non accadeva mai. E riusciva a pensare a una sola persona al mondo che potesse trovarsi lì, una persona che conosceva e che aveva il potere di aprire porte impossibili. La persona alla quale aveva cercato di non pensare per mesi. Un uomo che avrebbe fatto di tutto per evitare. «Le rinnovo le nostre scuse, signorina Anderson.» I suoi sospetti trovarono conferma quando il cameriere la chiamò per nome e una bottiglia di champagne apparve come per magia sul loro tavolo. Georgie si sedette, le guance in fiamme, timorosa di sollevare lo sguardo, per6
ché sapeva perfettamente chi era l'uomo che si stava avvicinando. «Ibrahim ha chiesto che ci prendessimo cura di voi.» Non c'era modo di evitarlo, dunque. Prese un profondo respiro, imponendo al proprio cuore di rallentare, al proprio corpo di calmarsi, e sperò senza possibilità di essere esaudita, di riuscire a rivolgersi a lui in modo distaccato. Georgie alzò gli occhi e, anche se riuscì a simulare un sorriso, anche se sembrava avere il pieno controllo su se stessa, ogni cellula del suo corpo era in subbuglio, sconvolta dall'agitazione e al tempo stesso da un inaspettato senso di sollievo. Sollievo perché, nonostante avesse cercato in tutti i modi di convincersi del contrario, doveva finalmente ammettere di desiderarlo ancora. «Georgie.» Il suono della sua voce e quel lieve accento nonostante la dizione quasi perfetta le chiusero lo stomaco mentre si alzava per salutarlo e per un momento si ritrovò di nuovo a Zaraq, tra le sue braccia. «È passato molto tempo.» Stava chiaramente per andarsene. Al suo braccio, una donna le lanciò uno sguardo di avvertimento mentre si stringeva possessivamente a lui. «In effetti, ne è passato un po'.» La sua voce suonò leggermente più alta di quanto avrebbe voluto. «Come stai?» «Bene» rispose Ibrahim, e sembrava davvero stare benissimo, nonostante tutti gli eccessi della sua vita che i giornali non mancavano di riportare. Era più alto di quel che ricordava, lievemente più magro e il suo aspetto selvaggio era evidenziato dai lunghi capelli indomabili, ma persino alle due del mattino era in perfetta forma. I profondi occhi neri percorsero tutta la sua figura, proprio come avevano fatto in quel giorno lontano, e poi atte7
sero che lo sguardo di lei li incontrasse e, come allora, lei non riuscì a trattenersi dal guardarlo. La sua bocca non era cambiata. Se avesse dovuto riconoscerlo da una sola caratteristica, se la polizia avesse per qualche motivo creato un archivio di labbra, lei avrebbe riconosciuto quelle di Ibrahim senza la benché minima esitazione perché, in contrasto con i suoi lineamenti scolpiti, la sua bocca era morbida, con labbra carnose e denti perfetti e bianchissimi. Georgie rimaneva lì in piedi, cercando di portare avanti quella strana conversazione, ma la sua mente era concentrata sulla bocca di lui. Mentre le rispondeva, era la sua bocca che avrebbe voluto guardare e dopo tutto quel tempo, in quel locale affollato e con una donna al fianco di lui, erano quelle labbra che avrebbe voluto baciare. «Come stai?» le chiese cortesemente. «Come va la tua nuova attività? Hai molti clienti?» Questo le rivelò che ricordava non solo quella notte, ma tutti i dettagli che lei aveva così prontamente condiviso. Ricordava l'eccitazione nella propria voce mentre gli raccontava del suo progetto di aprire un centro di Reiki e quanto interesse avesse dimostrato, e fu grata dell'oscurità intorno a loro perché i suoi occhi si riempirono di lacrime. «Sta andando molto bene, grazie.» «Hai visto tua nipote, ultimamente?» Come suonava formale e distante! Avrebbe desiderato che tornasse a essere il vero Ibrahim, che la prendesse per mano e la trascinasse lontano da lì, nella sua macchina, nel suo letto, ovunque avessero potuto rimanere soli. Invece lui era lì, fermo in attesa della sua risposta e Georgie scosse la testa. «Non sono più tornata dopo...» E si fermò, perché doveva, perché il suo mondo era diviso in due, 8
prima e dopo, da quando un bacio l'aveva cambiata per sempre. Da quando erano state scambiate parole dure. «Non sono più tornata dopo il matrimonio.» «Io ci sono stato il mese scorso. Azizah sta bene.» Sapeva che era tornato laggiù, nonostante avesse giurato di non cercare di scoprirlo. Aveva indagato solo un pochino parlando con la sorella, cercando di sentire il suo nome, cosa di cui non andava fiera. Le sue parole si perdevano nel rumore del locale e l'unico modo di continuare la conversazione sarebbe stato quello di avvicinarsi un po' di più, ma Georgie sentiva di non potere. Mentre la ragazza che era con lui sbadigliava annoiata, stringendo possessivamente la presa sul suo braccio, Georgie lo ringraziò per averle fatte entrare nel club e per lo champagne e in risposta Ibrahim le augurò una buona notte. Le si avvicinò per baciarla sulla guancia, ma restarono entrambi bloccati in un momento di imbarazzo, perché, anche in mezzo a tutte quelle persone, lo spazio tra loro si era riempito di un profumo che era una sottile combinazione di loro due, un profumo caldo, inebriante e così potente che avrebbe forse dovuto essere messo sotto controllo governativo. Georgie si lasciò sfuggire un sorriso amaro. Era sotto il controllo reale! «Buonanotte» mormorò, e mentre lui si allontanava, rimase a guardare la gente farsi da parte, girare la testa verso quel bellissimo uomo e poi verso di lei, perché persino quel breve contatto con lui bastava a renderla qualcuno. Soprattutto quando all'improvviso lui cambiò idea e tornò velocemente verso di lei. Era quasi come nel passato, quella carica, quella potenza che lo spingeva verso di lei, e avrebbe voluto arrendersi, attraversare il locale e correre 9
da lui, invece rimase immobile, rabbrividendo dentro di sé mentre lui si avvicinava, si chinava su di lei e le offriva parole che non si sarebbe mai aspettata di sentire. «Ti chiedo scusa.» Non riuscì a dire niente, perché avrebbe pianto o, peggio, si sarebbe lasciata andare contro di lui, contro quella bocca che aveva desiderato così a lungo. «Non per tutto, ma per alcune delle cose che ho detto. Tu non sei...» La sua voce si spense. Non aveva bisogno di ripeterlo. Quelle parole erano impresse chiaramente nella mente di entrambi. «Mi dispiace.» «Grazie.» In qualche modo riuscì a parlare. «Dispiace anche a me.» Poi lui si voltò e lei si sedette, non potendo sopportare di vederlo allontanarsi una seconda volta. «Chi era quello?» le chiese Abby non appena si fu seduta. Georgie non rispose. Invece bevve un sorso di champagne seguendo con gli occhi l'uomo che non si guardava mai indietro. In quel caso, però, lo fece, e l'effetto di quel gesto fu così potente, risvegliò un tale desiderio, che gli sarebbe bastato schioccare le dita per vederla gettarsi tra le sue braccia. Fu un sollievo quando le porte del locale si chiusero alle sue spalle, ma le ci volle del tempo prima di tornare alla realtà, in un mondo senza di lui. «Georgie?» Abby stava diventando impaziente. «Ricordi mia sorella Felicity, che vive a Zaraq?» Abby la guardò a bocca spalancata. «Quello è il fratello di suo marito.» «È un principe?» Georgie cercò di suonare indifferente. 10
«Be', visto che Karim lo è, immagino lo sia anche lui.» «Non hai mai detto che era così...» La voce di Abby si spense, ma Georgie sapeva cosa intendeva. Sua sorella era andata a Zaraq come infermiera e aveva sposato un principe, entrando a far parte della famiglia reale, ma Georgie aveva sempre minimizzato, con i suoi amici, come se Zaraq e i suoi reali non contassero nulla, fossero insignificanti. Non aveva mai raccontato loro i dettagli di quella terra incredibile, il deserto infinito che aveva sorvolato, i mercati e le radicate tradizioni della campagna, in contrasto con il lusso della città, ricca di hotel a sette stelle e di negozi alla moda. E ovviamente non aveva parlato loro di lui. «Cos'è successo laggiù?» «Che vuoi dire?» «Da quando sei tornata sei diversa e non hai praticamente raccontato nulla.» «È stato solo un matrimonio.» «Oh, andiamo, Georgie. Guardalo, non ho mai visto un uomo più bello. Non mi hai neanche mostrato le foto del matrimonio...» «Non è successo niente» ribadì Georgie, perché ciò che era accaduto tra lei e Ibrahim non era mai stato condiviso, anche se lei ci pensava ogni giorno. «Tre volte damigella!» Georgie sentiva ancora la voce di sua madre che la stuzzicava mentre aspettavano l'inizio della cerimonia. «C'è un detto secondo il quale se fai da damigella per tre volte tu non...» Sua madre aveva rinunciato a cercare di spiegarsi. La gente di Zaraq non era interessata ai convenevoli e alle chiacchiere, ma solo al matrimonio in programma. 11
Non sarebbe stato nemmeno il vero matrimonio, nonostante lo sfarzo - quello era avvenuto qualche settimana prima di fronte a un giudice - ma ora che il re si era ripreso dopo una difficile operazione e che Felicity era stata giudicata una compagna appropriata per Karim, la celebrazione ufficiale stava per avere luogo, prima che la sua gravidanza risultasse troppo evidente. Anche se nessuno stava ascoltando, Georgie arrossì violentemente alle parole della madre, sentendo crescere la vergogna dentro di sé. Chiuse gli occhi per un istante, pensando a cosa sarebbe accaduto se solo avesse saputo la verità... Ma non lo avrebbe mai saputo, si disse cercando di calmarsi. E subito dopo la sua mente fu nuovamente in confusione, perché aprì gli occhi solo per incontrare lo sguardo interessato di un uomo incredibilmente imponente. Indossava una divisa militare, come il padre e i fratelli, ma nessuno era così splendido. Oscillò fra sollievo e dispiacere perché, se fossero stati in Inghilterra, lei avrebbe dovuto danzare con il testimone dello sposo. Si aspettava che lui distogliesse lo sguardo, che si sentisse imbarazzato per essere stato scoperto a fissarla, ma no, continuò a guardare finché non fu Georgie a guardare da un'altra parte, turbata. Rimase rigida nel suo vestito da damigella color albicocca, sotto la pettinatura elaborata e un trucco esagerato per la sua pelle chiara. Non era certo così che avrebbe voluto essere vista per la prima volta da un uomo del genere. Sentì i suoi occhi su di sé per tutta la durata del matrimonio e, anche quando non la guardava, in qualche modo lei avvertiva il calore della sua attenzione. Non aveva saputo cosa aspettarsi da quel matrimonio, 12
di certo non di divertirsi, ma dopo i discorsi, le formalità e le foto infinite, iniziò a capire la gente e il luogo che sua sorella amava. Ci fu un breve momento di calma quando il re e i fratelli scomparvero per poi ricomparire senza uniformi. Uomini scuri in abiti scuri. La coppia reale fu guidata lungo una scalinata fino a una sala da ballo illuminata solo da candele e Georgie guardò la sorella, di solito rigida e composta, ballare intorno al marito, sorridente e sensuale tanto da sembrare una donna diversa. L'atmosfera era contagiosa, e gli invitati circondarono gli sposi, ma Georgie esitava a unirsi a loro. Poi sentì una mano sulla sua schiena guidarla gentilmente e il profumo di Ibrahim la avvolse. Una voce profonda risuonò nel suo orecchio. «Devi unirti alla zeffa.» Non sapeva come fare. Non era capace di improvvisare una danza, ma con lui al suo fianco si convinse di poterci provare. Sentiva il ritmo dentro di sé propagarsi ai suoi fianchi e più giù fino alla punta dei piedi, ma soprattutto sentiva lo slancio e l'energia, l'amore nell'aria ed era una sensazione davvero potente. «Di solito la zeffa ha luogo prima del matrimonio, ma le nostre tradizioni sono fatte per adattarsi ai bisogni del nostro popolo...» Non si allontanò da lei, neanche quando la musica rallentò, e Georgie si ritrovò a ballare con lui. «Ieri e questa mattina ci sono state le celebrazioni formali obbligatorie per la famiglia reale ma questo momento, circondati da amici e parenti, è solo per gli sposi.» Ballarono insieme e, anche se era solo per dovere, sembrò esserci qualcosa di più. Essere sorretta da un uomo così forte e imponente la 13
confondeva, così come la consapevolezza di essere osservata. «Ti senti bene?» Doveva averla seguita all'esterno dopo che avevano salutato la coppia felice. «È stato così...» Scosse la testa, come per schiarirsi le idee. «Sto bene. Sono esausta e non solo per il matrimonio, sono stati giorni impegnativi. Non immaginavo ci fossero tante cose da fare prima delle nozze. Speravo che io e Felicity avremmo passato un po' di tempo insieme, e di vedere il deserto...» «Ci sono troppi doveri» intervenne Ibrahim. «Vieni, ti mostrerò io il deserto.» Indicò la scalinata con un cenno della testa e Georgie salì con lui. Percorsero un lungo corridoio e si fermarono davanti a una portafinestra che Ibrahim aprì rivelando il deserto, immenso davanti ai loro occhi. «Ecco» disse lentamente, «ora l'hai visto.» Georgie rise. Aveva sentito parlare del principe ribelle che rifuggiva il deserto maestoso e che, a detta di Karim, preferiva sedere in bar affollati, piuttosto che cercare la pace che solo l'isolamento può portare. «Preferisci la città, quindi?» L'aveva chiesto con tono leggero, ma i profondi occhi scuri di lui si incupirono scrutando tra le ombre profonde e quando non rispose, Georgie guardò nuovamente verso il deserto. «Sembra un oceano.» «Una volta era un oceano» rispose Ibrahim. «E ritornerà a esserlo. O almeno così dicono» concluse, voltandosi a guardarla. «Dicono?» «Le leggende che ci raccontano da bambini.» Scrollò le 14
spalle. «Preferisco la scienza. Il deserto non fa per me.» «Ma è affascinante» commentò Georgie, e rimasero in silenzio mentre lei osservava ancora l'immensa distesa ai loro piedi. «Spaventoso» aggiunse rivolta al silenzio che li circondava, e dopo un po' ammise: «Sono preoccupata per Felicity». «Tua sorella è felice.» Georgie non disse nulla. Di sicuro Felicity sembrava felice. Si era innamorata di un affascinante chirurgo senza sapere che in realtà era un principe, erano chiaramente pazzi l'uno dell'altra ed emozionatissimi all'idea di avere un figlio in arrivo, ma Felicity sentiva nostalgia di casa e a volte faceva fatica ad adattarsi a tutti i doveri imposti dalla sua nuova famiglia. «Vuole che mi trasferisca qui, per aiutarla con il bambino.» «Può permettersi una tata!» esclamò Ibrahim, e Georgie sorrise, perché aveva pensato la stessa cosa all'inizio. Ma a essere onesti, quella non era l'unica ragione per cui Felicity voleva la sorella vicina. «Vuole...» Georgie respirò a fondo. Anche se era facile parlare con lui, c'erano certe cose che non voleva ammettere, e il fatto che sua sorella volesse prendersi cura di lei era una di quelle. «Vuole poterti tenere d'occhio» continuò per lei Ibrahim, perché aveva sentito parlare della sorella problematica. Una che era spesso scappata di casa e che aveva passato l'adolescenza dentro e fuori dai centri di riabilitazione per un disturbo alimentare. Georgie portava guai, l'aveva saggiamente avvertito Karim. Ma Ibrahim voleva decidere per se stesso. E in ogni caso, a lui piacevano i guai. «Felicity si preoccupa per te.» 15
«Be', non è necessario che lo faccia.» Georgie si sentì le guance in fiamme e si chiese quanto lui sapesse. «Però ha dovuto farlo, per un po'. Sei stata molto male, è naturale che lei si preoccupi.» Parlava in modo molto diretto e per un momento lei si mise sulla difensiva, ma non c'era giudizio nel suo tono, cosa assai rara. «Sto meglio ora. Però non riesco a farle capire che non deve più preoccuparsi. Sai, il guaio dell'aver avuto problemi in passato è che tutti rimangono con il fiato sospeso, in attesa che questi si ripresentino. Come quella zuppa...» Lui rise, perché aveva visto la sua faccia quando era stata servita. «Era fredda.» «Jalik» spiegò Ibrahim, «cetriolo. Va servita in quel modo.» «Sono sicura che è deliziosa, se ci sei abituato, e io ci ho provato, solo non sono riuscita a finirla tutta. Ma persino nel giorno delle sue nozze Felicity controllava che io mangiassi ogni boccone, e lo stesso faceva mia madre. Non tutto è collegato ai miei problemi alimentari, semplicemente non mi piace la zuppa di cetriolo fredda, tutto qui.» «Mi sembra giusto.» Ibrahim annuì. «E anche se non vedo l'ora che mia sorella abbia il bambino e di diventare zia, non voglio essere una tata! Ma è quello che diventerei se restassi» ammise, sentendosi colpevole per aver espresso ad alta voce le proprie preoccupazioni, ma allo stesso tempo sollevata. «È vero» concordò lui. «E andrebbe bene se quello fosse il lavoro dei tuoi sogni. Lo è?» «No.» «Posso chiederti qual è?» 16
«Ho studiato massaggi terapeutici e aromaterapia. Mi mancano un paio di esami e poi spero di avviare una mia attività. Vorrei anche continuare a studiare.» Gli raccontò i suoi progetti, molto più dettagliatamente di quanto non avesse mai fatto con nessun altro, parlò del sollievo che voleva portare ad altre donne e di come oli e massaggi l'avessero aiutata quando nient'altro sembrava funzionare. A differenza di molte persone, lui non si prese gioco di lei perché, anche se ciò non gli piaceva, era un uomo del deserto e conosceva questi rimedi. Si aprì anche lui, raccontandole cose che non credeva di poter dire ad altri esseri umani, compresa la ragione per cui non amava il deserto. «Si è preso mio fratello» le spiegò Ibrahim, perché visto che Hassan e Jamal non avevano dato alla luce un erede, Ahmed era stato proclamato re, ma lui era troppo fragile per sostenere quel ruolo e aveva scelto di addentrarsi nel deserto e lasciarsi morire. «Felicity me l'ha detto» mormorò Georgie. «Mi dispiace per la tua perdita.» E quale perdita. Ibrahim non ne sopportava nemmeno il pensiero e chiuse gli occhi, ma il vento continuava a soffiare sulla sabbia, il deserto era ancora al suo posto, e lui lo odiava. «Si è preso anche mia madre.» «Tua madre se n'è andata.» Ibrahim scosse la testa. «A causa delle regole del deserto.» Guardò in lontananza e si meravigliò delle proprie parole, non poteva credere di aver avviato quella conversazione. Quelli sarebbero dovuti rimanere solo pensieri, così si voltò verso Georgie per correggersi, per ritrattare, ma in17
contrò due enormi occhi blu disposti ad ascoltarlo e a capirlo, e si scoprì pronto a continuare. «Un giorno era qui, eravamo una famiglia, il giorno dopo se n'era andata senza alcuna possibilità di ritornare. E oggi che suo figlio si sposa lei è a Londra.» «Dev'essere terribile, per lei.» «Non è niente in confronto a non aver partecipato al funerale di Ahmed, o almeno così mi ha detto quando le ho telefonato, questo pomeriggio.» Era stata una telefonata davvero difficile, ma lui non si era tirato indietro, si era seduto e aveva ascoltato. «Mi dispiace.» Voleva che lei dicesse di capirla, per poterla schernire. Voleva dicesse di sapere come ci si sentiva, per poter ribattere duramente. Quello che non si aspettava era che una mano sorprendentemente tenera si allungasse verso di lui per accarezzargli il viso. A quel contatto, Ibrahim provò il desiderio di afferrarla, tenerla posata contro il proprio viso per godere ancora di quel semplice gesto. Non poteva sapere quanto fosse importante quel momento per lei, che per la prima volta si stava comportando in modo naturale con un uomo. «Dovresti andare» disse Ibrahim, perché Karim lo aveva messo in guardia nei confronti di quella donna, ricordandogli anche di attenersi alle leggi di Zaraq, mentre si trovava lì. Lei obbedì. Si voltò, lasciandolo a fissare il deserto, e mentre si allontanava sentiva ancora il calore di quelle dita e aveva la mente in subbuglio all'idea del contatto appena stabilito. «Credo tu li abbia definiti tutti banali.» Abby interrup18
pe il corso dei suoi ricordi. «Non è affatto come l'avevo immaginato.» «È tutto diverso, laggiù. Ci sono usanze differenti, leggi differenti...» cercò di spiegarle Georgie. Non voleva bere champagne, non voleva ballare con l'uomo che glielo stava chiedendo, ma era la serata di Abby, e in effetti era molto più divertente essere dentro al locale che in coda all'esterno. Georgie non fece sospettare neanche per un momento all'amica che la sua mente era da qualche altra parte, ma anche Abby sembrava più interessata a Ibrahim che al locale in sé, perché più tardi la conversazione tornò a concentrarsi su di lui. «Andrai laggiù tra una settimana» le ricordò Abby. «Lui sarà lì?» Georgie scosse la testa. «Torna a casa il meno possibile. Ci è andato per il matrimonio, è tornato quando è nata Azizah e ci tornerà tra poche settimane per la nascita dell'erede al trono, per lui è più che sufficiente. Per allora io me ne sarò già andata, quindi non lo vedrò per moltissimo tempo.» Bevve un lungo sorso di champagne. «Balliamo?» E lo fecero. Ballarono e festeggiarono fino alle quattro del mattino e Georgie, da buona amica, sorrise e si divertì per tutta la notte. Anche se avrebbe preferito essere a casa, da sola, a pensare a lui. Non aveva mai immaginato che potesse essere dispiaciuto.
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