MAISEY YATES
Innocente menzogna
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Her Little White Lie Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2013 Maisey Yates Traduzione di Velia De Magistris Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Collezione Harmony febbraio 2015 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2015 presso la Rotolito Lombarda - Milano COLLEZIONE HARMONY ISSN 1122 - 5450 Periodico bisettimanale n. 2965 del 27/02/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 22 del 24/01/1981 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 «Mi dia una ragionevole spiegazione per questo, oppure prenda le sue cose e vada via subito.» Paige Harper reclinò la testa per guardare il suo capo negli occhi, occhi molto scuri e molto tempestosi. La presenza di lui nel suo ufficio era abbastanza da lasciarla senza parole. Senza respiro. Bellissimo visto da lontano, da vicino era addirittura mozzafiato, persino in quel momento, quando l'ira alterava i lineamenti del suo volto. Le costò un enorme sforzo distogliere lo sguardo, ma ci riuscì. Chinò la testa, scorse al giornale che lui aveva gettato sulla scrivania, e il suo cuore ebbe un tuffo. «Oh» mormorò, prendendolo. «Oh...» ripeté. «Dunque?» «Oh...» «Ho chiesto spiegazioni, signorina Harper. E Oh non mi sembra una spiegazione» osservò lui, incrociando le braccia sull'ampio petto. «Io...» Sentendosi all'improvviso piccola piccola, Paige tornò a rivolgere la sua attenzione alla rivista, aperta alla pagina di cronaca rosa, il cui titolo recitava: Dante Romani convola a nozze con una delle sue impiegate. Sotto le parole scritte in neretto c'erano due fotografie. Una che ritraeva Dante, l'aria imperiosa come sempre, perfetto in una giacca di sartoria. E una che ritraeva lei, in jeans e maglietta, arrampicata su una scala, intenta a de5
corare con fili di argento una delle vetrine di Colson's. «Io...» provò di nuovo, poi scosse la testa e lesse l'articolo. Dante Romani, amministratore delegato del Colson Department Store, uno dei più famosi grandi magazzini della nazione, che solo la settimana scorsa ha fatto parlare di sé per aver sollevato dal suo incarico uno stimato dirigente anziano rimpiazzandolo con un giovane alle prime armi, si è fidanzato con una delle sue dipendenti. Non possiamo evitare di chiederci se giocare con i componenti del suo staff – licenziandoli oppure sposandoli – sia uno dei passatempi preferiti del discusso uomo d'affari. Una morsa di orrore le aggredì lo stomaco. Non immaginava come la notizia fosse finita sui giornali. Si era tormentata cercando un modo per rimediare alla bugia che aveva raccontato all'assistente sociale, ma aveva creduto di avere più tempo. E invece adesso la bugia del secolo era lì, nero su bianco, davanti ai suoi occhi. «Io non è più eloquente, e nemmeno più esplicativo.» «Io ho mentito.» Dante osservò la stanza, soffermandosi sui campionari di tessuto, le scatole piene di perline, i barattoli di vernice spray, e gli addobbi natalizi sparsi in pratica su ogni superficie disponibile. Tornò a inchiodarla con lo sguardo. «Anzi, ripensandoci, lasci perdere le sue cose. Farò in modo di fargliele recapitare al più presto. Ora può andare.» «Aspetti... No.» Perdere il lavoro era inimmaginabile. Così come lo era il fatto che la sua bugia fosse stata scoperta. Aveva bisogno del suo impiego, e i servizi sociali non dovevano sapere che aveva mentito durante il colloquio per l'adozione. Quello di cui aveva davvero bisogno era mettere indietro le lancette dell'orologio, pur sapendo che scegliere di non ingannare Rebecca Adler sarebbe 6
stata comunque la cosa più difficile da realizzare. Riprese a leggere l'articolo. È difficile immaginare che l'uomo che ha licenziato un ottimo amministratore colpevole solo di essere più devoto alla famiglia che al Dio Denaro possa aver deciso, così all'improvviso, di mettere su famiglia lui stesso. La domanda da porsi ora è questa: potrà questa donna decisamente mediocre mettere in riga il cinico playboy? Oppure diventerà solo l'ultima in ordine di tempo delle vittime personali e professionali collezionati da Dante Romani? Donna mediocre. Sì, questo riassumeva con precisione la sua esistenza. Persino in una delle sue fantasie più sbrigliate, che la vedeva promessa sposa del milionario più bollente della città, lei era descritta come mediocre. Paige deglutì e si costrinse a guardare il suo capo. «Questo è giornalismo spazzatura. Assurdità con il solo scopo di fare notizia. Roba inconsistente, direi.» «Cosa sperava di ottenere con questo?» tuonò Dante. «Voleva solo divertirsi, e non aveva previsto che un'assurda invenzione si sarebbe trasformata in un pettegolezzo dalle dimensioni nazionali? Oppure era tutto pianificato?» Paige si alzò, le ginocchia che tremavano. «No, io...» «Forse lei non è degna di nota, signorina Harper, ma io lo sono» la interruppe Dante. «Ehi!» esclamò lei oltraggiata. «Si sente per caso insultata?» «Un poco.» «Mi creda, non può essere offesa come mi sono sentito io questa mattina, quando sono arrivato in ufficio per scoprire di essere sul punto di sposare una donna con la quale a malapena ho scambiato qualche parola!» «In realtà, siamo nella stessa barca. Non mi aspettavo che la cosa finisse sui giornali. Anzi, non mi aspettavo che qualcuno lo venisse mai a sapere.» «Si sbagliava, evidentemente. Mi faccia la cortesia di 7
accomodarsi all'uscita, e non mi costringa a chiamare la sorveglianza» concluse Dante prima di girarsi per avviarsi verso la porta. «Signor Romani, la prego, mi ascolti...» Stava quasi supplicando. Anzi, stava decisamente supplicando, si rese conto Paige, ma non le importava. Si sarebbe messa anche in ginocchio se fosse servito a qualcosa, avrebbe fatto di tutto pur di persuaderlo a non rovinarla. «L'ho fatto. Ma sembra che lei non abbia niente di interessante da dire.» «Perché non so da dove iniziare.» «Provi dall'inizio, magari.» Paige tirò un profondo respiro. «Rebecca Adler non approva le madri single. Non tutte le assistenti sociali sono così, ma lei sì, dunque mi ha chiesto perché mai Ana dovrebbe stare meglio con me piuttosto che con una famiglia tradizionale, composta di una madre e un padre, e io ho replicato che ci sarebbe stato un padre in quanto stavo per sposarmi e... e il suo nome mi è salito spontaneamente alle labbra perché lavoro per lei, e dunque mi capita di pensare spesso a lei.» Dante chinò la testa da un lato, una ruga di perplessità che gli solcava la fronte. «Questo non è l'inizio» puntualizzò. Paige sospirò e cercò di rimettere ordine nel caos che regnava nel suo cervello. «Sto cercando di adottare una bambina.» «Non ne avevo idea.» «Be', lascio mia figlia al nido riservato ai dipendenti ogni giorno.» «Io non passo mai per il nido» commentò Dante, la voce priva di inflessione. «Ana è ancora così piccola... È stata con me sin da quando è nata...» balbettò Paige. Pensare a Shyla le fece salire, come sempre, le lacrime agli occhi. Shyla, la sua bella, intelligente, migliore amica. L'unica persona al 8
mondo che avesse mai apprezzato la sua eccentricità piuttosto che criticarla. «Sua madre è morta, e io mi prendo cura di lei. Ma non c'è nulla di ufficiale, e adesso è stata dichiarata adottabile.» «Il che significa?» «Significa che lo stato ha deciso che Ana debba avere una sistemazione definitiva. Io andavo bene per l'affido temporaneo, purtroppo l'adozione però è una faccenda completamente diversa. Ho sostenuto un primo colloquio con l'assistente sociale due giorni fa, ma non sembrava incline a esprimere un parere favorevole. E allora ho mentito. Sul nostro fidanzamento, ma la scongiuro di credermi che è una faccenda che non la riguarda.» Un'altra bugia. La faccenda riguardava molto il fatto che Dante Romani fosse l'uomo più bello che avesse mai visto. E che lei lavorava nel suo stesso edificio, e che talvolta le capitava di incrociarlo lungo i corridoi. Essere esposta a un tale fascino virile era pericoloso. Dunque sì, a volte pensava a lui anche dopo l'orario di lavoro. Perché era stupendo, e perché lei non frequentava nessuno da un tempo imprecisabile, e quindi le immagini che la sua fantasia le forniva di Dante costituivano anche tutta la sua vita sentimentale. Come risultato di quell'esposizione, quando Rebecca Adler aveva insistito per sapere il nome del fantomatico fidanzato, le sue labbra, come animate da una volontà propria, avevano pronunciato quello di Dante. «Cosa posso dire... Sono lusingato» commentò lui con tono decisamente poco lusingato. Paige si massaggiò le tempie. «Lo so, lo so che non riuscirò mai a darle una spiegazione accettabile. Ma non avrei certo immaginato che la notizia finisse sui giornali. Ora però è successo, e se Rebecca Adler scoprirà che noi non siamo fidanzati e che io ho mentito...» «La considererà non solo una madre single, ma anche 9
una bugiarda» terminò Dante in sua vece. «Due punti che non vanno a suo vantaggio.» Paige annuì. «Esattamente.» Era giusto, due punti. E non era un rischio accettabile, non se Ana era coinvolta. Ana, la luce della sua vita, una bimba indifesa che lei amava più di ogni altra cosa al mondo. E niente e nessuno se non quella bambina avrebbe potuto indurla a giungere a un tale livello di menzogna, e a fare ciò che stava per fare adesso, cioè chiedere al suo capo di sposarla. Al suo capo, all'uomo che le portava via il respiro semplicemente passandole davanti. All'uomo che era talmente fuori dalla sua portata che persino ipotizzare un appuntamento per cena con lui era ridicolo. Ma c'era troppo in gioco. Valeva la pena di passare sopra il proprio orgoglio, e di rischiare un clamoroso rifiuto. «Io... avrei bisogno della sua collaborazione.» L'espressione del suo viso di non mutò. Dante Romani era illeggibile, il che era un fatto risaputo. Era il tenebroso principe dell'impero Colson, il figlio adottivo di Don e Mary Colson. Fra le tante congetture fatte, qualche giornalista aveva ipotizzato che i coniugi – in cerca di un erede per la loro fortuna economica – lo avessero scelto per il particolare acume e la tendenza al cinismo manifestati sin da ragazzo. Aveva sempre giudicato quel tipo di chiacchiere ingiuste. Ora però era indotta a chiedersi se per caso Dante non fosse davvero così spietato come lo dipingevano. Sperava di no, perché per lei era necessario che avesse almeno un piccolo pezzetto di cuore se voleva sbrogliare quella spinosa faccenda in cui si era cacciata. «Non sono nella posizione per offrire quel tipo di collaborazione» sentenziò lui secco. «Perché?» replicò Paige, costringendosi a raddrizzare la schiena. «Perché no? Non avrò bisogno di lei per sempre, ma solo per...» «Lei vuole che io la sposi» la interruppe Dante, «il che 10
mi sembra il primo passo verso la follia, non è d'accordo?» «Lo farebbe per mia figlia» disse Paige. Le parole riecheggiarono nella stanza assordanti, ma ora che le aveva pronunciate, non se ne pentiva. Avrebbe fatto tutto per Ana, anche quello, correndo il serio rischio di essere cacciata in malo modo. Perché, per la prima volta nella sua vita c'era qualcosa di veramente importante, di più importante dell'orgoglio o dell'istinto di auto preservazione. Così importante da accettare il rischio di aggiungere un altro punto sulla sua personale, lunga lista di fallimenti. «Non è sua figlia» sottolineò lui. «Il sangue non è tutto» puntualizzò Paige a sua volta. «Lei più di tutti dovrebbe saperlo.» Forse non era stata una buona idea tirare in ballo la sua storia, pensò, ma era la verità. Lui la osservò per qualche istante. «Non la licenzierò» dichiarò infine. «Ma esigo ulteriori spiegazioni, spiegazioni che abbiano un senso. Quali sono i suoi impegni per oggi?» Paige indicò le scatole sparse per la stanza. «Sto preparando le decorazioni per le vetrine di Natale.» «Resterà in ufficio?» Annuì. «Bene. Prima di andare via, passi da me» concluse Dante. Rimasta sola, Paige crollò sulla sua sedia. Avrebbe voluto raggomitolarsi su se stessa, avrebbe voluto sparire. Si era comportata da stupida... Nulla di nuovo, dunque. Aveva la pessima abitudine di parlare prima di riflettere. Solo che questa volta la sua sventatezza le aveva procurato guai seri perché coinvolgeva l'uomo che le firmava l'assegno dello stipendio. Adesso tutto era nelle mani del signor Romani. Tutto, il suo futuro, la sua famiglia. I suoi soldi. «Devi imparare a pensare prima di dar voce ai tuoi pensieri» disse a se stessa. Sfortunatamente era troppo 11
tardi per quel consiglio. Decisamente troppo tardi. Dante finì di esaminare l'ultimo contratto della giornata e ripose la cartella nel cassetto, poi appoggiò i gomiti sulla scrivania e si sporse in avanti per guardare il giornale aperto sulla lucida superficie di cristallo. Aveva riletto l'articolo non appena entrato nel suo ufficio, un feroce attacco a colui che il reporter definiva come l'impostore della famiglia Colson. Abbondavano i dettagli sulla vicenda di Carl Johnson, il dirigente che lui aveva licenziato la settimana precedente perché aveva preferito assistere a un evento sportivo riservato ai bambini piuttosto che presenziare a un'importante riunione d'affari. La stampa si era occupata ampiamente della faccenda quando Carl aveva rilasciato dichiarazioni circa l'assurda discriminazione che aveva subito. A suo parere però, non c'era nulla di discriminante nell'aspettarsi che un dipendente svolgesse bene il suo lavoro, indipendentemente dalla finale di baseball nella quale avrebbe giocato il figlio di cinque anni. Tuttavia era stato un invito a nozze per i media, che avevano usato quella storia per lanciargli l'ennesimo attacco, sottolineando, ancora una volta, la sua totale mancanza di umanità. In genere, non faceva caso alle idiozie stampate sulle pagine delle riviste di cronaca rosa ma, in quel caso, qualcosa lo aveva colpito, esattamente la domanda che si era posto il giornalista. Potrà questa donna decisamente mediocre mettere in riga il cinico amministratore delegato? Paige Harper mettere in riga... lui? La sola idea lo faceva sorridere. Non aveva mai avuto alcun particolare contatto con lei. Svolgeva il suo lavoro, e lo svolgeva bene, dunque non aveva avuto motivo per intervenire. Ma l'aveva notata. Sarebbe stato impossibile non farlo. Si ag12
girava nell'edificio praticamente avvolta da una nuvola di luce, irradiando energia ed efficienza. Avrebbe mentito affermando di non essere intrigato da lei. Era come una finestra aperta su tutte quelle cose che lui evitava: confusione, colore, movimento. Quello, combinato con un fisico che nessun uomo con un minimo di sangue nelle vene avrebbe potuto ignorare, lo intrigava. Ciò nonostante non era il tipo di donna che di solito avrebbe frequentato. Fino a oggi. Francamente non aveva alcuna voglia di essere messo in riga, ma la prospettiva di presentare all'opinione pubblica un'immagine diversa di se stesso aveva del buono. Avrebbe potuto esigere che lei rilasciasse una dichiarazione – questa volta veritiera – alla stampa quella mattina stessa. Oppure, avrebbe potuto lasciar correre, evitando di soffermarsi sul personaggio che i giornalisti avevano creato per lui sin da quando era salito alla ribalta... un ragazzo di quattordici anni, adottato nonostante fosse stato ritenuto capace di violenza e di comportamenti sociopatici. La sua storia era stata scritta ancor prima che lui avesse l'opportunità di viverla. Ma non si era mai opposto. In tutta onestà, non era mai stato per lui motivo di interesse. Ora però gli era stato offerto il mezzo per cambiare le cose. Si girò verso la finestra che affacciava sul porto. Rivide l'espressione che era apparsa sul viso di Paige, la disperazione e la paura che le avevano illuminato gli occhi. I giornalisti qualcosa di giusto sul suo conto la raccontavano, ammise, cioè che sentimenti ed emozioni contassero molto poco per lui. Tuttavia... Tuttavia non riusciva a dimenticare. E poi c'era la bambina. Non gli interessavano i bambini. Non desiderava averne di propri un giorno. Ma rammentava molto bene cosa aveva significato essere un bambino. Rammentava ognuna delle coppie di genitori affidatari che lo avevano accolto per otto lunghi anni. Rammentava 13
l'orrenda sensazione di essere alla mercé delle istituzioni, e più di tutto rammentava gli adulti che gli avevano dato dolore, e non amore. Poteva consegnare Ana allo stesso destino? A una famiglia che non l'avrebbe mai amata così come Paige, apparentemente, l'amava? E perché poi la cosa lo riguardava? Era quella la domanda da un milione di dollari. Preoccuparsi per gli altri non faceva parte delle sue abituali occupazioni. La porta dell'ufficio si aprì e Paige entrò. Anzi, più precisamente fece irruzione, con il suo solito impeto. Una grossa borsa dorata le pendeva da una spalla, dello stesso colore delle scarpe i cui tacchi aggiungevano almeno dieci centimetri alla sua altezza. Aveva un rotolo di tessuto infilato sotto un braccio, e un grande album da disegno nell'altra mano. Appoggiò i suoi averi sulla poltrona posta davanti alla scrivania e, nel movimento, la gonna le aderì maggiormente sui fianchi tondi. Raddrizzò la schiena e respinse una ciocca di capelli castano scuro, rivelando un lungo ricciolo tinto di rosa nascosto fra gli altri. Era una donna... brillante, nel vero senso della parola, a partire dal trucco, verde acceso sulle palpebre, rosso fuoco sulle labbra e sulle unghie. Dava di sé un'immagine affascinante, dalla quale distolse lo sguardo a fatica. «Aveva detto di venire qui prima di andare via, giusto?» esordì lei. Dante annuì. «Sì» confermò, osservando adesso gli oggetti che lei aveva gettato alla rinfusa sulla poltrona. Avvertì il bizzarro desiderio di sistemarli. «Ha intenzione di licenziarmi?» «No» replicò lui. «Mi dica qualcosa in più sulla sua situazione.» Una piccola ruga le solcò la fronte. «In poche parole, Shyla era la mia migliore amica» cominciò Paige. «Ci siamo trasferite qui insieme. Lei aveva un fidanzato, ri14
mase incinta. Il tizio la abbandonò. Comunque insieme ce la cavammo bene per un po', poi però lei si ammalò dopo aver dato alla luce Ana. Aveva perso molto sangue durante il parto e stentava a riprendersi. Era così debole, contrasse un'infezione ai polmoni.» Fece una pausa e sospirò, rinchiudendosi nelle esili spalle. «Shyla morì lasciandoci sole. Me e Ana.» Una strana emozione gli bruciò il petto, causata dal pensiero di una bambina cui la morte aveva strappato via la madre. Strinse i denti. «I genitori della sua amica?» volle sapere. «La madre di Shyla non si è mai fatta vedere, il padre è ancora vivo per quanto ne so, ma non sarebbe in grado di occuparsi di una bambina, né immagino vorrebbe farlo.» «E lei non può adottare Ana perché non è sposata.» Di nuovo Paige sospirò e prese a camminare in lungo e in largo per la stanza. «Non è così semplice. Cioè, l'assistente sociale non lo ha posto come una condizione. Ma nello stesso istante in cui Rebecca Adler ha messo piede in casa mia, è stato ovvio che non ne era molto entusiasta.» «Cosa c'è che non va nel suo appartamento?» «È molto carino e si trova in un quartiere decente, ma è piccolo.» «I prezzi degli immobili sono molto alti a San Diego.» «Esatto. Molto alti. Così io ho un piccolo appartamento, e al momento Ana condivide la camera con me. Ammetto che un palazzo di cinque piani non è l'ideale per crescere un bambino, ma tante coppie hanno figli e abitano nei condomini.» «Allora perché per lei sarebbe un impedimento?» insisté Dante, iniziando ad avvertire irritazione e impazienza. «Non saprei... Ma Rebecca Adler ha detto che Ana sarebbe stata molto meglio con una madre e un padre, forse io non volevo che la bambina fosse felice? Insomma, mi ha fatto intendere piuttosto chiaramente di non volermi 15
concedere la custodia e io... Io sono andata nel panico.» «E in che modo è venuto fuori il mio nome? Come è finito sui giornali?» Fiamme le salirono al viso. «Non lo so» mormorò Paige. «Non credo sia stata Rebecca a informare la stampa. Forse qualcuno ha trovato l'appunto che ha scritto e lo ha consegnato alla redazione della rivista.» «L'appunto?» «Sì, l'appunto. Ha annotato il suo nome e il fatto che noi eravamo fidanzati. Ha detto che questo poteva fare la differenza.» «Non pensa che la differenza stia nel fatto che io sono un plurimilionario piuttosto che nel fatto che lei avrà un marito?» ipotizzò Dante. Non aveva alcun dubbio sul suo fascino, né lo aveva il mondo intero. Ma quello che di lui attraeva di più le donne era il conto in banca, quello stesso conto che, probabilmente, lo aveva reso un futuro padre accettabile nell'opinione dell'assistente sociale. Economicamente era in grado di provvedere a un bambino... A molti bambini e questo era importante. Era anche un modo molto triste per decidere chi fosse adatto a diventare padre. Ma così funzionavano le cose. Partire dalla miseria più assoluta per finire con più denaro di quanto ne avrebbe mai potuto spendere gli aveva insegnato quella lezione. «Forse» ammise Paige, poi si mordicchiò il labbro inferiore. Il telefono sulla scrivania squillò. Dante spinse un pulsante e la voce di Trevor, il suo assistente, riecheggiò nella stanza. «Signor Romani, i giornalisti continuano a telefonare. Vorrebbero una dichiarazione riguardo il suo... fidanzamento.» Dante scosse la testa e scoccò a Paige un'occhiata assassina. Lei non vacillò, anzi, sembrò appena notarlo. Stava guardando verso la finestra, si avvolgeva sul dito 16
una ciocca di capelli, bilanciando il peso del corpo da una gamba all'altra. Era la creatura più bizzarra che avesse mai visto, decise. «Mi dica, cosa ritiene che dovrei dichiarare?» le domandò. Per quello che riguardava la stampa, era in procinto di sposare Paige e di adottare una bambina con lei. Ritrattare solo all'indomani dell'annuncio avrebbe definitivamente convinto l'opinione pubblica della sua totale assenza di valori come l'onore e la dignità, il che non era precisamente uno dei suoi scopi più ambiti. Certo, si diceva di lui che l'arte della diplomazia gli fosse sconosciuta. In realtà, non era incline alla falsa adulazione, ma questo non significava che mirava a esporsi a un massacro mediatico. Perché un tale massacro avrebbe danneggiato i suoi affari, qualcosa di assolutamente inaccettabile. Don e Mary Colson lo avevano adottato per avere un erede per il loro impero economico, e per nulla al mondo li avrebbe delusi. E poi c'era Ana. Non gli piacevano i bambini. Non ne aveva mai desiderato uno. Ma il ricordo della sua infanzia, delle famiglie affidatarie, del passare di casa in casa – a volte accoglienti, a volte no – era ancora molto forte. E doloroso. Forse Ana sarebbe stata adottata in tempi brevi, giusto. Ma i nuovi genitori le avrebbero offerto cure e affetto? L'avrebbero amata davvero? Paige la adorava, su quello non aveva alcun dubbio. Preoccuparsi per il benessere di un altro essere umano era un impegno insolito per lui. Ma, doveva ammetterlo, si stava preoccupando per quella bambina che non conosceva nemmeno. Era profonda la necessità che avvertiva di risparmiare a un innocente alcuni orrori della vita. Orrori che lui aveva conosciuto fin troppo bene. «Vogliono i dettagli» insistette Trevor. Dante cercò lo sguardo di Paige con il suo. «Ovvio.» 17
Li vorrei anch'io... «Ma dovranno aspettare. Al momento non ho dichiarazioni da rilasciare» aggiunse prima di pigiare il tasto per interrompere la comunicazione. «Naturalmente dovrò averne una al più presto.» Un piano si stava formando nella sua mente, uno stratagemma per trasformare quel potenziale disastro in un evento da cui trarre personali benefici. «Lei cosa suggerisce?» Paige smise di dondolarsi. «Potremmo sposarci?» azzardò, un'espressione speranzosa sul viso. «O magari fingere di essere fidanzati per un po'?» La disperazione di quella donna era tangibile, notò Dante. Nessuno aveva tenuto tanto a lui da quando aveva perso la sua madre biologica. Non ne soffriva più, era ormai troppo tardi. Ma non era troppo tardi per Ana. Abbassò lo sguardo sul giornale. Comunque, non lo avrebbe fatto solo per Ana. Era esaltante l'idea di essere lui, per una volta, a manipolare i media, e non il contrario. Era passato dall'essere un astioso adolescente a un uomo temuto nel mondo degli affari. Per anni era stato descritto come un ingrato, anaffettivo figlio adottivo che non meritava un posto nella famiglia Colson. Con la maturità, era stato dipinto come un datore di lavoro spietato, e un cinico playboy con l'abitudine di sedurre malcapitate donzelle grazie a false promesse e al miraggio di un futuro fatto di lussi, solo per poi gettarle via come spazzatura. Opinioni che influenzavano il modo in cui le persone si relazionavano con lui. Il modo in cui le persone facevano affari con lui. Forse ora aveva la possibilità di modificare tutto quello? Non sarebbe stato un accordo permanente, ovvio. Non prendeva nemmeno in considerazione la possibilità di un matrimonio. D'altra parte un breve fidanzamento, lo ammetteva, poteva dare buoni risultati. Essere considerato un angelo, e non più un diavolo, era 18
una prospettiva interessante. Avrebbe reso il suo lavoro più semplice. Da tempo ormai non badava più alle critiche negative, sempre che queste non influenzassero gli affari. Sapeva però che, nel passato, diversi clienti avevano evitato di chiudere importanti contratti con Colson's proprio a causa della sua pessima reputazione. Un dongiovanni. Un uomo crudele, pericoloso. Si era detto questo di lui, e molto altro ancora. Pettegolezzi. Per la maggior parte chiacchiere prive di fondamento che però erano pur sempre circolate negli ambienti che contavano. La situazione poteva cambiare se ora si fosse trasformato in un padre di famiglia? Sarebbe bastato interpretare quel ruolo per un periodo per modificare l'opinione che di lui aveva il mondo? Sì, decise annuendo. La prospettiva era interessante. Per un momento permise a se stesso di soffermarsi sulle molteplici possibilità che offriva Paige. Sulle fantasie erotiche che spontanee si erano formate nella sua mente ogni volta che l'aveva incrociata lungo il corridoio. Fantasie che aveva sedato sul nascere. Cancellò immediatamente il pensiero. Non era del suo corpo che aveva bisogno. «D'accordo, signorina Harper, solo per amore delle apparenze ho deciso di accettare la sua proposta.» Paige sgranò gli occhi blu come il mare. «Lei... Cosa?» «Ho deciso che la sposerò.»
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