SABRINA JEFFRIES
La ladra di diamanti
ISBN 978-88-6183-481-1 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: When the Rogue Returns Pocket Books A Division of Simon & Schuster, Inc., New York, NY © 2014 Deborah Gonzales Traduzione di Giorgia Lucchi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Historical agosto 2014
Prologo Amsterdam, 1818 Il buio era calato poco prima. La diciottenne Isabella Cale si teneva aggrappata al collo del suo giovane marito, intento a portarla nella sua vecchia camera da letto a casa della sorella Jacoba. Isa non sarebbe voluta andare là, ma era più sicuro che farsi accudire da Jacoba nel loro appartamento. Non voleva che la sorella andasse a cercare i diamanti falsi che lei nascondeva al marito. E Victor si rifiutava di lasciarla dal momento che stava male. Trasalì, augurandosi che la messinscena del malore funzionasse, e che lui non scoprisse mai che era solo una sceneggiata. Era stato già difficile fingere tutto il giorno, quando invece avrebbe dovuto lavorare nella gioielleria, ma le occhiate preoccupate di Victor avevano peggiorato il tutto. L'ultima cosa che avrebbe voluto dopo una sola settimana di matrimonio era ingannarlo. D'altra parte, non aveva scelta. Era per il suo bene. E per il proprio. «Siete sicura che starà bene?» chiese Victor a Jacoba, mentre deponeva Isa con gentilezza su quello che era stato il suo letto. «Ha solo bisogno di riposo e qualche coccola» rispose Jacoba rimboccando le coperte alla sorella. «Soffre di 5
questi tremendi mal di gola fin da bambina. Non durano mai più di una settimana. Avete fatto bene a portarla qui. Non è il caso che resti sola.» Le parole gentili di sua sorella una volta la facevano sentire al sicuro, prima che il loro padre orologiaio morisse sei anni prima. Prima che l'apprendista di Papa, Gerhart Hendrix, sposasse Jacoba e le prendesse con sé. Prima che Gerhart cominciasse a giocare d'azzardo. Isa e Jacoba non erano più unite come un tempo. «Non sto così male da esalare l'ultimo respiro mentre sei al negozio» sussurrò a Victor con voce rauca. Victor lavorava temporaneamente come guardia notturna presso il gioielliere dove Isa tagliava i diamanti. Dal momento che i turni lavorativi non lasciavano loro molto tempo da trascorrere insieme, quel giorno era stato meraviglioso restare a casa con lui. Be', eccetto il doversi fingere malata. Gli adorabili occhi nocciola di Victor erano cupi. «Mi dispiace di doverti lasciare, ma quantomeno Jacoba potrà prendersi cura di te.» Oh, se solo Isa non fosse stata così codarda e gli avesse detto la verità! Ma sarebbe stato devastante se Victor avesse cambiato opinione su di lei. Meglio evitare interamente il problema. Se fosse riuscita a indurre la sorella e il marito a credere al suo malore per una sola notte, l'indomani sarebbe tutto finito. Victor non sarebbe mai venuto a conoscenza del piano assurdo architettato dai suoi familiari per rubare la parure di diamanti reale dal negozio del gioielliere. Una ciocca di capelli ondulati di un caldo color castano gli ricadde sul volto quando si chinò per baciarle la fronte. «Vorrei non doverti lasciare sola, ma la guardia del principe sta arrivando e...» «Lo so» lo interruppe lei, impedendogli di rivelare 6
che l'indomani i gioielli reali avrebbero lasciato il negozio. Jacoba non doveva sapere che l'opportunità di rubarli sarebbe sfumata dopo quella notte. «Non sappiamo per quanto riuscirai a mantenere il tuo impiego, ti conviene lavorare finché puoi.» Il suo impiego sarebbe cessato l'indomani, dopo che il gioielliere avesse affidato i gioielli reali alla guardia del principe. «Troverò un altro lavoro dopo questo» disse lui, risentito. «Anche se il gioielliere non vorrà tenermi. Non preoccuparti.» «Non sono preoccupata» si affrettò a rassicurarlo. Victor era un uomo orgoglioso, non era stata sua intenzione offenderlo. Inoltre, chi non lo avrebbe assunto? Il gioielliere era un vecchio amico della madre di lui, avrebbe trovato di sicuro qualche modo per tenerlo a lavorare con sé. «Ho fiducia in te.» Le sue parole lo addolcirono solo un poco. «Sei preoccupata per qualcosa. Lo so.» «Non essere sciocco.» Era così trasparente? Santo cielo, meglio mandarlo via, prima di tradirsi. Arrochì la voce. «Se non vai, farai tardi.» Il turno di Victor cominciava alle otto di sera, quando il gioielliere tornava a casa. «Non preoccuparti per me. Sono in buone mani con Jacoba.» La menzogna rischiò di soffocarla. Lui parve non notarlo, mentre le rimboccava le coperte. «Verrò a prenderti domani a fine turno, Mausi.» Lei trasalì per il vezzeggiativo tedesco. Victor usava sovente termini stranieri, parlava correntemente olandese, fiammingo, tedesco, inglese e francese, cosa che non cessava di meravigliarla. Tuttavia non le piaceva essere chiamata topolino. Probabilmente perché lei era un topo, da tutti i punti di vista. Oltre a sembrare un topo, capelli castani anonimi che si rifiutavano di lasciarsi arricciare, noiosi occhi castani e fianchi troppo larghi a confronto con il pet7
to piccolo, si comportava anche come un topo. Preferiva tagliare diamanti o disegnare gioielli piuttosto che litigare o fare storie. Ecco come si era ritrovata in quel guaio. Ed ecco perché rimase in silenzio mentre lui si avviava alla porta. Avrebbe dovuto richiamarlo, raccontargli la verità e affrontare le conseguenze. Ma sarebbe stato più facile lasciar passare la notte con un inganno, poi sarebbe stata libera dalle macchinazioni della sua famiglia. Per sempre. Perché non avrebbe mai più creato un'altra imitazione di una parure. Non avrebbe realizzato nemmeno quella che aveva preparato, se Jacoba e Gerhart non l'avessero convinta che avrebbero potuto venderla come se fosse una copia legittima, guadagnando una considerevole somma di denaro grazie alla sua abilità nel creare diamanti falsi. Se avesse saputo che si sarebbero messi in testa di commettere un crimine... Soffocando un gemito, si voltò sul fianco e vide Victor che, uscendo nel corridoio con Jacoba, le mormorava le istruzioni su come prendersi cura di sua moglie. Era così affascinante suo marito, così gentile. Isa viveva nel terrore che scoprisse i sordidi piani degli Hendrix e il suo coinvolgimento. Le si strinse la gola. Com'era mai riuscita ad attirare la sua attenzione? Lui era un leone, lei un topolino. Le numerose cicatrici le dicevano che aveva sofferto molto durante i tre anni trascorsi nell'esercito prussiano. E il dolore per aver combattuto a Waterloo si annidava ancora nei suoi luminosi occhi nocciola. Isa sospettava che avesse altri segreti oscuri. Lui non parlava della sua infanzia né della famiglia, eppure non si preoccupava per il domani, perseverando nonostante le avversità del passato. Invece lei se ne stava là a fingere di essere malata. 8
Oh, cosa non avrebbe dato per essere coraggiosa e temeraria, per essere in grado di tenere testa a Gerhart tutte le volte che ripeteva di aver salvato lei e Jacoba dalla rovina dopo la morte di Papa. Era vero, ma perché ciò significava che lei avrebbe dovuto mettere a repentaglio felicità e sicurezza? Perché non era capace di dirglielo? Perché Gerhart si sarebbe messo a inveire contro di lei e contro Jacoba e Isa detestava le urla. E le occhiate gelide. E sentirsi ricordare che non avrebbe avuto nemmeno il suo posto di lavoro dal gioielliere, se Gerhart non avesse incoraggiato il talento per la creazione dei gioielli e il taglio dei diamanti che lei aveva ereditato da Papa. Sospirò sul cuscino. «Quindi non stai dormendo» commentò Jacoba, tornata in camera da letto con il passo felpato di un gatto. Isa si irrigidì. «No, non ancora. Ma mi sento malissimo. Debole e indolenzita. E mi fa male la gola.» Soffocando il senso di colpa, guardò con la coda dell'occhio la sorella che, essendo sette anni più grande di lei, era stata come una madre per Isa. Un tempo. Jacoba le posò la mano sulla fronte. «In effetti sembri un po' calda.» Perché stava sotto una pila di coperte pesanti. Pregò che il sudore che le imperlava la fronte non la tradisse. «Non riesco a scaldarmi» mentì con un sussurro rauco. «Comincia sempre con i brividi freddi...» «Me lo ricordo.» Sua sorella la guardò con durezza, come se avesse smascherato la sua farsa. Isa trattenne il respiro. Jacoba e Gerhart insistevano affinché sostituisse la sua parure falsa a quella vera, dal momento che il gioielliere l'aveva terminata. Secondo loro le sarebbe bastato sottrarre le chiavi al 9
marito addormentato e aprire la cassaforte mentre il gioielliere era a pranzo. Tradendo Victor e tutto ciò in cui credeva. Aveva rimandato per giorni, ma la sera prima Gerhart aveva minacciato di parlarne con Victor e convincere lui a fare lo scambio. Isa non poteva permetterlo, Victor sarebbe inorridito. Che Gerhart si infuriasse pure perché sua cognata si era ammalata proprio l'ultimo giorno in cui avrebbe potuto sostituire la parure. Alla fine si sarebbe dovuto rassegnare ad aver perduto quell'opportunità. Forse sarebbe perfino riuscito a vendere l'imitazione della parure, come avrebbe voluto fare inizialmente, a qualche signora abbiente che voleva gioielli identici a quelli della futura sposa del principe. Alla fine Jacoba parve credere alla messinscena di Isa e la sua espressione si addolcì. «Cerca di dormire. Ti porterò qualcosa per la gola.» «Grazie» mormorò Isa, senza preoccuparsi di nascondere una smorfia. Detestava la medicina di Jacoba, ma quando sua sorella tornò con il tonico disgustoso, fu costretta a trangugiarlo. Se si fosse rifiutata, Jacoba si sarebbe insospettita. Dopo, sua sorella la sorprese, sedendosi accanto a lei e asciugandole la fronte con un panno umido finché Isa si assopì. Le parve fossero trascorsi solo pochi minuti quando si svegliò nella luce grigia dell'alba che penetrava nella camera da letto. Dapprima si sentì disorientata. Dove si trovava? Perché non era nel suo appartamento? E dov'era Vic... Scattò a sedere appena gli eventi della sera prima le tornarono in mente. Era sempre buio quando il turno di 10
Victor terminava alle sei del mattino, ma a giudicare dalla luce dovevano essere già passate le sette. Avrebbe dovuto essere là. Aveva detto che sarebbe tornato a prenderla appena il suo turno fosse finito! Una porta si aprì e si richiuse in fondo al corridoio e Isa udì delle voci. Prima che potesse scendere dal letto, Gerhart e Jacoba irruppero nella sua stanza. «Ce l'abbiamo fatta, Isa!» esclamò Jacoba, il volto arrossato, gli occhi luminosi mentre improvvisava una giga. «Li abbiamo presi!» Quando Isa la fissò, confusa, il robusto cognato estrasse una collana dalla tasca e la sollevò affinché catturasse i deboli raggi di luce mattutina. «Ora è nostra. La faremo a pezzi e venderemo i gioielli a Parigi. Conosco un commerciante che ci pagherà bene per...» «Basta!» esclamò Isa, sentendo l'orrore crescerle nell'addome. «Cosa intendete dire? Avete i diamanti veri?» «Certamente.» Gerhart scambiò un'occhiata con la moglie. «Con te malata, abbiamo dovuto agire da soli. Non avrai creduto che ci saremmo lasciati sfuggire questa opportunità, vero? Abbiamo sostituito noi i gioielli.» La mente di Isa annaspò. «Ma come... Victor avrebbe dovuto lasciarvi...» «Sì.» Jacoba le si avvicinò e le cinse le spalle con un braccio. «Prima gli ho spiegato il nostro piano e ha accettato di aiutarci in cambio degli orecchini della parure. Siamo andati insieme a cercare le imitazioni nel vostro appartamento, poi lui ha sostituito la parure in negozio.» Un brivido la attraversò. Era quella la ragione dei sussurri furtivi che aveva udito nel corridoio? Jacoba aveva parlato a Victor del piano? «Siamo stati lieti di lasciargli una parte» intervenne Gerhart. «Visto il tuo coinvolgimento nell'affare... e il suo. La vendita degli orecchini dovrebbe fruttarvi denaro sufficiente per...» 11
«Non può averlo fatto!» urlò Isa, la gola stretta dall'orrore. Liberatasi da Jacoba, si alzò e li fronteggiò. «Non ruberebbe mai. Lo conosco.» «Apparentemente, meno di quanto credi.» Gerhart si diresse alla finestra e aprì le tende per lasciar entrare la debole luce invernale. «Te l'avevo detto che ti avrebbe ascoltata, se gli avessi accennato l'argomento.» Possibile che si fosse sbagliata tanto riguardo a suo marito? «Ho voluto aspettare prima di parlargliene per...» «Sì, lo sappiamo» disse sua sorella, il tono tagliente. «Sono certa che ti sei dimenticata di dirci che la guardia del principe sarebbe arrivata stamane a prendere i gioielli. Non era tua intenzione lasciare che succedesse senza informarci.» «Certo che no» mormorò lei, incapace di sostenere lo sguardo di Jacoba. Non riusciva a credere che stesse succedendo davvero. «Grazie a Dio Victor ha accennato qualcosa prima di andarsene da qui» riprese la sorella, «altrimenti avremmo perso la nostra occasione.» Santo cielo. «Dov'è Victor ora?» Isa si diresse verso la porta. Doveva scoprire se aveva commesso davvero quell'atto oltraggioso. «Se n'è andato.» Gerhart ripose la collana nella tasca della giacca. «Tra di noi è quello più a rischio di essere arrestato, così è dovuto partire per Anversa appena finito il turno. Non lo aspettano al negozio fino a stasera e forse nemmeno questo, dal momento che il suo incarico come guardia finisce oggi. Nel frattempo...» «State dicendo che Victor mi ha lasciata?» Il sangue le martellava nelle orecchie quando si voltò verso gli altri due. «Mio marito mi ha lasciata?» «Non esattamente» rispose Jacoba, tutta compassione e sollecitudine. «Dopo aver venduto gli orecchini ad 12
Anversa, ci raggiungerà a Parigi. È là che siamo diretti con collana, braccialetto e spilla. Victor ha suggerito di dividerci, in caso qualcuno venisse a cercarci. Si aspetteranno due coppie che viaggiano insieme, non immagineranno che tu venga con noi e lui vada da un'altra parte.» «Siamo certi che le tue imitazioni non saranno scoperte se qualcuno dovesse controllarle» disse Gerhart. «Ma è meglio essere ben lontano, in caso dovesse andare diversamente. Il gioielliere non ti aspetta in negozio fino a domani. Victor lo ha già avvertito che stai male, per nostra fortuna. Ciò ci dà il tempo per allontanarci da qui.» «La cosa bella è che, se i tuoi diamanti non saranno scoperti, nessuno saprà mai del furto!» disse Jacoba, trionfante. La luce innaturale nei suoi occhi fece rabbrividire Isa. «Victor ha lasciato una lettera al vostro padrone di casa, informandolo che entrambi avete trovato posti di lavoro redditizi a Francoforte. Il gioielliere lo riterrà plausibile, in particolar modo dal momento che l'incarico di Victor era terminato. È un piano perfetto!» «A parte il fatto che io non volevo essere coinvolta in tutto questo!» Gerhard la fissò socchiudendo gli occhi. «Poco fa hai detto che stavi aspettando il momento giusto.» Le si asciugò la bocca. «Ho... ho mentito. Non voglio essere una criminale! Voglio solo tagliare diamanti e disegnare gioielli e avere una vita normale.» «Che vita normale potresti mai sperare di avere, con un marito senza lavoro?» sbottò Jacoba. «Quanto credi ci vorrebbe prima che il tuo posto sia assegnato a un uomo? E poi?» Distolse la sguardo da Isa, come se fosse disgustata. «Quantomeno tuo marito ha capito che il nostro piano era sensato.» Decisa a non comportarsi da topolino, Isa alzò il men13
to. «Non posso credere che Victor abbia accettato di...» «Non è qui, giusto?» rilevò Jacoba. «Tu stessa gli hai sentito dire che sarebbe tornato per portarti a casa. Eppure avrebbe già dovuto essere qui.» La verità la investì. «Comunque io non...» «Come credi che siamo riusciti ad avere i diamanti, piccola sciocca?» Gerhart le si avvicinò, alterato. «Non saremmo mai riusciti ad aprire la cassaforte da soli. Ci vogliono cinque uomini per sollevarla e le serrature sono troppo complicate. Si poteva aprire solo con le chiavi. Le chiavi di Victor.» Il sangue tuonava nelle orecchie di Isa. Gerhart attese un momento poi riprese, freddo. «È stato ben felice di aiutarci, quando ha capito che era l'unico modo per essere certo di poter provvedere a sua moglie.» Troverò un altro lavoro dopo questo. Anche se il gioielliere non vorrà tenermi. Non preoccuparti. Le vennero le lacrime agli occhi. Lo aveva spinto a commettere quel gesto tremendo inducendolo a credere di essere preoccupata per la sua incapacità di trovare un altro posto di lavoro? «Mi sembrerebbe giusto» riprese Gerhart, «che tu ci fossi grata per tutta la pena che ci siamo dati per provvedere a te. Invece te ne stai lì a lagnarti...» «Gerhart, caro» intervenne Jacoba con tono mellifluo, «perché non vai a preparare le nostre cose e lasci che parli io con mia sorella?» Gerhart scoccò un'occhiata feroce a Isa, che teneva le mani premute sull'addome nel tentativo inutile di sopire la paura che la rodeva. Se ne andò, sbuffando. Appena si fu allontanato, Jacoba si avvicinò alla sorella. «Mia carissima, anche a me piace Victor, ma devi ammettere che lo conosci poco. Non parla mai della sua vita. Per quanto ne sai, potrebbe aver già fatto cose del 14
genere. Considera tutte le lingue che parla. Ti ha mai spiegato perché ne conosce così tante?» Lei deglutì. Non glielo aveva mai chiesto. Le sembrava un uomo di mondo, che conosceva una quantità di cose al di fuori della sua portata, pur avendo solo due anni più di lei. «Era un soldato nell'esercito prussiano» disse. «Ciò spiega perché parli il tedesco. Ma perché conosce l'inglese? O il francese? Certo non perché è stato un soldato. Oserei dire che, durante la guerra, deve avere svolto mansioni che richiedevano abilità... speciali.» Dal momento che spesso Isa si era chiesta il perché della sua reticenza, non poté ignorare quella possibilità. «Inoltre» riprese Jacoba, «i soldati sono persone pratiche. Come fai a sapere che non avrebbe abbracciato il nostro progetto, se non gliene hai mai parlato?» Quelle parole la trafissero. Non poteva saperlo, poteva basarsi solo sull'istinto, che le diceva che Victor non avrebbe mai rubato. Ma poteva esserne certa? Oppure lo credeva solo perché lo stimava tanto? La cosa peggiore era che alcuni fatti erano irrefutabili. Jacoba e Gerhart non avrebbero mai potuto aprire la cassaforte senza Victor. E un'occhiata all'orologio le disse che erano già le otto. Avrebbe già dovuto essere là da tempo, se fosse andato a prenderla. Quella era la parte più dolorosa. «Non mi ha neanche salutata» sussurrò. Jacoba la solleticò sotto il mento. «Perché avrebbe dovuto farlo, sciocchina? Vi rivedrete tra poche settimane. È solo una separazione temporanea. Doveva allontanarsi il più possibile prima dell'orario in cui dovrebbe tornare al negozio.» Chinò la testa per sfiorare quella di Isabella. «E dobbiamo allontanarci anche noi. Andiamo. Victor ti ha preparato i bagagli, dobbiamo raggiungere il porto.» 15
Il suo cuore saltò un battito. «Non posso tornare all'appartamento?» «Non c'è tempo. La nave postale per Calais parte tra poco. Ce la faremo appena a prenderla, la successiva non partirà per ore.» Jacoba le strinse la mano. «Non preoccuparti. Ho dato a Victor l'indirizzo dell'albergo dove soggiorneremo a Parigi e sono certa che troveremo una lettera ad aspettarci quando arriveremo. O che arriverà poco dopo di noi.» Isa esitò, ma aveva forse scelta? Non sarebbe più potuta tornare alla gioielleria. Anche se le imitazioni non fossero mai state scoperte, lei avrebbe saputo della loro esistenza e la consapevolezza l'avrebbe tormentata fino a costringerla a dire la verità. Inoltre, non poteva correre il rischio di implicare Victor. O la sua famiglia. Era furiosa con loro per averle tolto la questione di mano, ma ormai era fatto e non voleva vederli in prigione o, peggio, impiccati! Lei stessa sarebbe potuta finire in prigione, o impiccata a sua volta, solo per aver creato la copia della parure. Il pensiero le raggelò l'anima. «D'accordo?» la incalzò sua sorella. Lei annuì ma, mentre si preparavano per partire, giurò a se stessa che quella sarebbe stata l'ultima volta che si fosse lasciata coinvolgere da loro in qualcosa di tanto spregevole. E, quando suo marito fosse arrivato a Parigi, avrebbe scoperto che genere d'uomo avesse sposato. Quattro mesi dopo, Victor non era ancora arrivato, né aveva scritto. E ora suo figlio cresceva nel ventre di Isa. Santo cielo, cosa poteva fare? Particolarmente triste, si accomodò nel salotto del loro elegante appartamento parigino per aspettare l'arrivo della posta. Era chiaro che a Victor doveva essere capi16
tato qualcosa di terribile. Era più facile pensare una cosa del genere, che accettare l'idea che l'avesse abbandonata. Un raggio di sole pomeridiano attraversò le tende di seta appena dischiuse, scintillando sull'orologio nuovo di Jacoba, placcato d'oro, illuminando il tappeto persiano che Gerhart aveva acquistato di recente ed esplodendo in una miriade di scintille sulla ciotola di cristallo accanto alla mano di lei. Ma tutte quelle novità costose non le diedero alcuna gioia. Con un sospiro, prese la Gazette de France della settimana e la sfogliò. Un articolo attirò la sua attenzione. Il suo francese non era ancora perfetto, ma riuscì a capire che un gioielliere locale, un certo Angus Gordon, si preparava a lasciare Parigi per tornare nella natia Scozia. La moglie francese era morta e lui voleva tornare a casa. Ciò che l'intrigò fu che l'uomo era diventato famoso creando squisite imitazioni di gioielli. Imprecò sottovoce, cosa che le capitava sempre più spesso, ultimamente. Se sua sorella e il cognato non fossero stati tanto impazienti, anche loro tre avrebbero potuto avviare un'attività del genere ad Amsterdam. No, un lavoro come quello non li avrebbe mai soddisfatti. Gerhart aveva già cominciato ad accennare che Isa avrebbe dovuto creare altre imitazioni, da spacciare per vere. Così si sarebbero potuti comprare una casa ancora più bella in una zona più elegante di Parigi, con prospettive migliori di successo in società. Lei sospettava che volesse solo più denaro da scommettere negli incontri di lotta. Era convinto di poter sempre vincere, dal momento che, per un breve periodo della sua vita, anche lui era stato un lottatore, prima di lesionarsi un ginocchio. Il solo pensiero di mettere in piedi altre frodi per fornire a Gerhart più denaro per le sue scommesse le raggelava il sangue. 17
Jacoba entrò in salotto, scartabellando distrattamente la posta. Era diversa, con i capelli tagliati più corti che le incorniciavano il viso per modificare il suo aspetto. Per la medesima ragione Gerhart si era fatto crescere la barba. Girata la rivista, Isa chiese: «C'è qualcosa per me?». Sentendo il tremolio della sua voce, Jacoba alzò la testa. «Solo i conti.» Si avvicinò al tavolo. «Mia cara, detesto vederti in questo stato. Non sei contenta di poterti comprare tutto ciò che vuoi e andare a teatro ogni volta che desideri?» «Questo è sempre stato il tuo sogno, non il mio.» Le tremarono le mani. «Io volevo soltanto Victor.» Per un attimo sul viso di Jacoba apparve l'ombra del senso di colpa, poi la sua espressione si indurì. «Be', è chiaro che non verrà. Ha preso gli orecchini e se n'è andato, quel disgraziato. Non possiamo farci niente. Non sappiamo nemmeno come trovarlo.» La verità di quell'affermazione colpì profondamente Isa. «Non avremmo la necessità di trovarlo, se tu e Gerhart non vi foste rivolti a lui a mia insaputa. Probabilmente è rimasto tanto deluso scoprendo che la sua adorata moglie era solo una falsaria, che...» «Non hai pensato che potrebbe avere sposato la sua adorata moglie proprio per il suo impiego alla gioielleria?» Isa sbiancò. No, non ci aveva pensato, ma avrebbe dovuto farlo. Imprecando, Jacoba si affrettò a sedersi accanto a lei e le prese la mano. «Mi dispiace, sorella mia. Non avrei dovuto dirlo.» Il dolore la soffocava. Jacoba dava soltanto voce a paure che Isa non aveva voluto ammettere con se stessa. Era venuto il momento di affrontare la verità. Dopotutto, non era mai riuscita a capire come un uomo affasci18
nante e coraggioso come Victor potesse giudicarla degna di essere sua moglie. Non era alta, elegante e bionda come Jacoba. Non era una buona cuoca, dote che qualsiasi uomo desiderava in una moglie. Le piaceva trascorrere il tempo immersa in libri sulla progettazione dei gioielli e sperimentare con sostanze chimiche maleodoranti. «Pensi davvero che mi abbia sposata per... la mia posizione?» chiese con un filo di voce. «Certo. Il gioielliere non faceva che tessere le tue lodi. Sposandoti, Victor sapeva che sarebbe potuto restare più a lungo. Il gioielliere gli avrebbe cercato un impiego pur di tenerti a lavorare con lui.» Il cuore di Isa si spezzò. Non ci aveva pensato, ma sembrava sensato. Era sempre stata un topolino per lui, qualcuno di cui liberarsi una volta ottenuto ciò che desiderava? Era stata solo un mezzo utile per raggiungere un fine? Com'era possibile che non se ne fosse accorta? Ormai era chiaro. Si era innamorata a tal punto dei suoi baci dolci, tanto presa dall'idea di lenire il dolore che la guerra gli aveva lasciato, da non riconoscere il vero Victor. Gli era bastato vedersi sventolare di fronte quegli orecchini di diamante, per vendere l'anima al diavolo. E gettare al vento il loro matrimonio. «Mi dispiace essere così diretta» disse Jacoba con tono pacato, «ma credevo che ormai l'avessi capito.» Strinse la mano di Isa. «Meriti di meglio di Victor Cale.» Isa fissò sua sorella per un lungo momento, poi alzò il mento. Sì, meritava di meglio. Meritava un marito che non nascondesse secondi fini e non fuggisse senza nemmeno salutarla. Che non si mettesse in combutta con la sua famiglia per rubare. 19
«Voleva soltanto usarti» soggiunse Jacoba. Come te e Gerhart?, fu tentata di chiedere Isa. Cominciava a capire di meritare anche di meglio che essere usata da sua sorella e dal cognato. Doveva pensare a un bambino ormai. Una cosa era permettere loro di usare lei, ben altra permettere di usare suo figlio. Perché avrebbero trovato sicuramente un modo per farlo. «Posso portarti qualcosa?» chiese Jacoba, tutta gentilezza dopo aver espresso il suo parere. «Devi mantenerti in forze per il bambino, lo sai. Vuoi una di quelle pesche che ti piacciono tanto?» «Sì, grazie.» Appena Jacoba se ne fu andata, Isa tornò all'articolo che stava leggendo. Mr. Gordon aveva detto al giornalista che il suo rammarico più grande nel lasciare Parigi era doversi lasciare dietro tutti i suoi apprendisti. Nessuno voleva seguirlo in una terra selvaggia e desolata come la Scozia. Pertanto sarebbe stato costretto ad addestrarne di nuovi a Edimburgo, ma ci sarebbe voluto tempo. Il suo cuore accelerò. Strappò l'articolo, poi gettò il resto del giornale nel fuoco, affinché Jacoba e Gerhart non potessero intuire cosa avesse in mente. Era un'idea folle, pensare di poter convincere uno sconosciuto a prenderla come apprendista e portarsela in Scozia. Come ci sarebbe riuscita? Con cuore d'acciaio, inghiottendo le sue paure. Ci sarebbero volute forza e determinazione per andarsene. Ma doveva andarsene. Non poteva restare ancora con la sua famiglia, se voleva avere un futuro rispettabile. Papa le aveva lasciato l'anello con il rubino di mama, che avrebbe coperto i costi del viaggio se Mr. Gordon avesse rifiutato di farsene carico. Inoltre, Isa aveva il suo talento. Le sarebbe bastato mostrare al gioielliere di cosa fosse capace, essere sincera con lui e dirgli cosa vo20
lesse. Se avesse avuto un briciolo di cuore, l'uomo si sarebbe impietosito quando lei gli avesse detto che suo marito, un soldato, era morto. Dopotutto era quasi vero. Victor era come morto per lei, insieme alla sua vecchia vita e tutto ciò che aveva significato. Se lui avesse voluto trovarla, lo avrebbe fatto, ma fino a quel momento non ci aveva provato. Le lacrime le punsero gli occhi, ma le ricacciò indietro. Basta lacrime. Basta aspettare e nascondersi alla vita. Se voleva salvare se stessa e suo figlio, tutto ciò doveva finire. Non sarebbe più stata Mausi.
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La ladra di diamanti SABRINA JEFFRIES Inghilterra - Scozia, 1828 - Victor Cale non sapeva che tra i molti talenti di Isabella, la sua giovane e timida sposa, ci fosse anche l'arte di creare gemme favolose. E sicuramente non poteva immaginare che lei mettesse a frutto la sua maestria per un piano criminale. Eppure Isa è scomparsa e con lei gli inestimabili gioielli di una casa reale, sostituiti da una copia perfetta. Ora, a distanza di dieci anni, Victor, che non ha mai dimenticato la moglie, si trova in Scozia per conto della Manton's Investigations. Il suo compito è di smascherare una misteriosa dama, intenzionata a circuire un ricco barone, che ha tutte le sembianze della sua Isa. L'incontro tra i due è sconvolgente: troppi segreti incombono su di loro dal passato. Rancori, tradimenti e una verità che sembra avere due facce li allontanano sempre più. Eppure l'amore non si è mai spento...
Maestro di passione VICKY DREILING Londra, 1818 - Miss Amy Hardwick sa che i prossimi mesi saranno determinanti per il suo futuro. Una nuova Stagione è infatti alle porte, l'ultima per trovare un marito di rango e per togliersi finalmente di dosso l'etichetta di timida senza speranza che la perseguita fin dal suo debutto. Un'impresa tutt'altro che facile, ma se ci si mette di mezzo il Diavolo... È questo infatti il poco raccomandabile soprannome di Will Darcett, il libertino più pericoloso del ton, appena rientrato dal Continente e pronto a scandalizzare l'alta società con i suoi modi licenziosi. E quando, per un bizzarro caso del destino, i due vengono sorpresi in una situazione alquanto compromettente, l'incredibile accade: il diabolico Will sposa la schiva Amy. Eppure lei non è il fragile fiore che tutti si immaginano: una sorprendente sensualità si cela sotto le sembianze da educanda e toccherà a Will...