Questo mese... L’affascinante Duca di Shelbourne, è a caccia di una moglie. E nessuno meglio di Miss Tessa Mansfield, può essere grado di trovargli una consorte adeguata. Ma man mano che la ricerca procede, un dubbio l’assale: e se la moglie ideale fosse proprio lei? VICKY DREILING al suo incantevole debutto: imperdibile.
Lady Bernadette Marie Burton è una vedova ancora avvenente e dalla lingua affilata, che aveva giurato di non rimettere mai più piede in Inghilterra. Ma il destino sembra non essere d’accordo e finisce per metterla nuovamente di fronte a un antico amante mai dimenticato… Due differenti classi sociali, un solo bruciante desiderio.
Dal 20 marzo
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ANTOLOGIE da 3 ROMANZI firmate dalle autrici delle serie più amate. Il MEGLIO, selezionato per te. Inghilterra – Tra XVII XVIII secolo, in un’epoca segnata da grandi conflitti, lotte religiose e rivoluzione industriale, HELEN DICKSON racconta con stile tre storie suggestive, dove l’amore supera ogni ostacolo.
Lungo gli Champs-Elisées, sotto la tour Eiffell, all’ombra dei filari in piena Borgogna o sulle coste incontaminate della Bretagna. Ovunque si incontrino due cuori solitari sul suolo francese, la loro storia d’amore è destinata all’eternità. Dal 30 marzo Scoprili su www.eHarmony.it - Seguici su
Barbara Cartland Patto col nemico
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: No Escape from Love © 1977 Barbara Cartland Traduzione di Elena Vezzalini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony History marzo 2013 Questo volume è stato stampato nel febbraio 2013 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HARMONY HISTORY ISSN 1124 - 7320 Periodico quindicinale n. 451 dello 06/03/2013 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 624 dell'11/10/1996 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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1805 «È finito, mamma.» Lady Waltham, sdraiata nel letto con la schiena appoggiata ai cuscini, aprì gli occhi e disse soavemente: «Mi fa piacere, tesoro». Aveva parlato con un filo di voce. Era magrissima, quasi emaciata, e talmente pallida che la pelle sembrava trasparente, ma si capiva che da giovane doveva essere stata bellissima. Anche la figlia Vernita era magra, ma possedeva la grazia e l'avvenenza della gioventù. Dopo essersi alzata in piedi, le porse il négligé per avere il suo parere. L'indumento di mussola indiana, profilato con lo stesso tessuto color rosa pallido, si allacciava con due nastri ed era impreziosito da un delicato merletto ad ago. E creava un curioso contrasto in quella stanza spoglia, con i pavimenti di legno e le finestre prive di tende. «Un magnifico lavoro, bambina. Speriamo che vi paghino quando lo consegnerete.» 5
«Avrei pensato di portarlo direttamente alla Principessa Borghese invece che alla Maison Claré.» «Non potete farlo» protestò Lady Waltham alzando leggermente la voce. «Sarebbe rischioso, e poi vi è stato ordinato dalla Maison.» «Ci sfruttano» replicò Vernita. «A noi danno un compenso irrisorio, mentre dalle clienti pretendono cifre esorbitanti.» «Moriremmo di fame senza quei soldi» le ricordò la madre, che era sempre più debole. Non avevano osato chiamare un dottore, anche perché Vernita sapeva che c'era bisogno di cibo più che di cure mediche. «Succederà comunque, se non chiederemo un aumento.» Parlò al plurale, anche se negli ultimi mesi era stata solo lei a lavorare. Dopo avere venduto tutto ciò che di prezioso possedevano, erano infatti state costrette a trovare un modo per mantenersi. Era incredibile come fossero riuscite a sopravvivere per tanto tempo nella clandestinità. Erano giunte a Parigi due anni prima con Lord Waltham, insieme a migliaia di altri turisti inglesi, quando il Trattato di Amiens aveva posto fine ad anni di ostilità tra Francia e Inghilterra. L'estate del 1802 assistette alla rinascita dell'Inghilterra. Dopo anni di conflitto, tasse e prezzi altissimi, il ritorno della pace e della prosperità fu salutato con gioia da tutti. Quando i combattimenti cessarono gli inglesi, 6
bonari per natura, smisero di preoccuparsi di Napoleone, il giovane ufficiale che aveva conquistato l'Italia, e finirono per accettare persino che controllasse la costa olandese. Dopo essere stati costretti per anni a restare in patria, gli amanti dei viaggi invasero il canale della Manica, e i porti di entrambe le coste furono presi d'assalto dall'alta società. Sir Edward Waltham attese prudentemente che l'entusiasmo iniziale scemasse e solo l'anno seguente, nel marzo 1803, partì per Parigi insieme alla moglie e alla figlia. La città si rivelò affascinante come Vernita l'aveva immaginata, e la sua famiglia fu accolta da un gran numero di amici e conoscenti. A un ricevimento videro persino il Primo Console Napoleone Bonaparte, che sembrò loro un uomo quasi avvenente, a dispetto dei disegni satirici che lo rappresentavano come un mostro. Furono perciò molto turbati quando nel mese di maggio, proprio nel bel mezzo dei preparativi per un'estate di serate danzanti e feste, l'armistizio fu rotto. Bonaparte era furibondo, perché la guerra che aveva intenzione di combattere era arrivata, ma troppo presto! Così ordinò l'arresto degli inglesi che si trovavano in Francia. L'arresto di civili era un'azione senza precedenti, che spaventò gli inglesi in patria e li convinse di avere a che fare con un selvaggio. Una consapevolezza che non fu di alcuna consolazione per coloro che furono trascinati fuori dal7
le eleganti dimore affittate per la Stagione. Grazie a un amico che faceva parte del governo francese, Sir Edward apprese ciò che stava per accadere dodici ore prima, così, in gran fretta, si trasferì con la moglie e la figlia in una casa in un vicolo lontano dalle strade eleganti, dove si affittavano stanze a chiunque lo chiedesse, senza fare troppe domande. Disgraziatamente, mentre stava organizzando il loro rientro in patria, impresa che sembrava alquanto improbabile, si ammalò, secondo Vernita a causa dell'acqua di Parigi. L'attacco di febbre fu violento e, malgrado le amorevoli cure prestategli dalla moglie e dalla figlia, l'uomo morì dopo una settimana di atroci dolori, lasciandole sbalordite, smarrite e, soprattutto, sole. Troppo tardi le due donne si resero conto che avrebbero dovuto rischiare di essere scoperti e chiamare un dottore, nonostante la classe medica francese non godesse di buona fama. Era probabile però che nemmeno il più esperto dei medici sarebbe riuscito a guarire il gentiluomo. Lady Waltham, che amava il marito teneramente, rimase prostrata dal dolore, dunque toccò a Vernita organizzare il loro trasferimento dagli appartamenti dignitosi che occupavano alla soffitta. Si dovette inoltre occupare della considerevole somma di denaro che il padre, appena aveva saputo che si sarebbero dovuti nascondere, aveva prelevato dalla banca. Dimostrando una grande saggezza capì che non sarebbe durata per sempre. Con l'angoscia nel 8
cuore, pensò che le ostilità che erano riprese sarebbero potute continuare per un periodo molto lungo. «Dobbiamo risparmiare fino all'ultimo soldo» disse a Lady Waltham. Ma dalla risposta di sua madre comprese che toccava a lei prendere in mano la situazione, e sostituire il padre nelle decisioni di casa. Naturalmente, la collera che Napoleone provava nei confronti degli inglesi era condivisa da tutto il popolo francese. Vernita apprese che, spinto dal desiderio di vendetta, l'ufficiale corso aveva deciso di sconfiggere la razza di insolenti bottegai che gli impediva di conquistare il mondo. I giornali riportarono la notizia che aveva intenzione di attraversare la Manica per invadere l'Inghilterra. «Vogliono farci saltare il fosso, e noi lo faremo!» Dopo una tale dichiarazione, aveva ordinato di costruire centinaia di lance da parata e cannoniere per portare l'esercito in Inghilterra, e di mobilitare tutti i porti francesi. Il popolo aderiva con entusiasmo alle sue idee e scherniva gli inglesi convinti di potersi difendere da una simile armata. Tuttavia il tempo passava e all'inizio del 1805 Napoleone cominciò a rendersi conto che il suo sogno stava svanendo e il suo cammino vittorioso era bloccato dalla Marina britannica. Parigi, però, non si dimostrò più tollerante nei confronti degli inglesi. Ogni volta che Vernita usciva di casa per fare acquisti e camminava per le strade, percepiva l'odio che serpeg9
giava nei confronti dei suoi compatrioti. Inoltre i prezzi erano sempre più alti ed era difficile procurarsi il cibo. Lady Waltham non si era ancora ripresa dopo la morte del marito, e agli occhi della figlia deperiva ogni giorno di più. L'unica cosa che restava loro da fare era consegnarsi alle autorità. Ma con ogni fibra del corpo lei si ribellava all'idea della prigione, e con determinazione e orgoglio decise di continuare a combattere, anche a costo della vita. Mentre guardava la madre alla luce primaverile, capì che doveva fare qualcosa, e in fretta. Intenta a finire l'elegante négligé che l'era stato ordinato dalla Maison Claré, decise che lo avrebbe consegnato direttamente alla cliente. Sapeva infatti che la Principessa Paolina Borghese aveva comprato un numero considerevole di bellissimi capi di biancheria che lei e sua madre avevano cucito con tanta cura. Anche quando la principessa si era recata in Italia l'anno precedente, aveva ordinato a Parigi camicette, camicie da notte e vesti da camera che erano state realizzate in tutta fretta per essere poi mandate a Roma. La Maison Claré sfruttava in modo indegno le sue lavoranti. Quando Vernita era passata al negozio per ritirare i tessuti e i pizzi che avrebbe usato per realizzare le eleganti confezioni per le clienti, non aveva potuto fare a meno di notare i prezzi altissimi e di paragonarli al compenso ricevuto. E si era risentita all'idea che lei e sua madre, 10
costrette a lavorare quasi sempre a ritmi impossibili per i capi della Principessa Borghese, non venissero pagate di più. L'incoronazione di Napoleone, avvenuta nel mese di dicembre, aveva aumentato la domanda di lingerie, che doveva essere bella e riccamente ornata, come gli abiti da indossare sopra. Le ordinazioni continuavano ad arrivare numerose, e quando Vernita protestò che lei e la madre non erano in grado di eseguire il lavoro in tempi così rapidi, alla Maison le dissero con modi rudi che in quel caso si sarebbero rivolti a qualcun altro. Lei non ci credette, ma non osò sfidare la sorte. Soltanto dopo avere terminato il négligé di mussola, più elaborato e più bello di tutti quelli già realizzati per la principessa, decise che avrebbe agito di testa sua. «Chiederò in prestito a Louise il suo abito più elegante e il cappello, mamma» dichiarò ad alta voce, «sembrerò una petite bourgeoise e nessuno sospetterà la mia vera identità.» «È troppo rischioso» disse Lady Waltham con voce flebile. «E se dovessero scoprire chi siete?» «In quel caso andremo in prigione, e forse sarà meglio così. Se non altro, i prigionieri ricevono un pasto due volte al giorno.» Quando Lady Waltham emise un debole grido, la figlia si precipitò al suo fianco. «Stavo scherzando, mamma. Nessuno capirà che non sono francese. Dopotutto, quando vado 11
a fare la spesa, i negozianti sono sgarbati con me come con quelle povere donne esitanti che scelgono i cavoli che costano meno e tirano sul prezzo.» «Se solo questa orribile guerra finisse... se non fossimo mai venuti a Parigi.» Il singhiozzo soffocato rivelò a Vernita che sua madre stava pensando al marito e che non avrebbe mai voluto lasciare la loro casa in Inghilterra. È tutta colpa mia, pensò. E non era la prima volta. Quando aveva compiuto diciassette anni, infatti, suo padre aveva deciso che meritava di fare un viaggio all'estero, perciò avevano lasciato la loro dimora nel Buckinghamshire, che apparteneva alla famiglia da cinque generazioni. Avvertì una fitta d'infelicità e di rammarico al pensiero di come la sorte fosse stata crudele con loro. Poi, con un sorriso rassegnato, ricordò il proverbio che le ripeteva sempre la sua vecchia governante: è inutile piangere sul latte versato. Poiché si trovavano a Parigi, l'unica cosa che restava da fare era cercare di sopravvivere. In qualche modo. Si chinò per posare un bacio sulla guancia fredda della madre. «Scendo a cercare Louise. È gentile, so che non mi negherà il suo aiuto.» Lady Waltham non protestò, sapendo che se sua figlia aveva preso una decisione niente l'avrebbe convinta a desistere. Nel contempo non poté fare a meno di pensare al destino crudele che costringeva Vernita, graziosa e attraente, a 12
trascorrere la sua esistenza rinchiusa in una miserevole soffitta e a cucire lottando contro il tempo. Se fossero rimasti in Inghilterra si sarebbe divertita cavalcando nella tenuta di suo padre e partecipando a Londra alle feste e alle serate danzanti alle quali l'alta società l'avrebbe sicuramente invitata. Cosa l'attende in futuro?, si domandò angosciata. Malgrado le sue ripetute preghiere affinché a Vernita fosse risparmiata la terribile esistenza che conducevano, non c'era ancora stata risposta. Persino Dio pareva averla abbandonata. «Oh, Edward!» esclamò rivolgendosi al defunto marito, come faceva spesso quando era sola. «Ovunque voi siate, non potete aiutarci?» Era così debole che il solo pensiero dell'amato le fece venire le lacrime agli occhi. Tuttavia, appena udì il rumore dei passi sulle scale, si affrettò ad asciugarle con la mano, poiché non voleva rattristare la figlia. Vernita entrò nella stanza con un abito nero sul braccio e un cappellino di paglia dello stesso colore in mano. «Louise è stata gentile come pensavo, ma devo stare attenta a non sciuparlo perché questo è il suo abito della festa. Ora guardatemi, mamma, mi trasformerò nella cucitrice che Sua Altezza Imperiale si aspetterebbe china a lavorare sulla sua lingerie.» Di solito, quando usciva di casa, si copriva la testa con uno scialle e indossava un soprabito informe che nascondeva il fisico snello per due 13
motivi: per non essere identificata come straniera e perché i galanti giovanotti francesi non notassero i suoi occhi viola, quasi troppo grandi per quel visetto grazioso. Ma una volta indossato l'abito nero di Louise, che saliva a coprire il collo e nascondeva le braccia fino ai polsi, sembrò una tipica petite bourgeoise. E molto attraente. Lady Waltham la osservò sgomenta. «Non potete uscire vestita così, bambina mia! Un uomo potrebbe rivolgervi la parola, importunarvi.» «Devo solo recarmi in Rue du Faubourg Saint Honoré, mamma, e sceglierò le stradine laterali evitando i viali. Nessuno mi fermerà, ve l'assicuro.» «Lo spero. Devo ammettere che quel ridicolo cappellino vi dona davvero.» «Vi prometto che non correrò pericoli.» Dopo avere incartato il négligé, si guardò intorno, pensando di cosa potesse avere bisogno sua madre. «Non preoccupatevi se tarderò un po'» la avvisò. «Quando mi avranno pagato, comprerò del latte e, se riceverò il denaro che spero, addirittura un pollo!» «Non esagerate» la esortò Lady Waltham, quasi inconsciamente. «Lo faccio spesso?» domandò Vernita con una vena di amarezza nella voce. La madre la baciò teneramente. «Se non altro il sole è caldo oggi, però tenete le mani sotto il lenzuolo. Sapete che si raffreddano facilmente.» 14
Mentre parlava, pensò al rigido inverno appena trascorso e al freddo che avevano patito nelle lunghe notti buie perché non potevano permettersi di riscaldare la stanza. A volte immaginava che una mattina la portinaia le avrebbe trovate morte stecchite per il freddo, oppure si svegliava durante la notte per accertarsi che la madre respirasse. Erano sopravvissute per miracolo. Mentre scendeva le scale di corsa diretta al portone, pensò che sarebbe stato un sollievo respirare un po' di aria fresca, che forse le avrebbe fatto passare il mal di testa causato dalle tante ore trascorse a cucire e dalla mancanza di cibo. Al primo e al secondo piano della casa abitavano degli inquilini benestanti, ma il portiere e la moglie, Monsieur e Madame Danjou, mostravano un atteggiamento tollerante nei confronti di madre e figlia che erano state costrette a ritirarsi nella soffitta. Se nutrivano dei sospetti sulla vera identità dei Waltham, non lo davano a vedere. Le conoscevano, naturalmente, come Madame e Mademoiselle Bernier, il cognome che Sir Edward aveva scelto quando avevano deciso di nascondersi, affermando che era comune come Smith, Jones o Brown in Inghilterra. I Danjou avevano una figlia, Louise, coetanea di Vernita, che la invitava spesso a uscire con lei la sera, nella speranza di trovare qualcuno che le accompagnasse in qualche locale, dove si ritrovava la gioventù parigina. 15
E non capiva perché Vernita, con la scusa che non poteva lasciare sola la madre, rifiutasse sempre le sue proposte. «State sprecando i vostri anni migliori» l'aveva rimproverata più di una volta con una nota di disprezzo nella voce. «Se continuate così, rischiate di diventare una vecchia zitella.» Sul momento Vernita aveva riso all'idea, ma una volta si era domandata se avrebbe mai conosciuto una vita diversa da quella trascorsa nei confini ristretti di quella soffitta fredda e poco confortevole, con la sola compagnia della madre. Sentiva la mancanza degli amici in Inghilterra, delle conversazioni con suo padre e dei libri che avevano letto insieme. Sir Edward era un uomo intelligente e aveva voluto che la figlia ricevesse una buona istruzione. Il risultato era che, costretta in povertà, lei a volte aveva l'impressione che il suo cervello si stesse riducendo in polvere, e di non avere altri pensieri all'infuori del denaro. Mia madre deve mangiare, e al più presto, si disse mentre camminava diretta in Rue du Faubourg Saint Honoré. Come aveva promesso, scelse le strade secondarie deserte, evitando i viali trafficati e la folla che camminava sui marciapiedi o era seduta ai tavolini all'aperto. Arrivò a destinazione senza troppe difficoltà, perché in passato era già stata in quella strada e aveva visto l'Hôtel de Charost, la sontuosa dimora che apparteneva a Sua Altezza Imperiale 16
la Principessa Paolina Borghese. Quando si era autoproclamato imperatore, Napoleone aveva nominato principi i suoi fratelli Giuseppe e Luigi, scatenando la furia delle sorelle che non potevano accettare che le cognate, e non loro, diventassero principesse. Davanti alla loro scenata, Napoleone aveva dichiarato sardonico: «A sentire le mie sorelle, si direbbe che le ho private dei loro diritti legittimi lasciati da un defunto padre monarca». Tuttavia, dopo fiumi di lacrime e rimproveri, si era arreso e aveva assegnato loro il titolo di Altezza Imperiale. L'ingresso dell'Hôtel de Charost era imponente; la targa di marmo nero, sormontata dallo stemma nobiliare, proclamava che i precedenti proprietari erano più aristocratici dell'attuale occupante. Dopo avere varcato la porta, Vernita si trovò in un cortile circondato da mura. Era nervosa, temeva di essere allontanata e costretta a recarsi alla Maison Claré, dove avrebbe dovuto accettare la misera paga che le era stata promessa. «Cosa cercate?» le domandò in tono severo un valletto, che non pareva impressionato dal suo aspetto. Indossava una livrea verde, il colore preferito della principessa. «Ho portato il négligé che Sua Altezza Imperiale ha ordinato.» Per un momento temette di doverlo consegnare a lui, precludendosi la possibilità, come aveva sperato, di sollecitare altre ordinazioni; invece l'uomo le fece segno di entrare dal por17
tone principale. Si ritrovò in un vestibolo con colonne di marmo e pannelli dipinti; la scala aveva una ringhiera di ferro battuto con decorazioni in oro, le pareti erano dipinte con girasoli e gigli. In realtà non ebbe molto tempo per guardarsi intorno, perché fu subito condotta in una stanza dove la principessa stava parlando con diverse persone, sarte e modiste di professione. Paolina indossava una vestaglia verde, trasparente, che metteva in mostra le curve sinuose del corpo perfetto. Sdraiata su un divano, era intenta a scegliere i tessuti per un nuovo abito. Vernita aveva appreso dalla Maison Claré che la principessa preferiva la piccola casa di moda La petite Leblanc alla sartoria più famosa di Parigi, Leroy. Quella mattina, tuttavia, non sembrava gradire né il tessuto né il modello che le venivano proposti. «Non è raffinato» stava dicendo perentoria. «Credo che mi starebbe malissimo, perciò portatelo via e proponetemi qualcosa di meglio.» «Mais, madame...» cominciò la sarta, che fu subito interrotta. «Oh, non posso davvero credere che intendiate discutere con me!» La principessa fu colta da un improvviso attacco di collera, in completo contrasto col suo aspetto: sembrava infatti leggera come una piuma, e più bella di una statua greca. I giornali l'avevano sempre descritta come l'ideale di bellezza classica, ma solo quando la vide di persona Vernita si rese conto che non c'e18
rano parole che potessero rendere giustizia alla sua avvenenza. Aveva lineamenti perfetti, e un viso così grazioso che sembrava impossibile che qualcuno o qualcosa potesse contrariarla. Quando la sarta si girò per andarsene, Paolina rivolse un sorriso divertito e seducente al gentiluomo seduto in una poltrona accanto a lei. Un sorriso che le trasfigurò il volto, incurvandole le labbra in un'espressione provocante e incredibilmente attraente. Vernita non riusciva a distogliere lo sguardo da una creatura così deliziosa, ma quando la principessa chiamò con un cenno la persona che attendeva di essere ricevuta, una donna con due cappelliere, lanciò un'occhiata al gentiluomo. Anche lui sembrava uscito da un libro di fiabe: era snello ed elegante, e sedeva con disinvoltura con le gambe incrociate. C'era un'espressione cinica nei suoi occhi, e la bocca era atteggiata a una smorfia, come se guardasse con sdegno ciò che accadeva davanti a lui. Deve essere un uomo alto, pensò Vernita. Le spalle ampie e l'aria autoritaria che emanava le ricordarono suo padre. E direi che può avere più di trent'anni, rifletté domandandosi chi fosse. Quando la principessa gli sorrise di nuovo, non ebbe più dubbi sul ruolo che rivestiva in quella casa. La spudoratezza di Paolina per quanto riguardava gli affari di cuore era ben nota, descritta 19
sui giornali in toni che lasciavano poco all'immaginazione. Era risaputo anche che il fratello Napoleone Bonaparte, appena era rimasta vedova, si era affrettato a trovarle un altro marito che frenasse le sue intemperanze. Da due anni era sposata con il Principe Camillo Borghese. Quando era stato annunciato il fidanzamento, Sir Edward Waltham aveva dichiarato che, per una fanciulla corsa di famiglia modesta, sposare uno dei più grandi aristocratici italiani era un privilegio. Vernita, che quando era giunta a Parigi era una diciassettenne sentimentale, aveva cercato il maggior numero di notizie possibili sul Principe Camillo Borghese. E aveva scoperto che aveva ventotto anni, era un avvenente romano con i capelli castani e ricci, e luminosi occhi scuri. Oltre a essere incredibilmente ricco, possedeva infatti grandi proprietà in Italia, e vantava un'impressionante serie di titoli nobiliari. Sua madre, che si era interessata al matrimonio, le aveva raccontato: «Si dice che i gioielli della famiglia Borghese siano i più belli al mondo, e che le loro collezioni d'arte siano uniche». La vicenda del loro matrimonio, celebrato nell'agosto del 1803, era stata seguita con grande eccitazione da tutta la città di Parigi, compresa Vernita per il tramite di Madame Danjou e Louise. Dopo che aveva trovato un lavoro per ricosti20
tuire il piccolo patrimonio che stava gradualmente svanendo, Vernita aveva appreso dalla Maison Claré che la lingerie che avrebbe cucito sarebbe stata indossata proprio dalla principessa la cui storia l'aveva tanto interessata. Di una cosa era certa: il gentiluomo a cui la principessa sorrideva con fare seducente non era suo marito. Quando la modista mostrò uno splendido cappello, decorato con piume di struzzo verdi, lui disse: «Penso che vi donerebbe». «Siete sicuro?» domandò Paolina. «Pensavo che la tesa fosse troppo alta.» «Incornicerà il vostro bel viso come un'aureola.» «Credete che io la meriti?» chiese, scrutandolo da sotto le ciglia abbassate con aria provocante. «Direi che ne avete bisogno.» Lei scoppiò a ridere, mostrando i denti perfetti. A quel punto, come se fosse stato lui a decidere, dichiarò: «D'accordo, lo prendo. Domani portatene altri, modelli nuovi». «Merci bien, madame la princesse!» la ringraziò la modista con un profondo inchino. Solo in quel momento Paolina si accorse della presenza di Vernita, e le fece un cenno con la mano. Col cuore che le martellava nel petto lei avanzò fino al divano, dove si fermò per rivolgerle un inchino. «Chi siete? Non vi ho mai visto prima.» «Vi ho portato il négligé che avete ordinato, 21
madame la princesse.» Davanti al suo sguardo perplesso, aprì in fretta il pacco e ne estrasse la vestaglia, che sollevò subito per mostrarla in tutta la sua bellezza, con le gale e il merletto. «Mais oui!» esclamò la principessa. «È incantevole. Mi starà benissimo, proprio come pensavo.» Mentre parlava si alzò in piedi e, sotto lo sguardo attonito di Vernita, cominciò a togliersi la vestaglia verde e la camicia da notte che indossava sotto. Dopo averle gettate sul pavimento, rimase nuda. Era più bella di una dea, perfetta dalla testa ai delicati piedini. Arrossendo per la vergogna all'idea che una donna, soprattutto una principessa, si comportasse in quel modo davanti a un uomo, Vernita la aiutò a indossare il négligé. Paolina lo allacciò e si girò verso il gentiluomo che la stava fissando. Con le braccia tese, eseguì una piroetta affinché la potesse vedere da ogni angolazione. «Cosa ne pensate, Axel? Ditemi come mi sta.» «Siete bella come un angelo.» «Grazie. Era quello che volevo udire.» A quel punto si voltò verso Vernita. «Dunque l'avete fatto voi?» «Oui, madame la princesse, l'ho cucito io, come tutta la lingerie che avete ordinato di recente.» Tacque, ma quando si rese conto che Paolina la stava ascoltando continuò: «La Maison Claré, però, mi paga poco. Così poco che sono venuta da voi perché vorrei continuare a 22
realizzare i capi per Vostra Altezza Imperiale, ma non potrò farlo se non riceverò un compenso maggiore per il mio lavoro». Il cuore le martellava nel petto, le tremavano le gambe mentre si domandava se quella donna, graziosa quanto impudica, avrebbe capito cosa significava lavorare duramente come lei e sua madre avevano fatto nell'ultimo anno, e che qualche soldo in più sarebbe stato decisivo per non continuare a soffrire la fame. «Quanto vi paga la Maison Claré?» La domanda non fu posta dalla principessa, ma dal gentiluomo che lei aveva chiamato Axel. Ricordando il ruolo che ricopriva, Vernita gli rivolse un inchino prima di rispondere. E poiché gli sembrava solidale con lei, gli disse d'un fiato quanto era stata pagata per un négligé, una camicia da notte e una camicia. «Non mi meraviglio che vi lamentiate! Se non erro, Paolina, voi pagate alla Maison Claré delle cifre esagerate. Ricordo che de ClermontTonnerre se ne lagnava proprio ieri.» «Il ciambellano si lamenta continuamente per ciò che spendo» confermò la principessa mettendo il broncio. «Sono quasi sicura che è stato Napoleone a dirgli che devo risparmiare, anche se solo il cielo sa perché.» A quel punto si girò verso Vernita. «E cosa chiedete per questo négligé che, secondo questo gentiluomo, mi fa sembrare un angelo?» La giovane disse una cifra che corrispondeva alla metà di quella che la Maison avrebbe chiesto alla principessa. 23
«Sono certa che è un affare. Cos'altro mi proponete che sia pronto in fretta?» «Di che cosa ha bisogno Sua Altezza Imperiale?» «Di tutto! Nuove camicie da notte, perché quelle che possiedo mi hanno stancato. Camicette, fazzoletti... Comprerò da voi qualsiasi cosa che sia nuova e bella come questo négligé.» «Grazie... grazie!» esclamò Vernita quasi senza fiato. «Allora cominciate subito, e non fatemi aspettare» ordinò Paolina in tono imperioso. «D'accordo. Ma posso chiedervi di essere pagata in anticipo? Ho bisogno del denaro, che mi servirà anche per acquistare i tessuti, i pizzi e i nastri.» La principessa agitò una mano con indifferenza. «Parlate col ciambellano o col suo segretario, e non importunatemi con faccende del genere.» «Sì, madame, certo!» Dopo averle rivolto un altro inchino, Vernita si avviò verso la porta. Che fortuna! Era andata meglio di quanto si aspettasse. Avrebbe potuto comprare il latte per sua madre, un pollo e altri cibi nutrienti. Aprì la porta, ma quando uscì nel vestibolo fu travolta dall'eccitazione per quanto le era accaduto. Un velo nero le calò sugli occhi, le ginocchia le cedettero. Si appoggiò al muro, cercando di combattere la debolezza che le faceva girare la testa, i brividi freddi che le percorrevano il corpo. 24
A quel punto una voce dietro di lei disse: «Vi sentite male, mademoiselle?». Vernita non riusciva a vedere nulla, ma riconobbe la voce del gentiluomo che era nella stanza con la principessa. «No... sto bene» si impose di rispondere. Poi sentì che lui le cingeva la vita per accompagnarla a sedere, e si portò le mani al viso, vergognandosi della propria debolezza. Dopo avere impartito un ordine a un domestico, il gentiluomo le si rivolse di nuovo: «Abbassate la testa sulle ginocchia». Vernita obbedì, anche se la voce sembrava provenire da molto lontano. Dopo una manciata di secondi, ma potevano essere di più, le ordinò in tono autoritario: «Bevete questo». A fatica lei sollevò la testa, con l'aiuto del gentiluomo. A quel punto sentì il profumo di cognac e una scia di fuoco in gola: il bruciore le fece salire le lacrime agli occhi. «Basta così, vi prego. Basta» lo supplicò. «Ancora un sorso.» Troppo debole per discutere, Vernita obbedì. Il cognac portò via l'oscurità e le accese nel corpo un piacevole calore. «Mi dispiace» riuscì a dire mentre alzava il capo per guardarlo in viso. Il gentiluomo abbassò gli occhi su di lei per un istante prima di porle una domanda: «Quando avete mangiato l'ultima volta?». «Sto... sto bene adesso. Grazie.» «Non mi avete risposto.» 25
«Non avevo fame questa mattina.» «Quindi avete mangiato ieri sera, e immagino che non sia stata una cena abbondante.» Vernita abbassò gli occhi e sentì le guance coprirsi di rossore. Si vergognava di avere recato tanto disturbo. Attribuiva la causa del malessere al sollievo provato quando la principessa aveva accettato di acquistare il négligé, dandole la certezza che lei e sua madre avrebbero avuto il denaro per mangiare e per procurarsi ciò di cui avevano bisogno. Il gentiluomo che le stava accanto si chinò per infilarle una mano sotto il braccio. «Venite con me» disse. Vernita sapeva di non poter fare altro che obbedirgli, perciò si lasciò condurre. Dopo avere attraversato il vestibolo, raggiunsero un salone sul lato opposto. Nel frattempo, il gentiluomo aveva fermato un valletto di passaggio. «Portateci del caffè e dei croissant il più in fretta possibile!» «Subito, monsieur.» Vernita fu accompagnata a un divano, dove si sedette. «Mi dispiace darvi tanto disturbo. Ora sto bene, e credo che dovrei andare a casa.» «Prima dovete mangiare qualcosa» rispose lui, che attraversò la stanza per raggiungere la finestra. «Troppo spesso ho visto gente soffrire la fame per non riconoscerla. Immagino che ci sia qualcuno che si occupa di voi.» «Veramente sono io che devo occuparmi di mia madre. È ammalata, e siamo molto povere.» 26
Non ci fu alcun commento. Dopo qualche minuto la porta si aprì e un valletto entrò portando un vassoio su cui erano posati un bricco d'argento e un piatto di croissant caldi. «Desiderate altro, monsieur?» «Per il momento no, ma avvertite il segretario di Monsieur de Clermont-Tonnerre che questa fanciulla ha bisogno...» Si interruppe e guardò Vernita. «Quanti franchi avete chiesto?» Lei rispose a bassa voce, con grande imbarazzo. Il gentiluomo riferì la risposta al valletto, che se ne andò. A quel punto non aveva più senso aspettare ancora. Dopo essersi versata una tazza di caffè, Vernita prese un croissant. Aveva una fame terribile. Le era accaduto tante volte e da tanto tempo, così il senso di fame era diventato un male sordo accompagnato da un continuo mal di testa. La sensazione che provava era di avere una barra di ferro sulla fronte. Appena cominciò a mangiare, il dolore si placò. Quando ebbe finito il croissant, bevve il caffè e sentì di essere tornata alla vita. Solo quando lui le rivolse la parola, si rese conto che la stava osservando. «Mangiatene un altro, ne avete bisogno.» Lei lo fissò con occhi sorridenti. «Non vorrei sembrare vorace.» «Sarebbe sciocco sprecarli. Se non li mangerete, verranno gettati.» Vernita allungò la mano dalle dita affusolate. «Penso spesso agli sprechi di case grandi come 27
questa, specialmente la notte, quando lo stomaco è vuoto.» Non si capacitava del perché fosse così facile confessare a uno sconosciuto i suoi segreti. Ma, mentre parlava, si rese conto che una cucitrice non si sarebbe comportata in quel modo, e che lui l'avrebbe giudicata un'impertinente. È da così tanto tempo che non frequento persone della mia classe sociale che ho dimenticato che dovrei essere servile e rispettosa, pensò. Una cucitrice non si rivolgerebbe mai a un amico di Sua Altezza Imperiale come ho appena fatto. Stranamente, la cosa non sembrava importare al gentiluomo. «La fame produce effetti diversi sulle persone. C'è chi è talmente debole da non riuscire a pensare, o addirittura a capire. Altri hanno delle allucinazioni, o strani sogni.» «Sembra volgare sognare il cibo» rispose Vernita. «Dovremmo prendere a esempio i santi, che digiunano per dedicarsi a pensieri più alti.» Il gentiluomo scoppiò a ridere. «Avete dimenticato che le tentazioni di Sant'Antonio erano causate proprio dal digiuno, e sono quasi certo che diavoli, demoni e spiriti maligni apparivano ai santi quando avevano lo stomaco vuoto.» «Non toglietemi l'incanto» rispose Vernita, «a me piace pensare che i santi siano investiti di poteri speciali che a noi non sono concessi, e che le loro visioni siano reali.» 28
Pensando di nuovo che fosse una strana conversazione per una sartina, e temendo che il gentiluomo potesse cominciare a sospettare di lei, bevve il caffè e posò la tazza. «Non so come ringraziarvi, monsieur.» Mentre parlava, la porta si aprì e apparve il valletto, il quale portava su un vassoio d'argento il denaro che era stato chiesto. «Il segretario del ciambellano vorrebbe una ricevuta» dichiarò. «Sì, certo. Devo darvi anche il conto.» L'aveva dimenticato a causa della debolezza. Aprì la borsa ed estrasse il foglio di carta, dove aveva segnato il denaro che le spettava prima di partire da casa. A quel punto si guardò intorno e notò uno scrittoio contro una parete. Si avvicinò, prese la piuma d'oca che stava vicino al calamaio e firmò la ricevuta che posò sul vassoio. Solo allora prese il denaro, con un senso di piacere, e lo mise nella borsa. Quando il valletto se ne fu andato, si rivolse al gentiluomo che la stava guardando. «Vi sono riconoscente, monsieur, davvero.» «Mi sembrate ancora scossa, vi accompagnerò a casa.» «No, assolutamente. Non è necessario» protestò lei. «Insisto. Ho la sensazione che, malgrado abbiate mangiato, potreste perdere i sensi lungo la strada.» «Vi assicuro che sto bene, non succederà nulla.» 29
«È inutile discutere con me» replicò lui con un sorriso. Rendendosi conto che quell'uomo la dominava e che non era possibile opporgli un rifiuto, Vernita lo seguì nel vestibolo, dove lui impartì un ordine a un valletto. Nel cortile c'era un calesse trainato da due cavalli, che a un cenno fu portato davanti al portone da uno stalliere. «Volete salire?» domandò il gentiluomo. Vernita lo fissò con gli occhi sgranati. Avrebbe voluto protestare, ma sapeva che qualunque obiezione sarebbe stata liquidata con un gesto della mano. Quella richiesta era in realtà un comando al quale non avrebbe potuto disobbedire, perciò salì sul calesse, con il gentiluomo sul sedile del guidatore accanto a lei e il valletto appollaiato alle loro spalle. Dopo avere compiuto lentamente il giro del cortile, oltrepassarono l'ingresso che si affacciava su Rue du Faubourg Saint Honoré. «Dove abitate?» le domandò. «In Rue des Arbres, una stradina non lontana da qui, all'altezza di Boulevard des Capucines. Se mi lasciate all'angolo, percorrerò il resto a piedi.» «Non penserete davvero che io sia così scortese.» «Siete molto gentile, vi sono riconoscente.» «Come vi chiamate?» «Ve... Vernita. Bernier.» Prima di pronunciare il cognome aveva fatto 30
una piccola pausa, e temette che lui l'avesse notato. Ma il gentiluomo si presentò a sua volta. «Io sono Storvik. Se vogliamo essere formali, sono il Conte Axel de Storvik.» «Non siete francese?» «Svedese.» «In effetti, quando vi ho visto ho pensato che non sembravate un francese.» «Avevate ragione. Tuttavia, anche se voi non avete un'aria francese, io non metto in dubbio la vostra nazionalità.» «Mio padre era originario della Normandia.» Era la risposta che Vernita aveva deciso di dare se le avessero posto domande sulle sue origini. I Normanni avevano la pelle chiara, e sebbene lei non fosse bionda i suoi capelli non erano scuri come quelli della maggior parte delle fanciulle francesi. Il conte non rispose, limitandosi a fissarla per un momento. Poi il suo sguardo tornò a posarsi sui cavalli. Lei, che desiderava cambiare argomento, gli domandò: «Vi piace Parigi?». «È molto divertente» rispose lui, anche se non sembrava particolarmente divertito. «Avete sempre abitato qui?» le domandò dopo un po'. «No, solo da qualche anno.» Era la verità. «Prima vivevamo in campagna.» «Non so perché, ma sarei pronto a scommettere che preferite la campagna.» Lei lo guardò, stupita. Non era il tipo di os31
servazione che un conte avrebbe dovuto rivolgere a una povera cucitrice. Non voleva credere che stesse cercando di amoreggiare con lei, ma non si poteva mai sapere. Quante volte sua madre l'aveva esortata a fare attenzione, a non dare confidenza agli estranei! Ma quell'uomo era stato così gentile, e non c'era motivo di credere che fosse interessato a lei. Sentendo il cuore martellarle nel petto, ne attribuì la causa al cognac e al caffè che aveva bevuto. «Rue des Arbres è l'ultima a sinistra prima di arrivare all'Avenue de l'Opera» lo informò mentre percorrevano Boulevard des Capucines. Il conte fece girare i cavalli con una perizia straordinaria, che Vernita non poté fare a meno di ammirare. Quando furono nel vicolo stretto e piuttosto squallido, sapendo che lui aspettava altre indicazioni continuò: «È il prossimo edificio sulla sinistra». I cavalli si fermarono e lei mormorò: «Desidero ringraziarvi ancora una volta, monsieur. Siete stato così cortese e comprensivo che non lo dimenticherò mai!». Senza pensarci gli tese la mano e lui, dopo essersi sfilato un guanto, la prese nella sua. «Abbiate cura di voi, Mademoiselle Bernier. Ho l'impressione che ultimamente non l'abbiate...» Stava per finire la frase quando Louise Danjou, in lacrime, uscì dal portone e si precipitò sul marciapiede. «Mademoiselle, vi stavamo aspettando!» e32
sclamò. «Correte di sopra, vostra madre sta molto male.» Vernita emise un piccolo grido, saltò giù dal calesse e iniziò a correre il più velocemente possibile verso casa.
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451 - PATTO COL NEMICO
di Barbara Cartland
Francia, 1805. Vernita Waltham si trova in Francia quando Napoleone viene meno agli accordi del Trattato di Amiens e fa imprigionare tutti gli inglesi. Sfuggita al carcere fingendosi una semplice sarta, grazie alla sua astuzia riesce a entrare nelle grazie di Paolina, sorella dell'Imperatore, e a corte conosce l'affascinante Conte Axel de Storvik. Tra loro è un vero e proprio colpo di fulmine, ma quella storia d'amore non ha futuro dal momento che appartengono a due nazioni nemiche e che lui la crede una semplice popolana. Poi il destino spariglia le carte, rivelando nuove, sorprendenti possibilità.
452 - INCONTRI DI MEZZANOTTE
di Annie Burrows
Inghilterra, 1815. Lady Jayne Chilcott deve trovare marito entro la fine della stagione mondana. Purtroppo, a causa del suo desiderio di indipendenza e della sua insofferenza verso le regole dell'etichetta, si caccia nei guai facendosi sorprendere ad amoreggiare con un soldato. Lord Richard Ledbury le propone allora una soluzione per uscire da quella situazione compromettente: lui non rivelerà a nessuno l'accaduto a patto che lei dia lezioni di stile a una sua amica. Accettando, Jane è convinta di salvarsi da un pericolo, ma in realtà è appena finita in una trappola ben più minacciosa: quella dell'amore!
453 - PRIMAVERA LONDINESE
di Diane Gaston
Inghilterra, 1816. Quando Anna Hill arriva a Brentmore Hall per assumere il ruolo di istitutrice, rimane colpita dall'aura di infelicità che regna nella casa. Decisa ad alleggerire l'atmosfera per il bene dei bambini, si ritrova a passare molto tempo in compagnia del loro padre, il tenebroso Lord Brentmore, sul quale pesano scandali passati e la tragica fine del primo matrimonio. Con la sua giovinezza e allegria, Anna conquista la fiducia di tutti, ma deve stare attenta a non lasciarsi travolgere dall'attrazione che la lega al padrone di casa. Un nuovo scandalo avrebbe conseguenze disastrose sulla vita di tutti loro...
454 - SCHERMAGLIE D'AMORE
di Michelle Styles
Inghilterra, 1811. Eleanor Blackwell si occupa con passione dell’azienda di famiglia, ed è riuscita a farla diventare una delle più rinomate del paese per quanto riguarda la produzione di spade. Il suo mondo, tuttavia, rischia di crollare alla morte del patrigno, quando la informano che per non perdere l’azienda deve sposarsi entro un mese. Da sempre convinta della doppiezza degli uomini, Eleanor è disperata. Poi però incontra Lord Whittonstall, con cui ingaggia un duello che la lascia disarmata. Perché, nonostante la vittoria, ha appena incontrato il primo uomo capace di farle battere forte il cuore.
DAL 17 APRILE
I segreti di un lord SUSANNA IVES INGHILTERRA, 1819 - Henrietta ha deciso di trasformare il goffo Conte di Kesseley in un eroe dal fascino maledetto. Ma lui rivela una natura più trasgressiva del previsto e...
Schiavo d'amore CAROL TOWNEND COSTANTINOPOLI, 1081 - Per evitare un matrimonio indesiderato, Anna di Heraclea ha deciso di sposare un giovane schiavo. Che però non è un prigioniero qualunque...
I capricci del duca HELEN DICKSON HONG KONG - INGHILTERRA, 1882 - Ogni volta che si incontrano, tra l'impulsiva Marietta e il collerico Lord Trevellyan scoccano scintille. Sarà odio, il loro, oppure amore?
Fuga nella brughiera ANN LETHBRIDGE SCOZIA, 1818 - Dopo una rocambolesca fuga attraverso la brughiera, Lady Selina e l'indomito Ian Gilvry sono costretti a sposarsi. Ma l'onore non è l'unico motivo che li lega...
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Quest’anno non perdete gli speciali numeri dedicati all’autrice di Collezione più amata di sempre: vi attende un 2013 di romanzi INEDITI, da collezionare. Questo mese vi aspetta Scandalosamente tua. Leggi le trame di Collezione su www.eHarmony .it e rimani sempre aggiornata su
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