Hmt13g accadde un'estate

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SUSAN WIGGS

ACCADDE UN'ESTATE traduzione di Elena Rossi


ISBN 978-88-6183-483-5 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Summer Affair Mira Books © 2003 Susan Wiggs Traduzione di Elena Rossi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special luglio 2005 Questa edizione HM settembre 2014


Accadde un'estate


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Non aveva mai conosciuto il suo nome, né la sua età né il suo colore preferito, e non sapeva nemmeno che aspetto avesse quando sorrideva. Tutto quello che sapeva di lei era che era stata una prostituta e che aveva ingerito una quantità eccessiva di oppio. Come se cercasse un motivo razionale alla tragedia, studiò ancora una volta il suo volto scavato, i capelli crespi color ottone. Un braccio era permanentemente storpiato da una frattura curata male; doveva averle dato fastidio per anni. Eppure, a dispetto di tutto questo, era incredibilmente bella. La sua bellezza pareva quasi una sfida a tutti gli affronti che le erano stati gettati in faccia, prima da viva e ora da morta. Strano che dovesse essere proprio lui l'ultima persona a vederla. Con un rituale eseguito fin troppe volte, l'avvolse in un sudario di tela bianca, cucito a mano dalle dame di carità della chiesa locale che si riunivano a scambiare pettegolezzi e a bere tè d'importazione mentre confezionavano capi da donare in beneficenza, poi chiuse l'involucro, lo caricò su una carriola dalle ruote cigolanti e uscì dalla porta sul retro per ritrovarsi all'aria fredda. San Francisco era un luogo completamente diverso nelle ore morte che precedono l'alba. La notte avvolgeva ancora la città e l'oscurità si addensava negli angoli e nelle crepe del quartiere del porto, indugiando sotto le prue delle imbarcazioni ormeggiate e serpeggiando lungo le scale che conducevano a fetidi scantinati. Consultò l'orologio da tasca. Quel limbo incolo7


re sarebbe durato ancora per un'ora, poi le prime luci si sarebbero fatte strada nella nebbia che aleggiava sulla baia. Chi viaggiava era solito dire che San Francisco era cresciuta fino a diventare uno dei centri più grandi del mondo, ma lui non avrebbe saputo dire se fosse vero. Lasciava raramente il centro della città vecchia. Un carro che svolgeva la duplice funzione di portare i soccorsi e trasportare i cadaveri gli venne incontro avanzando verso il vicolo e il suo aiutante, Willie Bean, saltò giù da cassetta. «Lasciate che vi dia una mano, dottor Calhoun.» Insieme caricarono i resti della donna senza nome nel contenitore di vimini posato sul cassone. Blue Calhoun raccolse un lembo del sudario, calò il coperchio e allacciò la cinghia che teneva chiusa la cassa. La striscia di cuoio, consunta dall'uso, si sgretolò nelle sue mani mentre cercava di stringerla e il coperchio si sollevò di qualche centimetro. «Ormai è inutilizzabile» disse, contemplando i brandelli di pelle che gli erano rimasti in mano. «Non credo che gliene importi» commentò Willie. «Ma a me sì.» L'idea che la donna venisse portata attraverso le strade cittadine con il coperchio della bara che si sollevava a ogni sobbalzo del carro lo riempiva di frustrazione. Si slacciò la cintura che portava in vita e la infilò nei passanti del cesto, quindi assicurò il coperchio. Sentendo su di sé lo sguardo di Willie, si rese conto della rabbia repressa dei suoi gesti. Fece un profondo respiro e si allontanò dal carro. L'aver lavorato tutta la notte per salvare una donna senza riuscirci l'aveva lasciato esausto e svuotato. «Pronto» mormorò, facendo cenno a Willie che poteva partire. «Non potete salvarli tutti, Doc.» Willie salì a cassetta, prese le redini e fece schioccare la lingua dando l'ordine di partenza ai cavalli. Il carro sparì nel velo impalpabile di nebbia, finché non si udì solo il rumore degli zoccoli che si perdeva in lontananza. Il giorno seguente, a quell'ora, la donna sarebbe stata chiusa in una cassa di legno e se8


polta tra i cespugli di artemisia e le dune di sabbia di Lime Kiln Point, con un costo di due dollari e sessanta centesimi a carico della municipalità di San Francisco. Blue udì dei botti attutiti - fuochi d'artificio o, più probabilmente, colpi di pistola - che provenivano dal quartiere del porto. Era così abituato a quei rumori che non ci fece nemmeno caso. Ruotò le spalle indolenzite, avvertendo nodi in ogni fibra del corpo. I suoi amici e familiari non si stancavano di ripetergli che era un uomo ancora vigoroso, nel fiore degli anni, ma lui non si sentiva affatto così. Ogni paziente si portava via un pezzetto del suo cuore, eppure lui tirava avanti. Era tutta la sua vita. Non avrebbe saputo cos'altro fare. Aveva smesso di porsi domande molto tempo prima. Non aveva importanza perché si sentisse costretto a scendere nelle squallide viscere della città, notte dopo notte, a mietere il suo triste raccolto di miserabili, a nutrirli e guarirli oppure a offrire il suo conforto e lasciarli andare. Ci voleva una buona dose di arroganza per praticare la medicina con tale ostinazione, ma era qualcosa di più dell'arroganza a spingerlo. Era come un minatore che continuava a scavare fra i detriti dell'umanità, in cerca di uno scintillio di redenzione. Per quanti individui riuscisse a salvare, dozzine, centinaia o più, tutto il suo eroismo non sarebbe bastato a farlo sentire in pace con se stesso per l'unica volta in cui aveva fallito. Erano dieci anni che aspettava quel momento. I rintocchi lontani dell'orologio di Montgomery Square gli dissero che erano le cinque. Un momento come un altro per andare a casa, recuperare qualche ora di sonno e poi vedere i pazienti regolari. Durante il giorno l'ambulatorio medico della Lega di Soccorso veniva gestito dai soci, suore e volontari che avevano come unica qualifica professionale quella che contava veramente: la compassione. Raccolse la borsa pesante, calzò un cappello che aveva visto giorni migliori e salì sul suo calesse a un solo cavallo, il mezzo migliore per destreggiarsi nel traffico cittadi9


no. Pochi cavalli avevano la forza e la resistenza per affrontare le ripide strade di San Francisco e di solito la gente si serviva del tram funicolare, i cui cavi d'acciaio si diramavano nella zona commerciale come la tela di un ragno. Blue usava di rado la funicolare. I suoi cavalli venivano dall'allevamento di famiglia. Dopo essersi lasciato alle spalle un'infanzia tormentata, era cresciuto nel ranch che i suoi genitori avevano chiamato Cielito, sulla riva del mare, cavalcando su e giù per le scogliere cavalli muscolosi che erano diventati ben presto famosi in tutta la regione. La vita era incredibilmente dolce, allora, così dolce che l'aveva lasciato impreparato alla durezza del mondo. Credeva che la vita fosse fatta per la gioia e che l'amore durasse per sempre. Si era aggregato all'esercito dell'Unione e da principio aveva davvero creduto di combattere per una giusta causa. Solo in seguito aveva scoperto che anche la giustizia aveva i suoi orrori. E la guerra non era stata nemmeno l'esperienza più terribile che gli fosse capitata. Guidò il calesse attraverso il miasma di umidità che saliva dalla baia, passando davanti a locande dall'aspetto sudicio con insegne che dicevano Birra alla spina cinque centesimi. Di tanto in tanto incrociava qualche ubriaco barcollante, manovali edili indaffarati, donne che si affrettavano per strada o qualche monello che fuggiva dopo aver commesso un piccolo furto. In Keeler's Alley incontrò due di quegli energumeni pagati dai mercantili per arruolare a forza la mano d'opera, che si stavano dirigendo verso il porto trascinando il loro carico umano, un uomo semincosciente che probabilmente era stato drogato. Pur sapendo di non avere alcuna possibilità di successo, Blue accostò il calesse e fece rallentare il cavallo. «Il vostro amico sembra messo male» esordì. Conosceva quei due. Il più giovane portava un cappello alla moda, con una caratteristica piuma di fagiano infilata nel nastro. Erano Charles Pisco e Abner Punch, conosciuti per essere tra i più abili e spietati nel loro campo. Per un adeguato 10


compenso, erano disposti a fare qualunque cosa. «Puoi ben dirlo» rispose Pisco. La vittima emise un suono, una via di mezzo tra un lamento e un'imprecazione. Il suo volto era nascosto dalla tesa di un cappello malconcio. Blue sapeva bene che non aveva senso mettersi contro di loro. Per anni aveva mantenuto una specie di tregua territoriale con la gente di quel genere: lui non interferiva nei loro affari e loro lo lasciavano in pace. Ma quella sera, ancora ossessionato dal ricordo della donna senza nome, decise che doveva almeno provare a salvare quel malcapitato. «Io non ho fretta, potrei dargli un passaggio» si offrì facendo il finto tonto. «Non è necessario, signore, siamo quasi arrivati.» Non dissero dove, ma Blue immaginò che fossero diretti a uno scafo che li avrebbe portati a una nave ancorata al largo. Il capitano li avrebbe pagati facendo un taglio sui salari dei marinai e la vittima si sarebbe trovata condannata a un numero imprecisato di mesi di lavoro forzato in alto mare. «Questo ragazzo non ha ancora la barba» notò Blue mentre la testa del giovane ciondolava all'indietro, rivelando le guance lisce e giovanili. «È abbastanza cresciuto da accumulare un conto che non è in grado di pagare alla Casa del Marinaio.» La famosa istituzione era la più grande e la più corrotta agenzia di reclutamento in città. «Bel gesto, dottor Blue, ma il fatto è che la vita da marinaio sarà un miglioramento per quest'uomo. È un po' troppo affezionato al fumo di Shangai.» «Vi dedicate al recupero dei drogati, adesso?» domandò lui. Punch rise come se avesse fatto una battuta, poi si portò la mano al cappello. «Buona giornata, signore. Dobbiamo proprio andare...» I due si affrettarono a uscire con il loro fardello dal cono di luce proiettato su di loro da un lampione. Blue rimase a guardarli qualche istante; il giovane 11


sembrava piccolo e fragile in mezzo a loro. Cose del genere succedono ogni notte, si disse. Come aveva detto Willie, non poteva salvarli tutti. Era assurdo anche solo provarci. Senza rendersi conto di ciò che stava facendo, si portò due dita alle labbra ed emise un lungo fischio che bloccò i due energumeni sui loro passi mentre svoltavano l'angolo in direzione del molo. Spronò il cavallo al trotto e li raggiunse. «Quanto?» chiese. Pisco e Punch si scambiarono un'occhiata. «Bene, Doc, stiamo parlando di un giovane sano e robusto, un buon lavoratore. Direi che può valere almeno ottanta dollari.» «È il doppio di quanto potreste ottenere e lo sapete bene.» Blue si frugò nelle tasche e contò cinque monete d'oro da dieci dollari. «Meglio un uovo subito che una gallina domani. Prendete e lasciatelo andare.» La transazione si svolse in pochi minuti e il corpo del giovane venne caricato come un sacco sul retro del suo calesse. Per quanto ne sapeva, poteva aver comprato un cadavere, pensò Blue tra sé e sé. Mentre si allontanava dalla zona malsana del porto, passò davanti a un blocco di costruzioni che ospitava i bordelli della città. Perfino a quell'ora del mattino, le anguste stradine erano affollate di ladri e ubriachi che ridevano e si azzuffavano, intralciando il traffico. La luce del mattino, ormai, si stava diffondendo sulla baia. I primi ferry-boat della giornata scivolavano tra Alameda, Oakland e San Francisco, e l'aria pungente era addolcita dalla lieve foschia che precedeva il sole caldo dell'estate. Blue viveva sulle colline, in un quartiere di belle case con giardini, dove le pance erano piene di cibo anziché di birra, i bambini andavano a scuola invece di bighellonare per le strade, e le donne non finivano nei cimiteri dei poveri senza nemmeno un nome. Spronò il cavallo ad accelerare l'andatura, ansioso di procurare un po' d'acqua e di cibo al suo passeggero. Questi, però, aveva altri progetti. Quando Blue rallentò 12


per imboccare il vicolo di servizio, sul retro della casa, il giovane si stiracchiò. Calcandosi il cappello in testa e stringendosi in un cappotto logoro e fuori misura, saltò giù dal carro e si allontanò barcollando verso i recinti per i conigli e le stalle che costeggiavano il vicolo. «Ehi!» gli gridò lui, ma ormai sapeva che era troppo tardi. Quel poveretto avrebbe trovato da dormire da qualche parte e probabilmente sarebbe finito nuovamente nei guai la notte successiva. Scosse il capo ripensando a quanto gli era costato quell'errore e aprì da solo la porta delle scuderie per non svegliare Efrena, che custodiva le migliori stalle del quartiere, con una mezza dozzina di box, tre calessi e un comodo appartamento al piano di sopra. Sussurrando al cavallo per calmarlo, staccò il traino, gli asciugò il manto umido di sudore e lo condusse al suo box. Dopo aver controllato che avesse dell'acqua, preparò la sua razione di avena. Il cavallo sollevò il muso e fece uno scarto all'indietro. «Buono, Ferdinand» gli disse, chiudendo la porta del box. «Abbiamo bisogno entrambi delle stesse cose: un po' di cibo e un po' di sonno.» Stranamente il cavallo non affondò subito il muso nell'avena, ma sbuffò con le narici e agitò le orecchie. «Accomodati» lo invitò Blue, prima di dirigersi verso la porta con la borsa in mano. Seguì il vialetto di ghiaia che conduceva all'ingresso posteriore della sua abitazione ed entrò in cucina. Si servì delle focacce d'avena preparate la sera prima dalla signora Li e lasciate nella dispensa per il suo rientro. Per Blue, quello era il momento migliore della giornata, quella quiete ovattata tra il caos della notte all'ambulatorio della Lega di Soccorso e la tranquilla routine del suo studio a Nob Hill. Portò le focacce d'avena e il burro nella sala da pranzo. Nel momento stesso in cui sedette al tavolo, ebbe la precisa sensazione di non essere solo nella stanza. Poi, l'inconfondibile protuberanza di una canna di pistola gli premette tra le scapole.

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