NORA ROBERTS
UN REGALO PER TE
ISBN 978-88-6183-461-3 Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Home For Christmas All I Want For Christmas Gabriel's Angel © 1986 Nora Roberts © 1994 Nora Roberts © 1989 Nora Roberts Traduzioni di A. Mohr/C Cavallaro/L. Polli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 1988 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Questa edizione HM novembre 2014
Un regalo per te
Bianco Natale
Prologo
Il caldo mozzava il fiato, scioglieva il cervello, metteva stivali di piombo ai piedi. Jason avrebbe scommesso che il termometro segnava il doppio della temperatura delle più torride estati di New York. Ma quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini non era New York. E non era estate, ma l'inizio di dicembre. Dicembre, sì, un assurdo dicembre africano incendiato da un sole che non aveva pietà. Ma ne valeva la pena. Avanzando a fatica per quella pista che la foresta tropicale si stava inghiottendo a palmo a palmo, come gelosa di custodire i suoi segreti, Jason si faceva coraggio ripetendosi che ne valeva la pena. Poteva uscirne uno scoop. A lui non piaceva affatto la vita facile, e in tanti anni di attività giornalistica aveva affrontato anche situazioni peggiori, ambienti più ostili... ma in quel preciso momento non avrebbe saputo citare il nome di un ambiente più ostile di quello. Ci aveva fatto l'abitudine, e quando fiutava la possibilità di un reportage sensazionale, metteva qualcosa nello zaino e... via, senza preoccuparsi di prenotare una suite in un albergo a cinque stelle. Così ora si ritrovava lì, in quella regione sperduta nel cuore dell'Africa, per scoprire le prove definitive di un traffico d'armi in grande stile che partiva dall'America e arrivava fin laggiù. Aveva lasciato la jeep nell'ultimo tratto di strada che 9
considerava carrozzabile e stava procedendo a piedi per quello che non gli sembrava ormai altro che un sentiero circondato da felci gigantesche. Ma la gente del posto non doveva pensarla come lui: c'erano ancora tracce di pneumatici per terra. Forse da poco erano transitate da lì jeep cariche di bazooka. Sperava che non mancasse molto al villaggio di Bangwan dove, a quanto gli avevano detto fonti attendibili, avrebbe potuto incontrare il capo dei ribelli: l'ultimo anello della catena, la tessera che mancava al mosaico del traffico d'armi. Jason si fermò di colpo e tese le orecchie: non era il verso di un animale nascosto nella vegetazione. Sembrava piuttosto... sì, il rumore di un elicottero che si avvicinava. Imprecò fra sé. A lui di quella guerra non importava gran che, non parteggiava per nessuno. Gli sarebbe solo dispiaciuto che i mercenari governativi arrivassero a Bangwan prima di lui, soffiandogli sul traguardo il tanto agognato ultimo anello della catena. Aumentò il passo, per quanto le forze glielo consentissero, e dopo mezz'ora giunse in vista di un villaggio con le case di canne e legno. Ma era troppo tardi. Aveva appena avvistato quel misero centro abitato, dove sembrava che potessero prosperare solo miseria e fame, quando scoppiò l'inferno: detonazioni, raffiche di mitra, schianti, urla, gente che correva, nuvole di fumo, incendi. Jason si rese conto tardi di essersi spinto troppo vicino a quell'inferno. Tentò di fuggire a perdifiato, ma fu raggiunto dalla scheggia di una bomba esplosa a poca distanza, che gli si conficcò in una gamba. E l'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi e di cadere in avanti su una felce che lo accolse con le sue lunghe braccia verdi in un oscuro oblio fu un volto di donna. Il solito. «Qui dice che in Africa ci sono i popoli monadi.» 10
«Leggi bene.» «Ma sì, i popoli mo... Ah, no, no-ma-di. Nomadi. Chi sono?» La donna stava cucendo l'orlo di un minuscolo grembiule di cotone a fiori azzurri, un grembiulino da bambola, e rispose distrattamente. «I nomadi? Sono persone che non vivono in un posto fisso. Stanno un po' da una parte, poi mettono via tutte le loro cose e vanno da un'altra. Si fermano per qualche tempo lì e poi... via ancora.» «E sono contenti di fare quella vita?» «Sono abituati così, non riuscirebbero a vivere in un modo diverso.» La bambina alzò gli occhi dal libro, guardò l'angolo dei giochi che si era ricavata in soggiorno. Aveva spostato una poltrona verso la credenza e aveva ottenuto così fra il mobile, il muro e la poltrona stessa uno spazio tutto per lei, con uno sgabellino trasformato in fornello, dei barattoli, i pupazzi. Era un luogo suo, se l'era inventato lei, e le piaceva ancora di più della sua cameretta. La storia dei nomadi non la convinceva. «E quando vanno via portano anche i loro figli o li lasciano lì?» «Li portano con loro.» «E i giocattoli?» «Ma... non credo che ne abbiano tanti.» La bambina rifletté un momento. «Be', non mi piacerebbe per niente fare la bambina nomada.» Sua madre si punse un dito con l'ago. «Si dice nomade. Non ti preoccupare, comunque. Qui la gente non vive a quel modo. Di nomade non c'è nessuno.» Depose con stizza la stoffa, l'ago e il filo sul tavolo e si portò il dito alle labbra. E fra sé aggiunse, pensando a molti anni prima: «Quasi nessuno». Ma la piccola non sentì quelle ultime due parole, che non avrebbe potuto capire. Si era persa a guardare una 11
figura del libro, una fotografia che ritraeva un villaggio di capanne, in una radura che si apriva in mezzo a un muro di alberi. Chissà se in quelle capanne i bambini avevano un angolo per i giochi con uno sgabellino... Il suono era ritmato, monotono, attutito. Forse si trattava di canne di bambù percosse da un martelletto di legno, un rudimentale xilofono. Appena riprese i sensi, Jason si ritrovò con quella musica che gli rimbombava nella testa e gli ci volle qualche minuto per abituarcisi. Tentò di muoversi, ma una fitta lancinante alla gamba sinistra lo costrinse a cambiare idea. Aveva le palpebre che pesavano una tonnellata, ma riuscì ad aprire prima un occhio, poi l'altro, e il suo sguardo si posò su un soffitto di foglie di palma, con il sole che ci giocava in mezzo. Sollevando adagio la testa e girandola quel tanto che bastava, si rese conto di essere in una capanna rettangolare, con una porta chiusa da un telo grezzo e un finestrino che offriva uno scorcio di rami di okumè. Per la fatica causata da quel minimo movimento perse di nuovo i sensi, e quando rinvenne e tornò ad aprire gli occhi scorse un volto nero sorridente chino su di lui: un volto femminile, con labbra carnose e occhi scurissimi e brillanti. La ragazza si mise a chiamare a gran voce qualcuno – sembrava eccitata alla scoperta di vederlo tornare in sé – e dopo un attimo, sul pagliericcio di Jason si protendevano due, tre, quattro volti del colore dell'ebano. Avrebbe imparato a conoscere quei volti, nei giorni seguenti, la ragazza con l'orecchino di avorio, il vecchio calvo, la donna grassa che doveva essere sua moglie, il giovane tatuato. Erano i suoi soccorritori, quelli che lo avevano trovato esanime nella foresta, che lo avevano portato al villaggio e curato. 12
Sempre che si potesse chiamare villaggio quel cerchio di capanne costruite alla meglio in una radura ai limiti della foresta equatoriale, ancora nascoste dalle grandi chiome degli okumè, ma già in vista della distesa della savana. Una collocazione strategica che avrebbe permesso di individuare per tempo eventuali attacchi armati, capì Jason quando si sentì abbastanza in forze da reggersi in piedi e uscire all'aperto in perlustrazione. La gamba gli doleva ancora e quelle che lui chiamava per farsi coraggio perlustrazioni erano in realtà spostamenti molto limitati: girava un po' tra le capanne, ma si sentiva già in difficoltà dopo pochi minuti; così preferiva rimanere semisdraiato su una stuoia accanto alla porta del suo provvidenziale ricovero. Aveva davanti a sé ore e ore di ozio forzato e ne approfittava per osservare la vita del villaggio. La cosa che lo sorprendeva di più era proprio il fatto che quella cerchia di fragili casupole e quella gente insidiata dalla guerra formassero qualcosa che si poteva definire villaggio: una comunità organizzata in modo semplice ma funzionale, in cui i compiti venivano ripartiti fra i membri del gruppo e dove tutti, uomini, donne, vecchi e bambini, potevano rendersi utili. Le uniche tracce della guerra erano le jeep e le casse di armi coperte da un telo ai margini dell'abitato. Erano armi che venivano da lontano, proprio dalla nazione e dalla ditta che lui sospettava fossero alla base del traffico internazionale. Era la prova che cercava, ma in quel momento la scoperta non gli dava la gioia che si sarebbe aspettato. A colpirlo di più erano le cose minime, le scene di vita quotidiana che gli scorrevano davanti, con i loro ritmi lenti e regolari, con i loro inconsapevoli attori. Quello spettacolo gli provocava una strana malinconia. Per qualche oscuro motivo, lo riportava indietro nel 13
tempo, a quando era ragazzo e viveva al paese, nel New England. Anche là c'erano quegli stessi ritmi di vita, nonostante le attività della gente fossero diverse e più complesse. Anche là sembrava aleggiare lo stesso senso di appartenenza che cementava i membri dello sperduto villaggio africano. La gente si sentiva inserita in una comunità, aveva un posto in cui stare, un compito da svolgere, un ruolo. Lui no. Era sempre stato insofferente nei confronti di quei vincoli che gli apparivano opprimenti, di quelle regole che giudicava vuote e senza senso. Fin da ragazzo aveva sognato di tagliare i ponti, di andarsene a girare il mondo in cerca di avventure. Ci era riuscito, e lui solo sapeva il prezzo che aveva pagato, in termini affettivi. Ci era riuscito, ma... forse cominciava a ricredersi. Forse aveva sbagliato qualcosa. Forse la rinuncia era stata troppo grande. Ecco perché, adesso, guardandosi attorno, si sentiva assalire dalla malinconia. Aveva notato, per esempio, che anche in quell'angolo dimenticato di mondo, in mezzo a quella gente che combatteva contro la fame oltre che contro le truppe governative, i giovani erano giovani. E non pensavano solo a fare la guerra. Addirittura un cieco avrebbe capito che fra la ragazza con l'orecchino d'avorio e il ragazzo con le braccia coperte di tatuaggi c'era del tenero, anche se i due interessati avrebbero usato molto probabilmente un'espressione diversa per indicare la stessa cosa. Ridacchiando fra sé, Jason seguiva giorno per giorno gli sviluppi della situazione. Ma a un certo punto smise di sorridere, assalito ancora di più da una tristezza che non aveva mai provato in vita sua. Quella storia gli ricordava qualcosa di un passato che gli sembrava lontanissimo, qualcosa del suo passato. 14
Appariva chiaro a prima vista che i due giovani si conoscevano da sempre e che era la ragazza la più interessata a trasformare i rapporti attuali di amichevole familiarità in rapporti di tipo diverso. Tutte le volte che lui smontava dai turni di sorveglianza o tornava dalle misteriose spedizioni in jeep che gli abitanti del villaggio facevano a turno quasi ogni giorno, lei era immancabilmente sulla porta della capanna, impegnata a mondare semi o a pestare nel mortaio radici di piante medicamentose. Aveva sempre un fiore diverso fra i capelli e lanciava al ragazzo lunghe occhiate di sottecchi. Lui ricambiava le occhiate, ma tirava dritto. La cosa continuò per vari giorni, poi la giovane cambiò tattica e per raggiungere il suo obiettivo ricorse a un vecchio trucco: rivolse le proprie attenzioni in modo sfacciato a un altro ragazzo del villaggio, un tipo grande e grosso che girava spesso con un mitra a tracolla. Jason si stupì della libertà di azione di Gundula, come aveva capito che si chiamava la ragazza, una libertà che sembrava strana in un ambiente tanto chiuso. Pareva che i vecchi non la vedessero neanche. Forse, pensò lui, la guerra aveva portato un certo rilassamento nei rigidi costumi di vita del gruppo. Comunque, Gundula salutava da lontano il suo nuovo amico tutte le volte che lo vedeva, gli si avvicinava con noncuranza e si toglieva il fiore dai capelli per darglielo. Il ragazzo con i tatuaggi seguiva la scena con aria di volta in volta più truce e un giorno, passando davanti a Jason, raccolse da terra un ramo, lo spezzò con rabbia e lo fece volare in una macchia di felci. La storia si ripete, pensò lui. I giovani sono giovani, in qualunque parte del mondo vivano e di qualunque colore abbiano la pelle. Non riusciva però a consolarsi con quella saggezza da quattro soldi. Non riusciva a seguire quella vicenda con il sereno distacco di chi avesse rag15
giunto, assieme all'età adulta, un suo equilibrio interiore. In cuor suo, si sentiva ancora come quel ragazzo dalle braccia tatuate: gli era bastato poco perché gli si riaccendesse la stessa rabbia, lo stesso risentimento di allora. Tuttora la ferita gli bruciava, la ferita mortale che si portava dentro da dieci anni e che pareva destinata a non rimarginarsi mai più. Poi, una sera, dalla finestra della capanna, vide passare il ragazzo tatuato abbracciato a Gundula. La testa di lei era reclinata sulla spalla di lui, la mano di lui le scendeva sulla vita; sembravano camminare senza nemmeno sfiorare il terreno e si dirigevano verso la foresta, oscura e invitante come un manto di velluto. Per un attimo la fitta foresta tropicale scomparve agli occhi di Jason e gli apparve davanti un compatto muro di abeti del New England illuminati dalla luna piena. Scherzi dell'immaginazione... Sorrise fra sé con amarezza. La storia si ripete, pensò di nuovo, e immaginò tutte le delusioni in agguato che aspettavano quel ragazzo di cui non sapeva neppure il nome, tutte le pugnalate che avrebbe ricevuto di lì a poco. E gli parve che nel manto nero della foresta fossero appostate già in quell'istante belve dai denti aguzzi e dalle pupille fosforescenti, pronte ad assalirlo appena si fosse avvicinato. La bambina voltò pagina e al posto del villaggio africano comparve la fotografia di un leopardo. La didascalia diceva: Agilissimo e feroce, il leopardo caccia animali di piccole e grandi dimensioni, aggredendo anche l'uomo. Un brivido le corse lungo la schiena, ma le passò subito. Le venne da ridere, anzi. «Mamma, per Natale mi regali una cosa?» 16
«Che cosa?» chiese sospettosa la donna, scuotendosi e riprendendo a cucire dopo essere rimasta per qualche secondo con lo sguardo perso nel vuoto, come in trance, a ricordare cose lontane, occasioni perdute, una storia troncata sul nascere... «Una pelle di leopardo.» «Vorresti una pelliccia da diva del cinema?» «No, no, me la metterei per camuffarmi e fare uno scherzo a Jimmy. Prenderebbe uno di quegli spaventi...» La bambina disegnò sul bordo del libro di scuola, a modo suo, un leopardo con un nastro rosa al collo che emetteva un tremendo ruggito e faceva scappare via una figurina tutta storta che doveva rappresentare il malcapitato Jimmy. Il risultato, per lei più che soddisfacente, le strappò una nuova risata. «Sì, mi piacerebbe vederlo, quello spaccone di Jimmy, che scappa a razzo!» «Spaccone? Allora non ti è più simpatico?» «Sì che mi è simpatico, ma fa il duro solo perché ha un anno più di me. La mia nuova compagna di banco, Marcie, continua a ripetere che i duri non sono più di moda. Tu che cosa ne dici?» La madre depose il lavoro e arruffò teneramente i capelli della figlia. Guardò fuori dalla finestra. Nevicava fitto. «Ma... non so, non sono aggiornata in materia...» «E quando eri giovane, com'erano allora i ragazzi?» «Be'...» «C'era qualche duro che ti piaceva? E tu come ti comportavi?» La bambina era come un torrente in piena con le sue domande, e la madre cominciava a essere in difficoltà. Sì, purtroppo c'era qualcuno che le piaceva, quando era giovane. L'espressione usata dalla figlia era la più adat17
ta, perché in realtà si sentiva ormai vecchia decrepita, nonostante nei suoi capelli ci fossero pochissimi fili d'argento che solo lei vedeva allo specchio. Sì, c'era un ragazzo che le piaceva e poteva anche definirsi un duro, ma lei non si era mai data la pena di catalogarlo in qualche modo. Era lui, punto e basta. Un tipo diverso da tutti gli altri. Un tipo per cui non era difficile perdere la testa. E lei l'aveva persa, del tutto. Ma non era una storia da raccontare con il sorriso sulle labbra a una bambina, non rientrava nelle normali confidenze che madre e figlia si potevano scambiare in un lungo pomeriggio d'inverno, fra una lezione di geografia e un grembiulino a fiori. Anzi, era una storia di cui sua figlia non avrebbe mai saputo niente. Era l'ultima persona al mondo a cui l'avrebbe rivelata. Così si scosse, e per troncare quella conversazione che stava diventando pericolosa si trincerò dietro la facciata della persona seria e indaffarata che non aveva tempo da perdere in simili sciocchezze. «Allora» disse alla bambina, riprendendo a cucire con impegno addirittura eccessivo il grembiulino a fiori azzurri, «vuoi finire questa benedetta lezione di geografia o pensi di andare avanti a studiare l'Africa fino al giorno di Natale?» Natale! Mancava solo una decina di giorni a Natale! Chi ci pensava più? Jason lo scoprì per caso, facendo un conto approssimativo dei giorni trascorsi al villaggio, che si avvicinavano ormai ai quindici, dal momento che ne aveva passati alcuni in stato di incoscienza. All'inizio resse bene a quella scoperta, ricordando gli anni precedenti. Che cos'era Natale, in fondo? Un giorno come un altro, continuava a ripetere fra sé. In alcune parti del mondo le industrie sfornavano più prodotti del solito, la gente si sguinzagliava per i negozi e si caricava 18
di regali. Tutto lì, il Natale. In altre parti del globo, invece, la gente non ne sapeva addirittura niente e continuava a vivere e a morire, a corteggiarsi e a caricare i mitra come lì a Bangwan. Jason sapeva di essere un uomo duro di carattere, poco incline ai sentimentalismi. Il Natale non significava proprio nulla per lui. Lo aveva sempre liquidato a quel modo negli anni precedenti, e quella volta non avrebbe fatto eccezione. Peccato che... Peccato che le cose non stessero affatto così. Peccato che l'idea di ritrovarsi per Natale in quella terra sconosciuta e arsa dal sole lo deprimesse più di quanto non sarebbe mai stato disposto ad ammettere. Peccato che anche a lui fosse scoppiato di punto in bianco quel desiderio struggente di una casa, di un camino acceso mentre fuori nevica fitto, di sorridenti volti familiari. Guardandosi attorno nel piccolo villaggio africano, con la gente che svolgeva le normali occupazioni quotidiane, i bambini che si rincorrevano, le donne che chiacchieravano fra loro, vedeva ormai il suo paese, quello che aveva abbandonato dieci anni prima con tanta insofferenza e che adesso gli mancava... Anche lui, tutto sommato, aveva bisogno di un posto che fosse suo, al quale sentire di appartenere. E gli eventi stessi sembravano spingerlo in quella direzione. Da un paio di giorni a Bangwan c'era un'insolita agitazione dietro l'apparente normalità. Le jeep andavano e venivano, i bazooka erano stati tolti dalle casse e montati sui cavalletti, nel cielo sfrecciavano aeroplani militari. Da quel poco che riuscì a intuire, Jason comprese che ci si stava preparando a respingere un altro attacco dei governativi, un attacco in grande stile. Se ora era solo 19
una minaccia incombente, presto la guerra sarebbe stata di nuovo una realtà percepibile, assordante, sanguinosa. Vogliamo fare un bel reportage di guerra?, si chiese. Era l'occasione buona. Poteva uscirne un pezzo di bravura che i colleghi gli avrebbero invidiato. Peccato che... Peccato che di quell'occasione non gli importasse niente. Era una guerra che non capiva, non sapeva nemmeno bene quale fosse la posta in gioco. E non gli interessava scriverci sopra una serie di articoli che non sarebbero serviti a cambiare la realtà. E poi... ne aveva abbastanza di guerre! Ne aveva seguite troppe negli ultimi anni, era stanco di fare da spettatore a tante atrocità. Voleva un mondo di pace. O almeno, un angolo di mondo. Era quasi Natale, in fondo. Doveva andarsene, scappare via prima che fosse troppo tardi. E quando si accorse che nel villaggio serpeggiava una forte tensione e gli uomini si armavano fino ai denti e salivano sulle jeep, Jason non ebbe più dubbi. Prese lo zaino e saltò a sua volta su una delle vetture. Avrebbe incominciato ad allontanarsi da lì. Da qualche parte sarebbe arrivato. Mentre l'auto stava per partire, scoprì che uno degli occupanti era il giovane tatuato. Anche la sua ragazza era lì, lo aiutava a caricare le munizioni. E piangeva. Poteva essere un addio. Alla fine, quando già il motore era acceso, allungò una mano e strinse forte quella del ragazzo. Poi la jeep partì con un sussulto e la ragazza rimase a piangere in una nuvola di polvere. Dopo un attimo non la si scorgeva già più e lo stesso villaggio era sparito dietro una fitta cortina di vegetazione. Solo in quel momento Jason poté ammettere che quel20
la precipitosa fuga da Bangwan aveva un motivo preciso. Non era soltanto il suo paese che voleva rivedere. Non era soltanto un bianco Natale che desiderava con tutto se stesso. La scena a cui aveva appena assistito gli aveva aperto gli occhi. Era da lei che doveva tornare, la donna che aveva lasciato dieci anni prima in modo cosĂŹ precipitoso; la donna che non aveva mai dimenticato, quella che continuava a perseguitarlo anche nel sonno.
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