CAROLE MORTIMER
Il regalo pi첫 bello
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: On the Secretary's Christmas List Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2012 Carole Mortimer Traduzione di Giovanna Cavalli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Pack novembre 2014 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2014 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HARMONY PACK ISSN 1122 - 5380 Periodico bimestrale n. 127C del 20/11/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 239 del 15/05/1993 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 «Il nostro appuntamento era fissato per questo pomeriggio, Roger. Non per domani, non per la prossima settimana, ma per oggi. Apri bene le orecchie che te lo scandisco più lentamente: O-G-G-I. Ti è più chiaro adesso o devo forse ripetertelo in un'altra lingua a tua scelta?» Bree sollevò lo sguardo con aria preoccupata quando il suo principale entrò a passo di carica nell'ufficio, ringhiando furibondo al cellulare. Oh-oh. Chissà chi è il malcapitato che si sta beccando questa lavata di testa... Bree fece due più due e sobbalzò sulla sedia, realizzando che doveva trattarsi del cliente delle quattordici. Ovvero di Roger Tyler, professione rockstar planetaria da milioni di dischi. Uno che era riuscito nel miracolo di diventare una leggenda mentre era ancora vivo e in perfetta salute. «No, non me ne frega un c...» Jerome Jackson Beaumont si interruppe appena in tempo, controllando la sua furia, quando si rese conto che Bree lo stava ascoltando, suo malgrado. «Non me ne frega un accidente di niente del tuo "imprevedibile contrattempo dell'ultimo minuto", 5
Roger. Sei stato tu a chiedermi, anzi per l'esattezza a supplicarmi di realizzare il servizio fotografico per il tuo prossimo album. Quindi deciditi e fallo anche in fretta: o ti presenti qui oggi pomeriggio all'orario che avevamo stabilito, oppure puoi scordarti l'intera faccenda, per quello che mi riguarda. E cominciare pure a cercarti un altro fotografo.» JJB (così lo chiamavano confidenzialmente i giornalisti mondani, ma nessuno che tenesse alla propria incolumità si sarebbe azzardato a rivolgersi direttamente a lui in quel modo) ascoltò la risposta dell'altro per circa due secondi – quasi un record, valutò Bree – prima di interromperlo. «Hai cinque minuti, Roger, non uno di più, per risolvere il tuo "imprevedibile contrattempo" e rimandare l'incontro rovente con chissà quale sgualdrinella che avrà attirato la tua attenzione stavolta, spegnere i tuoi bollori, prima di richiamarmi per confermare che sarai qui alle quattordici in punto, esattamente come previsto. E con questo non ho altro da aggiungere, mio caro.» Detto ciò, Jerome Jackson Beaumont lanciò il cellulare sulla scrivania, come fosse un frisbee, in direzione di Bree che, dopo quasi un anno di allenamento, lo afferrò con sicurezza prima che cadesse a terra e si frantumasse in mille pezzi. E come prima cosa controllò che Jackson avesse effettivamente chiuso la conversazione. Un'accortezza minima di cui purtroppo il suo boss si dimenticava spesso. Offrendo allo sventurato interlocutore, rimasto in linea dall'altra parte, anche un involontario secondo round di imprecazioni e/o contumelie varie. 6
Bree gli rivolse un'occhiata di rimprovero. E ripensò alla prima volta che lo aveva incontrato. «Mi chiami soltanto Jackson» le aveva ordinato senza troppi complimenti, quando Bree aveva cominciato a lavorare per lui, più o meno un anno prima, a suo rischio e pericolo. «Non Jerome, mai. Né tantomeno Beau, glielo proibisco. Detesto i diminutivi. O signor Beaumont. Jackson e basta. Ricevuto?» Intimidita, Bree aveva preso nota mentalmente. Adesso non gli dava più del lei, ma se ne guardava bene dal violare quella prima regola ferrea. «Jackson, sarebbe meglio che lasciassi a me il compito di prendere le telefonate.» E di solito era così, in effetti. Sfortunatamente, però, si era dovuta allontanare, tre minuti tre d'orologio, il minimo sindacale, per una velocissima sosta alla toilette, lasciandogli così campo libero. Ed ecco il risultato. Jackson le rivolse un sorriso impertinente, mentre si appoggiava con fare indolente al bordo della sua scrivania, spostando il barattolo portapenne con una manata. «Tu dici? Non capisco perché. Non sono forse bravo come segretario?» «Urka. Il migliore in circolazione. A quest'ora saresti rimasto senza un solo cliente.» In realtà non era così. La gente faceva la fila per accaparrarsi JJB. Nonostante le sue maniere a dir poco stravaganti. Non c'era una spiegazione logica, rifletté Bree. Quell'uomo era uno specialista assoluto nel trattare male le persone. Eppure, più le strapazzava, più le insultava o, peggio, le ignorava manco fossero trasparenti, e più queste tornavano a cercarlo. Come se ci avessero preso gusto, dopo ogni sfuria7
ta si presentavano davanti a lui devote e deferenti, con la coda tra le gambe. E tutto questo perché lui era Jerome Jackson Beaumont, uno dei fotografi più famosi del mondo, un artista pluripremiato, osannato dalla critica, inseguito dalle reti televisive, le cui opere erano esposte nelle gallerie d'arte più esclusive o nei palazzi reali. In fondo non era poi un dramma dover sopportare qualche villania se poi alla fine potevi aggiudicarti una foto originale di Jerome Jackson Beaumont. E anche il suo fascino indiscusso lo aiutava non poco a farsi perdonare ogni sgarbo. Specialmente con le donne. Perché JJB aveva un caratteraccio, vero, ma era anche dannatamente attraente. Un metro e ottantotto di muscoli snelli e abbronzati, messi in risalto dalle magliette aderenti e dai jeans che erano la sua divisa abituale – quel giorno si era messo una T-shirt blu e un paio di denim neri – occhi limpidi e blu come un cielo azzurro e senza nuvole in un giorno d'estate, zigomi forti e alti, naso dritto e affilato come una lama e una bocca così spudoratamente sensuale che sarebbe stato necessario farlo girare con un segnale di pericolo attaccato al collo, del tipo: Attenzione, baciare con moderazione. E come se questo non bastasse, Jackson aveva anche dei lunghi e morbidi capelli biondi che gli arrivavano quasi alle spalle, come spettinati dal vento, del colore del miele e con dei favolosi riflessi di zucchero caramellato. Una meraviglia per cui le donne sarebbero disposte a spendere una fortuna, andando dai parrucchieri più costosi in ogni parte del pianeta. Insomma JJB era burbero e irascibile e aveva la 8
lingua tagliente, ma, a giudizio unanime del pubblico femminile, era anche uno schianto d'uomo. Pochi minuti dopo averlo incontrato, Bree aveva compreso che era esattamente come lo descrivevano. Unico. Perfezionista. E assolutamente geniale. Le era bastato altrettanto poco tempo, però, anche per sapere con certezza che, se ci si metteva, era assolutamente insopportabile. E ci si metteva spesso. Giravano anche parecchi pettegolezzi piccanti sul suo conto, naturalmente. E Bree ne era al corrente. Impossibile non esserne informata, del resto. Chi non aveva mai letto i resoconti dettagliati delle eccentricità di Jerome Jackson Beaumont nelle rubriche di gossip dei maggiori quotidiani o notato le sue foto, sempre in dolce compagnia, pubblicate a pagina intera sulle riviste patinate? L'agenzia di collocamento che le aveva proposto il contratto, l'aveva avvertita che non sarebbe stato un incarico facile. Delle tre assistenti che gli avevano mandato il mese prima, due si erano ripresentate dopo quarantotto ore con i nervi piuttosto scossi, giurando che non sarebbero mai piÚ tornate a Beaumont House, nemmeno per il triplo dello stipendio. La terza non si era proprio piÚ vista. Bree non si era fatta scoraggiare da quei precedenti, ed era andata dritta per la sua strada. L'impiego era molto ben remunerato e non solo. Nello stipendio era compreso l'uso gratuito dell'appartamento indipendente situato al piano terra della lussuosa dimora londinese in cui viveva e lavorava Jackson. E per lei, che a quel tempo era alla ricerca urgente di una casa, questo era stato un incentivo piÚ che sufficiente per spingerla ad accettare il posto, nonostante 9
la pessima fama che caratterizzava il suo datore di lavoro. Assolutamente meritata. Eh già, perché Bree aveva scoperto molto in fretta che Jerome Jackson Beaumont era davvero arrogante e impossibile come le avevano raccontato. Con una sola eccezione. Suo figlio Daniel, sei anni. Considerando che Jackson non si era mai sposato – e nelle rare interviste dichiarava sempre che il matrimonio non rientrava nei suoi programmi (Manco morto era il suo motto), l'identità della mamma di Danny restava avvolta nel mistero. Un mistero che Jackson aveva ripetutamente rifiutato di chiarire. Quando i giornalisti chiedevano spiegazioni riguardo a quel bel bambino che, a dodici mesi, era comparso all'improvviso nella sua vita, cinque anni prima, la risposta, a volte annoiata, più spesso glaciale, era sempre la stessa: Qual è la prossima domanda? Visto che la madre del bambino non era ovviamente più presente nella vita di Jackson e di Danny, la sua identità non era rilevante per Bree. Questo, tuttavia, non significava che anche lei non provasse una certa curiosità sul suo conto. Era impossibile non chiedersi come mai fosse sparita in quel modo. Rinunciando non solo a suo figlio, ma anche al papà, il ricco, bello e carismatico Jerome Jackson Beaumont. Danny era un bambino piuttosto alto per la sua età, con capelli biondi come il grano, occhi dello stesso azzurro intenso di quelli di Jackson e un'indole dolcemente birichina che conquistava tutti. Primo fra tutti proprio suo padre, che si faceva in 10
quattro per accontentarlo, oltre a diventare uno zuccherino. Be', forse zuccherino non era il termine più adatto da usare per descrivere Jackson, ma insomma l'idea era quella. JJB adorava il piccolo Danny, e il bambino adorava lui. Anche Bree se n'era innamorata, dal primo giorno che aveva messo piede a Beaumont House. Del figlio, non del padre, sia chiaro. Aveva già pagato – e molto caro – lo sbaglio di essersi innamorata dell'uomo sbagliato. Ma aveva imparato la lezione. E non aveva intenzione di ripetere quell'esperienza così dolorosa. Jackson Beaumont, poi, era un uomo da cui si doveva restare bene alla larga, sentimentalmente parlando. E così aveva fatto Bree. Questa si era rivelata una decisione assai saggia, considerando che, da quando era diventata la sua assistente personale, aveva visto legioni di femmine entrare e altrettanto rapidamente uscire dalla vita di Jackson. Un variopinto carosello di rosse, bionde, brune e con i capelli di ogni altra sfumatura intermedia che esistesse in natura (o nella fantasia di un parrucchiere), l'unica cosa che avevano in comune era che erano sempre alte e belle. E che non restavano in carica troppo a lungo, ma questo era un altro discorso. In quel momento il barometro amoroso di Beaumont House indicava come preferita Jennifer Greaves, top model tra le più richieste, lunghi capelli biondo platino, occhi verdi, nasino perfetto, gambe lunghissime e un fisico statuario che non a caso aveva 11
meritato parecchie copertine di Sports Illustrated. Nonostante tutti i doni generosamente elargiti da Madre Natura, persino una supermodella come lei però aveva le sue insicurezze. Ogni volta che passava da Beaumont House, di solito senza preavviso, la divina Jennifer non perdeva occasione per ribadire che Jerome Jackson – o JJ, come lo chiamava lei – era una sua proprietà esclusiva. Persino con la governante, la signora Holmes, una robusta signora di oltre sessant'anni, con gli occhiali e i capelli a crocchia. Il che era in effetti abbastanza ridicolo. E con Bree, ovviamente. Non che Jennifer la vedesse sul serio come una vera rivale – anzi era chiaro che la trovava insignificante ‒ però nel dubbio, marcava comunque il territorio. Direttamente, con frasi tipo: «Hai mica del correttore da prestarmi, cara? Ho delle occhiaie terribili stamattina, ma sai, stanotte io e JJ abbiamo avuto parecchio da fare e mi sento uno straccio... tu mi capisci, no?». O più indirettamente, inventando spassosi quanto inverosimili panegirici: «Tesoro, tu che sei la sua assistente, puoi accertarti che JJ stasera finisca entro le sette? Non prendergli altri appuntamenti, mi raccomando, stasera lo voglio tutto per me... e mi raccomando, non deve stancarsi troppo...». E Jackson? Be', lui non sembrava proprio innamorato di lei. Come di nessuna delle innumerevoli altre. Ma doveva tenerci parecchio, se sopportava di farsi chiamare JJ anche davanti a estranei e non solo nell'intimità. Comunque, la gelosia di Jennifer era del tutto ingiustificata. Almeno nei confronti di Bree. 12
Non c'era pericolo che Jackson la vedesse come una possibile conquista. Era assolutamente fuori target, per uno come lui. Bree era alta soltanto un metro e sessanta, carina più che bella, con una figura snella e ben fatta e tutte le curve giuste al posto giusto, questo sì, ma non era la pupa mozzafiato che faceva perdere la testa agli uomini. Anzi, a quanto pareva non era difficile rinunciare a lei e Bree lo aveva imparato molto bene sulla propria pelle, il giorno in cui il suo fidanzamento era finito in maniera improvvisa e traumatica, più o meno un anno prima. Più o meno... Oh mio Dio. Che giorno è oggi? Non può essere proprio... E invece sì che lo era, realizzò Bree di colpo, impallidendo visibilmente. Era passato un anno esatto da quando il mondo le era caduto addosso di schianto. Da quella mattina in cui... «Non ti sei davvero preoccupata per il mio vivace scambio di opinioni con Roger Tyler, vero?» chiese Jackson, guardandola con espressione accigliata. Gli sembrava che fosse sbiancata di colpo. Bree sbatté le ciglia prima di rialzare lo sguardo verso di lui. «No, se non lo sei tu» minimizzò con il consueto tono sbrigativo e pratico della perfetta assistente, addestrata a risolvere i problemi, non a metterli in risalto. Jackson la osservò, accigliato, e chiedendosi come mai fosse impallidita. In ogni caso, era un piacere guardarla. Era sempre rimasto incantato dalle lunghe ciglia scure e dagli occhi grigio fumo di Bree. Due 13
occhi incredibili, su un viso altrimenti piuttosto normale. Bree aveva sopracciglia regolari, una spruzzata di lentiggini sulle guance e sul naso grazioso, una bella bocca che di solito però era contratta in una smorfia di disapprovazione – specialmente se parlava con lui – un mento piccolo ma volitivo, segno di un bel caratterino deciso. I suoi capelli erano neri come l'ebano, con sfumature blu, ma siccome erano sempre raccolti a chignon e bloccati con un fermaglio, dopo un anno Jackson non aveva idea di quanto fossero lunghi. E non voleva nemmeno saperlo, se è per questo. Lui per carattere non amava le regole, anzi, detestava ogni imposizione. Però nella sua professione c'era un comandamento sacro, che non avrebbe mai violato per niente e per nessuno. Mai mescolare il lavoro con il sesso. Si era ripromesso di non provare alcun interesse personale per le ragazze che, nel corso degli anni, erano state le sue assistenti. E non aveva mai fatto un'eccezione. Con grande dispiacere di alcune di loro, in effetti. Ma con Bree il problema non si poneva proprio. A ventisei anni, Sabrina Jones detta Bree, era fredda, calma e totalmente imperturbabile. E aveva messo in chiaro fin dall'inizio – non esplicitamente, ovvio, ma con i fatti – che nemmeno lei nutriva alcun interesse per lui. Meglio di così non poteva andare. Bree gli era indifferente. Jackson le era indifferente. Lui era il suo datore di lavoro e lei la sua assistente. Nessuna complicazione sentimentale. 14
Nessuna tentazione. E questa, probabilmente, era la ragione per cui avevano vissuto nella stessa casa e lavorato insieme gomito a gomito per almeno dieci ore filate, quasi tutti i giorni, in totale armonia, per un anno o giù di lì. Una sola scintilla di attrazione sessuale, o anche solo un'allusione, un ammiccamento, e tutta quella delicata costruzione sarebbe crollata. E siccome Bree era la migliore assistente personale che Jackson avesse mai avuto, e inoltre era sempre più che felice di restare con Danny, qualche sera, quando lui voleva uscire, non aveva la minima intenzione di varcare quella linea di confine. Certo, talvolta quella calma imperturbabile che Sabrina Jones sfoderava in ogni circostanza gli faceva venire voglia di fare qualcosa per scuoterla e farle perdere quell'atteggiamento di fredda compiacenza. Giusto per sfida. Ma era una tentazione passeggera, che riusciva a tenere sotto controllo. «Io? Bah. Non spreco nemmeno un secondo del mio tempo a preoccuparmi di uno come Tyler» rispose Jackson seccamente, tirandosi su di scatto e afferrando la giacca di pelle scamosciata color biscotto, sciupata al punto giusto, appesa al gancio di acciaio piantato nel muro, prima di avviarsi a passi veloci verso la porta. «Scusa ma dove stai andando?» domandò Bree, spiazzata, mentre lui infilava le lunghe braccia nelle maniche. Jackson si irrigidì. Non era abituato a rendere conto dei suoi spostamenti. «Fuori.» «E che dobbiamo fare per quell'appuntamento con Roger Tyler?» 15
Lui sollevò un sopracciglio con aria strafottente. «In che senso?» «Roger dovrebbe arrivare tra poco più di un'ora per il servizio fotografico, se non sbaglio» sottolineò Bree con impazienza. «Non posso certo scattargli io le foto al posto tuo.» Jackson scrollò le spalle con indifferenza. «Ovvio che no. Quando ti richiamerà, tra un paio di minuti, annulla quello di oggi e fissagli un altro appuntamento subito dopo Natale.» «Ma se gli hai appena intimato di cancellare il suo impegno, in modo da poter venire qui da te questo pomeriggio alle quattordici!» lo incalzò Bree. «Ho forse perduto un passaggio della vostra conversazione?» Jackson sorrise con aria sfrontata. «No, ma adesso ho da fare io. A volte bisogna ricordare a questi grandi uomini pieni di sé, come Roger Tyler, che non tutti sono sempre qui pronti a scattare a ogni loro schiocco di dita, per mettersi a loro completa disposizione.» Bree fece un profondo respiro. «Credo che questa saggia riflessione si potrebbe facilmente applicare anche a te.» Lui ci rifletté per qualche secondo. «Hai ragione, potrebbe adattarsi anche a me» concesse infine annuendo convinto. «E quindi?» «E quindi sono lusingato che tu mi ritenga un grande uomo, Bree» le rispose, prendendola in giro in maniera palese. Tipico di JJB. Lei strinse gli occhi, scrutandolo pensierosa. «Mmmhhh... è la mia immaginazione o questa mattina sei più insopportabile del solito?» 16
Jackson fece una smorfia. «Sì, forse è così» ammise a denti stretti. «Danny e io ieri sera siamo passati da mia madre per portarle i suoi regali di Natale, prima che si imbarchi per la crociera ai Caraibi con gli amici del circolo del bridge. Se Dio vuole, dovrebbe partire questo pomeriggio e non tornerà che tra dieci giorni.» «Oh.» Bree rilassò la fronte, mentre cominciava a capire. Jackson e sua madre, la ricca e vedova Clarissa Beaumont, avevano, per così dire, un rapporto complicato. Non che non si volessero bene, tuttavia avevano lo stesso carattere volitivo e poco diplomatico. E spesso finivano ai ferri corti. Alta, capelli biondi e occhi blu, Clarissa era una bellezza classica, che in passato era ricorsa più volte alla chirurgia estetica e ancora adesso faceva delle regolari infiltrazioni di botulino per spianare le rughe. Per questo dimostrava sempre la stessa età che aveva nelle foto di famiglia appese nello studio di Jackson, quando lui e sua sorella Jocelyn erano bambini. La povera Jocelyn era morta parecchi anni prima che Bree cominciasse a lavorare per Jackson, perciò non l'aveva mai conosciuta, ma se fosse stata ancora viva, lei e sua madre sarebbero probabilmente passate per coetanee o quasi. «E questa era la buona notizia» riprese Jackson con una smorfia eloquente. «Purtroppo, per qualche ragione che mi sfugge, il suo regalo per Danny non era ancora pronto, così mia madre ripasserà di qui con il pacco, prima di andare all'aeroporto, più o meno...» Guardò l'orologio di acciaio e diamanti che portava al polso. «... direi tra circa mezz'ora.» 17
«Ed è per questa ragione che hai deciso di svignartela» concluse Bree. «Ed è decisamente per questa ragione che me la sto svignando, sì, se è così che la vuoi mettere.» Jackson non sembrava niente affatto turbato dalla particolare perspicacia di Bree. Al contrario, era contento che la sua collaboratrice fosse così sveglia e lo capisse al volo. Finalmente una persona a cui non doveva continuamente spiegare che cosa aveva voluto dire. Non come con... be', sì anche con Jennifer. Non che fosse sciocca, anzi, aveva costruito la sua carriera di modella con molta astuzia, sfruttando le giuste conoscenze, oltre che la bellezza stratosferica. Ma il più delle volte non capiva l'ironia sottile di Jackson. Come se fosse sintonizzata su un altro canale. Mentre Bree invece... Bree era molto spiritosa e arguta. E battagliera. Nonostante fosse una sua dipendente, spesso gli rispondeva per le rime. Aveva coraggio da vendere, quella ragazza. «Del resto, come non assolvermi, vostro onore? Incrociare la mia deliziosa madre due volte in meno di ventiquattro ore è chiedere troppo a qualunque essere umano. Specialmente se oggi porterà con sé il suo ultimo, giovane accompagnatore» aggiunse poi con tono caustico. «Per quanto credo che questo se lo sia scelto maturo, per la sua media: a occhio potrebbe avere almeno un anno più di me.» Bree cercò di controllare l'impulso di sorridere davanti all'espressione di totale disgusto che si era dipinta sulla faccia di Jackson. Ci riuscì solo in parte e lui se ne accorse. 18
«Ti proibisco di ridere. Non è divertente. Mia madre ha passato ogni limite.» Magari sì, pensò Bree tra sé e sé. Però se la spassava e a quanto pare questo era un ottimo ricostituente. Altro che ginseng e guaranà. E sai che ti dico? Che fa proprio bene. Clarissa Beaumont era diventata una vedova molto ricca quando il padre di Jackson era morto di infarto, venti anni prima. E questo le aveva consentito di consolarsi più facilmente, girando il mondo tra un impegno mondano e l'altro, di solito con al fianco un bel giovanotto che aveva più o meno la metà dei suoi anni. Da quando Bree era approdata a Beaumont House, ne aveva visti alternarsi almeno una mezza dozzina. Con grande disappunto di suo figlio. Da che pulpito viene la predica, proprio lui che ne cambia una dopo l'altra... A quante siamo arrivati? Almeno quindici, contando anche miss simpatia Jennifer. E mi sa che dimentico qualcuna. «Pensaci tu, te ne prego. Quando arriva, dille che sono dovuto uscire per un impegno improvviso. Fammi il favore, prendi in consegna il suo pacco e mettilo sotto l'albero con tutti gli altri regali» le disse Jackson tagliando corto. «Tornerò tra un paio d'ore.» «Sai che sei davvero un bel tipo? Ma come...» Bree fu costretta a interrompere la reprimenda perché il cellulare di Jackson, quello che aveva lanciato sulla scrivania, cominciò a squillare e a lampeggiare in contemporanea. «Sarà Roger Tyler» anticipò Jackson, con un sorriso sardonico. «Perciò dovrai rimandare a dopo tutti gli altri complimenti che avevi in serbo per me.» «Sì certo» ribatté Bree agguantando il telefono. Si 19
prese ancora qualche istante prima di rispondere, per l'ultima raccomandazione al volo. «Cerca almeno di non dimenticarti di passare a prendere Danny a scuola alle tre e mezza.» «Sissignora!» Jackson si mise sull'attenti, mimando un saluto militare. «E ti auguro buona fortuna, con mia madre, ne avrai parecchio bisogno» aggiunse con tono sarcastico, scomparendo oltre la porta. Bree sospirò esasperata, prima di decidersi finalmente a premere il tasto verde, con una scusa già pronta per coprire l'ennesima figuraccia di Jackson. Come al solito. Ormai ne aveva memorizzato una buona decina, che usava a rotazione, a seconda delle circostanze. Presto avrebbe avuto bisogno di rinnovare il repertorio. Forse era il caso di fare inserire una voce specifica nel suo stipendio.
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