Hpc3 ossessione color cremisi

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SIMONA LIUBICICH

OSSESSIONE COLOR CREMISI


ISBN 978-88-6905-004-6 Ossessione color cremisi © 2015 Simona Liubicich Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione HM aprile 2015


Ossessione color cremisi


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Londra, dicembre 1888 Al crepuscolo, la città sul Tamigi assumeva un aspetto inquietante. La fuliggine dei camini che si protendevano a pennacchio verso il cielo permeava le strade d'una coltre fosca. La Londra vittoriana, che da pochi decenni aveva assorbito i villaggi di Brompton, Islington e Battersea, era in rapida espansione grazie alla crescente industrializzazione con tutto quello che ne seguiva, come l'inquinamento e i miasmi che si levavano dal grande fiume che l'attraversava. I marciapiedi erano semideserti, le figure dei pochi passanti, immerse nella nebbia, fluttuavano simili a spiriti nell'elegante quartiere di Mayfair. Un cupo silenzio pervadeva ogni cosa, spezzato di tanto in tanto dal transitare di una carrozza che procedeva lungo la strada sobbalzando e sollevando nuvole di polvere. Olivia Lancaster, fremente di preoccupazione per il buio che avanzava, rientrò di soppiatto a Boyle Palace, trafelata dopo la corsa attraverso il parco, il petto ansante e la massa di capelli biondi sciolta sotto il cappuccio del paltò. Non era prudente in quel periodo avventurarsi attraverso le strade di Londra,

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peggio ancora quando la luce lasciava il posto alle ombre della notte. Raggiunse l'ingresso secondario dell'ala sud, quello riservato alla servit첫, riuscendo a non farsi scorgere da alcuno. Boyle Palace, la dimora ove era cresciuta, era un sontuoso edificio barocco con balconate in ferro battuto che si affacciavano sulla strada principale, la facciata ornata da doccioni in pietra appollaiati sui cornicioni, sinistramente sorridenti. L'opulenza trapelava da ogni angolo e chiunque a Londra conosceva la nobile reputazione della famiglia che vi risiedeva. Il cancello ausiliario, affacciato su Hyde Park Corner e coperto da alti sterpeti, era la via di fuga prediletta da Olivia, la quale poteva entrare e uscire nel perfetto anonimato indossando le vesti di una popolana e passando per una comune cittadina. Quella era una parte del parco ove nessuno si recava mai e il muro mostrava la pietra sbrecciata dalla quale fuoriuscivano vecchi mattoni. Whitechapel era il sobborgo dove si recava a cadenza settimanale. Immersa nei torbidi vicoli di una Londra decadente, tra afrori fetidi d'orina, taverne sozze e bordelli, Olivia aiutava i bisognosi, animata da una profonda passione e spirito d'abnegazione. La figlia del Marchese di Boyle era un'erborista ottimamente preparata e con i suoi medicamenti aveva procurato sollievo a donne e bambini che accusavano problemi di salute per lo pi첫 legati agli stenti e alla malnutrizione. Padre Gregory, il cappellano della chiesa di St. Thomas, riceveva regolarmente cospicue donazioni da parte di Olivia. I soldi provenivano dai

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ricavati delle vendite dei suoi prodotti a una delle più rinomate farmacie di Londra: il prelato poteva così provvedere a sfamare e vestire i numerosi piccoli senzatetto che vagavano come cani randagi in tutto il quartiere. Prima di infilarsi nello stretto portone sul retro del palazzo, Olivia alzò lo sguardo al cielo: stava imbrunendo. Un brivido gelido le attraversò la schiena. Non si sentiva alcun rumore. Le ombre proiettate dalla luce dei lampioni erano lunghe e i nembi coprivano quasi del tutto la luna. Anche il quartiere di Mayfair poteva essere pericoloso, nessuna donna si trovava al sicuro in quel periodo. Olivia scacciò i brutti pensieri dalla mente, richiuse la porta di ingresso alle sue spalle e trasse un sospiro di sollievo, cercando di fare meno rumore possibile. Risalì la stretta scala a chiocciola che conduceva al piano nobile e abbassò il cappuccio, facendo scivolare sulle spalle i riccioli ribelli che sfuggivano dallo chignon ormai disfatto. Con un altro sospiro liberatorio, raggiunse la sua stanza, serrò la porta e, dopo essersi liberata del cappotto, s'abbandonò sulla poltroncina allargando le gonne e aprendo il cassetto dello scrittoio con la chiave che portava sempre appesa al collo. Ne estrasse un plico di fogli, pennino e calamaio. Accese la lampada. Doveva terminare la ricerca riguardante le proprietà di regolazione del flusso mestruale indotte dall'artemisia, così avrebbe potuto sperimentare il nuovo preparato che pareva essere un toccasana per le emorragie mensili, oltre che per svariate applicazioni antisettiche e digestive. Intinse il pennino nell'inchiostro e iniziò a scrive-

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re. Nonostante la sua esistenza fosse immersa nel lusso, capitava spesso che lei si sentisse un'estranea all'interno del suo stesso mondo. Chiusa nella propria stanza o seduta in qualche angolo del giardino, tra alberi in fiore e cespugli odorosi, era perennemente pervasa da un senso d'insoddisfazione dal quale la salvava solo lo studio. Olivia Lancaster era una delle poche donne che potevano fregiarsi del titolo di erborista specializzata al St. Bartholomew's Hospital. Nonostante tutto, era solo una donna, ed essere donna a quel tempo era tutt'altro che cosa semplice. Un improvviso e infervorato blaterare proveniente dalla stanza adiacente interruppe la sua concentrazione. Perbacco, pensò seccata, maledicendo le serve e alzando un sopracciglio perentorio in direzione del muro. Ripose il materiale nel cassetto e lo richiuse con un colpo deciso. Avrebbe dovuto rimandare il lavoro, ma avrebbe informato Miss Petty quella sera stessa riguardo il comportamento delle domestiche. Il tono della conversazione era abbastanza elevato tanto da incuriosirla. Così, pur sapendo quanto fosse sconveniente per una lady origliare i pettegolezzi, Olivia si alzò dalla poltroncina e si avvicinò alla parete, poggiando l'orecchio contro il rivestimento in seta. Di una delle due riconobbe immediatamente la voce: Mary Pickless, infida e velenosa come una serpe. L'udì sghignazzare senza riuscire a comprendere appieno l'argomento che pareva la stesse divertendo tanto. «Quella sciocca troverà finalmente pane per i suoi denti. È un giocatore incallito, perde sterline come se

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le sue tasche fossero perennemente forate, oltre ad avere la patta delle brache sempre aperta. Ieri pomeriggio, Lord Boyle ha conferito con lui nello studio privato. Purtroppo, ho potuto ascoltare solo una parte della conversazione. Rothford gli ha garantito una vita di agi per quella stramba, invece so per certo che si tratta di sola apparenza! Gli è rimasto il palazzo di Portman Square e ben poco altro. Se continua così, la gran signora si ritroverà a fare la serva nella sua stessa casa, una volta che ne sarà divenuta la consorte.» Stanno parlando di me, pensò Olivia mentre le gote si arrossavano per lo sdegno, avvertendo una stretta al petto. Strinse con forza la stoffa dell'abito che indossava, sgualcendo la pesante seta. Come osava quella serva giudicarla con tale acredine? Continuò ad ascoltare la conversazione. «A me dispiace» rispose l'altra, più timidamente. «Lady Lancaster è sempre stata buona e gentile. Non merita un uomo del genere al suo fianco: in verità ho difficoltà a comprendere come il marchese possa averla promessa a un individuo di simile reputazione, anche se in fondo non me ne meraviglio, visto come la tratta. Sembra quasi, talvolta, che non la consideri neppure sua figlia. Forse è a causa della somiglianza con la madre e a ciò che è accaduto in questa casa ormai tanti anni or sono.» «Quella donnaccia non è più la marchesa, qui dentro. E poi, non blaterare sciocchezze, Betty: Olivia Lancaster è una nobile e come tutti i Pari del Regno è tracotante, sempre chiusa in quello studio a fare chissà cosa con quelle erbacce puzzolenti. In un'altra

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epoca l'avrebbero messa al rogo per stregoneria, altro che! Merita esattamente ciò che le sta per accadere e, detto tra noi, Rothford la saprà rimettere al suo posto.» «E tu che cosa ne sai, Mary? Nemmeno lo conosci.» Lasciandosi andare a una risata volgare, Mary continuò: «Ne so molto più di quanto tu possa immaginare, Betty. Vedi, me la sono spassata con Sir Elliott e ti garantisco che, oltre ai miseri soldi che ha allungato per i miei favori, non v'è null'altro. Ha un pene molle come un fico e ho impiegato non poca fatica a soddisfarlo ogni volta!». «Oh, Mary Pickless, sei del tutto priva di moralità! Mi vergogno per te.» «Moralità? Questi sono tempi duri, Betty, e qualche sterlina in più in tasca fa comodo. Finché le sue mani elargiranno monete sonanti, continuerò a essere condiscendente verso le sue attenzioni, poi troverò qualcun altro da sfruttare.» Questo è davvero troppo, pensò Olivia, intanto che di gran carriera si avviava alla porta comunicante tra le due stanze, spalancandola con un gesto deciso e facendo sobbalzare le due serve che si voltarono all'unisono in direzione dell'uscio. La schiena dritta e la mano posata sulla maniglia, il mento sollevato e un cipiglio serio, Olivia cercò di mettere in risalto, se mai fosse stato necessario, il suo ruolo di figlia del Marchese di Boyle. Minuta di statura, sapeva però di possedere uno sguardo intenso e determinato, capace di mettere in soggezione chiunque. «Lady Lancaster...» sussurrò Betty, arrossendo per

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la vergogna e abbassando lo sguardo sulle sottane mentre l'altra, al contrario, la guardava con espressione sprezzante. Svergognata, pensò Olivia, prima di parlare. «Sono certa che le chiacchiere siano superflue quando si lavora e Miss Petty sarà interessata a ciò che avrò da riferirle tra poco, Mary. Forse non hai abbastanza da fare qui a palazzo, poiché posso testimoniare che perdi tempo in discorsi sconvenienti. Ne arguisco dunque che il lavoro che stai svolgendo non sia sufficiente. Appena finirai qui con Betty, ti occuperai dei gabinetti. Tutti, compresi quelli della servitù.» «Ma, milady, è ormai buio e...» «Potrai usare la lampada» incalzò Olivia. «Sì, milady» rispose l'altra, avvampando per la collera, ma non osando replicare. Olivia sostò ancora qualche attimo sulla porta, poi si voltò. «Ah, Betty?» «Al vostro servizio, milady.» «Va' a cercare Miss Petty e mandala nel salotto azzurro, immédiatement. Riferiscile che la raggiungerò tra pochi minuti» ordinò, usando la lingua materna come le succedeva spesso quando perdeva le staffe. «Sì, milady, vado subito» rispose la ragazza lasciando lesta la stanza, la testa bassa. Olivia sostò ancora un momento a fissare Mary Pickless con sufficienza, ma lei non osò più alzare lo sguardo. Notò il colorito della donna: terreo, le mani che tremavano intanto che stazzonava la gonna. Molto bene, pensò Olivia rientrando nei suoi appartamenti e richiudendosi la porta alle spalle. Appog-

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giatasi alla massiccia scrivania con entrambe le mani, trasse un lungo respiro e si rimproverò mentalmente, perché non avrebbe dovuto origliare la conversazione. Le sguattere erano abituate a tagliare e cucire pettegolezzi a discapito dei padroni, ma quella donna aveva superato ogni limite. Perbacco, pensò, era riuscita a guastarsi la giornata, ma il compito più gravoso doveva ancor giungere. Parlare prima possibile con suo padre e cercare di distoglierlo dall'intenzione di maritarla con Elliott Rothford. Le sfumature dorate della tappezzeria e i tendaggi avorio riflettevano nella stanza la luce calda che giungeva dalle numerose lampade accese. Natale era ormai alle porte e osservando fuori dalla finestra i vetri appannati dal gelo, Olivia si domandò come mai la neve non avesse ancora fatto la sua comparsa, come ogni anno. Il viale, ombreggiato da siepi di bosso e alti cipressi, si allungava sino al cancello in ferro battuto. Proprio in quell'istante, scorse due gentiluomini sopraggiungere a piedi. Elegantemente abbigliati, chiacchieravano tra loro. Olivia riconobbe immediatamente la chioma bionda di suo fratello Jacob, ambitissimo partito della cerchia nobiliare, ma fu l'altro a catturare la sua piena attenzione, quello dall'aria arrogante, bello oltre ogni immaginazione. Rideva, mettendo in mostra una fila di denti candidi e regolari. I capelli erano lisci, neri come l'inchiostro e ricadevano sulle ampie spalle fasciate da una giacca di ottimo taglio sartoriale che a stento conteneva la sua corporatura. In tenuta da cavallerizzo, quella bellezza virile la lasciava senza fiato. I pantaloni a-

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derivano alle cosce muscolose come una seconda pelle e lo facevano risaltare come una farfalla in un campo inaridito. Olivia arrossì, vergognandosi dei pensieri che la sopraffacevano ogni volta che scorgeva Lord Stafford. Avrebbe desiderato scendere dabbasso per poterlo salutare ma rifuggiva dall'essere presa per una sciocca che languiva ai suoi piedi come ogni dama londinese in età da marito. Tuttavia, la voglia di trovarsi sola con lui era talmente prepotente da farle frullare lo stomaco. Una calda pesantezza s'impossessò del suo ventre, lasciandola sconcertata mentre un umidore improvviso la bagnò in mezzo alle cosce, caldo e fluido, come se... Oh, accidenti, pensò pestando un piede sul pavimento di legno. Ethan era il migliore amico di Jacob. I due erano inseparabili sin dall'infanzia e avevano frequentato la medesima università a Oxford. Olivia l'aveva visto divenire uomo quando lei era ancora solamente una giovane timida e introversa. Ma ora... ora lei aveva ventidue anni, era una donna e suo padre stava per darla in pasto a un essere spregevole. Come avrebbe fatto a fuggire da quella trappola ordita alle sue spalle? Se solo rivolgeva il pensiero a Rothford, il senso di nausea le attanagliava lo stomaco. Grasso, la pelle pallida e coperta da foruncoli pustolosi, aveva l'aspetto di un rospo morto. Gli occhi porcini e il perenne velo di sudore che gli copriva la flaccida cute le davano il voltastomaco ogni qualvolta avesse la disgrazia d'incontrarlo. Dio, se suo padre avesse consentito a quelle nozze, la sua vita sarebbe precipitata all'inferno. L'idea che lui potesse solo toc-

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carla con quelle mani unte, stendersi nel letto e approfittare del suo corpo, la faceva inorridire. No, pensò decisa, non lo sposerò, dovessi esser costretta a scendere a qualsiasi compromesso. Poi, lasciò la stanza per recarsi nel salotto privato.

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