SYLVIA DAY
STREGATA traduzione di Giorgia Lucchi
ISBN 978-88-6905-044-2 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Spellbound HarperCollins Publishers LLC, New York, U.S.A. © 2013 Sylvia Day Traduzione di Giorgia Lucchi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione HM ottobre 2015
Stregata
SOMMARIO Una magia familiare - 9 La vecchia magia nera - 63 La donna della magia nera - 101
Una magia familiare
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Il Cacciatore era finalmente arrivato. Victoria lo osservò con attenzione tramite la telecamera a circuito chiuso che monitorava l'area reception del suo ufficio. Il completo Armani che indossava non dissimulava in alcun modo il predatore al suo interno. Alto e tenebroso, il Cacciatore si muoveva con un'arroganza rilassata che le fece fare le fusa. Non si guardò in giro, concentrato sul momento in cui si sarebbero trovati nella stessa stanza. Soli. Si strofinò le mani mentre un brontolio di gola echeggiò nell'aria. Il Sommo Consiglio era pronto a scontrarsi ancora una volta con lei. Sorrise e arruffò il pelo, com'era proprio della sua razza. Il Cacciatore era potente: lo percepì perfino attraverso le pareti che li separavano. Il fatto che Loro avessero inviato uno stregone come lui sulle sue tracce era una conferma della sua abilità. La cosa non poteva che lusingarla. Dopotutto aveva infranto le leggi di proposito, provocando proprio le forze che le avevano portato via Darius. Ed ecco la punizione entrare nel suo ufficio con lunghe falcate sensuali. La Loro scelta non avrebbe potuto elettrizzarla di più. Lui regalò un sorriso mozzafiato alla segretaria
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prima che gli chiudesse la porta alle spalle, poi concentrò la sua attenzione su Victoria e si tolse gli occhiali da sole. Santo cielo. Lei incrociò le gambe fasciate dalle calze di seta per alleviare lo spasimo improvviso nel punto in cui si congiungevano. Due occhi grigi penetranti la squadrarono da un volto così affascinantemente severo che fu tentata di lasciare la sua poltrona per strusciarsi addosso a lui. La mandibola decisa... le labbra scolpite... Naturalmente non poteva: prima doveva capire se lui avrebbe rivelato chi fosse o se intendesse fingere. Il Sommo Consiglio non aveva ancora stabilito quanto potere le avesse trasmesso Darius. Non sapevano ancora quanto fosse profonda la sua consapevolezza. Il suo sguardo si spostò sulla miniatura nella teca di cristallo sulla scrivania e l'uomo con la fossetta impertinente che le sorrideva amorevole da là. Ritratto in modo mirabile con i colori a olio, luccichii dorati tra i capelli biondi, la vista di Darius risvegliò in lei il consueto dolore della perdita e un tormento che rafforzò la sua determinazione. Quella vita sprecata inutilmente la colmò di un desiderio di vendetta. Alzatasi in piedi, Victoria tese la mano. Il Cacciatore la prese tranquillo, tradito solo dalla forza palpabile nel suo tocco. «Mr. Westin» mormorò lei, soffocando un brivido deliziato. Avrebbe dovuto ringraziare il Consiglio per quel dono, quando avesse finito con lui. Era davvero tenebroso: la pelle, i capelli corvini, l'aura.
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Puro sesso incarnato. Victoria lo annusò nell'aria, lo percepì dalla sua vicinanza. Era chiaro perché fosse un Cacciatore tanto bravo. Lei si sentiva già bagnata e impaziente. Max Westin strinse la sua mano un momento di troppo, lo sguardo incorniciato dalle ciglia folte dichiarò apertamente l'intenzione di averla e domarla. Come a tutte le gattine, anche a Victoria piaceva giocare, pertanto gli sfiorò il palmo con i polpastrelli mentre ritraeva la mano. Gli occhi di lui si allargarono impercettibilmente segno che, se si fosse impegnata davvero, sarebbe riuscita a trovare il suo punto debole. Era proprio ciò che intendeva fare; il Consiglio mandava soltanto i suoi migliori Cacciatori, i più abili, e Victoria sapeva quanto Loro detestassero vedere la propria élite fallire miseramente. Era l'unica cosa che potesse fare per non sentirsi impotente: ricordare Loro quanto Darius fosse stato grande e quanto avessero perduto a causa del suo sacrificio vano. «Ms. St. John.» La voce di Westin fu come una carezza ruvida. Tutto in lui era un po' ruvido, un po' rude. Una creatura primitiva, proprio come lei. Victoria indicò la sedia di fronte alla sua scrivania con il piano di vetro. Sbottonatosi la giacca, Max sprofondò a sedere e i pantaloni blu scuro si tesero sulle cosce possenti e il rigonfiamento notevole nel mezzo. Lei si leccò le labbra. Mmh... Un angolo della bocca di lui si sollevò nel sorriso di chi la sa lunga. Max Westin sapeva bene di essere irresistibile, il che lo rendeva irresistibile per lei.
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La fiducia in se stessi era una qualità che Victoria apprezzava moltissimo. Insieme con un tocco di malvagità che a Westin non mancava di certo. La sua aura tenebrosa tradiva la magia oscura a cui si spingeva. Dubitò che il Consiglio fosse in grado di controllarlo più di quanto fosse in grado di controllare lei. Avendo già deciso che le piaceva moltissimo, si sedette, sistemando le gambe in modo che risaltassero al meglio sotto la gonna aderente nera che le arrivava appena sopra il ginocchio. «Il museo le offre le sue scuse più sentite per la perdita della sua collana» esordì lui. Il sorriso si allargò, non intendeva dirle chi fosse. Delizioso. «Lei non mi sembra il sovrintendente di un museo, Mr. Westin.» «Sono qui da parte della compagnia assicurativa del museo. È chiaro che una perdita di questa entità richiede un'indagine.» «Molto rassicurante.» Osservandolo da dietro il velo delle ciglia, Victoria notò l'energia che rivelava la sua natura inquieta. Le labbra piene alludevano a delizie peccaminose. E a lei piacevano gli uomini peccaminosi e pieni di energia. Lui sembrava un po' troppo rigido per i suoi gusti, ma avrebbe potuto cambiare con la giusta pressione. Alla fine cedevano tutti. Era l'unica parte del gioco che la deludeva. La resa. «Mi sembra molto tranquilla» mormorò Westin, «per una donna che ha appena perso un gioiello dal valore inestimabile.» Victoria sentì arricciarsi le dita dei piedi; la sua voce era profonda e leggermente rauca, come se si
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fosse appena alzato dal letto. Era deliziosa, come il resto di lui. Aveva le spalle ampie ma era snello, ogni movimento un guizzare aggraziato di muscoli scolpiti. «Agitarsi non servirebbe a niente» ribatté stringendosi nelle spalle. «Inoltre, lei è qui per trovare la collana e mi sembra perfettamente... capace. Di cosa dovrei preoccuparmi?» «Che io non riesca a ritrovarla. La sua fiducia nelle mie capacità mi lusinga, Ms. St. John, e in effetti non è mal riposta. Sono molto bravo in ciò che faccio. Tuttavia, a volte, le cose non sono come sembrano.» Un avvertimento puro e semplice. Meditabonda, si alzò e si diresse verso la vetrata dietro la scrivania. Gli diede le spalle, e percepì il calore del suo sguardo accarezzarla dalla testa ai piedi. Sfiorò con i polpastrelli le perle che le adornavano il collo e guardò fuori verso il profilo della città. «Se dovesse essere necessario, ne acquisterò un'altra. Tutto è in vendita, per la cifra giusta, Mr. Westin.» «Non tutto.» Incuriosita, Victoria si voltò; rimase sorpresa quando lo vide avvicinarsi. Le si fermò accanto, lo sguardo sul panorama esterno, l'attenzione concentrata su di lei. Si sentì pervadere dall'intensità del suo potere, intento a individuare le sue debolezze. Incapace di resistere alla tentazione del pericolo, strofinò la spalla contro di lui e inspirò la fragranza ricca e virile della sua pelle, un misto tra un'acqua di colonia da mille dollari al flacone e Max Westin. Il respiro diventò affannato, le pulsazioni accelera-
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rono. Temendo di perdere la giusta distanza, Victoria si allontanò. Era passato molto tempo dall'ultima volta che si era concessa un uomo così potente. Troppo. Gli altri Cacciatori erano stati astuti e seducenti, Westin aveva quelle caratteristiche, accompagnate da muscoli magici. «Max» disse sottovoce, aumentando la familiarità con l'utilizzo del suo nome. «Mmh?» Si guardò dietro le spalle, la stava seguendo. Pedinando. Ricordandole che era lui il predatore. Oh, avrebbe potuto essere così divertente. Se fosse stato al gioco. «Cena con me.» «A casa mia» concordò lui. Victoria si avvicinò all'angolo bar e prese due bottiglie di vetro colme di latte, una scelta deliberata che palesò la sua consapevolezza. Sicuramente lui sapeva come lavorasse. Ma sapeva anche perché? Westin sapeva che, con il suo ultimo respiro, Darius aveva trasferito in lei tutta la sua magia, rendendola assai più potente di un comune Famiglio? Sapeva che il suo stregone l'aveva amata e che era proprio quell'amore a darle la capacità di prendere liberamente le proprie decisioni? Prima del dono di Darius, Victoria era stata come tutti gli altri Famigli. Il Sommo Consiglio stabiliva gli abbinamenti tra quelli della sua razza e le controparti magiche, indipendentemente dai loro desideri. Alcuni Famigli erano infelici con i loro compagni. Lei era stata fortunata la prima volta, aveva provato per Darius un amore che trascendeva il tempo. Ormai, in virtù di quell'amore, era troppo
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potente per essere presa contro la sua volontà. Nei due secoli dalla perdita dell'amato, nessun altro stregone era riuscito a metterle il collare. Westin non avrebbe avuto più fortuna. Victoria aveva amato una volta, con tutta se stessa. E non ci sarebbe mai stato un altro stregone per lei. Ancheggiando mentre sfoderava un sorriso seducente, propose: «E se facessimo da me?». «No.» Lui prese la bottiglia dalla sua mano tesa, le dita si chiusero deliberatamente sulle sue e rimasero dov'erano. «Victoria.» Il suo nome: una singola parola ma pronunciata con una tale possessività che lei avvertì quasi il collare intorno al collo. I Cacciatori non tenevano Famigli, li catturavano e li passavano a stregoni inferiori. Lei, però, non intendeva più essere trattata in quel modo. Rimasero immobili, le mani unite, intenti a valutarsi. Lei inclinò il capo di lato e palesò il suo interesse, non che potesse fare molto per nasconderlo, visti i capezzoli turgidi che premevano contro la camicetta di seta verde. Il petto si alzò e si abbassò come in preda all'affanno mentre il sangue si riscaldava sia per la vicinanza di lui sia per il suo profumo seducente. Era così alto, così forte, così intenso. Soltanto il ricciolo serico di capelli scuri che gli ricadeva sulla fronte ammorbidiva i tratti mascolini. Se non fosse stato un Cacciatore, si sarebbe gettata tra le sue braccia, tanto lo desiderava. Lo sguardo di lui si posò sulla curva dei seni e la bocca si increspò in un sorriso sensuale. «Scommetto che cucino meglio io» disse con voce roca, accarezzandole le dita.
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Victoria corrugò le labbra. «Non potrai scoprirlo, se non vieni tu da me.» Lui arretrò, tutto il suo fascino svanito di colpo. «Da me, o sarò costretto a declinare.» Se in quel momento Victoria fosse stata nella sua forma felina, avrebbe agitato la coda, innervosita. Max Westin era senza dubbio abituato a ottenere ciò che voleva. Era dominante, come tutti i Cacciatori; peccato che lo fosse anche lei. «Un vero peccato.» Era sincera, la sua delusione reale. Non poteva recarsi da lui, chissà quali incantesimi aveva lanciato sulla sua abitazione? E che giocattoli aveva? Sarebbe stato come entrare in una gabbia. Ignorò il brivido di piacere che il pensiero le trasmise. «Hai cambiato idea?» La sorpresa di lui fu quasi tangibile. Era evidente che non si sentiva dire spesso no. «L'ho invitata a cena, Mr. Westin. E lei ha posto delle restrizioni al mio invito.» Indicò la porta con un gesto di congedo, inteso a irritarlo. «Non tollero le restrizioni.» Era il suo turno di mandargli un avvertimento. Quando lui non accennò a muoversi, ronfò in modo sonoro, un brontolio sommesso che gli fece guizzare un muscolo nella mandibola. Dunque l'attrazione potente era reciproca. Victoria si sentì più tranquilla all'idea di dover aspettare per averlo. Con movimenti calmi e lenti Westin si portò la bottiglia alle labbra e bevve. Notando il movimento dei muscoli sotto la pelle del collo, lei si sentì la
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bocca secca. Non le sfuggì la minaccia sottesa al suo comportamento. Poi lui posò il contenitore vuoto sul bordo della scrivania e le si avvicinò, abbottonandosi la giacca prima di afferrarle la mano. Il suo tocco bruciava, benché la pelle fosse fredda e umida per la condensa. Lo sguardo era gelido come la presa. Westin si sarebbe ripreso da quel primo scontro e sarebbe tornato alla carica, ne era certa. Sarebbe stata ad aspettarlo. Gli sfiorò il palmo con le dita, prima di lasciarlo andare. «A presto, Max.» Max uscì dal St. John Hotel e imprecò con veemenza. Digrignando i denti, cercò di placare l'erezione che minacciava di metterlo in imbarazzo sul marciapiede affollato. Victoria St. John significava guai. Lo sapeva fin dal momento in cui il Consiglio lo aveva convocato. Domare gli inselvatichiti era un compito per gli stregoni inferiori, più recenti. Dapprima la richiesta lo aveva sorpreso, poi intrigato. A ogni modo, quando aveva incontrato la sua preda, aveva capito. Astuta e giocosa, Victoria si muoveva con la grazia naturale di un gatto. I capelli neri corti e gli occhi verdi con l'estremità leggermente inclinata in su la rendevano una tentazione irresistibile. Aveva visto la sua fotografia un centinaio di volte e non aveva mai provato nulla, se non il semplice apprezzamento per un viso molto bello. Di persona, tuttavia, Victoria lasciava senza fiato, tutta sensualità e calore. Era un po' magra per i suoi gusti,
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più longilinea che formosa, ma quelle gambe... Gambe incredibilmente lunghe... Presto gli avrebbero cinto i fianchi mentre il suo pene affondava dentro di lei. Tuttavia non sarebbe stato facile. Il sorriso che gli aveva rivolto era stato chiaro. Sapeva chi e cosa fosse, dunque le voci sui suoi poteri erano vere. Non era un Famiglio comune. Scosse il capo; Darius era stato uno sciocco. I Famigli avevano bisogno della mano ferma di uno stregone, altrimenti si inselvatichivano. Victoria ne era l'esempio perfetto, era già fin troppo selvatica, pronta a sfidare il Sommo Consiglio in ogni occasione. Aveva sfidato anche lui. Affascinato, Max ripassò mentalmente le informazioni raccolte su di lei prima di avvicinarla. Victoria era una delle figure più in vista della loro razza, le sue abili transazioni commerciali le avevano consentito di passare dalla direzione di un motel in franchising all'essere proprietaria di una delle catene alberghiere più eleganti del Paese. Fino alla morte del suo stregone era stata un membro stimato della comunità della magia. La sua sregolatezza dalla morte di Darius aveva consolidato l'opinione del Consiglio che gli abbinamenti fossero regolati in base a calcoli mentali, invece che da questioni di cuore. Di quando in quando l'amore si sviluppava comunque, com'era capitato a Victoria, ma era assai più raro con l'intervento del Consiglio. Max svoltò l'angolo e imboccò un vicolo secondario. Usando i suoi poteri attraversò la città, trasferendosi in un baleno nel suo loft. Là camminò inquieto avanti e indietro sul pavimento di cemento
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lucidato, i nervi scossi. Non aveva dubbi che fosse stata Victoria St. John a rubare la sua collana. Per un umano sarebbe stato impossibile compiere quel furto. Il sistema di sicurezza del museo era troppo avanzato. Victoria l'aveva fatto, consapevole che l'audacia di quel gesto avrebbe messo un altro Cacciatore sulle sue tracce. Il Consiglio operava instancabile per celare agli umani l'esistenza della loro razza. Il suo disprezzo sconsiderato per le loro leggi doveva essere fermato, prima che li portasse alla rovina. Ma perché si comportava in quel modo? Era quello che non riusciva a capire. Doveva esserci una ragione al di là della mancanza di uno stregone. Lei era troppo padrona di sé, troppo controllata. Sì, aveva bisogno di essere tenuta a freno, ma non era fuori controllo. Prima di liberarla, voleva scoprire quali fossero le sue motivazioni. Espirando in modo sonoro, si guardò intorno nel suo appartamento, un vasto loft avvolto dal silenzio e da incantesimi di protezione. Le pareti grigio chiaro e i divani scuri senza braccioli erano stati definiti freddi da alcune delle sue succubi, ma per lui quegli arredi erano rilassanti e assorbì l'energia del luogo con la facilità con cui respirava. Sarebbe stato più semplice addomesticarla là, dove tutti gli attrezzi del mestiere erano a sua disposizione. Mentre ci pensava, tuttavia, si rese conto che su di lei sarebbe stato necessario qualcosa di diverso per riuscire dove altri avevano fallito. Rimettere il collare a Victoria avrebbe richiesto un approccio unico. Il suo potere era senz'altro cre-
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sciuto, ne aveva percepito il livello con una certa sorpresa. Ciò spiegava come fosse riuscita a sfuggire alla cattura per tutti quegli anni. In ogni caso, l'avrebbe presa, non solo dal punto di vista sessuale, in tutti i modi. Victoria doveva essere dominata, come tutti i Famigli, ma era necessario che Max la inducesse a desiderarlo. Si sarebbe dovuta sottomettere volontariamente, anima e corpo, affinché il collare apparisse, dal momento che i suoi poteri impedivano che le fosse imposto senza il suo consenso. Mentre Max immaginava tutte le cose che le avrebbe fatto, la magia scorreva nel suo sangue come un'ondata rovente. Inutile negare che il pensiero di addomesticarla lo colmava di impazienza. Non tanto per il compito, cui era abituato, quanto per la donna sulla quale lo avrebbe esercitato. Il pensiero della sottomissione totale di Victoria bastò perché ogni muscolo del suo corpo si contraesse... Il fuoco che aveva scorto nei suoi occhi e il disinteresse nei confronti della sua potenza, non perché ignorasse chi era bensì per il brivido del gioco... Per la prima volta contemplò la remota possibilità di fallire e ciò stuzzicò il suo appetito come nient'altro mai. Si domandò a chi sarebbe stata assegnata quando avesse finito con lei. Sarebbe sempre stata più forte degli altri Famigli e lui si rifiutava di distruggerla. Un Famiglio completamente domato mancava della vitalità necessaria per essere davvero utile. I capelli sulla nuca si rizzarono, avvertendolo della convocazione prima che Loro parlassero. Hai incontrato l'inselvatichita?, chiese il Consiglio. «Non è inselvatichita» puntualizzò. «Non ancora.»
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Non può essere addomesticata. Molti hanno tentato. Molti hanno fallito. Si fermò, cauto. «Mi avete chiesto di catturarla. È ciò che ho accettato di fare. Non la ucciderò senza prima averci provato. Se volete un assassino, dovrete trovarvi qualcun altro.» Nessun altro Cacciatore ha il tuo potere, si lamentarono Loro. Lo sai bene. «Allora consentitemi di tentare di salvarla. È unica. Sarebbe uno spreco perderla.» Passandosi una mano tra i capelli, sospirò. «Se dovessi fallire, farò quanto necessario.» Accettiamo il tuo suggerimento. Si sarebbe dovuto sentire rassicurato, eppure non fu così. «Avete deciso dove dovrò portarla una volta che sarà stata addomesticata?» Certo. La sua mandibola si contrasse all'udire la risposta stringata, il moto di possessività tanto indesiderato quanto innegabile. La relazione dominatore/succube era unica per ogni coppia e richiedeva una fiducia profonda che non era facile trasmettere a un altro individuo. Sarebbe stata la prima volta che Max avrebbe tentato di farlo e non era certo di essere a suo agio con l'idea. «Allora andate. Lasciatemi al mio piano.» Appena la presenza evanescente del Consiglio svanì, la tentazione di convocare Victoria con il suo potere e cominciare subito ad addomesticarla fu forte. Ma la tenne a freno. La sua impazienza era inopportuna e fuori luogo. Amava cacciare, si gustava il processo dell'addomesticamento, ma affrettare le cose non era da lui. Ci voleva tempo per acquisi-
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re una dominio completo, cosa che le visite del Consiglio lo inducevano a sospettare di non avere. Aveva al massimo qualche settimana. Max emise un brontolio cupo mentre il suo pene si induriva per l'impazienza. Settimane in compagnia di Victoria. Era pronto a cominciare.
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