Susan Mallery
A piedi nudi nell'erba
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Barefoot Season Mira Books © 2012 Susan Macias Redmond Traduzione di Elisabetta Lavarello Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione HM ottobre 2012 Questa edizione Harmony Romance febbraio 2014 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2014 Da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 129 del 14/02/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
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«Vado in guerra, domani. Potrei non tornare.» Michelle Sanderson staccò lentamente gli occhi dal pickup usato che voleva comprare e fissò il ragazzo. Diciotto o diciannove anni, capelli rossi, lentiggini. Carino, ma troppo giovane per fare il soldato. Tutto braccia e gambe, e con un torace che ancora doveva riempirsi. Più uomo che ragazzino, certo, ma non aveva ancora completato la crescita. «Scusa.» Era certa di aver capito male. «Cos'hai detto?» Lui sorrise. «Potrei avere vita breve. Dopo che avrai comprato il mio pickup, perché non ci beviamo qualcosa insieme? Per festeggiare la mia partenza.» «Sono le due del pomeriggio.» «Allora, andiamo direttamente a casa mia.» Michelle non sapeva se ridere o insultarlo. Aveva prestato servizio nell'esercito per dieci anni, lei, metà dei quali in Iraq e Afghanistan. Aveva avuto a che fare con squadre di ragazzi arrapati che si ritenevano irresistibili. Sapeva tenerli a bada. Ridere lo escluse, perché aveva dolori in tutto il corpo. Non solo all'anca, che era reduce da un recente incontro ravvicinato con un paio di pallottole. Era stata in ospedale per settimane e aveva subito un intervento di protesi parziale. La guarigione aveva bisogno dei suoi tempi, le aveva detto il fisioterapista. Lei aveva cercato di bruciare le tappe, con l'unico risultato di doversi fare altre tre notti di ricovero prima di essere dimessa definitivamente. 5
«Non sono un po' vecchia per te?» gli chiese. Il ragazzo le strizzò un occhio. «Esperta.» A dispetto del dolore, Michelle riuscì a ridacchiare. «Giusto. E pensi che potrei soddisfare le tue fantasie?» «Non sarebbe male.» Era proprio assatanato, pensò lei, sentendosi ancora più stanca. E, ovviamente, non doveva ancora aver passato la visita oculistica militare. Michelle sapeva perfettamente di non essere nelle condizioni migliori, in quel momento. Il lungo periodo trascorso in un letto d'ospedale le aveva lasciato una magrezza eccessiva. I suoi occhi erano incavati, il colorito grigiastro. Camminava aiutandosi col bastone. Il che dimostrava quanto potessero essere potenti gli ormoni di un adolescente. Stava cercando un modo cortese per declinare l'invito, quando un Labrador miele uscì saltellando dalla casa. Le corse incontro e cercò di saltarle addosso. Michelle fece un rapido passo indietro per non farsi buttare a terra. Il movimento le provocò una fitta atroce. Per un attimo il mondo si mise a girare. Si sentì svenire. Le venne un conato di nausea. Una cosa o l'altra, pregò, lottando per mantenere la lucidità. Non tutte e due. Un braccio sorprendentemente forte la cinse per la vita, sorreggendola bene. «Buster, giù.» Michelle batté gli occhi e il pomeriggio umido e fresco tornò a fuoco. La fitta al fianco si attenuò, permettendole di respirare. Il ragazzo le stava così vicino che lei riusciva a vedere le lentiggini sul suo naso e una piccola cicatrice sullo zigomo destro. «Tutto okay?» Michelle annuì. Lui fece un passo indietro e la fissò. Il cane si tenne indietro, gli occhi scuri attenti, un lieve uggiolio a dimostrare la sua preoccupazione. Lei tese una mano. «È tutto a posto, Buster. Sto bene.» 6
Il Labrador si fece avanti e le annusò le dita prima di darle una rapida leccata alla mano. «Ehi, volevo farlo io!» protestò il ragazzo. Ridacchiò. Michelle sorrise. «Spiacente. Lui è più il mio tipo.» «Sei ferita.» Michelle sollevò un po' il bastone. «Credevi che fosse un accessorio di moda?» «Non l'avevo notato. Sul serio.» E questo avvalorava la teoria della vista scarsa. «È solo una ferita muscolare.» Muscoli, ossa e tendini, per la verità, ma a che scopo entrare nei dettagli? Lui passò lo sguardo dal bastone alle sacche militari appoggiate sul marciapiede. «Sei stata là?» Là poteva indicare centinaia di posti, ma Michelle capì subito cosa intendesse. Annuì. «Oh, cacchio. E com'è andata? Hai avuto paura? Credi...?» Deglutì, poi arrossì. «Che dici, ce la farò?» Michelle avrebbe voluto dirgli di no. Che restare a casa, con i suoi amici, andare all'università, sarebbe stato molto più facile. Più sicuro. Ma la soluzione facile spesso non era la migliore e, per alcuni, dare il proprio apporto a una missione così importante valeva qualunque prezzo. Lei aveva avuto motivi molto meno altruistici per arruolarsi, ma col tempo era diventata un buon soldato. Il problema adesso era che doveva tornare alla vita civile. «Andrà tutto bene» gli assicurò, sperando che fosse vero. «Diventerò un eroe?» Lui sogghignò, poi batté la mano sul pickup. «Okay, il fatto che tu sia allo stesso tempo una femmina sexy e un veterano mi ha confuso per un attimo. Ma non mi lascerò distrarre dalla trattativa. Ne voglio diecimila. Non un centesimo di meno.» Una femmina sexy? Questo sì che la fece ridere. In quella fase della sua vita, Michelle non si sentiva appetibile neanche per un ottuagenario. Ma, accidenti, un complimento faceva sempre piacere. 7
Si concentrò sul pickup. Era in condizioni decenti, con gomme seminuove e solo qualche graffio. Il chilometraggio era abbastanza basso da assicurarle qualche anno di utilizzo prima di dover cominciare a sostituire dei pezzi. «Dieci sono troppi» ribatté. «Pago in contanti. Io pensavo intorno agli otto.» «Otto?» Il ragazzo si portò le mani al petto. «Tu mi uccidi. Vuoi fare questo a un futuro eroe?» Michelle ridacchiò. «Su, amico. Facciamoci un giro e passiamo da un meccanico di mia fiducia. Se lui mi dice che il pickup è a posto, te ne darò novemilacinquecento e potrai ritenerti fortunato.» «Affare fatto.» Due ore dopo, Michelle lasciò il ragazzo, Brandon, davanti a casa. Un meccanico della base aveva dato la sua approvazione e lei aveva consegnato un'ordinata pila di banconote nuove di zecca. In cambio, aveva avuto i documenti del veicolo e le chiavi. Ora, mentre ripartiva dalla casa di Brandon, lanciò un'occhiata al cielo grigio. Era tornata nella parte occidentale dello stato di Washington, dove pioveva tanto spesso che una giornata di sole faceva notizia al telegiornale. Lasciare i bagagli nel cassone era un rischio, così aveva impilato le due sacche sul sedile del passeggero per il viaggio verso casa. Casa... Erano dieci anni che non ci metteva piede. Blackberry Island, l'isola delle more, era collegata alla terraferma da un lungo ponte che attraversava quel braccio del Pacifico chiamato Puget Sound. Teoricamente l'isola era a breve distanza da Seattle, una distanza che consentiva il pendolarismo, ma era un mondo a parte. L'unica cittadina dell'isola era descritta sui dépliant come il New England della costa occidentale. Una definizione che Michelle non aveva mai capito. Quieta, turistica, con caratteristici negozietti e un ritmo di 8
vita rilassato, l'isola celebrava le more in tutte le loro varianti. Da ragazza le era parsa un po' noiosa, fuori dal tempo. Ora la lontananza gliel'aveva resa più cara. Cambiò posizione sul sedile. Il dolore al fianco era costante. I fisioterapisti assicuravano che sarebbe migliorato, che lei si stava riprendendo prima del previsto. Michelle era già stanca della convalescenza. Vide le indicazioni per l'autostrada. La imboccò verso nord, immettendosi nel traffico. Il numero di automobili la sorprese, e così il loro avanzare ordinato. Era abituata a Hummer e veicoli da assalto, non a SUV e auto sportive. Anche l'aria umida e fresca era una cosa che aveva dimenticato. Accese il riscaldamento e rimpianse di non aver tenuto fuori una giacca. Era maggio, ma l'estate giungeva tardi in quella parte del paese. Per fortuna, i turisti arrivavano prima. Michelle sapeva cosa doveva aspettarsi per i prossimi quattro mesi. Da fine maggio a settembre, l'isola brulicava di turisti. Venivano per fare giri in barca, per vedere le famose gru del Puget Sound e, ovviamente, per le more. Blackberry Island era la capitale delle more di tutto... be', della costa occidentale. I villeggianti avrebbero mangiato more fresche con le loro crespelle, nelle insalate, in qualunque tipo di piatto noto all'uomo. Avrebbero comprato gelato di more e biscotti alle more nei chioschi. Avrebbero acquistato strofinacci e tazze con disegni di more e assaggiato gli improbabili piatti dell'annuale sagra more e chili. Meglio, avrebbero occupato ogni stanza nel raggio di cinquanta miglia. Incluse quelle del Blackberry Island Inn. A Michelle sembrava quasi di sentire l'allegro tintinnio del registratore di cassa della sua locanda. Come la maggior parte delle attività commerciali dell'isola, la locanda ricavava buona parte dei profitti annuali in quei preziosi quattro mesi. Le giornate di lavoro sarebbero state lunghe, l'impegno estenuante, ma dopo essere rimasta lontana per tanto tempo, lei 9
non vedeva l'ora di tuffarsi nella convulsa estate dell'isola. Di tornare nell'unico luogo che, poteva contarci, non sarebbe mai cambiato. «È arrivata?» Damaris fece la domanda dalla porta dell'ufficio di Carly Williams. Carly alzò gli occhi dal bigliettino di benvenuto che stava realizzando. Il Blackberry Island Inn offriva un servizio personalizzato ai suoi ospiti. Carly si informava sui gusti dei clienti prima del loro arrivo, poi metteva un biglietto di benvenuto scritto a mano nelle loro stanze. I Banner, due anziani coniugi che erano già stati sull'isola per birdwatching e degustazioni di vino, le avevano detto quanto amassero il mare. Carly aveva fatto in modo di assegnare loro una stanza rivolta a ovest e stava creando un cartoncino con una foto della baia al tramonto. Nastri e pezzetti di pizzo erano allargati sulla scrivania. Un vasetto di colla stava accanto alle vecchie forbici. Con aria assente, Carly accarezzò un quadrato di lustrini. «Non ancora» disse a Damaris, poi le sorrise. «Ti chiamerò non appena sarà qui. Promesso.» Damaris sospirò. Gli occhiali che le scivolavano costantemente sulla punta del naso le davano un'aria assente. Più di una cameriera neoassunta aveva dedotto che quell'atteggiamento svagato significasse che la cuoca non avrebbe notato se una collaboratrice era in ritardo o non offriva altro caffè appena la tazza di un cliente cominciava a svuotarsi. E non aveva tardato a ricredersi. «Pensavo che sarebbe già stata qui, a quest'ora.» Damaris sospirò. «Mi è mancata. È passato troppo tempo.» «È vero» mormorò Carly, ma non voleva pensare a come sarebbe cambiata la sua vita col ritorno di Michelle. Rammentarsi che era lei la parte offesa non le impediva di avere un nodo allo stomaco. 10
Era tutto diverso adesso, si disse. In quegli ultimi mesi era stata lei a gestire la locanda. Era brava, competente. Se solo Michelle se ne fosse resa conto. Damaris entrò nell'ufficio e si sedette al lato opposto della scrivania. «Ricordo ancora quando mi assunse.» La cuoca ultracinquantenne sorrise. «Quanti anni aveva? Sedici? Io avevo dei figli più grandi di lei. Era seduta lì, proprio dove ora stai tu. Spaventata. Mi accorsi che stava tremando.» Scosse la testa. «Aveva preso in biblioteca un manuale sui colloqui di lavoro. Aveva cercato di nasconderlo sotto alcune carte, ma io lo vidi.» Il sorriso svanì, gli occhi scuri si strinsero. «Avrebbe dovuto essere sua madre a occuparsi del personale, ma sai com'era fatta Brenda. Per Michelle, invece, questa locanda era tutto.» Carly tirò un sospiro. Lei e Damaris avevano parlato tante volte di quel difficile rapporto tra madre e figlia. Carly era disposta ad ammettere che Brenda aveva i suoi difetti, ma era stata lei ad aiutarla nel momento del bisogno. A darle un lavoro e uno scopo nella vita. Carly era in debito con lei. Con Michelle, invece... Cercò di cambiare discorso. «Spero che Michelle approvi la ristrutturazione.» La fascia di tensione che le cingeva il petto era così stretta che doveva rilassarla consapevolmente per respirare. «L'hai informata di quello che abbiamo fatto, vero?» «Le ho scritto almeno una volta al mese, in questi dieci anni.» Damaris tirò su col naso. «Cosa che sua madre non ha mai fatto.» Meno male che voleva cambiare discorso, pensò Carly. Ci riprovò. «Le tue focaccine alle more hanno un grande successo. Stavo pensando di farne dei sacchetti da vendere ai clienti, la domenica mattina. Così potrebbero portarsele a casa. Che ne dici? Sarebbe un lavoro eccessivo?» 11
Damaris si rilassò sulla sedia. «Posso sfornarne di più. Nessun problema.» «Potremmo venderle in confezioni da quattro e da otto. Utilizzare quei sacchetti di plastica decorativi che abbiamo comprato.» Damaris conosceva già il costo di ogni focaccina, perciò calcolare il prezzo fu abbastanza facile. A Carly sarebbe piaciuto inserire nella confezione un cartoncino con la ricetta, ma non osò neanche chiederlo. Damaris proteggeva le proprie ricette come le femmine di tigre difendono i loro cuccioli: con le unghie, con i denti e l'intimidazione. «Vado a vedere se è arrivata.» La cuoca si alzò. Carly annuì, poi con riluttanza la seguì fuori dall'ufficio. Tutto, alla locanda, sarebbe cambiato adesso. Era inutile negarlo. Brenda era morta e Michelle, dopo dieci anni di assenza, stava tornando. Sarebbe bastato questo ad alterare le dinamiche, ma c'erano altre complicazioni. Seguì il corridoio fino all'atrio e si avvicinò alla scrivania antica che serviva da reception. Accarezzare quella familiare superficie consunta dal tempo la rilassava. Ne conosceva ogni graffio, ogni minuscola macchia. Sapeva che il cassetto in basso a sinistra si inceppava quando pioveva e che il pomello dello stipo sulla destra era allentato. La locanda non aveva segreti per lei. Era al corrente di dove le donne delle pulizie tenessero gli asciugamani di riserva, e di quali bagni fossero più soggetti a problemi idraulici. Sarebbe stata in grado di riconoscere le varie stanze con gli occhi bendati. Ferma sulla porta, al buio totale, avrebbe capito dove si trovava dal profumo, dall'altezza dell'interruttore della luce, dal modo in cui scricchiolava il pavimento. Per dieci anni, la locanda era stata la sua casa e il suo rifugio. Il fatto che Michelle potesse portargliela via con uno schiocco delle dita la terrorizzava. «Eccola!» urlò Damaris. Carly lanciò un'occhiata verso la finestra, e guardò il vetro 12
scintillante e la cornicetta bianca piuttosto che il pickup che era apparso nel piazzale. Mentre seguiva la cuoca all'esterno, si concentrò sull'erba verde e sull'esplosione di margherite. Quei fiori erano il suo hobby, la sua passione. Dove altri notavano solo una profusione di colori, lei vedeva margherite Shasta e gerbere, varietà a fiore semplice e a fiore doppio e, ovviamente, le singolari margherite color mora. Le margherite erano un tema ricorrente alla locanda. Erano disegnate sui vasetti che decoravano i tavoli del ristorante, danzavano sulla tappezzeria, ispiravano murales ed erano stampate in rilievo sulla carta da lettere. Carly aveva pensato ai colori vivaci del giardino quando aveva aiutato Brenda a scegliere il nuovo tetto. Ora le tegole canadesi verde scuro erano uno sfondo perfetto per i fiori, e il loro colore richiamava quello delle imposte e del portoncino d'ingresso. Damaris attraversò il prato di corsa, col grembiule bianco che sbatteva come l'ala di una farfalla. La cuoca spalancò le braccia e abbracciò una donna molto più alta e più sottile di quanto Carly ricordasse. Guardò anche se non voleva vedere, ascoltò pur non potendo sentire. Michelle si staccò, sorrise, poi abbracciò di nuovo la cuoca. Aveva i capelli più lunghi, ora. Una massa di ricci scuri. Era pallidissima e sembrava fragile, ma Carly sapeva che non bisogna fidarsi delle apparenze. Michelle non era debole. Assomigliava a uno di quegli alieni inquietanti dei film, quelli che non rinunciano mai. Lei e Michelle avevano praticamente la stessa età. Erano nate a un paio di mesi di distanza l'una dall'altra. Un tempo, prima che tutto cambiasse, Carly aveva conosciuto il viso di Michelle meglio del proprio. Erano stati tre i momenti salienti della vita di Carly: il giorno in cui sua madre se n'era andata di casa, la sera in cui aveva scoperto che la sua migliore amica era andata a letto col suo fidanzato e il mattino in cui Brenda l'aveva trovata che piangeva al supermercato, perché non poteva permettersi 13
il litro di latte che l'ostetrica le aveva raccomandato di bere ogni giorno. Insieme, quei tre momenti ammontavano a meno di un quarto d'ora. Eppure ognuno di essi aveva stravolto la sua vita, cambiandola per sempre. Un tempo Michelle aveva fatto parte del tessuto del suo mondo... e lo aveva lacerato finché non erano rimasti che brandelli. Carly respirò profondamente e guardò la donna che si incamminava verso la locanda. Si trovava di nuovo appesa a un filo. Di nuovo, Michelle avrebbe determinato il suo futuro. L'ingiustizia di quella situazione le diede una costrizione al petto, ma rilassò la stretta, dicendosi che era sopravvissuta a cose peggiori. Ce l'avrebbe fatta anche questa volta. Squillò il telefono. Carly tornò alla scrivania per rispondere. «Blackberry Island Inn» disse con voce chiara, sicura. «Mi lasci controllare le date» riprese, digitando alla tastiera. «Sì, abbiamo delle stanze disponibili.» Mentre prendeva i dati e chiedeva l'orario di arrivo e il numero di carta di credito, sentiva Michelle avvicinarsi. La cacciatrice era tornata. E Carly non poteva che chiedersi se avrebbe fatto parte dei festeggiamenti o se sarebbe stata la prossima preda.
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A piedi nudi nell'erba di Susan Mallery Una donna all'apparenza forte nasconde spesso insicurezze e ferite. E non sempre tornare a casa significa conquistare la pace, soprattutto se lo scenario che si trova è il più lontano possibile da quello che ci eravamo immaginati. Quando Michelle Sanderson arriva al Blackberry Island Inn per proseguire l'attività di Bed and Breakfast di sua madre, scopre che la casa è sotto ipoteca e ci vive anche la sua ex migliore amica, Carly Williams. Il suo primo istinto è cacciarla, ma le circostanze costringono le due donne a collaborare. Tra scontri, incontri e ammissioni di colpa, Michelle farà i conti con se stessa, imparando a sentirsi di nuovo a casa, liberandosi dai fantasmi del passato per camminare di nuovo a piedi nudi nell'erba.
Sotto il cielo di Virgin River di Robyn Carr Per Conner Danson Virgin River rappresenta un rifugio più che per chiunque altro. È stato infatti testimone di un omicidio a Sacramento, e ora il Procuratore Distrettuale gli ha trovato una località tranquilla dove stare, in attesa che il processo finisca. Leslie Petruso, invece, sta scappando dal quadretto di felicità che il suo ex marito non risparmia di esaltare, quando si riferisce alla nuova moglie e al bambino che aspettano. A Virgin River, almeno, Leslie potrà starsene da sola, in santa pace. O almeno è quello che crede prima di incontrare Conner. Hanno più cose in comune di quanto appaia a prima vista, cuore spezzato compreso. Forse Virgin River opererà la propria magia un'altra volta.
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