Hanno sembianze umane, sono sempre più vicini…
I draghi sono tra noi.
Una serie epica senza precedenti firmata Julie Kagawa. Una guerra millenaria pagata col sangue, l’Ordine di San Giorgio li ha sterminati tutti, uno dopo l’altro. Ma alcuni di loro sono sopravvissuti… ora sono tornati, più forti, sono tra noi sotto il vessillo di Talon, i draghi combatteranno per riprendersi ciò che è sempre stato loro. A qualunque costo. “Un Fantasy moderno intriso di romanticismo, adrenalinico e coinvolgente. Una corsa sulle montagne russe delle emozioni.” School Library Journal
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24 ottobre
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Frenetica, travolgente, adrenalinica. Questa sembra essere la vita all’Eastern Beaches Hospital… basta poco per far scoppiare una scintilla in corsia! Ruby, Tilly, Ellie e Jess sono quattro infermiere giovani, carine e libere, almeno per il momento! Questo è il diario della loro ultima estate da single.
NURSES DIARY La nuova serie medical che vi terrà compagnia fino a Dicembre con quattro irresistibili appuntamenti!
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Susan Andersen
Un'altra volta tu
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: No Strings Attached HQN Books © 2014 Susan Andersen Traduzione di Barbara Piccioli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance ottobre 2015 Questo volume è stato stampato nel settembre 2015 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 158 del 23/10/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Prologo
Sette anni prima, Andros Island, Bahamas Una brezza calda che sapeva di mare entrò dalla finestra aperta del bungalow proprio mentre Tasha crollava su Diego. Urtò con il naso il punto umido in cui il collo si fondeva con la spalla muscolosa e mentre ne aspirava la fragranza lievemente salmastra, le venne da pensare che nelle circa trenta ore della loro conoscenza non le era mai venuto in mente di chiedergli quale fosse il suo cognome. E nondimeno, in attesa che i battiti del cuore rallentassero, non si soffermò troppo sull'estemporaneità della loro relazione. Sicuro, considerato che aveva passato buona parte della sua vita cercando di ignorare la pessima reputazione della madre, era da credere che non le sarebbe dispiaciuta un po' di introspezione. Cacciarsi nel letto di uno sconosciuto, dopotutto, rappresentava una grossa novità per lei. Una novità enorme, anzi. E avrebbe dovuto esserne preoccupata, giusto? Dita robuste le scesero lungo la spina dorsale, risvegliando terminazioni nervose che a logica avrebbero dovuto essere inerti. «Tutto bene, cariño?» le sussurrò Diego all'orecchio. 5
Bastò perché la sua sciocca tendenza a fustigarsi si sciogliesse come neve al sole. Sorrise. Ignorava cosa la attirasse tanto in quell'uomo, ma una cosa era certa: aveva carisma. Era sotto l'influenza del suo fascino fin dal momento in cui lui l'aveva avvicinata sulla spiaggia, il giorno prima. E non era un risultato da poco; a casa, a Razor Bay, sarebbe bastato chiederlo a chiunque, e pochi avrebbero esitato a dire che Tasha Riordan teneva i piedi saldamente, pragmaticamente per terra. Ora però si limitò a mormorare: «Oh, sì». E a sentirsi grata. Diego con ogni probabilità ci era abituato. Dio solo sapeva se le faceva provare sensazioni mai sperimentate prima... lei, che di solito era dura da scalfire, e poteva solo immaginare quante altre donne desiderose di un amante vacanziero gli avessero consegnato la chiave della loro camera. Era già tanto se era riuscita a tenere addosso le mutandine per un intero giorno, perché aveva avuto la tentazione di sfilarsele nell'attimo stesso in cui aveva posato gli occhi su di lui. E forse, visto l'orgasmo che aveva avuto, sarebbe stata la cosa giusta da fare. Perché era stato il più sorprendente della sua vita. Quel pensiero le strappò un sorrisetto. Come se tu avessi chissà quanti termini di paragone. Comunque, si disse, non era importante che nei suoi ventidue anni di vita avesse sperimentato ben pochi orgasmi che non si fosse procurata da sola. Non era vergine, e due o tre cosette sul sesso le sapeva anche lei. «Come stai?» chiese piano. Lo sentì irrigidirsi, e mentre il silenzio si prolunga6
va, avvertì la propria euforia svanire. Dio, pensò, come se una come te potesse fare qualche differenza per un uomo del genere. Bastava guardarlo per capire che si era lasciato alle spalle nugoli di donne e centinaia di orgasmi. Poi lui serrò la mano a pugno contro la sua schiena e a voce bassa, quasi irosa, disse: «Vuoi sapere come sto?». Esalò un sospiro divertito, che forse però divertito non era affatto, prima di aggiungere: «Talmente esausto che non è neppure buffo». Con una risatina incredula, Tasha si sollevò su un gomito per guardarlo. Si faceva poche illusioni sul proprio conto. Era alta e troppo magra, e se il seno era decente, fianchi e fondoschiena erano quelli di una dodicenne. Sapeva che gli uomini la trovavano ragionevolmente attraente, ma non ne aveva mai frequentato nessuno del calibro di Diego. La massa di capelli biondi, ora increspati dal breve temporale di poco prima, nonché dall'intervento delle mani esigenti di Diego, le ricaddero sul viso andando a mischiarsi a quelli nerissimi di lui. Abbassò gli occhi sulle mani che gli teneva posate sul torace. Dopo nove giorni ai tropici, era abbronzata come mai prima. Sfortunatamente, questo significava che la sua carnagione, invece del colore del latte scremato, aveva quello di un toast anemico. Diego le allontanò i capelli dal viso, raccogliendoli in una coda di cavallo sulla nuca. La guardò negli occhi, e per la prima volta da quando le si era accostato sulla battigia e si era presentato, non c'era traccia d'ironia nella sua voce quando ribadì: «Sì. Mi hai definitivamente messo fuori combattimento». Le sue labbra 7
piene si curvarono in un sorrisetto ironico. «E di sicuro non me l'aspettavo.» Una battuta che doveva avere usato mille volte, ma non per questo meno buona. Di certo con lei funzionava... il cuore le si andava sciogliendo come un cioccolatino dimenticato sotto il sole. Diego la guardava. «Adoro la tua bocca.» La voce gli si era fatta roca, e Tasha sussultò nel vederlo sollevare la testa con l'evidente intenzione di baciarla. Ma prima che potesse farlo, lo fermò il trillo del cellulare. Con un'imprecazione soffocata, l'uomo lanciò un'occhiata all'apparecchio che vibrava sul comodino. Imprecò di nuovo. «Scusa» disse poi. «Devo rispondere.» La sollevò con gentilezza e, con un unico movimento fluido, si alzò e prese il cellulare. «Meglio che sia qualcosa d'importante» borbottò. In quel momento non sembrava affascinante, si trovò a pensare Tasha; pericoloso, piuttosto, così grosso e scuro, gli occhi duri e le labbra serrate in una linea sottile. Controllò l'ora. Oh, Dio. Doveva darsi una mossa e rivestirsi, se voleva prendere l'ultimo volo per Nassau. Si alzò, portando con sé il lenzuolo. Di colpo, quello che solo qualche ora prima le era parso audace e intrigante – seguire Diego nella grande isola di Andros – ora appariva avventato e non molto intelligente. Si chinò a raccogliere gli indumenti sparsi sul pavimento. Aveva infilato mutandine e prendisole e stava frugando nella borsa alla ricerca di qualcosa con cui raccogliere i capelli, quando due braccia robuste le cinsero la vita, attirandola contro un petto caldo e ancora più robusto. «Ehi.» Diego aveva infilato i calzoncini e 8
la T-shirt senza maniche. «Cosa stai facendo?» Non era facile pensare avvolta nel calore e nel profumo del suo corpo, ma Tasha ci provò. «Il mio volo è tra un'ora e mezza. Devo andare all'aeroporto.» «Resta con me un'altra notte. Tecnicamente sono in ferie, ma il mio capo mi ha rintracciato e devo uscire per parlargli. Sarò di ritorno fra un'ora al massimo e avremo il resto della notte per noi.» «Oh.» La tentazione era forte, e per un momento lei pensò di cedere. Poi la ragione e il consueto pragmatismo ebbero la meglio. «Non credo di potere. Ho prenotato, capisci.» Diego la baciò sul collo. «Mi piacerebbe davvero tanto che tu rimanessi» sussurrò con la sua voce bassa, profonda. «Prometto che ti riporterò a Nassau domani, a costo di noleggiare un idrovolante.» Le sue labbra si spostarono sulla pelle sensibile del lobo. E le riserve di Tasha cedettero. «Be', forse potrei...» «Proprio quello che volevo sentirti dire.» Lui la fece girare e la baciò sulle labbra, a lungo. La borsa cadde dalle dita improvvisamente debolissime di lei, e quando Tasha riuscì a rimettere in attività i due neuroni ancora funzionanti, Diego la stava spingendo di nuovo sul letto. «Devi scusarmi» disse. «Non mi piace dover interrompere così la serata, ma il mio capo è un impaziente bastardo, e gli ho detto che ci saremmo incontrati fra...» lanciò un'occhiata all'orologio. «Maledizione, due minuti fa.» La baciò ancora, brevemente questa volta, prima di raddrizzarsi. «Torno appena posso, okay?» Gemette quando lei annuì. 9
«L'ultimo bacio, davvero» disse, tornando a baciarla. Poi, finalmente girò sui tacchi e uscì. Con le mani che le tremavano, Tasha si ritoccò il rossetto, e aveva appena trovato due fermagli per i capelli quando bussarono alla porta del piccolo bungalow. Sorridendo, piroettò su se stessa. «Dimenticato la chiave?» trillò, andando ad aprire. Ma sulla veranda non c'era Diego, bensì parecchi uomini bruni con indosso l'uniforme azzurra e i berretti neri della polizia delle Bahamas. Senza troppi riguardi la spinsero da parte ed entrarono. Nessuno le rivolse il sorriso affabile che si era ormai abituata a vedere sui volti dei locali. Quegli uomini equipaggiati con giubbotti antiproiettile erano cupi in faccia e accigliati. «Cosa succede?» gridò quasi Tasha, solo per ritrovarsi pilotata verso una sedia in un punto della stanza da cui riusciva a vedere solo la banda rossa dei pantaloni di uno degli agenti. Il bungalow, di forma rotonda, non le consentiva di scorgere altro. Poteva però sentirli mentre trascinavano a terra il materasso e aprivano e chiudevano cassetti. Poi di colpo quello che era evidentemente al comando si fece da parte per lasciare il posto a un uomo più anziano in camicia cachi e berretto nero con fascia rossa. «Sono l'ispettore Rolle della DEU» si presentò. Aveva una voce stranamente melodiosa. «DEU?» squittì Tasha. «Cos'è?» «Unità antidroga. Il suo nome?» «Tasha.» Cosa diavolo stava succedendo? Non era possibile che c'entrasse in qualche modo Diego... oppure sì? «Tasha Riordan.» «Dov'è il suo complice, signorina Riordan?» 10
Il panico la attanagliò. Oh Dio, pensò. Quella faccenda non prometteva nulla di buono. «Complice in cosa? Non ho nessun complice!» protestò. «La stanza è a suo nome?» «No. Sono un'ospite.» «Ospite di chi?» «Diego...» Piena di angoscia, Tasha fissò il volto severo dell'ispettore. «In realtà non conosco il suo cognome» balbettò quasi. «So che può sembrare...» Finalmente il suo cervello parve risvegliarsi. «Ma deve figurare nel registro dell'albergo!» esclamò. «Chiedete alla reception.» L'ispettore Rolle fece cenno a uno degli agenti, che si affrettò a uscire. Seguì un silenzio snervante durante il quale Tasha poté solo concludere che Diego aveva fatto qualcosa di orribile, di imperdonabile. Qualcosa da cui era uscito indenne, lasciando lei nei pasticci. L'agente rientrò e andò dritto dall'ispettore, a cui bisbigliò poche parole. Rolle si volse verso di lei. «L'addetto dice che la stanza è stata pagata in contanti. Ha descritto lei con molta accuratezza, signorina Riordan, ma non ricorda questo Diego.» «Non è possibile! Io non mi sono neppure avvicinata al banco della reception! Sono rimasta fuori. Non so... rilevate le impronte digitali, fate qualcosa! Glielo ripeto, non sono mai stata alla reception!» L'altro la studiò un momento prima di stringersi nelle spalle. «Può darsi che sia così» disse calmo. «È così!» «Ma quello che abbiamo qui...» L'ispettore lasciò cadere sul tavolino una bustina di plastica sigillata contenente quello che sembrava zucchero in polvere, ma che 11
Tasha aveva l'orribile sensazione fosse tutt'altro, ... è un chilo di eroina... e lei. Nessun uomo misterioso di nome Diego, solo lei. Di conseguenza, signorina Riordan, la dichiaro in arresto per detenzione di droga ai fini di spaccio.
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Oggi «Maledizione!» imprecò Tasha, mentre si fermava dietro le altre auto parcheggiate nel viale di Max. Era terribilmente in ritardo. E la cosa ti sorprende?, le sussurrò una vocetta sarcastica. Che diavolo, no. Ma l'assenza degli uomini che oziavano sulla veranda, e che di certo non sarebbero usciti di nuovo dato che aveva piovuto a tratti per tutta la giornata, le dava la misura di quanto grande fosse il suo ritardo. O erano tutti a tavola o, prospettiva perfino peggiore, stavano già sparecchiando. Scese e aprì il bagagliaio per prendere le cibarie con cui aveva pensato da contribuire alla festa di commiato per la madre di Harper. Si era ripromessa di arrivare con un buon anticipo per dare una mano, ma come immaginare che l'uomo che aveva appena assunto alla pizzeria si sarebbe rivelato un ubriacone della peggior risma? E pensare che aveva creduto di avere tutto sotto controllo! Con il calo di lavoro che sempre seguiva il Labor Day e la partenza di gran parte dei turisti, aveva progettato di assumere un altro cuoco part-time. Un po' di aiuto nei frenetici mesi estivi le avrebbe fatto comodo, ma 13
il nuovo assunto avrebbe avuto bisogno di tempo per familiarizzarsi con il lavoro, e quello le era sembrato il momento dell'anno più adatto. Sbuffò. Una pianificazione teoricamente perfetta, e destinata a garantirle qualche meritata giornata libera e forse addirittura un assaggio di vita vera, perché di certo quell'estate ne aveva avuta ben poca. E chissà, una volta abituatasi al lusso delle giornate libere, avrebbe potuto spingersi oltre e concedersi un'autentica vacanza. D'accordo, la sola idea bastava a farle salire il cuore in gola, ma che diavolo, non era ora di lasciarsi alle spalle il passato? Non che avesse più importanza. Il nuovo cuoco, che aveva superato a gonfie vele il colloquio preliminare, era con tutta probabilità già alticcio quando si era presentato al lavoro. E se anche non aveva fatto sosta in tutti i bar cittadini prima di arrivare al Bella T, di sicuro era sbronzo perso quando lei lo aveva cacciato in malo modo. Ed era con il suo vino che si era sbronzato! Ma l'ultima goccia, quella che più di tutto l'aveva fatta infuriare, era che il bastardo aveva cercato di scaricare la colpa del vino bevuto su Jeremy, il ragazzo del Cedar Village che aveva cominciato a lavorare da lei una settimana prima. Il Village, situato ai sobborghi della città, era una struttura dove si aiutavano ragazzi problematici a riprendere le fila della loro vita, e questo era esattamente ciò che stava cercando di fare Jeremy. L'ultima cosa di cui aveva bisogno quel povero ragazzo era un idiota che lo accusasse ingiustamente di aver rubato del vino. Tasha salì i gradini che portavano alla veranda, ma prima di bussare indugiò qualche istante a raddrizzare il 14
top e ritoccare il rossetto. Una delle prime cose che aveva notato di Harper, la bellezza di razza mista arrivata tempo prima a Razor Bay, era la sua capacità di essere elegante in qualunque circostanza. Una capacità che aveva palesemente ereditato dalla madre Gina, una donna sofisticata, se mai ce n'era stata una. Sfortunatamente Tasha era così sconvolta quando aveva finalmente buttato fuori il cuoco ubriaco ed era corsa di sopra a cambiarsi, che aveva infilato le prime cose capitatele sotto mano, vale a dire un paio di short in garza di cotone nera e, grazie al cielo, uno dei suoi top più carini, di un azzurro intenso che dava quasi, ma non del tutto, una sfumatura celeste ai suoi occhi più grigi che blu. Dopo essersi vestita, aveva agguantato un cardigan leggero e si era precipitata fuori, senza neppure un po' di trucco, fatta eccezione per il mascara che si era messa quella mattina perché la gente sapesse che sì, anche lei aveva le ciglia, seppure così pallide che bisognava scusare quelli che non se ne accorgevano. Finalmente bussò ed entrò senza aspettare. «Ehi!» gridò per farsi sentire al di sopra del frastuono di voci e risate che arrivava dalla cucina ancora da finire di Max. «Scusate il ritardo. Ho portato un paio di bottiglie di rosso per farmi perdonare. Più del guacamole fatto in casa e qualche salsa alle verdure.» Individuò Jenny, la sua migliore amica, seduta al lungo tavolo, e le rivolse un: «Ehi, bellezza», poi salutò i Damoth e Mary-Margaret, che dirigeva il Village, e infine gli anfitrioni, Max, Harper e la madre di lei. Ma si fermò, attonita e raggelata, quando i suoi occhi incontrarono quelli scuri e vellutati di un uomo dalla pelle dorata e i lineamenti perfetti. Immagini di quel viso un po' 15
più giovane le si affollarono improvvise nella mente, insieme al ricordo di baci e carezze brucianti. No. Buon Dio, non poteva essere, eppure era proprio così: era realmente Diego Senza Cognome, il bastardo che l'aveva spedita in una cella delle Bahamas quando era più giovane e più stupida, o quantomeno più ingenua, e di certo l'ultima persona al mondo che si aspettava di rivedere. E nondimeno eccolo lì, seduto al tavolo di Max e Harper, tutto capelli e occhi neri e un accenno di barba, più vitale e muscoloso che mai. Un ronzio assordante le riempì le orecchie, e la mano che stringeva la borsa di tela si fece inerte. Bottiglie e contenitori caddero a terra. Lei quasi non se ne accorse. Ma che diavolo... sembrava che la scena si stesse svolgendo al rallentatore mentre Luc Bradshaw si alzava, imitando gli altri commensali. Tutti parlavano contemporaneamente, ma lui non riusciva a far altro che fissare la testa china della nuova arrivata. Senza quasi accorgersene, prese a massaggiarsi il diaframma. Quand'è che tutta l'aria nei suoi polmoni si era fatta gelatinosa? Tasha. Gesù. Nel corso di quella settimana Jenny, la fidanzata di Jake, il fratellastro da poco scoperto, aveva menzionato infinite volte la sua migliore amica, Tasha; ogni volta lui aveva provato una piccola stretta al cuore, pur convinto che si trattasse di una semplice omonimia. Perché insomma, quante probabilità c'erano che fosse davvero la stessa donna? 16
Maledettamente buone, scopriva adesso. Perché, per quanto incredibile potesse apparire, quella era la sua Tasha. La donna che non era mai rientrata nell'esercito di quelle che lui sarebbe stato più che felice di veder scomparire per sempre e senza lasciare traccia. Era cambiata, pensò quando lei si chinò a raccogliere una delle bottiglie. Molto più donna della ragazza appena maggiorenne che aveva conosciuto. Be', non era logico? Erano passati sette anni, dopotutto. Quindi sì, lei aveva qualche curva in più, ma era ancora senza fianchi, e neppure l'uomo più fantasioso avrebbe potuto definirla voluttuosa. Anche i capelli ribelli erano cambiati: più docili e definiti di come li ricordava. Ma gli occhi grigiazzurri e le labbra morbide e sensuali erano quelli di un tempo. Quindi all'inferno le piccole differenze. Lei avrebbe potuto farsi crescere i baffi e mettere su venti chili, l'avrebbe riconosciuta comunque. Ovunque. Non aveva il minimo dubbio che fosse la ragazza con cui aveva trascorso due giorni e una notte memorabile alle Bahamas. «Tash!» Jenny corse verso l'altra, e di colpo fu come se il suono e la velocità della pellicola fossero stati ripristinati. «Stai bene?» Lei era una biondo-fragola, pensò Luc. Aveva scoperto dopo la sua notte con lei che era così che la gente definiva il pallido biondo-rosso dei suoi capelli. E ora, mentre la guardava, sentì tutto il viso tendersi in un sorriso di delizia. Che morì bruscamente quando Tasha alzò la testa e lo fissò dritto negli occhi. Sentì allora il corpo che si rattrappiva e ricadde pesantemente sulla sedia. Quegli occhi, quell'espressione... 17
Se uno sguardo potesse uccidere, lui sarebbe morto all'istante, ridotto in minutissimi pezzetti. Ma che diavolo...? Poi Tasha tornò a guardare Jenny. «No» rispose, mentre tendeva alla bruna minuta prima una bottiglia, poi l'altra. Infine si rialzò e porse la borsa a Gina, una versione leggermente più scura e altrettanto elegante della figlia Harper, che era poi la donna dell'altro fratellastro di Luc, Max. Cristo. L'intreccio di quei rapporti gli dava il mal di testa. «Mi dispiace tanto» stava dicendo Tasha. «Detesto l'idea che torni a Winston-Salem e detesto perdermi la festa d'addio, ma la verità è che non mi sento troppo bene.» «Sì, sei molto pallida, tesoro.» Gina le posò la mano sul braccio, in un gesto rassicurante. «Vai a casa e mettiti a letto. Speriamo che una buona dormita ti rimetta in sesto, di qualunque virus si tratti.» «No, non è influenza, ma virus mi sembra senz'altro la parola adatta.» Tasha lanciò a Luc un'altra occhiata carica d'odio. «All'improvviso è stato come se un brutto ragno peloso mi strisciasse lungo la schiena. Non mi sentivo così da quasi dieci anni, e la verità è che quello che mi piacerebbe fare sarebbe sparare al piccolo bastardo in mezzo agli occhi.» Mentre si girava per posare il vino sul tavolo, Jenny guardò un momento Luc con aria scrutatrice, prima di voltarsi di nuovo verso l'amica. «Povera cara. Vuoi che ti accompagni a casa? Jake può riportarti l'auto domattina.» A Luc parve di cogliere qualcosa di pericolosamente 18
simile al panico nell'espressione di Tasha. Ma forse lo aveva solo immaginato, perché quando batté le palpebre, l'impressione svanì. «No» stava dicendo lei. «Sono in grado di guidare. È che mi sono stancata troppo da quando è cominciata la stagione turistica, e credo di essere arrivata al limite. Ho un disperato bisogno di dormire.» «È un bene che tu abbia trovato un aiuto» commentò Jenny. A Tasha sfuggì una risatina nervosa. «Ah, a quel proposito. Sembra che non avrò nessun aiuto.» Pareva stanchissima mentre si passava una mano fra i capelli. «Ti racconto tutto domani» aggiunse, guardando la compagnia seduta a tavola. Be', a parte lui. Ora che aveva finito di eviscerarlo con quello sguardo al laser, non aveva evidentemente alcun desiderio di guardarlo di nuovo. «Scusate per la scena drammatica» disse ancora Tasha, rivolgendo a Gina lo stesso sorriso dolce e generoso che sette anni prima si era impresso nella mente di Luc. «Ti auguro buon viaggio.» La attirò in un abbraccio. «Avrei tanto voluto conoscerti meglio. Spero davvero che tornerai presto.» «Oh, ne ho tutte le intenzioni, tesoro» le assicurò l'altra. «Ora la mia figlia preferita vive qui.» «Mamma» fece Harper, un po' asciutta, «sono la tua unica figlia.» Gina si strinse con grazia nelle spalle. «Ma sei comunque la mia sola e unica adorabile bambina.» L'altra alzò al cielo gli occhi verde oliva. «Verissimo» sogghignò. Tasha, intanto, stava scambiando gli ultimi saluti e un 19
momento dopo usciva dalla stanza. Se n'era andata. Luc spinse indietro la sedia e si alzò. «Posso prendere una birra?» chiese a Max. «Serviti pure» lo invitò l'altro, mentre Harper diceva: «Siediti, te la prendo io». No, ringhiò la sua mente, ma più di dieci anni passati sotto copertura per conto della DEA non erano stati inutili. Fece lampeggiare il sorriso affabile che anni di pratica avevano reso quasi una seconda natura, e disse soltanto: «Non ce n'è bisogno, Harper. Davvero». «Ha ragione» intervenne Jake. «Fa parte della famiglia. Il che significa che può anche lavare i piatti.» «O perlomeno prendermi da bere da solo. Qualcuno vuole qualcosa?» Tutti risposero negativamente e Luc lasciò la stanza apparentemente senza fretta, ma di fatto coprendo in pochi secondi la distanza fra il tavolo e la porta di servizio. Fuori, vide Tasha che si dirigeva verso l'estremità del garage annesso alla casa, per raggiungere lo spiazzo adibito a parcheggio. Nubi scure incombevano basse, ma per il momento non pioveva. Ignorando i gradini, Luc si lasciò cadere silenziosamente sul prato. Si mosse rapido e senza fare rumore, e la raggiunse proprio mentre svoltava l'angolo del garage. Allora allungò la mano a sfiorarle il braccio. «Tasha. Aspetta...» Lei si voltò con un'esclamazione. I suoi occhi esprimevano autentico panico e Luc comprese che di lì a un istante avrebbe urlato, richiamando tutti fuori. In un lampo, le posò una mano sulla nuca e l'altra sulla bocca, bloccando sul nascere il grido d'aiuto. Non che lei avesse bisogno di essere soccorsa. Gesù, non le avrebbe mai fatto del male, ma neppure voleva 20
trovarsi sotto il tiro della pistola del fratellastro vicesceriffo. «Scusami» disse nel tono più rassicurante che riuscì a trovare. Le labbra di lei erano morbide contro il suo palmo, ma si costrinse a non pensarci. «Non intendevo spaventarti. Voglio solo parlare con te. Ora ti lascio andare, d'accordo?» La vide socchiudere gli occhi, come a dire: Sbrigati, allora! «E tu non urlerai, va bene?» aggiunse. Il suo era un ordine, non una richiesta, e sostenne senza vacillare quello sguardo feroce. Tasha esitò un secondo, quindi chinò appena la testa. Lentamente, Luc la lasciò andare e sollevò la mano che le teneva sulla bocca. Immediatamente lei si scostò passandosi il dorso della mano sulle labbra, come se fossero venute a contatto con qualcosa di pericoloso quanto sgradevole. Poi fece dietrofront e tornò nel cortile posteriore. «Se vuoi parlarmi, puoi farlo qui, dove possono vederci» disse secca. Luc annuì. Ma perché era tanto arrabbiata? Non era stato lui a... Un'altra di quelle occhiate micidiali lo arrestò, e prima che potesse parlare di nuovo, lei sibilò: «Allora, chi fingi di essere oggi, Diego?». Oh, all'inferno. Si costrinse a restare impassibile, ma non fu facile, perché di certo non avrebbe potuto sostenere di non essersi spacciato per qualcun altro quando si erano conosciuti. Così si accontentò di guardarla mentre rispondeva: «Il mio vero nome è Luc Bradshaw. Sono il fratellastro di Max e Jake». «Oh, per favore» sbuffò lei, disgustata. Luc batté le palpebre, sconcertato. «Come sarebbe a 21
dire, per favore? Concedi almeno un po' di credito a Max. Non pensi che mi abbia controllato accuratamente prima di accettarmi in famiglia?» La risposta fu una specie di grugnito. «Davvero, non capisco quale sia il tuo problema» perseverò lui. «Non devi fare altro che guardarci. Tutti hanno notato la forte somiglianza che c'è fra noi. Perché allora dubiti che sia...» Senza accorgersene lei gli si era avvicinata, e Luc scoprì che la cosa non gli dispiaceva affatto. «Senti» cominciò Tasha, il naso a pochi centimetri da quello di lui. «Non so chi tu sia, amico, né a quale gioco tu stia giocando. Ma stai lontano da me, mi hai sentito? Come osi venire qui e fingerti il fratello di Jake e Max?» Senza staccare gli occhi dal suo viso, indietreggiò di un passo. «Voglio dirti una cosa» riprese, pericolosamente calma. «Mi sento generosa, quindi se fai i bagagli e lasci la città stasera stessa, terrò la bocca chiusa.» Un'altra lunga occhiata ferale, poi: «Se sei furbo, accetterai l'offerta e in fretta, perché te lo assicuro, è tutt'altra la cosa che vorrei davvero fare». Non era facile riconoscere in quella donna la ragazza dolce e sorridente che ricordava, e infatti Luc non ci riuscì. Scosse la testa. «Come hai detto?» «Hai qualche problema con l'inglese, Diego?» A quanto pareva era proprio così, ma invece di dirglielo e pretendere di sapere cosa, esattamente, lei credesse di sapere, Luc si sentì dire: «Non mi chiamo Diego. So di averti detto che era quello il mio nome, ma allora lavoravo sotto copertura per la DEA, e se volevo restare in buona salute non dovevo rivelare a nessuno la mia vera identità. Ma sono Luc Bradshaw, figlio di 22
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Romantiche vacanze a Virgin River di Robyn Carr La vita a Virgin River scorre come in un'altra dimensione, avvolta nell'abbraccio protettivo dei boschi che la circondano. Il luogo ideale per trovare rifugio e rigenerarsi. I fratelli Riordan hanno la reputazione di cattivi ragazzi, ma Patrick fa eccezione. Di indole gentile, in quest'ultimo periodo la sua vita è stata messa a dura prova a causa del lavoro super impegnativo come pilota della Marina. Se a questo poi si aggiunge l'incontro con Angie, l'affascinante nipote di Jack Sheridan, la situazione diventa davvero complicata e i suoi nervi rischiano davvero di saltare. Angie Le Croix è venuta a Virgin River per trascorrere un periodo di vacanza lontana da...
Il vero Natale di Julia Williams Catherine ama il Natale. Nel suo ruolo di "casalinga felice" questo periodo dell'anno è sempre stato per lei il perfetto happy ending familiare, ma la realtà dei fatti non potrebbe essere più diversa. Con un matrimonio che fa acqua da tutte le parti e la madre sempre più smemorata, il suo momento magico sembra del tutto offuscato. In più, suo marito Noel nasconde un segreto. La speranza di un Natale sereno riaccende anche il cuore di Marrianne che sta cercando di rimettere insieme i pezzi della sua vita dopo che Luke l'ha lasciata. Quando conosce Gabriel, che si sta preparando ai soliti festeggiamenti nascondendo la tristezza per il bene di suo figlio, questo incontro sembra riaccendere una luce nuova sulla sua esistenza, ma...
Dal 11 dicembre
Le più belle saghe storiche d’autore, da collezionare.
Irlanda - Inghilterra, 1175-1180 Coraggio, spirito di sacrificio, lealtà scorrono da sempre nel sangue dei MacEgan, i valorosi guerrieri di Laochre. Malgrado l’indiscusso valore, tuttavia, ciascuno di loro cela un animo sensibile segnato spesso da dolorosi segreti. Connor, che nel passato ha dovuto subire un’ingiusta punizione, ha trovato sollievo dalla sua profonda disperazione grazie alla amorevoli cure di Aileen, una bellissima guaritrice. Ewan, da parte sua, ha obblighi dinastici cui far fronte ed è alla ricerca di una moglie che gli porti una cospicua dote. Trahern, infine, colpito da una terribile tragedia, si è trasformato in un uomo amareggiato e pieno di rancore. Solo l’incontro con Morren, come lui sofferente e desiderosa di giustizia, apre una breccia nel suo cuore lasciandogli intravedere la speranza di un futuro meno cupo.
“Attraverso il realismo con cui sono trattati i personaggi e le dettagliate ambientazioni tocca le corde del cuore.” Publishers Weekly
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