La fine del tempo

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R OMA N C E

PAULLINA SIMONS La fine del tempo

Per i miei quattro figli «L'amor che move il sole e l'altre stelle.»

«Quali punizioni di Dio non sono doni?»

J.R.R. Tolkien

Dedica

Andiamo giù.

«Julian, voglio raccontarti una storia» disse Ashton, «su un cavaliere e un predicatore. Il cavaliere scommise il suo unico cavallo che il predicatore non sarebbe riuscito a recitare il Padre Nostro senza distrarsi. La scommessa fu accettata di buon grado e il sant'uomo cominciò a pronunciare le parole familiari. A metà si fermò e chiese: "Intendevi sella compresa?".».

«Questa non è una storia su un cavaliere e un predicatore» disse Julian. «È una storia su come perdere un cavallo.»

«Ashton, perché non mangi il mio Kjøttkaker?» chiese la madre di Julian.

«Mamma, non gli piace» replicò Julian. «Me l'ha detto mentre eri in cucina. La tua cucina norvegese non lo impressiona molto.»

«Julian!»

«Lo ignori, Mrs. C» disse Ashton. «Adoro le sue polpette. Lo sa che sta solo cercando di farla arrabbiare.»

«Consideratemi arrabbiata. Perché lo fai, figlio mio?»

«Cosa, mamma? Scherzare?»

«Mrs. C» disse Ashton, la bocca piena di Kjøttkaker, «l'altro giorno suo figlio mi ha detto che sono come il fratello che non ha mai avuto.»

«Julian!» gridarono la madre di Julian e i suoi cinque fratelli.

«Jules, ricordati di guardare bene a destra e a sinistra, prima di andare a farti fottere» disse suo fratello Harlan.

«Strano, stavo per dire lo stesso ad Ashton» disse Julian. Ashton non la smetteva più di ridere.

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Loro due

La madre di Julian aveva preparato il dolce preferito di Ashton: lefse, un pane morbido piatto arrotolato e spolverato di zucchero e cannella.

«Ashton, Julian ti ha mai raccontato di come a tredici anni riuscì a disorientare un mistico?» chiese Joanne Cruz. «Continua a mangiare mentre te lo racconto. Un pilastro della chiesa era in visita presso la nostra parrocchia, un monaco agostiniano molto stimato, un uomo con una produzione teologica prodigiosa. Tenne una conferenza, poi chiese se ci fossero domande. E il tuo amico magrolino, la voce ancora bianca, si avvicinò al microfono e pigolò: "Uh, mi scusi, perché Gesù pianse per Lazzaro quando lo vide morto, anche se sapeva che pochi minuti dopo l'avrebbe risuscitato dai morti?". Il monaco ci pensò su, poi disse: "Non so risponderti".»

Ashton ridacchiò, mentre si puliva zucchero e cannella dalla faccia. I capelli biondi arruffati avevano bisogno di un taglio, gli occhi azzurri felici scintillavano. «Perfino io so rispondere a questa domanda e non sono certo un monaco, chiedo scusa Mrs. C. La parte divina in Gesù poteva anche saperlo, ma la parte umana in lui pianse perché Gesù era entrambe le cose, completamente umano e completamente divino. E piangere i morti è ciò che fanno gli esseri umani. La prossima volta, Jules, chiedi a me. Ho una risposta per tutto.»

Avanti veloce.

«Se ti svegli per primo non andartene a zonzo senza di me, come hai fatto ieri.» Erano in campeggio da alcuni giorni. «Mi prometti che mi aspetterai?»

«Non capisco perché mi stai tanto addosso. Siamo in campeggio, non stiamo facendo speleologia.»

Avanti veloce.

«Oh, mio Dio! Cos'è successo, Jules? Ti abbiamo cercato ovunque. Ovunque eccetto qui. Non sai cosa ci hai fatto.

«Julian, di' qualcosa!»

«Starai bene. Starai bene. Aiutatelo! Aiutatelo!»

«Perché l'hai fatto, ti avevo detto di non andare, perché non ascolti mai, perché te ne sei andato senza di me?»

Mi dispiace, Ashton, avrebbe voluto dire Julian, ma non riusciva a parlare. Non so cosa sia successo.

Avanti veloce.

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«Il mio amico Jules laggiù era un pugile» disse Ashton a Riley e Gwen la sera che si conobbero. I ragazzi erano rasati e ben curati, indosso jeans abbinati alle giacche Hugo Boss. «Dovreste essere colpite, signore.» Le ragazze erano giovani ed effervescenti. «Era quasi intoccabile sul ring. Attaccava i suoi avversari con colpi che avrebbero potuto abbattere montagne intere. Sì, era un combattente magnifico, ma un essere umano imperfetto. Invece adesso è completamente l'opposto. Per tua fortuna, Gwen, e intendo fortuna in senso letterale. Ahi, Jules! Perché mi hai colpito?»

«Fortunata Gwen» disse Riley dopo un momento, mentre sorrideva ad Ashton.

Gwen si avvicinò a Julian, provocante. «In effetti, devo ammettere che mi sento molto fortunata.»

Avanti veloce.

«Conosci battute sulla boxe?» chiese Riley. Si erano sistemati a un tavolo e avevano ordinato qualcosa da bere e da mangiare. Era il loro primo appuntamento doppio.

Julian ne conosceva. «Sai cosa avrebbe voluto scrivere Manny Pacquiao sulla lapide di Floyd Mayweather? Smetti pure di contare, non mi rialzerò »

Le ragazze scoppiarono a ridere; anche Ashton rise, nonostante conoscesse già la battuta.

Avanti veloce.

«Riley, non sforzarti tanto» disse Ashton. «Le donne non hanno bisogno di essere anche spiritose per piacere agli uomini. Piacciono già agli uomini, capisci cosa intendo?»

«Va' all'inferno» ribatté Riley. «Io sono spiritosa.»

«No, no, amore mio. Non è un insulto. Tu sei erroneamente convinta che gli uomini vogliano che le loro donne siano spiritose.»

«No, no, amore mio» ribatté Riley. «Sei tu che sei erroneamente convinto che le donne non vogliano che i loro uomini siano spiritosi.»

Julian annuì concorde. «Questa era spiritosa, Riles.»

«Grazie, Jules. Aah, dovresti cercare di essere più come Jules. Perché, diversamente da te, lui è davvero spiritoso.»

«Fanculo, Jules.»

«Cos'ho fatto?» Poi Julian soggiunse: «Sai, Ash, se riesci a stimolare una ragazza fino a farla ridere, intendo una vera risata pro-

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fonda, con la testa buttata all'indietro, potrebbe essere più aperta nei tuoi confronti e tu potresti riuscire a stimolarla a fare anche altre cose».

«Fottiti, Jules.» E dopo. «Okay, cercherò di essere più divertente» disse Ashton. «Proviamo a fare come fa Julian.»

«Disse il vescovo alla marchesa» disse Julian.

Per essere più spiritoso, Ashton raccontò una barzelletta. «Joe Gideon chiede a una massaggiatrice: "Mi scusi, signorina, quanto chiede per i genitali?". E lei risponde: "Lo stesso che per gli ebrei, Mr. Gideon!".»

Tutti e quattro buttarono la testa indietro e scoppiarono a ridere. Adoravano L.A. e All That Jazz.

Avanti veloce.

«Sì, mi trasferisco a Londra. Aiuterò il mio caro, vecchio papà e tu sai bene quanto siamo vicini. Scherzi a parte, ho sempre voluto vivere a Notting Hill. È nella mia lista dei desideri. Ovviamente terrò The Treasure Box. Perché dovrei venderlo? È la mia vita.»

Avanti veloce.

«Ho deciso di vendere The Treasure Box Non fare quella faccia, è solo un negozio. Ne aprirò un altro, se mai dovessi voler essere di nuovo legato. Adesso vorrei viaggiare, vedere il mondo. Ci stai, Jules? Dove siamo stati, eccetto Londra? Da nessuna parte, proprio così. Vuoi andare in Francia? Abbiamo tempo. Che ne dici, potremmo essere due uomini liberi a Parigi, così potremmo fare del nostro meglio, magari sentirci vivi.» Ashton sorrise, canticchiando mentre tamburellava con le dita. «Perché sei un mio carissimo amico.»

Avanti veloce.

«Ti spezzerà» disse Ashton mentre tornavano a casa una notte, ubriachi in modo inopportuno. «Ti avevo detto che ti avrebbe sventrato, ma tu mi hai ascoltato? Non mi ascolti mai, perché pensi di sapere tutto, pensi di essere l'unico ad avere delle intuizioni di pancia.»

«Sei sicuro che tu stia parlando di me?»

«Ti ha guardato, gli occhi sfolgoranti» continuò Ashton, «come se tu fossi l'avversario sul ring e ha detto stasera ti ribalto. E finora niente le ha impedito di tenere fede alla sua promessa.»

«Perché sono qui?» disse Julian.

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«Sei come mio padre. Tutti e due continuate a chiedere perché siate qui» osservò Ashton. «Perché qualunque cosa sia qui è una domanda migliore. Non tanto perché voi vi diate la pena di esistere, ma piuttosto perché qualunque cosa si dia la pena di farlo?»

«Perché l'arte di vivere in questo mondo» rispose Julian, ricordando Marco Aurelio, «è insegnarci che qualunque cosa capiti a un uomo, che sia pronto oppure no, niente può abbatterlo.»

«Alcune cose ti abbattono» ribatté Ashton. «Tirati indietro, Julian. Come se avessi scelta. Ammetti la sconfitta. Dimentica di averla mai amata. È quel che ho dovuto fare io.» Aveva la testa china. «Dimenticare di averle mai amate.»

«Andiamo a Parigi, Ash.»

«Okay, andiamoci. Ma prima vieni con me al matrimonio a York.»

«Non posso.» Aveva troppo da fare per prepararsi per l'equinozio.

Era la fine? Quei ricordi dolorosi erano la vita di Julian che gli passava davanti agli occhi?

No.

Non la sua vita.

La loro amicizia era l'inizio di tutto.

Come poteva essere Ashton quello su cui si erano accanite le tempeste.

Affrettati, mio unico amico. Riavvolgi il nastro, riavvolgilo.

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PARTE PRIMA

Su campi e città, da mare a mare passò il corteo libero e presto, sradicando e calpestando; finché giunsero alla città di Londra.

Pagina Romanzo
London Pride Percy Bysshe Shelley

Anonimo

«Chiunque può fermare la vita di un uomo» disse Devi, citando Seneca, probabilmente convinto di essere confortante, «ma nessuno può fermare la sua morte: mille porte si spalancano su di essa.»

Non parlarmi, non guardarmi, lasciami in pace. L'aveva implorata, implorata di non farlo, ma Shae lo aveva abbandonato.

«Trascinati fuori dal tuo fiume di solitudine» Julian sentì Devi esortarlo. «Sappiamo che soffri, ma non sei solo. Ava e io siamo con te. Sei separato dal tuo cuore, sì, ma non pensare a quanto poco tu abbia fatto per lei, ma piuttosto a quanto lei abbia fatto per te. Il suo amore per te ti ha salvato la vita. Quell'uomo avrebbe potuto ucciderti e dissacrare il tuo cadavere. Poi avrebbe ucciso lei e dissacrato il suo. Per darti una chance, lei ti ha avvertito, poi si è gettata fuori bordo. Sacrificando se stessa, ha salvato te, anche se tu eri indegno. Prendi il suo dono e vivi.»

«Io ero indegno? Hai sentito la mia storia?»

«Certo» rispose Devi. «Non saresti mai dovuto andare. Non saresti dovuto andare da nessuna parte nelle tue condizioni, nello stato in cui sei ancora. Avresti dovuto aspettare l'anno prossimo, o quello successivo. O non saresti dovuto proprio andare. Non le sei servito. Non eri nella forma necessaria per aiutarla. Il fatto che lei ti abbia aiutato malgrado te stesso è la prova di ciò che la sua anima prova per te perfino quanto te lo meriti meno.»

«Io me lo merito meno.»

«Piantala di parafrasare e ripetere tutto quel che ti dico.»

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«Perché stai ancora qui a parlarmi?» chiese Julian. «Vattene.»

Hai promesso a mia madre che, ovunque io fossi andata, mi avresti seguita. Dicevi sul serio?

Non l'ho promesso a tua madre, l'ho promesso a te.

Shae aveva cercato di portarlo con sé, si era buttata. Ma, come sempre, lui aveva esaurito il tempo, perfino per la morte.

Ava sedeva con orrore. Niente la faceva sentire meglio, né la storia della madre disperata, né il coraggio del santo Maori che era rimasto accanto a Shae fino alla fine. «La gloria di Kiritopa è stata nell'unione con quella donna e la mia bambina» disse Ava.

Julian perse tre dita della mano destra. Rischiò di perderne quattro. Dopo una serie di interventi chirurgici, i medici riuscirono a salvargli l'indice. Lo tenevano insieme viti d'acciaio, era un dito robot. Il mignolo non c'era più, anulare e medio troncati sotto la seconda nocca. Le tue dita per la tua vita, disse Devi. Julian gli mostrò il medio ma, nelle sue condizioni, più che altro gli mostrò il moncherino.

Ava sedeva nell'angolo, piangendo. È come la prima volta, disse.

Il corpo di Julian era devastato. Figure di Lichtenberg, cuore indebolito. Insieme con l'amputazione delle dita, aveva subito numerose altre ferite durante il combattimento con Tama: naso rotto, zigomo fratturato, commozione cerebrale, spalla slogata, radio fratturato per aver parato la maledetta mazza mere, legamenti delle ginocchia lacerati, un perone fratturato e una dozzina di fratture nelle nocche e nelle mani e nelle ossa dei piedi. Era coperto di lividi dalla fronte agli stinchi.

Il suo corpo guarì lentamente.

Ma altre cose che non guarirono.

Le dici sii la mia dea, lei accetta e apre le gambe. Che fardello hai messo sulle sue spalle. E sulle tue. Deve essere ciò che non è. Tu devi essere ciò che non sei. Non è una dea.

Le dee non muoiono.

Julian viveva nel silenzio, nel silenzio dell'oceano, con il corpo di lei tra le braccia.

«C'è un senso per la mia sofferenza? Una fine per la mia disperazione?»

Devi si alzò e rispose di no.

«Cosa troverò alla fine della mia storia?» chiese Julian un altro

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giorno, un altro pomeriggio muto. «Le mie fatiche saranno riconosciute, ci sarà un elenco delle mie mancanze?»

Devi si alzò e rispose di sì.

Julian cercò l'energia interiore. Lui e Ava erano catatonici, lei sedeva nella sua camera d'ospedale, accanto alla finestra, lui sedeva sul letto, entrambi oscillavano appena, cercando di attrarre l'energia dal silenzio. Lui continuava a fissare lo spazio sopra il palmo della mano, dove c'erano state le dita.

Il tuo timore che lei cessi di esistere, scompaia, svanisca nel nulla, è stato dissipato. Alleluia. Non è lei che sta svanendo, sei tu.

La mia vita è vento, pensò Julian quando tornò finalmente all'appartamento dopo sei settimane in ospedale e sei settimane di convalescenza a Hampstead Heath Sarebbe voluto restare più a lungo, ma lo buttarono fuori. Sarebbe voluto restare il resto della sua vita.

Invece tornò a casa.

I miei occhi non vedranno più niente di buono, perché lui non tornerà a questa casa e nessun luogo lo conoscerà più. Julian si appoggiò alla mensola sopra il camino nell'appartamento vuoto a Notting Hill. Le teste chine, Ava e Devi gli rimasero accanto. Erano sempre con lui. Andarono a York con lui per riportare indietro il corpo di Ashton, gli restarono accanto durante il funerale, erano con lui in quel momento. Julian si sarebbe lamentato dell'amarezza nella sua anima fino alla fine dei suoi giorni. Avrebbe preferito la morte per annegamento a quella vita. Il Signore non ha portato via le mie iniquità, dormo ancora nella polvere. Il mattino mi cercherete, ma io non ci sarò.

Perché lui non c'era.

Perché lei non c'era.

Devi cercò di alleggerire l'atmosfera come solo Devi sapeva fare. Cucinò, portò a Julian acqua di tigre, gli raccontò cose. Sedettero con Ava, spezzarono il pane, bevvero sake e mangiarono involtini con maiale biscottato intinto nella salsa di soia. Sorseggiarono Ga tan, zuppa di pollo vietnamita. Poi Devi parlò.

«Anche mio figlio ebbe un'educazione cattolica» disse. «Ma quando diventò grande dentro di lui non rimase traccia di quegli insegnamenti. Un residuo di fede si rivelò essere soltanto uno spazio vuoto.»

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«Non è successo soltanto a tuo figlio» disse Julian. «Anch'io ho vissuto così gran parte della mia vita di adulto. Ho avuto un'educazione abbastanza religiosa, che ho cercato di lasciarmi alle spalle quando sono andato al college. Nella famiglia di mio padre erano tutti cattolici ferventi, ma mia madre è sempre stata una luterana norvegese. A parte la mia ricerca quasi costante di risposte per gli enigmi irrisolvibili della vita, mi sono sempre sentito più simile a lei che ai miei parenti dei dia de los muertos. Frequentai una scuola laica con altri ragazzini che la pensavano come me. Sentir menzionare la chiesa ci faceva alzare gli occhi. Parlavamo di videogiochi, football, boxe, musica, film e ragazze. Dio non faceva parte del nostro linguaggio, con l'eccezione delle bestemmie. Finché non conobbi Ashton. Lui non andava in chiesa, ma aveva fede.»

Devi annuì. «Anche mio figlio» disse. «Un ragazzo come tanti, cresciuto a Londra, che non ascoltava suo padre. Voleva diventare un fotografo. Io pensavo fosse una frivolezza. Lui pensava che fossi disperatamente all'antica, lo mettevo in imbarazzo. Dopo la morte di sua madre, si diede alle feste.»

Julian annuì; anche Ashton, eccetto la parte che riguardava il padre. Il padre aveva lasciato la famiglia, si era rifatto una vita in Inghilterra e non era tornato dal figlio, nemmeno dopo la morte della madre di Ashton, che era passato da una casa famiglia all'altra fino alla UCLA.

«Ora come allora, è difficile capire se un uomo sia credente o no, basandosi sulla sua vita e le sue azioni» disse Devi. «Il credo e gli insegnamenti religiosi sono così lontani dalla vita quotidiana. Un uomo può vivere una settimana, poi un'altra e presto tutta la sua esistenza, senza incontrare Dio nei suoi rapporti con se stesso e le altre persone.»

«Forse quando viene creata una nuova vita?»

«Nonostante le esclamazioni indispensabili tipo oh mio Dio, spesso nemmeno in quel momento» rispose Devi. «L'unico momento in cui l'uomo viene in contatto con la sua fede o la mancanza di essa è quando la vita finisce.»

Julian chinò la testa.

«Puoi concepire senza Dio» continuò Devi. «Puoi partorire, sposarti, vivere ogni domenica, ogni venerdì santo, ogni giorno senza Dio, ma è difficile affrontare la morte senza Dio, in particolar modo

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per chi continua a vivere. Non sappiamo cosa facciano i morti quando la porta si chiude e il buio, o la luce, li inghiotte. Ma sappiamo cosa facciamo noi vivi quando dobbiamo occuparci della loro sepoltura, dei rituali, del funerale, della commemorazione. Per noi è difficile. Un uomo muore in modo pacifico in ospedale. A volte la sua famiglia è presente, altre volte no. Spesso un sacerdote non c'è, perché l'uomo non ne conosce nessuno e non è mai stato in chiesa, quantomeno non volontariamente. Dopo un po' di andirivieni medico, il corpo è portato via. L'impresario delle pompe funebri lo porta in un posto in cui la maggior parte delle persone entra di rado e il corpo resta là per qualche ora, oppure giorni o settimane, finché la famiglia decide se seppellirlo o cremarlo. Ultimamente la cremazione è l'opzione più popolare, dal momento che consente al corpo di tornare cenere senza troppa enfasi teologica. Una volta conoscevo un uomo che stabilì da solo come sarebbe stato il suo funerale. Morì da solo a Dover e, quando i suoi figli arrivarono qualche giorno dopo, il suo corpo era già stato cremato.»

«Come lo sai?»

«Andai a Dover e rimasi un po' con lui prima che morisse» rispose Devi. «I suoi figli non mi conoscevano. Ricevettero una scatola di cartone con le ceneri del padre e un'altra con i suoi ultimi effetti personali. Gli occhiali da lettura comprati in farmacia, il cellulare usa e getta. L'orologio Timex che possedeva dagli anni settanta. Il portafogli vecchio di trent'anni, in cui aveva una banconota da diedi sterline, il tesserino sanitario, una carta di credito, la patente quasi scaduta e una vecchia rivista sulle aquile. E basta. I figli tennero le ceneri e buttarono l'altra scatola nella spazzatura mentre uscivano. Non ci furono funerale, commemorazione, veglia, cena. Forse loro andarono in un pub a bere qualcosa, non lo so. Nessuno pronunciò parole laiche per ricordare a qualcuno la vita dell'uomo, perché fosse vissuto, cosa significasse, chi l'avesse amato. Non ci fu niente.»

«Perché me lo dici?» chiese Julian.

«È così che muori senza Dio» disse Devi. «In modo anonimo. Ma non è così che visse Ashton. E non è così che è morto.»

Julian scoppiò a piangere.

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LA FINE DEL TEMPO di Paullina Simons

Julian ha perso quello che ha sempre amato ed è ormai quasi fuori dal tempo. La sua vita e la sua lotta contro il destino gli offrono un'ultima occasione di fare l'impossibile e salvare la donna a cui è indissolubilmente legato. Insieme, Julian e Josephine combattono contro un'implacabile forza oscura che minaccia di distruggerli. Sarà una lotta che porterà via loro tutto ciò che sono e tutto ciò che hanno, mentre cercano ancora una volta di restituirsi reciprocamente le loro vite. Il tempo sembra esaurirsi per i due amanti, ma Julian è disposto a qualunque cosa per Josephine...

DOPO LA SCORSA NOTTE di Mhairi McFarlane

Eve, Justin, Susie e Ed sono amici da quando avevano diciotto anni. Ora ne hanno trenta, sono uniti come allora, la serata quiz del giovedì sera resta intoccabile e Eve è ancora segretamente innamorata di Ed. Ormai avrebbe dovuto andare avanti, ma non riesce a smettere di chiedersi come sarebbe potuta andare. E sa che anche Ed a volte ci pensa. Poi, una notte, in un solo istante, le loro vite cambiano per sempre. E mentre Eve scopre di non conoscere i suoi amici quanto pensava, scopre anche di non essere l'unica ad avere segreti...

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