Hra10 la verità su di noi

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KRISTAN HIGGINS

LA VERITÀ SU DI NOI traduzione di Luigi Bertolini


ISBN 978-88-6905-079-4 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: If You Only Knew HQN Books © 2015 Kristan Higgins Traduzione di Luigi Bertolini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HC febbraio 2016


La veritĂ su di noi


Dedica

A Shaunee, Jennifer, Karen e Huntley, con un grazie di cuore per le risate, il vino e, soprattutto, l’affetto.

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Jenny Oggi è uno di quei giorni in cui mi rendo conto che mantenere un rapporto di amicizia con il mio ex marito è stato un grave errore. Sono alla festa in onore di Ana-Sofia, che dovrebbe partorire tra qualche giorno. È la moglie di Owen, la donna che ha preso il mio posto. Sono seduta accanto a lei, un posto d'onore nella cerchia di amici e parenti che sprizzano gioia da tutti i pori. Probabilmente non sono da meno. Anzi, forse sono anche peggio, con quel sorriso "non è meraviglioso?, è uno splendore" che dispenso al lavoro, soprattutto quando le mie future spose fanno le difficili, o le loro madri diventano troppo critiche e le damigelle d'onore schiattano d'invidia. Ma questo, il sorriso delle feste in cui si celebrano mamma e figlio in arrivo, è davvero qualcosa di speciale. So che essere qui oggi ha un che di patetico, me ne rendo perfettamente conto. È solo che non volevo sembrare scortese e risentita – anche se risentita lo sono davvero, almeno un po'. Dopotutto, ero io quella che sognava di avere un figlio. Ma ogni volta che sollevavo la questione, Owen diceva di non essere sicuro che fosse il momento giusto, e che la nostra vita andava bene com'era. Proprio così. Non era vero, come si è visto. Però siamo rimasti amici. Comunque, venire qui oggi... patetico. Ciò detto, stamattina mi sono svegliata con una gran fame, e sapevo che alla festa il cibo sarebbe stato squisito. A-

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na-Sofia è un tipo che riempie le persone. E poi sto per trasferirmi fuori città, e così, nelle ultime tre settimane, ho cercato di dare fondo a tutto il cibo che avevo in casa. Per tacere del fatto che non sapevo quale scusa plausibile inventare. No, meglio fare la figura del pesce fuor d'acqua qui che restarmene sola a casa a sgranocchiare un pacco di crackers scaduti. Ana-Sofia apre il mio regalo, impacchettato in una carta natalizia, anche se siamo in aprile. Liza, che fa gli onori di casa, mi guarda in cagnesco. Quei babbi natale rossi e verdi che bevono cioccolata sono un insulto all'atmosfera della festa. Del resto Liza era stata chiara nel suo invito. Allo scopo di creare un ambiente sereno e armonioso per AnaSofia, nella scelta del vestito e della confezione dei regali siete pregati di attenervi a tonalità di colore albicocca e salvia. Solo a Manhattan possono chiederti una cosa simile. Mi sono messa un vestito viola per fare un dispetto a Liza, che un tempo era mia amica ma ora posta ogni giorno su Facebook che gioca a League of Legends con la sua migliore amica, Ana-Sofia. «Oh, ma è un amore! Grazie, Jenny! Ehi, guardate qui. È bellissimo!» Ana-Sofia solleva in aria il mio regalo e parte un coro di mormorii ed esclamazioni, accompagnato da qualche sguardo truce perché il mio è il regalo più bello. Rispondo inarcando le sopracciglia. Beccatevi questo, stronzette. In realtà quel regalo l'avevo rimediato la sera prima, perché mi ero completamente dimenticata di comprarne uno, ma loro non sono tenute a saperlo. È una coperta di raso bianco con foglie, alberi e uccelli ricamati. Mi ci sono volute solo due ore a farla. Nessuna fatica. Mi guadagno da vivere cucendo, faccio abiti da sposa. Ironia della sorte. «Non potevi comprare un animaletto di peluche, come a-

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vrebbe fatto una persona normale?» mormora qualcuno di fianco a me. È Andreas – Andrew, propriamente – il mio assistente, l'unico maschio presente alla festa. Gay, ovviamente – vorreste forse che un etero si occupi di abiti da sposa? E poi, lui odia e ha paura dei bambini, cosa che lo rende il mio accompagnatore ideale in una circostanza come questa. Avevo bisogno di un alleato. Ho già detto che la festa si svolge nell'appartamento che dividevo un tempo con Owen? Dove, per quanto posso dire, siamo stati felici? Sì, Liza fa gli onori di casa, ma il fatto è che nel suo appartamento è saltata la corrente, grazie a un branco di maldestri operai che le stanno sistemando un nuovo top di cristallo in cucina – il granito è ormai roba del secolo scorso. Ecco perché siamo qui. Liza suda e fa un gran casino, è preoccupata di come sarà giudicata, e la si può capire. Siamo nell'Upper East Side, dopotutto. Il giudizio degli altri è ciò che più conta. I regali – compreso il mio – sono quasi ridicoli. Nell'invito – stampato da uno dei migliori fornitori del Paese – si chiedeva, per espressa richiesta dei genitori, di fare una donazione a Gushing.org, l'associazione no profit fondata da AnaSofia per la pulizia e il mantenimento dei pozzi d'acqua in Africa – e gushing vorrà pur dire zampillante, ma a me fa venire in mente delle mestruazioni dolorose. Così, abbiamo tutti mandato un sostanzioso assegno, anche se poi ognuno ha cercato di superare gli altri con un regalo. C'è anche uno di quei mobile di Calder. E un'edizione del 1918 dei racconti di Mamma Oca. Per non parlare di un orsacchiotto di mohair che deve costare come l'affitto del mio ex (fra poco) appartamento al Village. Lascio scorrere lo sguardo sull'interno di questa casa, ora squisitamente arredata. Quando ci abitavo io, era più accogliente e meno convenzionale – poltrone grandi e comode, decine di foto delle mie tre nipoti, le tende e gli arazzi di Target, il regno del colore e dell'allegria per il ceto medio.

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Adesso invece ci hanno messo tutta roba di gusto, con maschere africane appese alle pareti, per ricordare a tutti l'attività di Ana-Sofia, e quadri originali provenienti un po' da tutto il mondo. I muri hanno quei colori neutri e scialbi dai nomi accattivanti – Nebbia d'ottobre, Crema di Birmingham, Blu ghiaccio. C'è anche una foto del loro matrimonio. Sono scappati, una fuga d'amore, e così, grazie a Dio, non ho dovuto parteciparvi – né tanto meno confezionarle il vestito, cosa che avrei fatto se me lo avesse chiesto, perché sono ancora piuttosto comprensiva e generosa quando si tratta di Owen, e in cuor mio non sento di avere divorziato. Benché sia stata fatta dal giudice di pace del Maine, quella foto è perfetta. Gli sposi sorridono, senza guardare direttamente l'obiettivo, e i capelli di Ana fluttuano leggeri nella brezza marina. Il New York Times l'ha pubblicata nel domenicale. Sono davvero la coppia perfetta. Una volta eravamo io e Owen, e se anche non ambivo alla perfezione penso che eravamo comunque una gran bella coppia. Non abbiamo mai litigato. Mia madre pensava che, essendo Owen mezzo giapponese, era meglio di "quei sempliciotti" che frequentavo – e che speravo di sposare prima o poi, a cominciare da Nico Stephanopolous in terza media. «I giapponesi non credono nel divorzio» disse la mamma quando glielo presentai. «Vero, Owen?» Lui si disse d'accordo, e io vedo ancora quel suo eterno, dolce sorriso, il dottor Sorriso Perfetto, come lo chiamavo. È la sua tipica espressione di riposo. Molto rassicurante per i suoi pazienti, immagino. Owen è un chirurgo plastico, di quelli che ti risistemano il labbro leporino e ti tolgono le macchie della pelle, cambiandoti la vita. Ana-Sofia, che viene dal Perù e parla cinque lingue, lo ha conosciuto undici settimane dopo il nostro divorzio in Sudan, dove lui era in missione per Medici Senza Frontiere, come fa ogni anno, e lei scavava pozzi artesiani.

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Io invece disegno e confeziono abiti da sposa, anche se credo di averlo già detto. Che non è una cosa frivola, come può sembrare. Perché consento alle donne di avere l'aspetto che hanno sempre sognato in uno dei più bei giorni della loro vita. Le faccio piangere di gioia quando si vedono allo specchio. Do loro l'abito a cui hanno pensato per anni, l'abito che indosseranno quando impegneranno il loro cuore, l'abito che daranno un giorno alle figlie, l'abito che simboleggia tutte le loro speranze e il sogno di un futuro felice e sfavillante. Però, a confronto con ciò che fanno Owen e la sua seconda moglie, devo ammettere che il mio è un lavoro incredibilmente frivolo. In teoria, dovrei odiarli entrambi. No, non ha barato con lei. È un tipo troppo onesto per questo. Comunque, la ama. Evidentemente potrei odiarlo perché ama lei e non me. Non fraintendetemi. Avevo il cuore infranto. Ma non posso odiare Owen, o Ana-Sofia. Sono maledettamente troppo carini, in un modo perfino irriverente. Ed essere amica di Owen è meglio che rimanere completamente senza Owen. La coperta ha fatto il giro dei presenti suscitando l'ammirazione generale. Adesso è tornata nelle mani di Ana-Sofia, che la accarezza teneramente e poi mi guarda con le lacrime agli occhi. «Non trovo le parole per dirti cosa questo significhi per me.» Oh, taci, vorrei risponderle. Mi sono dimenticata di comprarti un regalo e ieri sera mi sono inventata questa cosa con un po' di raso che mi era rimasto in casa. Non è niente di speciale. «Non ti preoccupare» dico invece. In presenza di Ana-Sofia non riesco a essere sempre sincera e finisco col fare la figura della stupida. Andreas mi offre un altro pasticcino. Forse dovrei dargli un aumento. «Sono così entusiasta del tuo nuovo negozio» prosegue Ana. «Proprio ieri sera dicevamo con Owen quanto sei brava.»

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Andreas mi lancia un'occhiata eloquente e fa roteare gli occhi. Odiare Ana-Sofia e Owen per lui non è un problema, e lo capisco. Sorrido e bevo un altro sorso di mimosa, preparato con arance rosse e un ottimo champagne. Se mai rimarrò incinta, cosa sempre meno probabile, immagino che avrò il poco invidiabile sguardo che aveva mia sorella quando covava i suoi tre gemelli. Scialbo e spento. Vedevi solo l'acne sul suo volto. Delle smagliature impressionanti, come se fosse stata aggredita da una tigre del Bengala. Si faceva di pastiglie antiacido e ruttava in continuazione, ma non si lamentava mai, che è una cosa tipica di Rachel. Ana-Sofia è raggiante. La sua pelle olivastra non ha un difetto, è liscia, non se ne vedono i pori. Ha due tette fantastiche, e benché incinta di otto mesi e mezzo, ha un ventre rotondo e poco marcato. E le caviglie sottili. La vita è ingiusta. «Abbiamo appena scoperto che un compagno di classe di nostra figlia è anche suo fratellastro» dice la donna più alta della Coppia Lesbica n. 1. Una di loro è da poco diventata partner di Owen nel suo ambulatorio, ma non ne ricordo il nome. «Pensa se non fosse mai venuto fuori! Senza saperlo, avrebbe potuto innamorarsi del suo fratellastro! Magari sposarlo! La clinica della fertilità ha distribuito quattordici campioni dello sperma di quel donatore. Abbiamo deciso di fargli causa.» «È meglio che adottare» dice un'altra donna. «Sapete cosa è successo a mia sorella? Lei e suo marito hanno dovuto restituire il loro figlio dopo che ha dato fuoco al soggiorno per la quarta volta.» «È successo anche di peggio. Mio cugino ha adottato un bambino, poi la madre biologica è uscita dal centro di recupero e il giudice le ha restituito la custodia del figlio. Dopo due anni, per di più.» Un altro gruppo di invitate sta discutendo animatamente su chi abbia avuto la gravidanza e il parto più faticosi. «Io

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stavo per morire» dice orgogliosamente una donna. «Ho guardato mio marito e gli ho detto che lo amavo, poi ricordo solo il crash trolley...» «A me le doglie sono durate tre giorni» afferma un'altra. «Mi sembrava di essere un animale selvatico per come cercavo di artigliare le lenzuola.» «Io, invece, parto cesareo d'emergenza con otto settimane d'anticipo, e senza anestesia» dice un'altra con una certa fierezza. «Mia figlia pesava meno di un chilo. Quindi, cinquantasette giorni di terapia intensiva neonatale.» E così abbiamo una vincitrice! Le altre mamme le lanciano un'occhiata risentita. La conversazione a quel punto si sposta sulle allergie alimentari, i vaccini, il "lettone" e la preoccupante mancanza di seri programmi pre-scolari per bambini dotati. «Divertente» dico sommessamente ad Ana-Sofia. «Molto» risponde lei. L'ironia non è il suo forte. «Mi fa così piacere che tu sia venuta, Jenny. Ti ringrazio per averci concesso il tuo pomeriggio! Devi essere molto occupata con il trasloco.» «Stai traslocando?» chiede una sua amica, molto bella e molto perbene. «Dove?» «A Cambry-on-Hudson» rispondo. «È lì che sono cresciuta. Mia sorella e la sua famiglia sono...» «Oh, mio Dio, lasci Manhattan? Dovrai comprarti una macchina. Ci sono ristoranti là? Non potrei vivere senza lo Zenyasa Yoga.» «Frequenti ancora lo Zenyasa?» dice qualcuna. «Io sono andata oltre. Per me adesso non c'è che il Bikram Hot. La settimana scorsa ci ho visto Neil Patrick Harris.» «Io invece ho smesso con lo yoga» dice una bionda esaminando un lampone. «Mi sono iscritta a una palestra su Amsterdam Avenue dove si fa solo pedana elastica. È stata Sarah Jessica Parker a parlarmene.» «E col brunch, come la metti?» mi chiede una con aria se-

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riamente preoccupata. «Dove lo fai il brunch se te ne vai da Manhattan?» «Credo che fuori da Manhattan il brunch sia illegale» rispondo gravemente. Nessuno ride. Forse pensano che io stia dicendo la verità. Ora, diciamolo, io amo Manhattan. Parafrasando la canzone, se ce la fai qui, il resto del mondo è una passeggiata. E io qui ce l'ho fatta – come Vera Wang, se vogliamo. I miei abiti sono in vendita al Kleinfeld Bridal e mi hanno dato da vivere per quindici anni. Quando frequentavo i corsi del Parsons sono stata nominata Stilista dell'Anno. E sono stata non a uno, ma a due party in casa dello stilista Tim Gunn, che mi ha salutata chiamandomi per nome – sì, lo confermo, è proprio simpatico e gentile come sembra. Ma se amo questa città – i suoi rumori, i suoi edifici e i suoi odori, la sua metropolitana e il suo skyline – nel più profondo del cuore sogno di avere un giardino. Voglio vedere più spesso le mie nipoti. Voglio il "per sempre felici e contenti" che mia sorella ha conquistato alla grande, e che sta per spalancarsi davanti al mio ex marito e alla sua squisita mogliettina. Spero solo di muovermi verso qualcosa, non semplicemente via da qualcosa. La verità è che recentemente mi sono un po' disamorata del mio lavoro. Cambry-on-Hudson è una bella cittadina a circa un'ora di macchina da Manhattan. Ci sono dei ristoranti eccellenti – alcuni dei quali, pensate un po', servono anche il brunch. In centro si trovano alberi da fiore, un parco, un cinema e un negozio di Williams-Sonoma. Non è affatto Terzo Mondo, come forse pensano queste signore. L'ultimo ad avere aperto qui è Bliss: abiti da sposa su misura. Il cellulare mi avvisa che ho ricevuto un messaggio. È di Andreas, che nel frattempo si è messo gli auricolari per non sentire tutte quelle storie di dotti lattiferi ostruiti e capezzoli sanguinanti.

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Guarda il naso della prozia. Spero che la bambina lo erediti. Gli lancio un sorriso riconoscente. «Avete sentito di quell'ostetrico che ha fatto da padre a cinquantanove bambini?» chiede una. «Era in una puntata di Law & Order.» «Sì, ma era tutto ripreso dalle prime pagine dei giornali» sussurra un'altra. «Una mia coinquilina era sua paziente.» «Oh, mio Dio!» esclama Ana-Sofia. Mi giro verso di lei. Ha un'aria vagamente spaventata. «Probabilmente non è vero» le dico. «No... È che... credo mi si siano rotte le acque.» Silenzio generale, poi un boato. Vi risparmio i dettagli. Basti dire che, pur essendoci una dozzina di mamme che sgomitano per essere in prima fila, è la mia mano quella a cui Ana-Sofia si aggrappa. «Oh, Jenny, sta per succedere» dice. «Sento qualcosa.» Ha gli occhi sgranati e pieni di terrore – quei suoi splendidi occhi castani – così l'aiuto a sdraiarsi sul pavimento e mi accuccio fra le sue cosce ancora magre. Sembra che stia facendo un po' di scena. Le tolgo il tanga – si fa ancora la ceretta all'inguine, per vostra informazione – e, santa Madre benedetta, scorgo la testa. Frugo nella borsa in cerca del gel igienizzante (se prendi la metropolitana tutti i giorni non puoi farne a meno) e me ne spalmo un po' sulle mani. «Andate a prendere degli asciugamani e state calme!» grido alle altre invitate. So come comportarmi nelle emergenze. Liza mi porge una pila di asciugamani – morbidissimi ma votati alla rovina, con tutto quello che una donna produce durante un parto. «Lascia che ti aiuti» guaisce. Potrebbe venirne fuori uno splendido post su Facebook. Ho appena fatto nascere il figlio della mia grande amica, nientemeno! Con Ana-Sofia Marquez-Takahashi. «Devo spingere» dice Ana ansimando, e spinge una, due,

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tre volte, finché appare un volto – una creatura viva! Che viene alla luce fra le mie mani! Un'altra spinta e la tengo, è tutta viscida e coperta di una sostanza bianca e vischiosa mista a sangue. Ma è una meraviglia. Capelli scuri, grandi occhi. Un miracolo. La estraggo delicatamente e la poso sul petto di Ana. «È una femmina» dico, coprendola con un asciugamano. Sembra che siano passati appena pochi secondi quando irrompono i pompieri, e io mi faccio subito delle fantasie – il capo dei pompieri è ammirato dalla mia prontezza e dalla mia abilità, mi fa lo screening e poi mi invita a cena con il più bell'accento di Brooklyn che si sia mai sentito. Contrae i bicipiti in modo ipnotico, e alla fine – sì, proprio così – mi solleva in aria per dimostrarmi con quanta facilità potrebbe salvarmi la vita; poi, dopo qualche anno, abbiamo tre figli sani e robusti, e due gemelle in arrivo. Più un dalmata. Ma non va esattamente così. I pompieri rivolgono tutt'intera la loro attenzione ad Ana-Sofia – com'è giusto che sia, immagino, per quanto non sarebbe male se uno di loro mi desse un'occhiata interessata. Qualcuno taglia il cordone ombelicale, e Ana piange meravigliosamente su sua figlia, mentre Liza le tiene il cellulare all'orecchio perché anche il mio ex marito possa commuoversi e dichiarare tutto il suo amore e la sua ammirazione alla donna che ha appena battuto il record di velocità in doglie e parto. Sento Andreas in preda a conati di vomito nell'ingresso raffinatamente dipinto in colori pastello. Sento i gridolini di gioia delle ospiti, e quei muscolosi pompieri che esprimono ad Ana tutta la loro ammirazione, e le fanno i complimenti per la bambina. Sembra proprio che io stia per abbandonare la città appena in tempo.

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