MHAIRI MCFARLANE
NON SONO IO, SEI TU... traduzione di Maddalena Milani
ISBN 978-88-6905-049-7 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: It's Not Me It's You HarperCollins Publishers Limited, UK © 2014 Mhairi McFarlane Traduzione di Maddalena Milani Illustrazioni © Chris King Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione HM ottobre 2015
Non sono io, sei tu...
A Tara, una delle donne pi첫 eroiche che io conosca.
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Ann arrivò ciabattando con le sue pantofole a forma di zampe di King Kong. Aveva uno yogurt, un cucchiaino e un'espressione decisamente infastidita. «È tua quella roba nel contenitore Tupperware con il coperchio blu?» Delia batté le palpebre. «In frigo?» precisò Ann. «Sì.» «Puzza. Che cos'è?» «Gamberi al chili. È una ricetta marocchina. Sono gli avanzi della cena di ieri.» «Be', la puzza è penetrata nel mio yogurt greco Müller. Potresti evitare di portare al lavoro dei cibi così aggressivi?» «A me sembrava solo un aroma deciso.» «È come i tramezzini all'uovo sul treno. Sul treno sono vietati. O gli hamburger sugli autobus.» «Davvero?» Era leggermente surreale sentir criticare le proprie scelte alimentari da una donna con i piedi da scimmione. Ann portava quelle pantofole per via di un grave caso di doppio alluce valgo. A guardarli, sembrava che i suoi piedi si detestassero. «Già. E Roger ti vuole parlare» concluse Ann. Tornò al proprio posto, depose lo yogurt contaminato e riprese a scrivere al computer, pestando sulla tastiera come per crivellarla di colpi. Nell'impeto, la sua chioma 11
tinta di nero violaceo tremava tutta. Tra sé e sé, Delia chiamava quella tonalità frittelle di melanzana. Ann presidiava il frigorifero dell'ufficio con un'assiduità agghiacciante. Pur essendo in post-menopausa, metteva il latte parzialmente scremato che si portava da casa in un contenitore con l'etichetta LATTE MATERNO, per tenere lontani i ladri. Era una di quelle donne che, chissà come, riuscivano a combinare un sentimentalismo eccessivo e un'aggressività esagerata. Sulla scrivania teneva un quadretto su cui era ricamato a punto croce un passo della Lettera ai Corinzi sull'amore, e accanto a esso un rendiconto minuzioso di chi aveva prelevato quanto dalla cassa comune dell'ufficio. Lo scorso Natale, aveva regalato a Delia un allarme antistupro. Delia si alzò e si avviò verso la scrivania di Roger. La vita nell'ufficio stampa del Comune di Newcastle non era particolarmente ricca di stimoli. La graziosa visuale di cui si godeva dalle finestre era oscurata da veneziane attorcigliate di un color porridge che sembrava scelto apposta per farle sembrare sporche anche quando erano pulite, tanto per risparmiare sui costi di pulizia. Malconce piante di falangio penzolavano dagli scaffali come se fossero morte durante un tentativo di fuga. Le crude luci gialle infisse nel soffitto di polistirolo davano l'impressione di essere tornati al 1972. Delia andava abbastanza d'accordo con il resto del personale, formato per lo più da tranquilli ultraquarantenni, ma la postazione di Ann si interponeva tra lei e gli altri come una sorta di Muro del Pianto. Qualsiasi conversazione condotta da una parte all'altra di Ann veniva inevitabilmente intercettata. Delia attraversò l'ufficio e raggiunse la scrivania di Roger, situata all'estremità opposta. «Ah, Delia! In qualità di nostra esperta di social media nonché detective ufficiale, ho una piccola indagine 12
da affidarti» disse lui, passandole alcuni fogli A4 stampati. Delia non era entusiasta di sentirsi ribattezzare detective ufficiale solo perché aveva scoperto che il tanfo costante nel bagno delle signore era stato causato da uno stagista insoddisfatto e misogino che aveva pensato bene di defecare nella cisterna di uno dei wc. Era stata un'epifania di cui Delia avrebbe volentieri fatto a meno. Roger intrecciò le dita e trasse un profondo, teatrale respiro. «Pare che ci sia un goblin.» Delia esitò. «Intendi una talpa?» «Come si chiama una persona che usa Internet con l'espresso intento di infastidire gli altri?» «Uno stronzo?» suggerì Delia. Roger fece una smorfia. Era allergico alle parolacce. «No, parlo di un piantagrane elettronico... tipo un cyborg.» «Un robot?» disse Delia, incerta. «No! Volevo dire del cyberspazio.» «Uno che insulta la gente online... Un troll?» «Ecco! Un troll!» Delia esaminò i fogli stampati. Erano storie di interesse puramente locale, notizie riguardanti il Comune e pubblicate sul quotidiano cittadino. Niente di sconvolgente, come al solito. «Dunque, questa persona si diverte a nascondersi dietro lo pseudonimo Peshwari Naan e a creare scompiglio tra i commenti agli articoli online del Chronicle» disse Roger. Delia esaminò di nuovo il foglio. «Non possiamo ignorarlo? Voglio dire, ci sono un sacco di troll online.» «Normalmente è quello che faremmo» disse Roger, tenendo davanti a sé una penna in posizione orizzontale come un funzionario dei servizi segreti durante una riunione di briefing. 13
Prendeva il suo lavoro molto sul serio. O meglio, Roger non prendeva nulla alla leggera. «Ma si tratta di commenti di natura particolarmente vessatoria. Questo tipo si inventa delle false dichiarazioni, spacciandole per dichiarazioni rilasciate dagli assessori. Prende in giro gli assessori, ne danneggia la reputazione e fa deragliare il dibattito sulla base di affermazioni false. Gli altri partecipanti sono involontariamente risucchiati nel suo vortice di menzogne. Guarda qui, per esempio.» Batté il dito su un foglio posto sulla scrivania: un recente articolo del Newcastle Chronicle. Delia lesse il titolo a voce alta. «Il Comune dà l'okay al locale di lap-dance.» Roger prese il foglio. «Se guardi i commenti sotto l'articolo, il nostro estimatore del cibo indiano dichiara...» Inforcò gli occhiali. «Non c'è da stupirsene, visto che, nella seduta dello scorso 4 novembre, l'Assessore John Grocock ha annunciato: "Sarò il primo a mettere le mie manacce pelose su tutte quelle tette ballonzolanti".» Delia rimase a bocca aperta. «L'ha detto l'Assessore Grocock?» «No!» disse Roger con fare irritato, togliendosi gli occhiali. «Ma come puoi vedere qui di seguito, questa falsa premessa ha scatenato un futile dibattito sulle inclinazioni dell'Assessore Grocock, con suo ovvio scontento. Sua moglie è socia del Rotary.» Delia cercò di non ridere, ma non seppe più trattenersi quando Roger aggiunse: «E, ovviamente, aver scelto proprio l'Assessore Grocock ha scatenato una valanga di infantili doppi sensi sul suo cognome. La tua missione è trovare questo buontempone e dirgli nel modo più persuasivo possibile di smetterla». Delia cercò di riguadagnare un po' di autocontrollo. «E non abbiamo altro da cui partire se non i suoi commenti sul sito del Chronicle? Come fai a sapere che si tratti di un lui?» 14
«Credimi, so riconoscere questo umorismo goliardico.» Delia dubitava che Roger fosse in grado di distinguere l'umorismo da una scarpa, da un cetriolo o da un deodorante per ambienti. «Usa tutti i tuoi contatti, fai leva sulla tua influenza» aggiunse Roger. «Ricorri a qualsiasi mezzo, lecito o illecito. Dobbiamo fermarlo.» «Sei sicuro che abbiamo anche solo il diritto di chiedergli di smetterla?» «Minaccia di fargli causa per diffamazione. Be', prima cerca di farlo ragionare. La cosa fondamentale è aprire il dialogo.» Interpretando quella risposta come un no, non abbiamo alcun diritto di chiedergli di smetterla, Delia si congedò educatamente e tornò al proprio posto. La caccia al troll era molto più interessante che scrivere un comunicato stampa sulla nuova fontana della stazione metro di Haymarket. Delia passò in rassegna altri esempi dell'operato di Peshwari Naan. Mr. Naan sembrava conoscere molto bene l'ambiente del Comune, e aveva parecchio da ridire a riguardo. Giocherellò con la cornetta del telefono. Come minimo poteva consultare Stephen Treadaway. Stephen era un giornalista del Chronicle. Aveva un po' più di vent'anni, ma affogato nei suoi completi troppo grandi ne dimostrava circa dodici, e aveva uno strano atteggiamento sciovinista del tutto fuori moda che, secondo Delia, doveva aver copiato dal padre. «Deliziosa Delia! Cosa posso fare per te?» le chiese lui, dopo che il centralino ebbe trasferito la chiamata. «Dovrei chiederti un favore» disse Delia, nel suo tono di voce più mellifluo. Dio, a volte lavorare nell'ufficio stampa significava dover calpestare il proprio orgoglio. «Un favore. Bene, bene. Dipende da quel che sei disposta a fare per me in cambio.» Stephen Treadaway era senz'altro un buontempone. 15
Forse era addirittura quello che Roger avrebbe definito una gran testa di... rapa. «Ah, ah» rise Delia, restando sul diplomatico. «Il fatto è che abbiamo un problema con un certo Peshwari Naan sulle vostre bacheche dei commenti.» «Non è affar nostro.» «Invece sì, visto che sono sul sito del vostro giornale.» Seguì una pausa. «Questa persona pubblica un sacco di bugie sul Comune. Non ce l'abbiamo con voi, vorremmo solo un indirizzo e-mail a cui rivolgerci.» «Ah, impossibile. È confidenziale.» «Non potresti almeno dirmi con quale e-mail si è registrato? Probabilmente sarà qualcosa di anonimo, tipo riso.basmati@hotmail.com.» «Spiacente, dolce Delia. Legge sulla privacy e via dicendo.» «Non è quello che la gente dovrebbe dire a te?» «Ah, ah! Dieci punti a Grifondoro! Potresti fare la giornalista.» Delia farfugliò qualche convenevole a denti stretti prima di riagganciare. Lui aveva ragione: non poteva darle quell'indirizzo e-mail. Non le piaceva essere nel torto, quando c'era di mezzo Stephen Treadaway. Provò a cercare su Google PeshwariNaan scritto tutto attaccato, ma non ottenne altro che una sfilza di ricette di cucina indiana. Riprovò con varie combinazioni tra Peshwari Naan e Comune di Newcastle, ma ne ricavò solo delle pessime recensioni su TripAdvisor e uno strano blog inaccessibile. Se in un primo momento la sfida l'aveva stimolata, adesso aveva tutta l'aria di essere diventata una missione impossibile. Avrebbe potuto pubblicare un messaggio in bacheca, chiedendo espressamente a Peshwari Naan di contattarla, ma non era certo il modo più discreto di gestire quella crisi. 16
Si trattava poi davvero di una crisi? Peshwari era intraprendente, ma non poi così pericoloso. Facendo scorrere i vari articoli del Chronicle, Delia notò che la maggior parte dei lettori stava allo scherzo, ricambiando con battute altrettanto sciocche. Sotto un pezzo intitolato Rivolta contro la raccolta dei rifiuti, con l'accusa che attirasse i topi, Peshwari aveva scritto che l'Assessore Benton si era messo a cantare Rat in Mi Kitchen degli UB40. Delia ridacchiò. «Qualcosa di divertente?» chiese Ann, fissandola con sospetto. «È solo uno spiritoso sul sito del Chronicle. Roger mi ha chiesto di indagare.» «Vestito nuovo?» aggiunse Ann, ignorando la risposta di Delia. I suoi occhi fissavano con disapprovazione l'abito a libellule di Topshop che Delia indossava. Ann era dell'evidente opinione che gli outfit allegri e colorati di Delia fossero poco professionali. Con l'eccezione delle sue estrose ciabatte ortopediche, Ann sfoggiava dei look semplici e austeri. Delia portava abiti variopinti e svolazzanti, collant fantasia, ballerine e un soprabito color lampone. Ann scialbi pantaloni e camicette anonime. E piedi da gorilla. La gente definiva lo stile di Delia originale e raffinato. Lei ne era piacevolmente stupita, visto che quello stile era dettato da pura e semplice necessità. I jeans e il look androgino non si addicevano al suo fisico femminile e procace. Già prima di arrivare alla pubertà, Delia aveva capito che con i suoi capelli rossi era impossibile passare inosservata. E non erano di un tenue biondo rossiccio, ma di un fiammeggiante color ruggine. Li portava abbastanza lunghi, ma spesso legati, con una folta frangia, e dava risalto al candore perlaceo della sua carnagione applicando attorno agli occhi due ali di eyeliner 17
nero. Per via dei suoi occhioni sgranati e dei suoi abiti civettuoli, Delia veniva spesso scambiata per una studentessa della vicina università. Soprattutto quando andava al lavoro in sella alla sua bicicletta rossa. A trentatré anni, si compiaceva non poco di quell'equivoco. Delia tamburellò sulla scrivania con le dita. Aveva la netta sensazione che Peshwari fosse maschio, annoiato e sulla trentina. Nei suoi messaggi faceva spesso riferimento a canzoni e programmi televisivi che conosceva anche lei. Mmh. Quali altri siti bazzicava? Secondo l'esperienza di Delia, i più accaniti frequentatori delle bacheche online erano attivi su più fronti. Twitter? Iniziò a battere sulla tastiera. Eccolo lì. Beccato. Ebbene sì: con tanto di immagine del tipico pane indiano, sullo schermo era comparso un Peshwari. E nella sua bio si vantava di essere geordie, dunque era anche lui di Newcastle. Delia premette il tasto per la localizzazione GPS dei tweet, rivolgendo una preghiera a un Dio benevolo. I tweet erano stati inviati dalla rete e precisamente – BINGO! – da un caffè del centro chiamato Kikki e Kaffè. Un nome inquietante per gli amanti dell'ortografia e del buongusto, aveva sempre pensato Delia. Conosceva quel posto: Paul, il suo ragazzo, lo chiamava Cacche e Caffè. Facendo scorrere la timeline di Naan, notò che i suoi tweet erano solitamente pubblicati all'ora di pranzo e nei weekend. Chiunque fosse, lavorava in un ufficio dotato di firewall, ed era seccato e annoiato. Delia poteva ben capirlo. Il progetto Naan la tenne occupata per due ore, finché non scoccò l'ora che dava ufficialmente inizio al weekend. Il venerdì pomeriggio i livelli di produttività dell'ufficio non erano mai stratosferici. Perlomeno la destinazione della pausa pranzo del lunedì era già decisa. Un appostamento sarebbe stato un 18
bel diversivo rispetto alla solita routine. Per ora non ne avrebbe parlato a Roger: meglio non vantarsi prima di portare a casa il risultato. Avrebbe anche potuto scoprire che si trattava di un altro Naan. Delia andò in bagno a prepararsi per la serata. Quel giorno aveva lasciato a casa la bici ed era venuta in autobus. Si cambiò e indossò delle scarpe con un po' di tacco e una sottogonna a ruota stile anni '50 che si era portata da casa in un sacchetto di plastica. La estrasse, la scosse e se la infilò sotto l'abito elegante che aveva scelto per quella serata romantica. Il taffetà increspato color lavanda sbucava da sotto l'orlo e riprendeva il motivo del tessuto. Tornata tra i suoi colleghi e sentendosi a disagio, Delia corse a infilarsi il soprabito. Ma non fu abbastanza rapida da eludere l'occhio di falco di Ann. «Cos'hai addosso?» gracchiò. «L'ho preso da Attica, il negozio vintage» disse Delia, le guance in fiamme. «Sembri il paralume di un bordello spagnolo» commentò Ann. Delia sospirò, mormorò un: «Cavoli, grazie mille» e abbozzò un sorriso. Niente di ciò che accadeva tra le nove e le cinque aveva più importanza, quel giorno. Quel giorno l'unica cosa importante era la serata. La serata in cui la sua vita avrebbe preso una svolta, un piccolo cambio di direzione che l'avrebbe condotta su una nuova, più ampia strada.
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