SARAH MORGAN
LA PRIMA VOLTA PER SEMPRE traduzione di Fabio Pacini
ISBN 978-88-6905-077-0 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: First Time in Forever HQN Books © 2015 Sarah Morgan Traduzione di Fabio Pacini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HC febbraio 2016
La prima volta per sempre
Dedica
Dobbiamo liberarci dalla speranza che il mare possa mai calmarsi. Dobbiamo imparare a navigare col vento forte. Aristotele Onassis
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Era il posto perfetto per chi non voleva essere trovato. Una destinazione da sogno per gli amanti del mare. Emily Donovan odiava il mare. Fermò la macchina in cima alla collina e spense i fari. L'oscurità le si avvolse attorno, soffocandola come una pesante coperta di lana bagnata. Era abituata alla città, al profilo dei grattacieli illuminati, alle miriadi di luci capaci di trasformare la notte in giorno. Qui, su quest'isola scoscesa al largo della costa del Maine, c'erano solo la luna e le stelle. Niente folla, niente clacson, niente file di palazzi. Nulla all'infuori delle scogliere battute dalle onde, dei richiami dei gabbiani e dell'odore dell'oceano. La traversata in traghetto era stata breve, ma, non fosse stato per la bambina allacciata sul seggiolino di dietro, non l'avrebbe mai affrontata senza l'aiuto di un tranquillante. La ragazzina aveva ancora gli occhi chiusi, la testa inclinata di lato, le braccia serrate attorno a un malconcio orsacchiotto di peluche. Emily recuperò il cellulare e aprì silenziosamente lo sportello. Non svegliarti proprio adesso, per favore. Si allontanò di qualche passo e compose il numero. Le rispose la segreteria telefonica. «Brittany? Spero che tutto vada bene per te in Grecia. Volevo solo farti sapere che sono arrivata. Grazie ancora per avermi permesso di usare il cottage. Sono davvero... 9
molto...» Grata. La parola che stava cercando era grata. Inspirò a fondo e chiuse gli occhi. «Sono nel panico. Che diavolo ci faccio qui? C'è acqua dappertutto e io odio l'acqua. Questa è... be', è dura.» Lanciò un'occhiata alla bambina addormentata e abbassò la voce. «Sul traghetto voleva uscire dalla macchina, ma io le ho impedito di sganciarsi la cintura perché era impossibile che facessi una cosa simile. A proposito, il tizio dall'aspetto terrorizzante che lavora al porto probabilmente pensa che sono pazza, quindi la prossima volta che vieni da queste parti ti conviene fare finta di non conoscermi. Resterò fino a domani perché non ci sono alternative, ma poi prenderò il primo traghetto in partenza dall'isola. Vado da qualche altra parte. In un posto all'interno, tipo... tipo... il Wyoming, oppure il Nebraska.» Mentre finiva di parlare, un refolo di vento le scompigliò i capelli, riempiendole le narici con il profumo salmastro del mare. Compose un altro numero, sperimentando un moto di sollievo quando dall'altra parte sentì l'inconfondibile voce bassa, di gola, di Skylar. «Skylar Tempest.» «Sky? Sono io.» «Em? Che succede? Questo non è il tuo numero.» «Ho cambiato cellulare.» «Hai paura che possano rintracciare la chiamata? Dio mio, che storia eccitante!» «Eccitante? No, questo è un incubo.» «Come ti senti?» «Come se avessi voglia di vomitare, ma so che non lo farò perché non tocco cibo da due giorni. L'unica cosa che ho nello stomaco è un groppo di tensione nervosa.» «Hai i giornalisti alle calcagna?» «Non credo. Sono partita in macchina da New York e ho pagato tutto in contanti.» Spinse lo sguardo lungo la 10
strada, ma vide solo buio. «Come fanno le persone a vivere così? Mi sembra di essere una criminale. Prima non mi ero mai dovuta nascondere.» «Hai cambiato macchina per confonderli? Ti sei tinta i capelli di viola e hai comprato un paio di enormi occhiali da sole?» «No, ma tu cos'hai bevuto?» «Guardo un sacco di thriller. Non puoi fidarti di nessuno. Hai bisogno di un travestimento che ti faccia passare inosservata.» «Non passerò mai inosservata in un posto che si affaccia sul mare. Sarò l'unica ad andare in giro per il paese con addosso un giubbotto di salvataggio.» «Te la caverai benissimo.» Il tono ultra-fermo di Skylar stava lì a suggerire che non era affatto convinta di quello che diceva. «Riparto domani mattina.» «Cosa? Non puoi! Avevamo stabilito che il cottage fosse il nascondiglio più sicuro. Nessuno ti noterà in un'isola piena di turisti. Una destinazione da sogno per le vacanze.» «Quando una va in iperventilazione alla vista dell'acqua, non è un sogno, credimi.» «A te non succederà. Respirerai a pieni polmoni la salubre aria di mare e ti rilasserai.» «Non è necessario che io rimanga qui. La mia reazione è stata eccessiva. Non c'è nessuno che mi cerca.» «Sei la sorellastra di una famosissima star di Hollywood, che ti ha nominata tutrice di sua figlia. Se la notizia trapela, i media di tutto il mondo ti daranno la caccia. Hai bisogno di nasconderti e Puffin Island è il posto perfetto.» Emily rabbrividì, non tanto per l'umidità, quanto per l'apprensione. «Perché dovrebbero sapere di me? Lana ha trascorso la sua intera vita fingendo che non esistessi.» Il 11
che le era andato benissimo. Non aveva mai aspirato a finire nell'alone di luce di Lana. Emily era una persona riservata, che proteggeva fieramente la propria privacy. L'esatto contrario di Lana, che aveva richiesto attenzione fin dal giorno in cui era nata. Emily si scoprì a pensare che la sua sorellastra sarebbe stata contenta di vedere che era ancora sulle prime pagine dei giornali, a un mese di distanza dall'incidente aereo nel quale aveva trovato la morte assieme a un uomo che tutti ritenevano il suo amante. «Quando i reporter cominciano a scavare, non si lasciano sfuggire niente. Cavolo, sembra la trama di un film.» «Invece è la mia vita e io non voglio essere fatta a pezzi ed esposta al ludibrio dell'opinione pubblica mondiale. Non...» Emily s'interruppe e, dopo una breve pausa, disse per la prima volta quello che pensava da tre giorni. «Non voglio essere responsabile di una bambina.» Memorie del passato filtrarono dagli anfratti della sua coscienza, come il fumo di un incendio sotto una porta chiusa. «Non ne sono in grado.» Non era giusto per quella povera creatura innocente. Non era giusto per lei. Perché, perché Lana l'aveva messa in quella situazione? Per malizia? Per incoscienza? Per un distorto desiderio di vendetta dopo un'infanzia durante la quale l'unica cosa che avevano condiviso erano le quattro pareti di una casa? «So che lo pensi e capisco le tue ragioni, ma io sono convinta che puoi farcela. Devi. In questo momento sei tutto quello che ha.» «Non dovrei esserlo per nessuno. La verità è molto semplice. Non sono in grado di occuparmi di una bambina per cinque minuti, figuriamoci un'intera estate.» Non aveva importanza che nella sua vita di prima fosse stata un punto di riferimento per molte persone che la ri12
tenevano degna della massima stima e ascoltavano con attenzione i suoi giudizi. Non era qualificata per svolgere quel ruolo. La sua infanzia era stata un tentativo di sopravvivere. Aveva imparato a nutrirsi e a proteggersi, sostituendosi a una madre che era stata perlopiù assente... spesso fisicamente, sempre a livello emotivo. Quando se n'era andata di casa, non aveva fatto altro che studiare e lavorare come una schiava per mettere a tacere uomini determinati a dimostrare che valeva meno di loro. E ora eccola lì, precipitata in una vita nella quale quello che aveva imparato non serviva a niente. Una vita che richiedeva una serie di talenti che lei sapeva di non possedere. Non aveva idea di cosa bisognava fare per essere un genitore. Non aveva mai avuto il desiderio di essere madre. Le sembrava profondamente ingiusto essere costretta in una situazione che non aveva mai voluto e si era sempre impegnata a evitare. Un velo di sudore le imperlò la fronte e la voce di Skylar si allontanò, soffocata dall'ansia che le montava dentro. «Se averla ti farà cambiare atteggiamento, questa si rivelerà la cosa migliore che potesse capitarti. Tu non hai alcuna di colpa di quello che è successo quando eri bambina, Em.» «Non voglio parlarne.» «Lo capisco, ma questo non altera la realtà dei fatti: non hai colpe. Comunque, non è necessario che tu dica niente, perché quello che provi è evidente dal modo in cui hai scelto di vivere la tua vita.» Emily riportò lo sguardo sulla bambina che dormiva nella macchina. «Non posso prendermi cura di lei. Non posso essere la figura della quale ha bisogno.» «Non puoi, o non vuoi?» «Nella mia vita non c'è spazio per i bambini. Faccio un 13
lavoro che mi impegna sedici ore al giorno e mi costringe a viaggiare spesso.» «La tua vita fa schifo. È tanto che te lo dico.» «A me piace! La rivoglio indietro.» «Stiamo parlando della vita nella quale lavoravi come un robot e vivevi con un uomo che aveva l'empatia emotiva di una roccia?» «Ero soddisfatta di quello che facevo. E forse quella tra Neil e me non era una grande passione, però avevamo tanti interessi in comune.» «Dimmene uno.» «Io... ci piaceva mangiare fuori.» «Questo non è un interesse. Semmai dimostra che la sera eravate entrambi troppo stanchi per cucinare.» «Avevamo la passione per la lettura.» «Wow, questo deve aver reso la vostra camera da letto un posto molto eccitante.» Emily si frugò il cervello in cerca di qualcos'altro, ma non le venne in mente niente. «Cosa c'entra Neil adesso? È una storia finita. Oggi la mia esistenza ruota attorno a una bambina di sei anni. Nella sua valigia ci sono un paio di ali di fata e io non so niente delle fate.» La sua infanzia era stata un desolato deserto, più simile a un corso di sopravvivenza che a un processo di crescita, nella quale non c'era stato spazio per un oggetto fragile come un paio di ali di finissimo pizzo. «Ho una viva memoria dei miei sei anni. Sognavo di diventare una ballerina.» Emily fissò il buio davanti a sé, ricordando come si era sentita a quell'età. Spezzata in due. E anche dopo, quando in un modo o nell'altro era riuscita a rimettersi assieme, non era stata più la stessa. «Sono arrabbiata con Lana. Ce l'ho con lei perché è morta e mi ha messa in questa situazione.» «Che altro avrebbe dovuto fare? Sei l'unica parente che 14
aveva. Certo, mi rendo conto che non vi parlavate da dieci anni, ma...» Skylar si interruppe ed Emily sentì delle voci in sottofondo. «Sei in compagnia? Ti ho presa in un brutto momento?» «Richard mi ha portata a una raccolta fondi al Plaza, ma può aspettare.» Da quel che sapeva delle grandi ambizioni politiche e della natura impaziente di Richard, Emily dubitava che fosse propenso ad aspettare. Poteva immaginarsi Skylar, i capelli biondi raccolti in un elegante chignon, il corpo magro fasciato dalla creazione di uno stilista di grido. Aveva il sospetto che Richard fosse attratto da lei più per il peso sociale della sua famiglia che per la sua bellezza eterea e il suo carattere solare. «Mi dispiace di averti disturbata. Ho provato a chiamare Brittany, ma ha risposto la segreteria. Lei è ancora in Grecia, alle prese con il suo scavo archeologico. E comunque adesso lì è notte fonda.» «Sembra che se la passi alla grande. Hai visto il suo update su Facebook? Era coperta di terriccio e circondata da una banda di greci uno più figo dell'altro. Sta lavorando assieme a Lily, quella tizia simpatica, esperta di ceramica che mi ha dato un sacco di idee per la mia ultima collezione. In ogni caso, se non avessi chiamato tu, ti avrei chiamata io. Ero molto preoccupata. Prima Neil che ti molla, poi la perdita del lavoro e ora questo! Dicono che i guai vengono sempre tre alla volta.» Emily lanciò un'occhiata alla macchina, pensando a chi c'era dentro. «Avrei preferito che il terzo fosse stato un guasto al tostapane.» «Stai attraversando un periodo difficile, non c'è dubbio, però devi ricordarti che tutto accade per un motivo. Se non altro, non passi più le giornate a crogiolarti nel letto, mangiando cereali dalla scatola. Avevi bisogno di focalizzarti su qualcosa e adesso ce l'hai.» «Non ho bisogno di una ragazzina di sei anni che si ve15
ste sempre di rosa e si diverte a indossare ali da fatina.» «Aspetta un secondo...» Ci fu una pausa, seguita dal suono di una porta che si chiudeva. «Richard sta parlando con il manager della sua campagna e io non voglio che mi ascoltino. Mi sono chiusa nel bagno. Cosa non si fa per l'amicizia? Em, sei ancora lì?» «E dove vuoi che vada? Sono circondata dall'acqua.» Emily rabbrividì. «Sono in trappola.» «Tesoro, la gente paga fior di quattrini per farsi intrappolare su Puffin Island.» «Non sono una di loro. E se non riuscissi a tenerla al sicuro, Sky?» Ci fu un breve silenzio. «Al sicuro dalla stampa, o da altre cose?» Emily si umettò le labbra riarse. «Tutto quanto. È una responsabilità che non voglio assumermi. Non so trattare con i bambini.» «Perché hai paura di darti agli altri.» Non aveva senso negare la verità. «È proprio per questo che Neil mi ha lasciata. Ha detto che era stanco di vivere con un robot.» «Senti da che pulpito viene la predica. Bastardo. Hai il cuore spezzato?» «No. Non sono emotiva come te e Brittany. I miei sentimenti non sono molto intensi.» Però qualcosa l'avrebbe dovuta sentire, no? La verità era che, dopo aver convissuto per due anni con un uomo, non si sentiva più vicina a lui di quanto lo fosse stata il giorno in cui si era trasferita a casa sua. L'amore aveva il potere di distruggere le persone e lei non ci teneva a farsi distruggere. E adesso si ritrovava alle prese con una bambina. «Secondo te, perché l'ha fatto? Lana, intendo.» «Indicarti come tutrice? Dio solo lo sa. Forse perché non c'era nessun altro. Si era guadagnata l'ostilità di mezza Hollywood e l'altra mezza se l'era portata a letto, quindi 16
presumo che non avesse delle amiche disposte ad aiutarla. Le restavi solo tu.» «Ma lei e io...» «Lo so. Senti, se vuoi un'opinione sincera, credo che sia stato perché era sicura che tu avresti cercato di prenderti cura della bambina nel miglior modo possibile, a dispetto della maniera in cui ti aveva trattata. So che non pensi molto bene di te stessa, però è innegabile che hai un forte senso della responsabilità. Lana si è approfittata della tua bontà, del tuo cuore generoso. Em, scusami tanto, ma ora devo andare. C'è una macchina che mi aspetta e Richard sta scavando un solco davanti alla porta del bagno a furia di camminare. La pazienza non è uno dei suoi punti forti e deve stare attento alla pressione.» «Naturalmente.» Emily pensò che se Richard si fosse sforzato di controllare il suo temperamento irascibile, la sua pressione arteriosa ne avrebbe tratto giovamento, ma si guardò bene dal dirlo. Non era nella posizione di dare consigli in fatto di relazioni. «Grazie per avermi ascoltata. Divertiti stasera.» «Sarà difficile, ma ci proverò. Ti chiamo domani. No, aspetta... ho un'idea migliore. Richard sarà impegnato per il weekend. Io avevo deciso di rifugiarmi nel mio studio, ma che ne dici se invece venissi da te?» «Qui? A Puffin Island?» «Perché no? Potremmo passare un po' di tempo insieme. Starcene a casa in pigiama e guardare i vecchi film come facevamo quando Kathleen era viva. Esamineremo a fondo questa faccenda ed elaboreremo un piano. Mi vestirò sempre di rosa. Tu cerca di resistere fino al weekend. Prendi un giorno alla volta.» «Ho paura di prendermi cura di una bambina per cinque minuti. Figurati per cinque giorni!» Ma l'idea di risalire sul traghetto il mattino dopo le dava i brividi tanto quanto il sentirsi responsabile per un altro essere umano. 17
«Ascoltami.» Skylar abbassò la voce. «Non mi piace parlar male dei morti, ma tu sei molto più attrezzata di Lana in questo settore. Lei lasciava sua figlia sola in una casa che ha all'incirca le dimensioni della Francia. La vedeva di rado. Non devi fare altro che essere presente. Trovarsi accanto la stessa persona per due giorni di seguito sarà una novità per la piccola. A ogni modo, come sta? Si rende conto di cosa è successo? È traumatizzata?» Emily pensò alla bambina, ai suoi lunghi silenzi, all'espressione solenne dei suoi occhi. Il trauma, lo sapeva per esperienza diretta, poteva esprimersi in molti modi diversi. «Non parla. Ha il terrore di chiunque porti una macchina fotografica.» «Poverina. Tutta colpa delle orde di giornalisti che vivevano accampati davanti alla sua casa.» «La psicologa ha detto che la cosa più importante è farla sentire al sicuro.» «Dovresti tagliarle i capelli e cambiarle nome. Una bambina di sei anni con lunghi boccoli biondi che si chiama Juliet è troppo rivelatrice. Tanto vale appenderle al collo un cartello con la scritta: Made in Hollywood.» «Tu pensi?» Il panico la travolse. «Credevo che venire in questo luogo sperduto sarebbe stato sufficiente. E il nome non è così inusuale.» «Di per sé no, ma attaccato a una bambina che è sulla bocca di tutti? Fidati, è meglio se lo cambi. Puffin Island sarà anche remota e difficile da raggiungere, ma ha Internet. Adesso va' al cottage, chiudi bene le tende e noi ci vediamo venerdì sera. Hai ancora la tua chiave?» «Sì.» Emily aveva continuato a sentirla dentro alla tasca per l'intero viaggio da New York. Si erano laureate tutte e tre assieme e per celebrare l'evento Brittany aveva regalato a ciascuna di loro la chiave del cottage. «E grazie.» «Ehi.» La voce di Skylar si ammorbidì. «Ce lo siamo 18
promesse, ricordi? Di essere sempre lì l'una per l'altra. Ci sentiamo domani!» Mentre stava per chiudere la comunicazione, Emily sentì una spazientita voce maschile e si domandò di nuovo cosa poteva vedere quello spirito libero di Skylar in Richard Everson. Quando rientrò in macchina, la bambina si mosse sul seggiolino. «Siamo arrivate?» Emily si girò a guardarla. Aveva gli occhi di Lana, di quel bellissimo verde chiaro che aveva catturato gli appassionati di cinema in ogni parte del mondo. «Manca poco.» Serrò le mani sul volante, resistendo al vortice del passato che minacciava di risucchiarla come un gorgo assassino. Non era la persona giusta per questa cosa. La persona giusta avrebbe consolato la bambina, offrendole mille modi di distrarsi appropriati alla sua età, bevande salutari e cibi nutrienti. Invece lei aveva l'impulso di aprire lo sportello e fuggire nella notte, ma con quegli occhi che la fissavano non poteva. Feriti. Sperduti. Fiduciosi. Era consapevole di non meritarsi quella fiducia. Anche Lana lo aveva saputo. Allora perché le aveva giocato quello scherzo? «Tu sei sempre stata mia zia?» La vocina assonnata la riportò al presente, ricordandole che adesso questo era il suo futuro. Non aveva importanza che non fosse equipaggiata, che non sapesse da dove cominciare... doveva farlo. Non c'era nessun altro. «Sempre.» «Allora come mai non lo sapevo?» «Be', io... probabilmente la tua mamma si è dimenticata di dirtelo. E poi vivevamo ai confini opposti del paese, voi a Los Angeles e io a New York.» Le parole erano venute, ma lei si rendeva conto che il tono era sbagliato. Gli adul19
ti usavano una voce diversa quando parlavano ai bambini, vero? Una voce morbida, suadente. Emily non riusciva a essere suadente. Conosceva i numeri. Le forme geometriche. Gli schemi. I numeri erano logici e, a differenza delle emozioni, non mutavano da un minuto all'altro. «Presto arriveremo in vista del cottage. È dietro alla prossima curva.» C'era sempre un'altra curva sulla strada. Proprio quando credevi di essere entrata in un bel rettilineo sicuro che ti avrebbe permesso di inserire il pilota automatico, ti ritrovavi a dover sterzare su una capocchia di spillo per evitare di precipitare nel vuoto. Così uno imparava a rilassarsi. La ragazzina si piegò in avanti, cercando di penetrare le tenebre oltre i coni di luce dei fari. «Non vedo il mare. Hai detto che saremmo stati in un cottage sulla spiaggia. L'avevi promesso.» C'era un tremito nella sua voce ed Emily ebbe una fitta alla testa. No, ti prego, non metterti a piangere. Le lacrime non avevano avuto posto nella sua vita per vent'anni. Aveva fatto in modo di non desiderare niente al punto da piangere se non lo otteneva. «Non puoi vederlo, ma è là. Il mare è dappertutto.» Con dita malferme, pigiò un paio di pulsanti e i finestrini si abbassarono. «Chiudi gli occhi e ascolta. Dimmi cosa senti.» La bambina strizzò il visetto, trattenendo il respiro mentre l'aria fresca della notte riempiva l'abitacolo. «Sento un gran rumore.» «È il suono delle onde sugli scogli.» Emily resistette all'impulso di tapparsi le orecchie. «Il mare ci batte contro da centinaia e centinaia di anni.» «La spiaggia è sabbiosa?» «Non me lo ricordo. È una spiaggia.» E lei non aveva la benché minima intenzione di andarci. Non metteva piede su una spiaggia dal giorno che ave20
va cambiato il corso della sua vita. Solo un profondo sentimento di amicizia l'aveva convinta a venire per la prima volta sull'isola, ma anche così era rimasta sempre all'interno, sdraiata sul divano con le sue amiche, dando le spalle all'oceano. Kathleen, la nonna di Brittany, aveva capito che c'era qualcosa che non andava e, quando le sue amiche erano corse in spiaggia per farsi una nuotata, le aveva chiesto di darle una mano in cucina. Lì, con il sibilo del bollitore che mascherava il rumore della risacca, aveva potuto fare finta che il mare non fosse là sotto, a poche decine di metri dalla veranda. Avevano preparato l'impasto per i pancake, che avevano cotto in una spessa padella di ferro appartenuta alla madre di Kathleen. Al loro ritorno, le sue amiche, piene di sabbia e di risate, li avevano trovati impilati su un piatto al centro della tavola... una montagnola di squisiti dischetti dorati con i bordi irregolari un po' più scuri del resto. Li avevano mangiati bagnandoli con lo sciroppo d'acero, assieme ai mirtilli freschi che Kathleen aveva raccolto nel suo giardino. Emily poteva ancora sentire i sapori che le erano esplosi sul palato al primo boccone. «Dovrò stare sempre nascosta dentro casa?» La voce della bambina spezzò il fluire dei ricordi. «Io... No, non credo.» Le domande non finivano mai, alimentando il senso di inadeguatezza fino a privarla di qualunque convinzione nelle proprie capacità. Voleva scappare, però non poteva. Non c'era nessun altro e lei doveva continuare a ripeterselo. Bevve un sorso d'acqua, ma non fece alcuna differenza. La bocca rimase asciutta. Era così da quando aveva ricevuto la telefonata che aveva alterato l'ordinato procedere della sua esistenza. «Dovremo pensare anche alla scuola.» 21
«Non sono mai andata a scuola.» Emily inarcò le sopracciglia, ricordandosi in ritardo che non c'era stato nulla di normale nella vita di quella bambina. Era figlia di una star del cinema, concepita durante un'acclamata produzione di Romeo e Giulietta a Broadway. Voci non confermate sostenevano che il padre fosse il co-protagonista di Lana, ma all'epoca l'uomo era stato sposato con due bambini, e la circostanza era stata negata con veemenza da tutte le parti in causa. Di recente, erano stati riuniti dall'ultimo progetto, e adesso era morto anche lui, ucciso nello schianto che si era portato via Lana, il regista e due membri della produzione. Juliet. Emily serrò gli occhi. Grazie, Lana. Sky aveva ragione. Avrebbe dovuto fare qualcosa per quel nome. «Prenderemo questa cosa un giorno alla volta.» «Ci troverà?» «Chi?» «L'uomo con la macchina fotografica. Quello alto che mi segue dappertutto. Mi fa paura.» L'umidità dell'oceano entrava dai finestrini ed Emily si affrettò a chiuderli, controllando, visto che c'era, anche le portiere. «Non ci troverà. Qui non ci troverà nessuno.» «È riuscito a entrare in casa, nella mia camera.» Emily ebbe un moto di indignazione. «Non accadrà più. Non sanno dove sei.» «E se lo scoprissero?» «Ti proteggerò.» «Prometti?» La richiesta infantile le fece tornare in mente Brittany e Skylar. Facciamo una promessa. Se una di noi finisse nei guai, le altre l'aiuteranno, senza fare domande. Amicizia. Era stato l'unico legame veramente solido che Emily avesse conosciuto nella sua vita. 22
Il panico venne rimpiazzato da un'altra, non meno potente emozione. «Hai la mia parola.» Non aveva idea di cosa comportasse essere una madre e forse non era in grado di amare, ma poteva frapporsi tra questa bambina e il resto del mondo. Avrebbe mantenuto la promessa, anche a costo di tingersi i capelli di viola. «Ho visto delle luci al Castaway Cottage.» Ryan tirò la fune di ormeggio per impedire che la barca scivolasse indietro nella piccola darsena. Sopra la sua testa, l'illuminazione dell'Ocean Club proiettava della dita dorate sulla superficie dell'acqua. Frammenti di risate e musica fluttuavano nel vento, mescolandosi ai richiami dei gabbiani. «Tu ne sai qualcosa?» «No, ma non presto attenzione ai vicini come fai tu. Bado agli affari miei. Hai provato a chiamare Brittany?» «Le ho lasciato un messaggio in segreteria. È in Grecia per uno scavo archeologico. A quest'ora lì non è ancora l'alba.» Un'onda salì a lambire lo scafo mentre Alec annodava la cima di poppa. «L'avrà dato in affitto a qualcuno.» «Brittany non ha mai affittato il cottage.» Lavorando assieme, finirono di assicurare la barca e Ryan serrò la mascella quando la spalla protestò. Alec lo guardò. «Una brutta giornata?» «Non peggiore delle altre.» Il dolore gli ricordava che era vivo e che doveva trarre il massimo da ogni momento. Un pezzo di passato che lo costringeva a concentrarsi sul presente. «Domani mattina farò un giro di controllo al cottage.» «Oppure potresti occuparti dei fatti tuoi.» Ryan scrollò le spalle. «L'isola è piccola. Mi piace sapere cosa succede.» «È più forte di te, eh?» 23
«Brittany è un'amica. Mi prendo cura della sua proprietà.» «Sei tale e quale a lei, sempre lì a scavare.» «Tranne che lei scava nel passato, io nel presente. Hai fretta di tornare a levigare tavole di legno, o ti va una birra?» «Potrei buttarne giù una, se offri tu.» «Dovresti essere tu a pagare. Non sono io il riccone inglese.» «Questo era prima del divorzio. E tu sei il padrone della baracca.» «È vero. Ogni tanto mi sembra ancora un sogno.» Ryan si fermò a salutare uno degli istruttori di vela e, dopo aver lanciato un'occhiata agli orari dell'alta e bassa marea scribacchiati sulla lavagna all'inizio del pontile, seguì Alec sulle rampe di gradini che portavano al bar e al ristorante. Sebbene l'estate fosse solo agli inizi, il locale era affollato. Ryan assorbì le luci e la gente, ricordando com'era stato il cantiere in disuso tre anni or sono, prima che lo comprasse. «Allora, come procede il tuo libro? Non è da te restare fermo così a lungo nello stesso posto. Quei muscoli si afflosceranno a furia di stare seduto a fissare lo schermo di un computer, o a sfogliare volumi polverosi. Hai un aspetto gracile.» «Gracile?» Alec roteò le spalle potenti. «Devo ricordarti chi è venuto a darti una mano a finire l'Ocean Club quando la spalla ha cominciato a darti fastidio? O che ho trascorso la scorsa estate in Danimarca, costruendo la replica di una nave vichinga a bordo della quale ho poi raggiunto l'Inghilterra, impresa che mi è costata più ore ai remi di quanto ami ricordare? Quindi evita di parlare a vanvera, okay?» «Lo sai che suoni difensivo? Come ho detto. Gracile.» Il cellulare di Ryan emise un trillo che gli segnalò l'arrivo di un messaggio. Lui lo tirò fuori e lo lesse. «Interessante.» 24
«Se aspetti che chieda, resterai qui fino a domani.» «È Brittany. Ha prestato il cottage a un'amica nei guai, il che spiega le luci. Vuole che la sorvegli.» «Tu?» Alec si piegò in due, simulando un accesso di risa. «Sarebbe come portare un agnellino a un lupo, dicendogli: "Però non mangiarlo, eh".» «Grazie mille. E chi dice che questa amica sia un agnello? Se assomiglia a Brittany, potrebbe essere anche lei un lupo. Sulla mia chiappa sinistra c'è ancora la cicatrice della freccia che mi ha scoccato due estati fa.» «Credevo che avesse una mira eccellente. Aveva mancato il bersaglio?» «No. Il bersaglio ero io.» Ryan rispose al messaggio. «Le stai scrivendo che hai cose più importanti di cui occuparti che fare da babysitter alla sua amica?» «L'esatto opposto. Cosa ci vorrà mai? Mi presenterò lì, le offrirò una spalla su cui piangere, la consolerò...» «... e approfitterai della sua vulnerabilità.» «No, perché non ho nessuna voglia di beccarmi un'altra freccia lì dove non batte il sole.» «Potresti dire no.» «Sono in debito con Brit e questo è il modo che lei ha scelto per ricordarmelo.» Ryan ripensò colpevolmente alla loro storia. Alec scosse la testa. «Di nuovo, non chiedo.» «Bene.» Ryan si mise in tasca il telefono e riprese a salire i gradini. «Non mi hai detto come sta venendo il libro. Sei arrivato alla parte eccitante? È già morto qualcuno?» «Sto scrivendo una storia navale della Rivoluzione Americana. Muore un sacco di gente.» «C'è anche del sesso?» «Naturalmente. Durante le battaglie, i marinai avevano l'abitudine di fare della pause per fornicare tra di loro.» Alec si tirò da parte per far passare un gruppo di donne che venivano nella direzione opposta, tenendosi a 25
braccetto. «La prossima settimana volerò a Londra, quindi dovrai trovarti un altro compagno di bevute.» «Viaggio di lavoro o di piacere?» «Entrambi. Voglio visitare la Caird Library a Greenwich.» «Perché mai uno dovrebbe andare in un posto come quello?» «Conservano il più esteso archivio marittimo del mondo.» Una delle donne lanciò casualmente un'occhiata ad Alec e si fermò di scatto, sbarrando gli occhi. «Io la conosco» disse con un sorriso raggiante. «Lei è il Cacciatore di Relitti. Ho guardato tutte le puntate della trasmissione e sono una sua grande fan. Che coincidenza incredibile! La cosa buffa è che, quando studiavo, la materia che proprio non mi andava giù era la storia, ma lei riesce a farla sembrare sexy. Siamo in tante a seguirla su Twitter, ma immagino che lei non se ne sia accorto, perché se non sbaglio ha qualcosa come centomila followers.» Alec rispose cortesemente e, quando alla fine le donne si allontanarono, Ryan gli diede una pacca sulla spalla. «Ehi, dovresti usarlo come slogan. Rendo la storia sexy.» «Hai voglia di fare un bagno fuori programma?» «Hai davvero centomila followers? Immagino che capiti quando uno se ne va in giro seminudo a pagaiare sul Rio delle Amazzoni. Qualcuno ha notato la tua anaconda.» Alec roteò gli occhi. «Ricordarmelo di nuovo, per favore: perché ti frequento?» «Perché ho un bar. E, in aggiunta a questo, ti tengo con i piedi per terra, proteggendoti da orde di femmine adoranti. Allora... mi stai dicendo che attraverserai l'oceano solo per visitare una biblioteca?» Ryan avanzò in direzione del locale, rispondendo ai saluti di alcuni clienti. «Qual è la parte piacevole del viaggio?» 26
«Proprio la biblioteca. Il lavoro è la mia ex moglie.» «Ouch. Comincio a capire perché la biblioteca possa sembrarti una festa.» «Un giorno capiterà anche a te.» «Mai. Per divorziare bisogna prima sposarsi e io sono stato vaccinato contro la malattia in giovane età. Quando ci sei intrappolato dentro, anche una bella villetta con il recinto dipinto di bianco assomiglia a una prigione.» «Dovevi prenderti cura dei tuoi fratelli. È diverso.» «Fidati, se vuoi spiegare a un quindicenne a cosa servono i sistemi di contraccezione, chiedigli di occuparsi per una settimana della sua sorellina di quattro anni.» «Se hai fatto tanto per evitare ogni genere di legami, come mai sei tornato nell'isola dove eri cresciuto?» Perché, dopo aver visto la morte in faccia, era strisciato fino a casa nella speranza di guarire. «Sono qui per scelta, non perché costretto. E la mia scelta è stata motivata da tremilacinquecento miglia di costa che pullulano di succulenti astici. Inoltre, posso togliere gli ormeggi in qualunque momento.» «Prometto di non dire a tua sorella che l'hai detto.» «Bravo. Se c'è una cosa più terrificante di una ex moglie, è avere una sorella che insegna alle elementari. Non so come facciano, ma le maestre hanno perfezionato uno sguardo che ha la facoltà di ingigantire ogni tuo minimo errore come e meglio di un microscopio elettronico.» Ryan si sedette a un tavolo affacciato sull'acqua. Anche se era buio, gli piaceva averla vicino. Allungò la mano verso il menu, inarcando le sopracciglia quando Tom, il barista, passò di fianco a loro portando due grandi cocktail con tanto di stelle filanti. «Vuoi uno di questi?» «No, grazie. Preferisco i drink al naturale, senza abbellimenti di sorta. Le stelle filanti mi ricordano il mio matrimonio e gli ombrellini il clima di Londra.» Alec si preparò a subire l'assalto di una giovane donna bionda che 27
balzò giù da uno sgabello avanzando verso di loro, ma stavolta era Ryan a essere nel mirino. Gli stampò due bacioni sulle guance. «Sono contenta di vederti. Oggi è stato fantastico. Abbiamo osservato le foche. Verrai alla festa di domani?» Si scambiarono alcune battute finché gli amici che erano rimasti al bar non la chiamarono, al che la ragazza si allontanò lasciandosi dietro una scia di profumo al limone. Alec si grattò la testa. «E quella chi era?» «Si chiama Anna Gibson. Quando non dà una mano a bordo della Alice Rose, lavora come stagista nel progetto per la conservazione dei pulcinella di mare. Perché? Sei interessato?» Ryan fece un cenno a Tom, che aveva recuperato il suo posto dietro al bancone. «Non ho ancora finito di pagare la mia ultima donna e in ogni caso non era a me che sorrideva. Dal modo in cui ti guardava, direi che ha sintonizzato il suo navigatore sul fondo dell'arcobaleno. Ricordatelo sempre, quello che si trova in fondo all'arcobaleno conduce al matrimonio e il matrimonio è il primo passo verso il divorzio.» «Abbiamo già stabilito che io sono l'ultima persona ad avere bisogno di questo predicozzo.» Ryan drappeggiò la giacca sullo schienale della sedia. «Scherzi a parte, che ci fa una ragazza così in un posto come questo?» «A parte il fatto che l'Alice Rose è uno dei più bei schooner di tutto il Maine? Probabilmente ha sentito in giro che solo i veri uomini sopravvivono alle asprezze del clima.» Ryan allungò le gambe. «È necessario che ti faccia notare che la mia marina è fornita di tutti i comfort, inclusi telefono, elettricità, acqua calda corrente, TV via cavo e Wi-Fi? Sto portando la civilizzazione a Puffin Island.» «Molti vengono qui proprio per evitarla. Io per primo.» 28
«Ti sbagli. Le persone cercano l'illusione della fuga, ma in realtà non la vogliono. Il mondo è quello che è e hanno bisogno di restare connessi. Se non possono farlo, se ne vanno da un'altra parte e noi non possiamo permetterci di perdere dei clienti. Ho imperniato il mio modello di affari su questo. Li attiriamo qui, li incantiamo e gli forniamo il Wi-Fi.» «Nella vita c'è più del Wi-Fi. A volte, non poter ricevere le e-mail è una benedizione.» «Riceverle non ti obbliga a rispondere. I filtri per lo spam sono stati inventati per questo.» Ryan alzò lo sguardo su Tom, che aveva posato due boccali di birra sul tavolo. Ne spinse uno verso Alec. «A meno che per te la birra non sia troppo civilizzata?» «I primi riferimenti alla birra sono stati trovati su dei geroglifici dell'Antico Egitto.» «Il che dimostra che l'uomo ha sempre avuto ben chiare le sue priorità.» «A proposito di priorità, il posto è affollato.» Alec impugnò il boccale. «Non senti la mancanza della tua vecchia vita? Non ti annoi a restare sempre nello stesso posto?» La sua vecchia vita era una cosa alla quale Ryan preferiva non pensare. Le fitte alla spalla si erano trasformate in un sordo indolenzimento, ma le altre ferite, quelle più profonde e oscure, non sarebbero guarite mai. E forse era un bene, perché lo stimolavano a godere di ogni singolo istante che Dio mandava in terra. «Sono qui per restare. Ho il dovere civico di portare Puffin Island nel ventunesimo secolo.» «Mamma, mamma.» Il mattino seguente, divorata dal sogno, Emily rotolò su se stessa, seppellendo la faccia nel cuscino. Il profumo non le era familiare e, attraverso la fessura delle palpebre, vide una serie di roselline rosse stampate sul lino 29
bianco. Questo non era il suo letto. Lei aveva lenzuola moderne, a tinta unita. Qui era come addormentarsi in un giardino. Attraverso la nebbia del sonno le sembrava di sentire una voce infantile che chiamava, ma sapeva che non stava chiamando lei, perché lei non era la mamma di nessuno. Non lo sarebbe stata mai. Era una decisione che aveva preso molti anni prima, quando le avevano strappato il cuore dal petto. «Zia Emily?» La voce era più vicina adesso. Nella stessa camera. Ed era reale. «C'è un uomo alla porta.» Non era un sogno. Fu come venire svegliata da una secchiata d'acqua ghiacciata. Emily saltò fuori dal letto di scatto, il cuore che le batteva all'impazzata nel petto. Solo quando allungò la mano verso la vestaglia si rese conto di essersi addormentata completamente vestita, a parte le scarpe. Era la prima volta che le capitava. Aveva cercato di resistere al sonno. Oppressa dal senso di responsabilità, pur di non perdere di vista la bambina si era rifiutata di chiudere gli occhi. Si era sdraiata sul letto con entrambe le porte aperte, in modo da poter sentire il suo respiro nell'altra stanza. Evidentemente, a un certo punto la stanchezza aveva avuto il sopravvento sull'ansia e aveva dormito. Di conseguenza, i suoi impeccabili pantaloni neri non erano più impeccabili, la camicetta di seta si era spiegazzata e diverse ciocche di capelli erano sfuggite dal fermaglio che le bloccava. Ma non era il suo aspetto a preoccuparla. «Un uomo?» Infilò i piedi nelle scarpe, un paio di comodi mocassini, acquistati per affrontare le strade e la metropolitana di New York. «Ti ha vista? È solo, oppure ce ne sono altri?» «Solo. Non è il tizio con la macchina fotografica.» Gli oc30
chi tondi della bambina erano pieni di paura ed Emily si sentì in colpa. Avrebbe dovuto mostrarsi calma e affidabile. Una figura genitoriale, non un fascio di nervi a un passo dall'isteria. Guardò il suo visetto innocente, i lunghi boccoli dorati che le scendevano morbidamente sulle spalle. Aiuto. Fatemi uscire. «Non può essere lui. Non sa che siamo qui. È tutto a posto.» Recitò le parole senza sentirle, imponendosi di non pensare che, se tutto fosse stato veramente a posto, non sarebbero state lì. «Nasconditi in camera. Me ne occupo io.» «Perché devo nascondermi?» «Prima voglio capire chi è.» Erano arrivate tardi, con l'ultimo traghetto dalla terraferma, e il cottage si trovava sul lato opposto dell'isola, annidato al margine meridionale di Shell Bay. Un nascondiglio naturale. Un rifugio dalla frenesia e dalla tensione della vita. Solo che lei se l'era portata dietro, la tensione. Nessuno avrebbe dovuto sapere della loro presenza. Prese in considerazione l'idea di sbirciare dalla finestra, attraverso le romantiche tende di pizzo che non avevano posto nella vita di una persona pratica come lei, ma poi decise che farlo avrebbe potuto destare dei sospetti. Impugnando il telefono a preparandosi a versare sangue in caso di necessità, Emily aprì con una certa fatica la pesante porta del cottage e sentì subito l'odore del mare. L'impatto con la ventata di fresca aria salmastra la colse alla sprovvista e il primo sguardo che rivolse al visitatore fece il resto. Descriverlo come sensazionale sarebbe stata la banalità del secolo. Riconobbe al volo il tipo. Geni maschili molto attivi e ben radicati nel suo DNA, aveva una prestanza fisica e un aspetto che non potevano non fare parte del piano che la natura aveva adottato per assicurarsi che il 31
pianeta rimanesse ben popolato. Le scarpe da ginnastica, i pantaloni della tuta neri e la morbida maglietta grigia indicavano una predilezione per la vita all'aria aperta, sottintendendo la capacità di affrontare qualunque tipo di sfida, ma anche se fosse stato nudo, o fasciato da un completo da ufficio, non avrebbe fatto differenza. I vestiti non erano in grado di alterare la realtà dei fatti. E la realtà era che un uomo di quel genere avrebbe potuto indurre anche la più intelligente delle donne a fare una sciocchezza. L'occhiata con la quale la squadrò da capo a piedi trasudava apprezzamento virile e lei si ritrovò a pensare a Neil, il quale credeva fermamente che gli uomini dovessero coltivare il loro lato femminile. Questo tizio non ce l'aveva proprio, il lato femminile. Piantato davanti alla porta, i muscoli bene in evidenza, la dominava con la statura e l'ampiezza delle spalle. La mascella era coperta da un velo di barba e la parte inferiore del collo luccicava di sudore. Nemmeno sotto tortura Neil si sarebbe presentato in pubblico senza radersi. Una strana sensazione le corse sulla pelle prima di conficcarsi nelle profondità del suo corpo. «C'è qualcosa che non va?» Non appena lo chiese, si sentì stupida. C'erano un sacco di cose che non andavano e questo senza nemmeno tentare di interpretare la sua reazione fisica. C'era solo una spiegazione per la presenza di uno sconosciuto al cottage poche ore dopo il loro arrivo. Le avevano trovate. L'avevano messa in guardia, sui giornalisti. Erano come la pioggia sul tetto. Riuscivano a trovare ogni minima fessura, ogni punto debole. Ma come avevano fatto in così poco tempo? Le autorità e gli avvocati che gestivano gli 32
affari di Lana le avevano assicurato che nessuno sapeva della sua esistenza. Il piano era di tenere un basso profilo e aspettare che il clamore scemasse. «Stavo per farle la stessa domanda.» La voce era bassa e profonda, in perfetta sintonia con l'aspetto. «Ha l'aria terrorizzata. Questo è un posto tranquillo. Non se ne vede molto, di panico, a Puffin Island.» Era un abitante locale? Mai, neppure in un milione di anni, si sarebbe aspettata che un uomo così fosse contento di vivere in un'isola remota dell'Atlantico. A dispetto dell'abbigliamento casual, aveva un alone di sofisticatezza che lasciava intuire un'esperienza di vita ben più vasta dei ristretti confini di quello sperone roccioso. I capelli scuri, arruffati dal vento, sormontavano due occhi nei quali brillava la luce dell'intelligenza. Continuò a studiarla ancora per un momento, come per farsi un'idea su qualcosa, poi spinse lo sguardo verso l'interno della casa. D'istinto, Emily chiuse lo spiraglio di porta, bloccandogli la visuale, augurandosi che Juliet avesse obbedito all'ordine di restare in camera. Se non fosse stata disperata, si sarebbe messa ridere. Era così che avrebbe vissuto d'ora in avanti? Era una donna seria e previdente. Questo era il tipo di dramma che ci si sarebbe potuti aspettare da Lana. «Lei vive qui?» chiese. «La sorprende?» Sì, ma ora come ora l'unica cosa veramente importante era stabilire che non fosse un reporter. Non poteva esserlo. A parte un giornaletto mensile e tre o quattro gruppi di Facebook, su Puffin Island i media non esistevano. Emily decise che il suo nervosismo dipendeva da quello che le avevano raccontato gli avvocati di Lana. Ormai vedeva giornalisti anche nel sonno. Si era dimenticata che il mondo era pieno di persone normali, il cui lavoro non con33
sisteva nel ficcare il naso nelle vite degli altri. «Non aspettavo visite. Ma apprezzo il fatto che sia venuto a vedere come stavamo. Io. Come stavo io.» Il lampo negli occhi neri dell'uomo le fece capire che il lapsus non era passato inosservato, alimentando il sospetto che lui avesse visto la bambina che spiava dalla finestra. «Il panorama qui è stupendo.» «Può dirlo forte. Se aprisse un po' di più la porta, lo apprezzerebbe meglio. Si comporta come Cappuccetto Rosso nella fiaba.» L'ironia nel suo sguardo la infastidì. Osservando la larga bocca sensuale non ebbe alcun dubbio sul fatto che lui potesse essere un lupo, quando ne aveva voglia. Infatti, era pronta a scommettere che, mettendo uno in fila all'altro tutti i cuori che l'uomo aveva infranto nel corso della sua vita adulta, avrebbe potuto percorrere le quattordici miglia che la separavano dalla terraferma senza bagnarsi i piedi. «Mi dica qual è il problema.» La domanda le dimostrò che aveva preso assai poco da Lana, la quale, a parte tutti i suoi difetti, era stata una buona attrice. Lui continuava a fissarla e le pulsazioni di Emily aumentarono ancora un po', anche se era altamente improbabile che un tipo così potesse trovare di suo gusto una ex consulente manageriale, la quale aveva il potere di congelare l'acqua senza ricorrere a nessuna apparecchiatura elettrica. «Non c'è nessun problema.» «È sicura? Perché io potrei uccidere il drago, se ce ne fosse bisogno.» La sua simpatia, il suo senso dell'umorismo la turbavano più degli sguardi pigramente speculativi. «Il cottage è isolato e non mi aspettavo di ricevere visite, tutto qui. E poi sono guardinga per natura.» Special34
mente da quando aveva ereditato la figlia della sua sorellastra. «Brittany mi ha chiesto di venire a darle un'occhiata. Non gliel'ha detto?» «Lei è amico di Brittany?» Quell'informazione aggiunse intimità a una situazione che non avrebbe dovuto averne nessuna. Ora, invece di essere due estranei, saltava fuori che erano connessi. Aveva appena cominciato a maledire l'avventata iniziativa della sua amica, quando si ricordò dell'agitatissimo messaggio che le aveva lasciato sulla segreteria telefonica la sera prima. Evidentemente, Brittany si era preoccupata e aveva mandato i rinforzi. Comunque, un lato positivo c'era. Se aveva coinvolto quel tizio, voleva dire che si fidava di lui. «Siamo cresciuti qui. Lei andava a scuola con una delle mie sorelle. Trascorrevano le estati assieme, a Camp Puffin... barca a vela, canoa, grandi falò in spiaggia di notte.» Suonava bellissimo e alieno. Lei provò a immaginarsi un'infanzia che includesse quel genere di attività, ma non ci riuscì. «È stato gentile a passare. Farò sapere a Brittany che ha portato a termine la missione.» Lui schiuse le labbra in un sorriso molto lento e molto sexy. «Missione quanto mai gradevole, mi creda.» Il modo in cui lo disse, l'intensità del suo sguardo le fecero scivolare un fremito sulla pelle. Aveva la netta sensazione che, se glielo avessero chiesto, lui avrebbe saputo indovinare esattamente le sue misure. Il che la sorprese. Di solito gli uomini la consideravano inavvicinabile. Una volta Neil l'aveva accusata di essere come la calotta polare artica prima dell'inizio del riscaldamento globale. Se ti sposassi, trascorrerei la mia intera esistenza a battere i denti con addosso una tuta termica. Lui era convinto che il suo problema fosse l'incapacità 35
di esprimere le emozioni. Ma Emily non lo considerava un problema. Era una scelta consapevole. L'amore la terrorizzava. A tal punto che, già in età alquanto precoce, aveva deciso che preferiva farne a meno, pur di non soffrire. Non capiva perché le persone gli dessero così tanta importanza. Lei era diversa dalla maggioranza delle persone. Imbarazzata dal calore dei suoi occhi, si spinse indietro i capelli, evitando di guardarlo mentre diceva: «Sono sicura che lei ha milioni di cose importanti di cui occuparsi. Sono anche sicura che quella del babysitter non è una delle sue attività preferite». «In realtà, ho una buona esperienza nel settore. Ma, mi dica, come conosce Brittany? Siete state compagne di università? Lei non sembra un'archeologa.» Aveva l'innata sicurezza di un uomo che era sempre riuscito a gestire qualunque situazione si fosse trovato davanti e adesso stava gestendo lei, strappandole informazioni che avrebbe preferito non rivelare. «Sì, ci siamo incontrate all'università.» «Come se la passa in questo periodo?» «Non gliel'ha detto quando l'ha chiamata per chiederle di farmi da babysitter?» «Era un messaggio, quindi non si è dilungata. Sta ancora scavando a Corfù?» «Creta.» Emily aveva sempre la bocca secca. «Si trova nella zona occidentale di Creta.» C'era qualcosa, nei suoi profondi occhi neri, che induceva una donna a confidargli i suoi segreti più intimi. «Quindi lei conosce Brittany praticamente da sempre?» «L'ho salvata da una rissa quando era in prima elementare. Aveva portato in classe un pezzo della collezione di vetri di mare di Kathleen per fare una relazione e un ragazzino ha avuto la malaugurata idea di rubarglielo. Lei è esplosa come un fuoco d'artificio. Sono ancora convinto 36
che abbiano visto le scintille giù fino a Port Elizabeth.» Suonava talmente una cosa da Brittany, che lei non si prese nemmeno la briga di dubitare della veridicità della storia. Rilassandosi leggermente, tirò un profondo respiro e vide lo sguardo dell'uomo abbassarsi per una frazione di secondo sul suo seno. Una volta, scherzando, Brittany aveva detto che Dio le aveva tolto quindici centimetri in altezza per aggiungerli al suo seno. Se ne avesse avuto la possibilità, lei avrebbe scelto l'altezza. «Ha conosciuto Kathleen?» «Sì, l'ho conosciuta. Questo significa che adesso mi aprirà la porta?» Nella voce, leggermente roca, si indovinava una punta di sarcasmo. «Puffin Island è una comunità ristretta. Gli isolani si conoscono tutti e fanno conto uno sull'altro. Specialmente d'inverno, dopo che i turisti se ne sono andati. In aggiunta a questo, Kathleen era una delle migliori amiche di mia nonna.» «Lei ha una nonna?» Emily provò a immaginarselo piccolo e vulnerabile, ma fallì. «Sì. È una donna fantastica che non ha mai perso la speranza di emendarmi dalle mie innumerevoli lacune. Allora, quanto si fermerà?» La domanda la colse alla sprovvista. Le fece capire di essere completamente impreparata. Non aveva una storia da raccontare, un modo per spiegare la sua presenza lì. «Non ho deciso. Senta, signor...» «Ryan Cooper.» Lui avanzò di un passo e le porse la mano, costringendola ad accettare la stretta. Dita calde e forti si chiusero attorno alle sue, e qualcosa si mosse tra di loro. L'intensa carica sessuale era una novità per lei, ma non al punto da impedirle di riconoscerla per quello che era. Vibrava nell'aria, le corse sulla pelle e le affondò nelle ossa. Subito, la sua mente visualizzò 37
quelle mani sul suo corpo, quella bocca incollata alla sua. Sconvolta, tirò indietro la mano, ma la consapevolezza sensuale permase. Era come se, toccandolo, avesse attivato un meccanismo che adesso non riusciva più a spegnere. Turbata dall'inattesa connessione, iniziò a battere in ritirata. «Sono sicura che Brittany apprezzerà che sia venuto a controllare il cottage, ma, come può constatare, qui è tutto in ordine, quindi...» «Non sono venuto per controllare il cottage. Sono venuto per controllare lei. Tiro a indovinare, Eleanor. O magari Alison.» Rimase piantato là, le gambe divaricate che lasciavano intendere che non era ancora pronto a togliere il disturbo. «Rebecca?» «Prego?» «Il suo nome. Puffin Island è un posto amichevole. La prima cosa che impariamo di qualcuno è come si chiama. Poi si approfondisce.» Lei smise di respirare. Era un sottinteso sessuale? Qualcosa nella voce bassa e vellutata la indusse a propendere per il sì, tranne che Emily non aveva bisogno di uno specchio per sapere che era impossibile che un uomo come lui perdesse tempo con una come lei. Era un tipo che le sue donne le voleva calde e malleabili, non surgelate e rigide. «Non penso che vedrò molta gente.» «Non potrà farne a meno. L'isola è piccola. Ogni volta che uscirà per fare la spesa, mangiare e distrarsi, incontrerà qualcuno. Resti per l'inverno e capirà il vero significato del termine comunità. Non c'è niente di meglio del dover affrontare i venti di un uragano, o una nebbia impenetrabile per imparare ad apprezzare la presenza dei vicini. Se resterà qui abbastanza a lungo, si abituerà.» Lei non poteva abituarsi. Era responsabile della sicurezza di una bambina e, sebbene non si ritenesse all'altezza del compito, certe cose le prendeva molto sul serio. «Signor Cooper...» 38
«Ryan. Forse sua madre ha ignorato la tradizione in favore di qualcosa di più esotico. Amber? Arabella?» Doveva dargli un nome falso? Ma che senso avrebbe avuto, se era amico di Brittany? Non sapeva che fare. La sua vita si basava sull'ordine e all'improvviso attorno a lei regnava il caos. Invece di sicuro e prevedibile, il futuro sembrava un luogo ignoto, costellato di voragini pronte a inghiottirla. E adesso non doveva più pensare soltanto a se stessa. «Emily» disse alla fine. «Mi chiamo Emily.» «Emily.» Lo ripeté lentamente, come per assaporare il suono, e poi le rivolse un sorriso che sembrò alzare la temperatura dell'aria di un paio di gradi. «Benvenuta a Puffin Island.»
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