J. R. Ward writing as Jessica Bird
Il biker
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Man In A Million Silhouette Special Edition © 2007 Jessica Bird Traduzione di Francesca Sassi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance agosto 2017 Questo volume è stato stampato nel luglio 2017 da CPI, Moravia HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 186 dell'11/08/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Spike Moriarty sfrecciava lungo Park Avenue, le gambe scattanti come pistoni, le braccia che oscillavano avanti e indietro, la giacca di pelle nera che sventolava nell'aria della notte. Alto e in perfetta forma, correva sul marciapiede come un SUV, cosÏ deciso da indurre i pedoni in avvicinamento a farsi da parte. Accidenti, era in ritardo. E non si trattava dei canonici quindici minuti, ma di un buco nero di scorrettezza sociale lungo ben due ore. Di solito, le regole del bon ton non erano in cima alla sua lista di priorità . Non arrivava a essere offensivo, questo no, ma non era neanche un maniaco dell'etichetta alla Emily Post. Questa volta, però, era diverso: due delle persone che amava di piÚ al mondo stavano per sposarsi e quella sera festeggiavano il loro fidanzamento. Lui avrebbe dovuto dare una mano e tenere un breve discorso. Sean O'Banyon, il maestro di cerimonie, l'avrebbe ucciso. Meno male che erano amici, almeno sarebbe stata una fine rapida e indolore. Anche se, in fondo, non aveva mica perso tempo a poltrire sul divano. Per colpa di una serie di disavventure automobilistiche, gli ci era voluto il doppio del previsto per spostarsi dall'area nord di New York a Manhattan. Il delirio era iniziato sulla Northway, quando un tir si era spezzato in due proprio davanti a lui. Nessun ferito, per for5
tuna, ma il veicolo si era ribaltato su un fianco e aveva finito per bloccare quasi interamente le corsie dirette a sud. Come tutti gli altri, anche Spike era stato dirottato sulla Route 9, dove si era ritrovato immerso nel traffico rurale. Soltanto immerso finché un ottantacinquenne alla guida di una vecchia Pontiac non aveva deciso di intrappolarlo del tutto. E così era rimasto inchiodato in mezzo alla strada. Grazie al cielo era stata coinvolta solo la sua Honda, ma a quel punto era iniziato il vero divertimento. Erano intervenuti due poliziotti, che dopo aver lanciato un'occhiata ai capelli e ai tatuaggi di Spike lo avevano ripassato da capo a piedi, slip esclusi, in cerca di eventuali indizi di attività criminali. Dovevano aver chiamato persino l'Interpol dall'altra parte dell'oceano. Alla fine gli agenti erano sembrati delusissimi di non trovare alcun mandato d'arresto in sospeso né violazioni della libertà provvisoria e, per smaltire la frustrazione dovuta al mancato uso delle manette, lo avevano trattenuto ai bordi della strada per circa due ore. Quando alla fine era riuscito a tornare in autostrada, Spike sapeva benissimo di poter dire addio a qualsiasi speranza di arrivare alla festa prima dell'inizio dei discorsi augurali. Maledizione, sarebbe stato fortunato ad arrivare anche solo prima di vedere andar via gli ultimi invitati. Dopo aver lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica di Sean, aveva resistito all'impulso di fare schizzare la lancetta del tachimetro oltre la linea rossa. A trattenerlo era stata la consapevolezza che l'ultima cosa di cui aveva bisogno era un altro incontro ravvicinato con un distintivo. Una volta entrato in città, Spike aveva mollato l'auto in un parcheggio e aveva iniziato a filare a tutta velocità. Per essere a metà maggio, era una serata insolitamente fresca e limpida, perciò, se non altro, si sarebbe presentato alla festa in condizioni abbastanza dignitose. Gettò uno sguardo a un cartello stradale. Grazie a Dio. 6
Solo un paio di isolati ancora. Se avesse fatto in fretta, avrebbe potuto raggiungere Sean prima che Alex e Cass... Ma ecco che dal nulla sbucò un taxi. Un attimo prima Spike stava sfrecciando lungo la Settantunesima, un attimo dopo era lì a faccia a faccia col muso di una Chevrolet gialla. Anni di esercizio fisico diedero ai suoi due metri d'altezza i riflessi e la forza necessari per scansarsi, ma non gli evitarono di rimbalzare contro l'auto, prima di finire steso sull'asfalto. Il tassista inchiodò con un grande stridore di gomme, manifestò il suo disappunto mettendo in bella mostra il dito medio e schiacciò a tavoletta il pedale dell'acceleratore, sollevando una nube di sassolini che ricaddero sulla giacca di pelle di Spike. Lui avrebbe potuto approfittare di quel momento per tirare il fiato, ma non si concesse di dormire sugli allori per vari motivi. Primo, non c'era tempo, neanche per imprecare. Secondo, l'asfalto era duro. E terzo, il motivo più importante di tutti: come sempre era vestito di nero, perciò era impossibile distinguerlo dalla strada. Probabilmente poteva essere scambiato per una buca dalla forma un po' strana. Si alzò di scatto e riprese a correre: si sarebbe accorto ben presto di eventuali danni. Ma non sentì nulla e così accelerò, lasciando che i movimenti del suo corpo gli scrollassero di dosso l'ultimo pietrisco. Finalmente intravide il palazzo di Sean. Si precipitò sotto il tendone rosso e beige, superò la porta di vetro e puntò dritto verso gli ascensori. Mentre premeva il pulsante, una voce nasale risuonò nel grande atrio di marmo. «Mi scusi!» Spike si girò verso il banco della reception. Il portiere di sua conoscenza non era di turno quella sera. Ma il gemello cattivo del colonnello Klink sì. Quel tizio era la copia esatta del comandante della serie TV Gli eroi di Hogan, ambientata in un campo di prigionia nazista durante la Secon7
da guerra mondiale, solo senza monocolo. Un attimo, Klink era di per sé cattivo. Che quel tipo fosse il suo sosia? Spike scrollò il capo, chiedendosi se gli si fosse fritto il cervello. Tra un respiro affannoso e l'altro riuscì a dire: «Sono qui per... la festa di O'Banyon. Il mio nome è... sulla lista». Klink lo squadrò tra il dubbioso e l'arrogante. «I pony express non hanno il permesso di salire ai piani. Qualsiasi cosa debba consegnare, dovrà lasciarla a me.» Oh, cielo... Presto o tardi questa serata finirà, pensò Spike. Non so come, ma finirà. Alla festa di fidanzamento Madeline Maguire si teneva in disparte, ben sapendo di non aver ancora riacquistato l'equilibrio sulla terraferma. Men che meno nelle relazioni interpersonali. Come navigatrice professionista, trascorreva la maggior parte del tempo lottando contro l'oceano e, quando si prendeva una pausa, era sempre difficile calarsi in una parvenza di normalità. Per lei muoversi su quel campo di gioco, la cosiddetta vita mondana, era come camminare su Marte. Parte del problema era l'assenza di una reale necessità di comunicare. Su una barca da regata ogni singola parola era importante, ogni scricchiolio era un indizio da decifrare, ogni minimo cambio di direzione era un evento fondamentale. Anni di esperienza e allenamento avevano affinato i suoi sensi, che erano sempre vigili e all'erta. Ed era proprio la sua capacità di elaborare molteplici informazioni da fonti diverse a renderla una velista così in gamba. In quell'ambiente, invece, non c'era nulla che richiedesse particolare reattività. Il che l'annoiava a morte. Fino a quel momento il clou della serata era stato rivedere Alex Moorehouse. Alex era stato il capitano dell'equi8
paggio di cui Madeline faceva parte e non era solo il suo mentore, ma un vero amico. Lui e la sua fidanzata, Cass, erano due delle persone migliori che avesse mai conosciuto e valeva la pena di affrontare la scocciatura di venire fino a Manhattan per vederli. In realtà tutti i membri dell'equipaggio avrebbero voluto partecipare alla festa, ma gli altri erano rimasti bloccati alle Bahamas a rimettere in sesto un'imbarcazione danneggiata da una brutta tempesta. E Mad era stata designata all'unanimità loro ambasciatrice ufficiale. Era una buona scelta e lo sapevano tutti. I ragazzi non se la cavavano granché bene nel mondo civilizzato ed era meglio che a rappresentare l'equipaggio fosse qualcuno in grado di fare buona figura. Non che ora stesse dando un grande esempio di socializzazione, pensò Mad. Avrebbe potuto fare da tappezzeria, tipo cheerleader dei Dallas Cowboys. Senza contare che non c'era nessuno con cui desiderasse realmente fare conversazione. La cinquantina di invitati riunita nell'attico apparteneva perlopiù al mondo del suo fratellastro: uomini potenti, irrequieti, con la competizione nel sangue; donne belle e aggraziate dallo sguardo glaciale e dal sorriso ancora più gelido. Non erano tutti così, ovvio: i familiari di Alex erano persone squisite e calorose, e c'era qualcun altro dall'aria accessibile. Ma, chissà perché, i giovani rampanti spiccavano particolarmente e le facevano venir voglia di ritirarsi in un angolo. Oltretutto era in pensiero. Scrutò di nuovo la stanza, esaminando facce e corpi in cerca di un uomo alto e dalle spalle larghe con i capelli neri a spazzola. Sarebbe dovuto venire anche Spike quella sera. Alex era uno dei suoi più cari amici. E anche Sean, a quanto si diceva in giro. Già, sarebbe dovuto arrivare da un momento all'altro. «Cerchi qualcuno?» chiese una voce profonda alle sue spalle. 9
Mad lanciò un'occhiata dietro di sé. Sean O'Banyon, il genio di Wall Street, l'ex teppistello di strada e ora perfetto bravo ragazzo, la stava fissando come a dire: ti ho beccata. Lei sorrise. E nonostante il profondo affetto che provava per lui, mentì. «No, no, non cerco nessuno.» «Oh, andiamo. I tuoi occhi continuano a rimbalzare da un uomo all'altro, solo che non riesci a individuare quello che stai cercando, non è così? Allora, chi è che vorresti trovare?» Sean era il fratello che Mad avrebbe voluto avere al posto di quello che le era toccato in sorte, ma non si sentiva a suo agio a parlargli di Spike. Quei due erano amici. Inoltre, visti i suoi trascorsi sentimentali, da un qualsiasi interesse per quell'uomo non c'era da aspettarsi nulla di buono. Ma purtroppo l'interesse c'era eccome. Mad aveva conosciuto Spike l'inverno precedente, quando era andata a trovare Alex a Saranac Lake. Si era sentita subito attratta da lui, però aveva tenuto quella sensazione per sé. Come la maggior parte degli uomini, Spike non parlava più di tanto in sua presenza, non la guardava né la sfiorava, nemmeno incidentalmente. Niente di nuovo, ci era abituata. Quando sei alta un metro e ottantatré senza scarpe e sei un'atleta professionista, i maschi tendono a non vederti come una possibile fidanzata, e talvolta neppure come una donna. Se ti trovano simpatica o ti rispettano, diventi una di loro. In caso contrario, ti fissano come fossi un'aliena o ti bollano come lesbica. Per Mad, di solito, entrambe le reazioni erano tollerabili. Più che tollerabili, a dire il vero, considerati i suoi pochi, tragici tentativi di entrare in relazione con qualche rappresentante del sesso opposto. Solo che... In questo caso, voleva che Spike la notasse, e non per la sua diversità, ma come se fosse qualcuna che lui poteva desiderare di abbracciare o persino baciare, anche una volta soltanto. Le sfuggì una smorfia mentre cercava di ricordare l'ulti10
ma volta in cui le labbra di un uomo si erano posate sulle sue. Cielo, quanto tempo... Oh, troppo, decisamente troppo per una ragazza della sua età. Si parlava di anni, non di mesi. «Mad? Ci sei?» la richiamò Sean. Lei scrollò il capo. «Sì, scusa. Mi piace come hai sistemato questo posto.» L'attico che Sean aveva acquistato l'anno prima era stato rimodernato con uno stile raffinato e molto maschile. Linee pulite ovunque, oggettistica ridotta al minimo, un sacco di pelle e di metallo. La vista panoramica sul parco e sulla città era fenomenale, senza inutili tende a ostacolarla. L'uomo si guardò intorno. «Grazie. Piace anche a me. Quelli di Architectural Digest hanno scattato un mucchio di foto per il prossimo numero della rivista. Degli interni si è occupato Blair Sanford.» «È proprio il luogo adatto a te.» «Dici?» «Be', se c'è uno tutto spigoli...» Sean scoppiò a ridere, la sua espressione severa si addolcì. «Nel mio lavoro, se sei troppo morbido, finisci schiacciato come un tubetto di dentifricio.» Il giovane O'Banyon era il consulente finanziario della sua famiglia da una decina d'anni e aveva contribuito a trasformare i Value Shop Supermarket in una catena diffusa su tutto il territorio nazionale. Ma il suo rapporto con Sean non era basato su quanto potesse farle incrementare il patrimonio. Mad gli voleva bene e si fidava di lui più di quanto si fidasse dei suoi parenti più stretti. Che ironia. Di solito evitava gli uomini come lui perché le ricordavano il suo defunto padre e il suo vivissimo fratellastro. Con la cravatta di seta e la costosa camicia di sartoria, Sean aveva il tipico aspetto patinato da affarista di Wall Street. Eppure non lo era. Era cresciuto nella zona sud di Boston, in un quartiere difficile, e non aveva mai dimenti11
cato ciò che aveva imparato dalla strada. Il che lo rendeva un po' inquietante, oltre a fornire a Mad un motivo in più per volergli bene. «Ascoltami, dobbiamo parlare.» Lei rabbrividì. «Dal tono della tua voce direi che si tratta...» «Del tuo fratellastro.» Mad distolse lo sguardo. «Non ho intenzione di vedere Richard, ma puoi riferirgli un messaggio da parte mia. Digli di smettere di chiamarmi. Mi sta intasando la segreteria telefonica.» «È una questione importante...» D'un tratto la porta dell'attico si aprì. E Mad arrossì dalla punta delle orecchie a quella dei piedi. Spike era vestito completamente di nero, con una giacca di pelle, una camicia button-down e un paio di pantaloni sportivi. I capelli corvini, dritti e lucidi, schizzavano in tutte le direzioni, ma, invece di conferirgli un'aria trasandata, la chioma arruffata enfatizzava le linee decise del suo bel viso. Il suo fisico possente riempiva il vano della porta. L'ingresso. L'intero appartamento, per quanto riguardava Mad. Oh, cielo, i suoi occhi... Quegli occhi incredibilmente gialli, nascosti sotto palpebre pesanti e ciglia folte. E i tatuaggi... Ai lati del collo, due eleganti motivi ricurvi gli solcavano la pelle. Al lobo sinistro portava uno spesso orecchino d'argento. Era impossibile trovare un uomo più sexy. In caso contrario tutte le leggi della fisica sarebbero state violate e la terra sarebbe implosa in un buco nero. E no, non le sembrava affatto uno scenario esagerato. «Santi numi» sussurrò Sean. «Stavi cercando Spike, non è vero? Da quanto dura tutto questo? Quando l'hai conosciuto? E perché io non ne sapevo nulla?» 12
Mad bevve un sorso di Chardonnay senza gustarselo neanche un po'. «Sta' zitto, Sean.» Al suo ingresso nell'appartamento di Sean, Spike era ormai al limite della sopportazione. Aveva retto abbastanza bene agli sfortunati contrattempi di quella giornata finché nell'atrio non aveva dovuto affrontare il cerbero dei portieri. Adesso era furioso e imbarazzato per il ritardo. Oltre che affamato. Il prossimo che avesse osato rompergli le scatole sarebbe finito male. Si tolse la giacca, la infilò nel guardaroba all'entrata e cercò immediatamente la chioma nera di Sean in mezzo alla folla. La rintracciò in meno di due secondi. E quando vide chi si trovava accanto all'amico, il cuore gli balzò in gola. Oh, buon Dio. Lei era lì. Madeline Maguire era lì. Al lato opposto della stanza, respirava la sua stessa aria. O meglio, respirava quel che lui avrebbe respirato se i suoi polmoni non si fossero di colpo sclerotizzati. Doveva immaginare che sarebbe venuta. Era la navigatrice di Alex, o comunque lo era stata prima che lui smettesse di capitanare barche da competizione all'America's Cup, perciò era ovvio che partecipasse alla sua festa di fidanzamento. Avrebbe soltanto desiderato essere pronto a quell'evenienza. Preparato. Controllato. Anche se, per esserlo davvero, ci sarebbe voluto un sedativo... e una benda sugli occhi. Dal suo punto di vista, Madeline Maguire incarnava la perfezione femminile. Era intelligente, sicura di sé e abbastanza alta da riuscire quasi a guardarlo dritto negli occhi. Quel suo essere calorosa senza risultare melensa lo attraeva a dismisura, ma era seducente sotto ogni aspetto. Aveva folti capelli scuri che le ricadevano fino a metà schiena. Gli 13
occhi blu zaffiro erano lucenti come fari. E il suo sorriso aveva l'effetto di una scarica elettrica capace di stordirlo fino alla completa idiozia. Quella sera indossava un vestito di maglia nero a collo alto e il suo corpo era... Sì, era ancora perfetto. Spike ne conosceva benissimo le curve. Le aveva osservate da vicino e di persona. La prima volta che l'aveva vista, Madeline stava uscendo dal bagno con indosso soltanto un reggiseno sportivo e un paio di mutandine nere. Gli si era avvicinata con nonchalance, come se non fosse la creatura più favolosa della terra, aspettandosi che lui le stringesse la mano quasi che chiacchierare amabilmente con un'amazzone fosse una cosa che capitava tutti i giorni. Poi gli aveva chiesto di vedere i suoi tatuaggi. E lui era quasi svenuto. A dire il vero, anche in quel momento gli girava un po' la testa. Ma forse era solo un picco di ipoglicemia, pensò con ottimismo. Erano passate sei ore dal suo ultimo pasto. Spike si tirò su i pantaloni, vi infilò dentro la camicia e s'incamminò verso Madeline e Sean, sforzandosi di controllare l'espressione sul suo viso. Se non si dava una regolata, correva il rischio di mettersi a sorridere come un imbecille. E di strascicare i piedi. Accidenti, dove diavolo erano le sue capacità strategiche quando ne aveva bisogno? «Ehi, bello» disse, rivolgendosi a Sean. «Mi spiace un sacco per il ritardo. Hai ricevuto il mio messaggio?» Mentre gli dava il cinque, si accorse subito che c'era qualcosa di strano nell'aria. Gli occhi del suo amico luccicavano. E Sean O'Banyon, meglio conosciuto come SOB, non era tipo da occhi luccicanti. Sean lanciò uno sguardo alla sua sinistra. «Nessun pro14
blema. Hai già conosciuto Madeline Maguire, vero?» Certo, pensò Spike. L'ho vista ieri notte nei miei sogni. Mentre annuiva, si concesse di gettare un'occhiata fulminea nella sua direzione. Oh... wow. Che labbra rosate! E senza un filo di trucco. «Ciao, Spike» lo salutò lei. E che voce! Roca, profonda, sexy, proprio come se la ricordava. Spike avvertì un fremito corrergli lungo la pelle. «Piacere di rivederti, Madeline.» Per fortuna lei non gli porse la mano. Spike aveva già provato la sensazione di spiaccicarsi a terra in mezzo alla Settantunesima e non era stata certo un'esperienza esaltante, perciò avrebbe volentieri evitato di ripeterla davanti a lei per un mucchio di buone ragioni. «E i discorsi augurali?» domandò a Sean. «Me li sono persi tutti?» «Mi spiace, amico. Ormai è andata.» «Sarà meglio che vada a scusarmi. Sapete dov'è la coppietta felice?» «Nel mio studio, credo. Alex ha insistito perché Cass si sedesse e penso l'abbia fatta sistemare lì, su una poltrona. Dice che probabilmente il dottore le imporrà di restare a letto fino al termine della gravidanza. Hai già cenato?» «No. E ho una fame da lupi.» «Di' un po', Mad, perché non mostri al nostro ragazzo dov'è il buffet?» «Non occorre» ribatté subito Spike. «Lo troverò da solo. Ah... Senti, ti spiace se mi fermo a dormire da te questa notte?» Sean gli scoccò un grande, enorme sorriso, con tanto di fossette. Guai in vista, pensò Spike. Negli occhi nocciola di SOB si leggeva chiarissima la scritta: oh, oh, fantastico. Cosa aveva in mente? Sean gli diede una pacca sulla spalla. «Penso che sareb15
be un'idea grandiosa, Spike. Assolutamente perfetta. Tu non credi, Mad?» Per qualche misteriosa ragione, Madeline fissava Sean come se volesse tirargli un calcio nello stinco. Spike li guardò perplesso, chiedendosi quanto quei due fossero legati. E che tipo di legame li unisse. Sapeva ben poco di quella donna. Proveniva da una famiglia molto facoltosa, proprietaria di una catena di supermercati. Forse O'Banyon era un suo consulente o roba simile. Sean le strizzò l'occhio. Già... o forse era qualcosa di più. Una brusca impennata di testosterone mise fuori uso la sua capacità di raziocinio. E Spike fu travolto dall'urgente bisogno di frapporre il suo corpo tra loro. E magari di trascinare Sean O'Banyon, col suo bel viso, gli occhi sfavillanti e le fossette, dentro l'armadio all'ingresso dell'attico: sarebbe stato benissimo appeso accanto alla sua giacca da moto. Al buio. Lontano da Madeline. A farsi l'occhiolino da solo. Il bastardo. Sospirando, Spike tenne a freno il suo gorilla interiore, sforzandosi di ricordare che Sean era un amico. Un amico. Ma poi vide Mad guardare SOB come se avessero un segreto da condividere. E il primate nascosto dentro di lui cominciò a battersi il petto. Sean è una preda da divorare, gli diceva la creatura. Una preda. Okay, era il momento di battere in ritirata. Se avesse indugiato oltre, le sue due personalità avrebbero cominciato a litigare tra loro. E a voce alta. «Scusateci» mormorò, allontanandosi. «Ehm, volevo dire, scusatemi.»
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