il cavaliere oscuro

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Nicole Locke IL CAVALIERE OSCURO

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Her Dark Knight's Redemption Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2019 Nicole Locke Traduzione di Giuliano Acunzoli

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises ULC. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici gennaio 2023

Questo volume è stato stampato nel dicembre 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100%

I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1336 del 4/01/2023 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano

HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano

Francia, 1297

«Vi assicuro, monsieur, che la bambina è vostra.»

Reynold non si prese il disturbo di voltarsi verso la donna alle sue spalle. Raramente si rivolgeva a qualcuno, a meno che non gli convenisse. L'accento gutturale e la puzza di sudore gli assicuravano che era una persona molto al di sotto di lui, in ogni modo concepibile.

A dire il vero, lo erano quasi tutti. Se doveva passare il tempo tra i parassiti che si attaccavano ai seni sempre munifici della Corte, si sarebbe rassegnato, ma sapendo che per il Re di Inghilterra non era inferiore a nessuno.

Nella riservatezza di casa sua, accettava a malapena il fatto di essere inferiore a Dio.

Era un cavaliere altamente capace, in grado di uccidere con quasi tutte le spade e le lame concepite da mente umana. Tuttavia, ciò che nessuno sapeva era che era molto più letale con gli intrighi che tesseva. Coloro che scoprivano il suo talento segreto non vivevano abbastanza a lungo per raccontarlo.

Era anche così fortunato da possedere una ricchezza che rivaleggiava con quella di Re Edoardo. Una

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minuscola parte veniva ostentata nei suoi alloggi privati, dove lui e la popolana si trovavano. Cascate di seta, intricati ricami in fili d'oro che ricordavano gemme preziose e una gran quantità di volumi amanuensi. Possedeva molte dimore e viaggiava più di qualunque uomo avesse conosciuto, portando sempre i libri con sé.

La sola cosa che lo seccava era che le sue ricchezze non potevano rivaleggiare con quelle della Chiesa. Ma si consolava pensando che gli ecclesiastici avevano alle spalle mille anni di saccheggi e che lui aveva tutto il tempo di recuperare.

Era potente, ma ciò che davvero lo poneva sopra gli altri era il nome della sua famiglia: i Warstone. Grazie a quel titolo, aveva ottenuto un potere inimmaginabile e veniva temuto come nessun altro. Anche se desiderava eliminare ogni parente, abbattere ogni monumento e fare a pezzi ogni pergamena che recava il nome con cui era nato, per adesso lo usava a suo vantaggio. A conti fatti, si adattava bene agli intrighi che concepiva. Ma aspettava solo il momento in cui quel nome avrebbe perso ogni importanza: poi, si sarebbe rifiutato di riconoscere il lascito dei Warstone, proprio come non riconosceva la popolana che si muoveva a disagio dietro di lui.

I popolani si sentivano sempre a disagio al suo cospetto e spesso si tenevano pronti a darsela a gambe per salvarsi. Non arrivavano mai a nulla. Potevano correre fino allo sfinimento, ma, se lui lo voleva, erano morti. I nobili, invece, erano troppo stupidi o troppo pigri per capire che dovevano mostrarsi ancora più cauti in sua presenza. Al contrario, solevano spesso giustificarsi cianciando delle loro miserabili esistenze oppure confessavano... come se lui conoscesse la pietà.

Chiedendosi se quella giovane desiderava morire, Reynold distolse gli occhi dalla finestra e li puntò sul-

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lo specchio, in cui si rifletteva l'immagine un po' distorta della donna... e della bambina che teneva tra le braccia.

Distorta, ma abbastanza chiara da capire, grazie ai capelli scuri della sconosciuta e agli stracci che indossava, che la bambina non poteva essere sua, nonostante quelle assurde pretese. Un dato di fatto colto con un'occhiata che non lo sorprendeva e non lo compiaceva. Pertanto, aspettò che la paura le dicesse la cosa più sensata da fare: Fuggi.

Forse era la figlia illegittima di un nobile e non immaginava che la sua vita stesse per giungere al termine. Ma non lì, in quella casa particolarmente segreta nel cuore di Parigi. Reynold non avrebbe insozzato il suo santuario con il sangue di quella donna.

Però l'avrebbe uccisa comunque. Non tollerava i truffatori e i mentitori e, a giudicare dai vestiti e dal colore dei capelli, lei ne mostrava tutti i tratti.

Per adesso aspettava. Il cielo della notte era buio, ma non completamente. Tutto attorno si vedevano le luci tremolanti di candele e lanterne che indicavano le case eleganti sparse qua e là nell'indistinta massa di catapecchie. Se ascoltava bene, sentiva grida e risate. Parigi non dormiva mai. Era uno dei motivi per cui gli piaceva tanto. C'era una certa accettazione di tutti i percorsi della vita, sia umana sia animale. E dato che la città era aperta a tutto e tutti, Reynold si godeva il suo anonimato. Perché, fino a quando il suo intrigo non fosse giunto a compimento, non voleva essere trovato.

«Monsieur?»

«Ah, sei ancora qui?» replicò Reynold. Sentirla trasalire gli ricordò il motivo per cui l'aveva fatta entrare. I pezzenti fornivano spesso una distrazione nelle lunghe notti invernali. E quello avrebbe dovuto essere l'unico scopo della popolana quando le guardie al cancello gli avevano detto che una don-

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na voleva vederlo. La sola differenza tra lei e le altre era la bambina che teneva tra le braccia.

Quando le aveva permesso di entrare, non era stato esattamente curioso. Esserlo implicava qualche emozione e, come al solito, lui non provava assolutamente nulla. Dopotutto, non era la prima ad affermare che un figlio o una figlia erano suoi. Una pretesa che andava avanti fin da quando era cresciuto abbastanza da procreare. E tutte quelle false affermazioni erano riuscite a estirpare persino il desiderio di avere un erede, seppellendolo insieme al suo cuore in qualche punto dell'oscura strada che la vita lo aveva costretto a prendere. Tuttavia, Reynold bramava ancora ciò che aveva letto su un libro che parlava di una casa e un focolare dopo un lungo viaggio, ciò che non aveva mai ottenuto in tutta la sua esistenza: una famiglia, una vera famiglia. Per questo l'aveva fatta entrare.

Ma, adesso che la vedeva riflessa allo specchio, si pentiva di quella decisione estemporanea. Perché gli sarebbe toccato subire le insistenze di quella donna, anche se forse sarebbe bastato darle qualche moneta per mandarla via. Con tutta probabilità, invece, avrebbe finito con l'ordinare ai suoi uomini di ucciderla e questo lo deludeva molto.

Tornò a guardarla e aggiunse: «Quel marmocchio non è mio, però i soldi che riceverai prima di andartene potrebbero essere tuoi». Temporaneamente. «Ma solo se te ne vai adesso e senza dire una parola.»

Pregava che tacesse, anche se sapeva che non lo avrebbe fatto. Una vita sprecata, proprio come il suo tempo. Non era mai stato con quella donna. Non era la povertà a tradirla, ma il colore dei capelli. Non giaceva mai con femmine dai capelli scuri, visto che i suoi erano neri come la sua anima. Non voleva che nessun neonato passasse per suo. Sapeva che non c'erano certezze, ma in ogni caso era un maestro nel far sì che le possibilità fossero tutte a suo favore:

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non giaceva mai con una donna per due volte, né lasciava tracce di sé nel giaciglio o nel suo ventre, e rifiutava le femmine dai capelli scuri oppure con gli occhi grigi. Così, nel caso fosse nato un bambino, ci sarebbe stata una forte possibilità che fosse chiaro di capelli come la madre e questo gli avrebbe permesso di negare ogni responsabilità.

«La bambina è vostra. Lo sapreste se solo la guardaste.» La donna si avvicinò un poco, il passo lieve sulle assi di legno del pavimento. Non aveva scarpe adeguate per l'inverno. Un'altra miserabile che provava a sopravvivere agli ultimi mesi di gelo. Peccato per lei avere parlato, condannandosi così a non superare neppure quella notte.

«Vane parole» le rispose. «Sembra che tu non voglia i soldi. Chiamerei le guardie per farti rimuovere da questa stanza, ma sono consapevole della bambina che tieni in braccio. Per il bene di questa innocente, conterò fino a tre. Dopo, qualunque cosa accada...»

Una ruvida risata eruppe dalla donna. «Sapevo che mi avreste trattato così. Siete freddo e implacabile, ma non importa, perché si adatta ai miei scopi. Pienamente.»

Quella donna aveva... uno scopo. Interessante. Se una popolana aveva degli scopi, allora sapeva qualcosa su di lui. In tal caso, il suo anonimato era stato compromesso, cosa che non andava affatto bene per i suoi intrighi.

La sua sopravvivenza dipendeva dal passare inosservato. Quella sconosciuta sarebbe morta, ma prima Reynold aveva qualche domanda da porle. Deliberatamente, si voltò e la squadrò da cima a fondo.

Era molto più grezza di ciò che lasciava intendere la sua immagine riflessa. Dalla ruvidità della pelle al fango che le sporcava l'orlo della gonna, l'aria che ostentava era quella di una serva. Ma c'era anche qualcos'altro che lui conosceva bene: l'avidità.

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Bramosia. Fu quel sentimento a spingerlo a guardare il fagotto che lei teneva tra le braccia. Se quella donna cercava soldi, non aveva fatto bene i conti. La bambina era piccola e lui non veniva a Parigi da quasi due anni. Inoltre, sembrava gracile, coperta a malapena, nonostante il vento gelido, le guance e le mani rosse anche se aveva aspettato nel calore della sua casa.

La testa, per contro, era completamente esposta, rivelando una sorprendente chioma scura. Capelli identici a quelli della donna davanti a lui, solo che lei non affermava di essere la madre. Diceva solo che la piccola era di Reynold.

Con quei capelli quasi corvini, lui non poteva scartare a priori di essere il padre. «Chi è la tua padrona?»

«Non è la mia padrona, anche se fingo che lo sia. Mi ha pagato bene per tacere, ma sapevo che voi sareste tornato e quindi ho aspettato. L'ho fatto perché, nonostante ai tempi lei fosse ricca, so che voi lo siete molto di più.» Con questo, lanciò un'avida occhiata alla stanza, posando gli occhi su un cofanetto smaltato d'oro. «Sì, molto, molto di più.»

«Mi stai dicendo che la bambina è mia e che la madre ti ha pagato affinché me lo nascondessi? Direi che non conviene confidare in te.»

«Non sono né una confidente né un'amica. Io odio quella donna. Crede che sia buona solo per svuotarle il vaso da notte. Nessuno fa caso alle serve che svolgono simili compiti, ma io c'ero la notte in cui è uscita per venire da voi. Ho continuato a lavorare in quella casa e, quando è giunto il momento, le ho fatto sapere che avevo visto tutto.» Un sorrisetto le piegò le labbra. «Lei è una vedova intelligente e ha spacciato la bambina come figlia di un altro. Per cui, quando le ho detto che sapevo di chi era, mi ha pagato esattamente quanto le ho chiesto. E mi ha implorato di non

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dire nulla al suo attuale amante, perché le ha offerto molto, credendo di essere il padre. Poi, però, ho aperto gli occhi, perché lei ama questa bambina ed è stata svelta a pagarmi, nonostante sia una dama fredda come voi. Non temeva che raccontassi tutto a quell'inutile spaccone che geme tra le sue gambe aperte. Oh, no! Lei temeva che raccontassi tutto al vero padre. Così ho capito che siete importante. E soprattutto che avete molti soldi. Tanti da sistemarmi per sempre.»

Reynold ricordava un'agiata vedova bionda che chiedeva denaro per i propri favori. Anche se non ricordava il nome, e l'aspetto restava assai confuso, l'aveva conosciuta a Parigi ed erano finiti a letto circa un anno prima.

Un'insolita emozione gli riempì il cuore, una che non aveva più provato da quando aveva sentito per caso le macchinazioni dei suoi genitori per spezzarlo. Gli stringeva di soppiatto le viscere, come se si fosse limitata ad aspettare. La sensazione era lieve, ma tuttavia familiare.

Paura.

Perché anche se c'erano abbastanza prove davanti ai suoi occhi da mettere in dubbio la versione di quella popolana, tutto pareva così plausibile da essere vero. Una serva avida, una bambina dai capelli corvini e una padrona agiata che amava la figlia a tal punto da nasconderla a lui. La vedova che ricordava viveva a Corte, ma era andata incontro a tempi difficili e quindi costituiva un'eccezione alle sue regole. Era una nobile che sapeva come tirare avanti.

Ma dietro a quella paura spiccava qualcosa di luminoso e al contempo lacerante. Se il padre era lui... no, non doveva pensarci. Non poteva, nonostante tutto, ma già non riusciva a sopprimere la voglia di tenere la bambina tra le braccia, di accertarsene di persona. Come aveva già fatto molte volte. Quel bisogno avrebbe mai smesso di tormentarlo?

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Ma come poteva una madre amorevole lasciare la figlia a una creatura vile come quella serva? «Cosa le hai fatto?»

«Io? Non ho fatto nulla a sua madre» rispose lei, spostando la bambina tra le braccia. «È a casa, ecco dov'è.»

«E vuoi farmi credere di averle rubato la bambina? È più facile che sia tua.»

«Ma ha i capelli neri.»

«Lo stesso vale per te.»

La serva reagì con un suono impaziente. Nuovi allarmi gli riempirono la mente.

«La madre non vorrà vedervi. Perché non mi pagate, così ve la consegno? Non tenete a vostra figlia?»

Tese le braccia come se gliela stesse offrendo e la bambina aprì gli occhi. Lui non riuscì a capire di che colore fossero, però si rese conto che l'età corrispondeva. Era piccola e malnutrita, ma abbastanza cresciuta da essere sua.

Rischiava molto dando retta a quella donna, tuttavia avrebbe rischiato ancora di più se non lo avesse fatto, poiché, se avesse ucciso lei e la bambina, una madre agiata a cui mancava la figlia avrebbe potuto creargli più problemi di quanti era disposto ad affrontare. La sua scacchiera era già piena.

Purtroppo, non sapeva dove abitava la vedova, poiché si erano visti in un altro luogo. Una pecca nel suo astuto piano per l'anonimato.

Quindi, l'unica opzione era seguire quella serva e lasciare la sicurezza della sua casa. Poteva anche trattarsi di una trappola. Ora, questa sì che costituiva una distrazione degna di nota. «Dimostrami che non sei tu la madre e potresti ottenere ciò che stai cercando.»

La donna lo studiò con occhi socchiusi. «Vi porto da lei e mi pagate?»

Se colei da cui intendeva portarlo non era la vedova che ricordava, l'avrebbe sgozzata con un colpo di

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spada per zittirla per sempre. Poi avrebbe affondato il coltello nel cuore di quella traditrice. Mentitori, tutti quanti.

Se anche quella bambina fosse stata davvero sua, non avrebbe avuto posto per lei nella sua vita. I suoi fratelli l'avrebbero uccisa, per cui, se teneva davvero alla sua progenie, avrebbe fatto bene a voltarsi e ad abbandonarla di nuovo.

Aveva abbastanza giocatori sulla scacchiera e nuove mosse da compiere. Poteva anche non essere stato lui a dare inizio a quella partita, ma era determinato a vincerla. E una figlia non rientrava nei piani. Per quanto riguardava la serva, sarebbe stata fortunata a sfuggire alla sua spada.

Puntò gli occhi su quella miserabile. «Se questa bambina è mia, ti ricompenserò ampiamente.»

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Il cavaliere oscuro

NICOLE LOCKE

FRANCIA, 1297 - Sir Reynold Warstone è ricco, potente e letale. Quando a Parigi scopre di essere padre di una bimba, decide di trovare subito una madre per la piccola Grace.

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