Il fascino del seduttore

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IL MEGLIO DI 3 R O M A N Z I D ’A U T O R E


Leanne Banks

IL FASCINO DEL SEDUTTORE


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: From Playboy to Papa! The Playboy's Proposition Secrets of the Playboy's Bride Silhouette Desire © 2010 Leanne Banks © 2010 Leanne Banks © 2010 Leanne Banks Traduzioni di Roberta Canovi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prime edizioni Harmony Destiny gennaio 2011; febbraio 2011; marzo 2011 Questa edizione Il Meglio di Harmony marzo 2018 IL MEGLIO DI HARMONY ISSN 1126 - 263X Periodico mensile n. 220 del 14/03/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 777 dello 06/02/1997 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Sommario Pagina 7

Le regole per conquistarti Pagina 167

Una proposta per sedurti Pagina 325

Un accordo per averti



Le regole per conquistarti



Prologo Era l'una di notte e i fratelli Medici stavano festeggiando il nuovo anno con una bottiglia di scotch e una partita di biliardo. Una volta tanto, Rafe era in vantaggio su Damien; Michael, però, gli era alle costole. «Chiudiamola qui» propose Damien buttando via un colpo per la fretta. «Ansioso di tornare da tua moglie?» lo stuzzicò Rafe. «Ormai avrà finito la doccia» spiegò Damien incurvando le labbra in un raro sorriso. «Ho intenzione di iniziare l'anno come si deve.» «Non avrei mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui avresti preferito una donna alla possibilità di battermi a biliardo» osservò il fratello, mandando la palla nella buca d'angolo. «Sei solo geloso perché non hai una donna come Emma ad aspettarti» replicò allora Damien. Rafe non riuscì a sopprimere una punta di rammarico: dalla fine della storia disastrosa con Tabitha Livingstone, non si era più concesso di lasciarsi coinvolgere troppo da una donna. Distratto, mancò il colpo successivo e imprecò tra i denti. Damien diede un'occhiata all'orologio prima di alzare lo sguardo sui fratelli. Posata la stecca, sollevò il 9


bicchiere in un brindisi. «A voi due, che quest'anno possiate entrambi trovare una donna che valga anche solo la metà di Emma.» Dopodiché bevve un sorso e lasciò la stanza. «Non mi resta che vincere la partita.» Rafe mise a segno due colpi, e con altri due chiuse il conto. «Hai vinto» osservò il fratello minore. «Già.» Il gusto del trionfo, però, non era dolce come avrebbe dovuto. «Che cosa vuoi fare adesso?» domandò Michael con un'espressione piuttosto persa. «Blackjack» fu la pronta risposta. «Non saremo fortunati in amore, ma scommetto che con i soldi è tutta un'altra storia.»

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1 La foto sul quotidiano posato precariamente sull'orlo del tavolo distrasse Rafe. Quella donna sembrava familiare... Avvicinò il giornale, per rivolgerle un'occhiata più attenta, e la identificò immediatamente: Tabitha. Sentì lo stomaco contorcersi e una dozzina di emozioni diverse affollarsi dentro di sé. Avrebbe riconosciuto ovunque quella chioma bionda, anche se ora era un po' più scura, quei sensuali occhi azzurri, quel corpo disegnato per fare impazzire un uomo. E ragazzi, se sapeva come usarlo: l'aveva preso al guinzaglio ed era quasi riuscita a strangolarlo. «Questo affare dev'essere davvero importante per strapparti a South Beach» osservò Michael catturando la sua attenzione. «Per il cliente giusto, non mi dispiace fare il viaggio. Questo ha comprato due yacht premium e ha degli amici che vogliono affittarli.» A Rafe non dispiaceva neanche strappare un affare alla Livingstone Yachts – anzi, si godeva ogni istante della tortura inflitta al padre di Tabitha, anche se quell'aspetto l'avrebbe tenuto per sé. «Cosa mi dici di te? Sembra che gli affari vadano bene» commentò guardandosi intorno: il bar che Michael aveva rilevato era diventato uno dei locali 11


trendy di Atlanta. Scosse il capo. «Di nuovo il tuo tocco magico, eh?» Michael accennò una risata. «Lo sai bene. Altro che tocco magico, ci ho messo l'anima.» «Come abitudine dei Medici» commentò distratto. Il suo sguardo fu attirato di nuovo dalla copia dell'Atlanta Constitution; non riusciva a credere di essere stato tanto sciocco da prendere in considerazione un futuro con Tabitha. «Ehi, non hai ascoltato una parola di quello che ho detto» protestò a un certo punto il fratello. «Che cosa stai guardando?» Rafe strinse gli occhi, studiando il bimbo ritratto accanto a Tabitha; non poteva avere più di quattro o cinque anni, rifletté. Il che significava che la bugiarda aveva frequentato qualcun altro, mentre stava con lui – del resto, non l'aveva scoperta a tentare di sedurre un cliente? «Conosci il tizio sulla sedia a rotelle?» gli domandò Michael. «Cosa...» Rafe si fermò e scorse rapidamente l'articolo che riportava la storia di un veterano dei marines che si era costruito una nuova vita nonostante l'handicap. Che cosa diavolo ci faceva Tabitha con lui? Era una ricca ragazzina viziata. Si accigliò e studiò di nuovo la foto. Il ragazzino aveva capelli ricci castani ed era timidamente mezzo nascosto dietro la sua gamba. Facendo i conti, Rafe si raggelò. Quel bambino aveva le caratteristiche dei Medici: anche se la madre era una bugiarda, poteva essere suo figlio. «Rafe, ti stai comportando in modo strano» gli fece notare il fratello con una punta di preoccupazione nella voce. 12


«Già, be'...» Scosse il capo e indicò l'articolo. «Sai dove si trova questo posto?» Michael inarcò le sopracciglia. «Sì. Non è il quartiere migliore della città, sinceramente; meglio non passarci troppo tempo dopo il tramonto.» Rafe guardò l'ora – erano le undici. Dannazione: doveva scoprire se quel ragazzino era suo. «Che cosa succede?» gli domandò ancora Michael. «Non ne sono sicuro, ma ho tutte le intenzioni di scoprirlo.» Nicole Livingstone si strinse nel cappotto per tenere a bada l'aria fredda di gennaio. Si diresse alla propria auto, notando un bell'uomo che proveniva dalla direzione opposta sullo stesso marciapiede. Se fosse stata una donna frivola, quella sarebbe stata l'occasione perfetta per flirtare. Sotto la giacca di pelle nera lo sconosciuto nascondeva due spalle larghe, e camminava con un passo potente e deciso; i capelli scuri erano arruffati dal vento, e gli occhi altrettanto scuri erano incorniciati da sopracciglia ben disegnate. L'unico aspetto negativo era la bocca stretta in una linea dura, come se l'uomo fosse infastidito da qualcosa e intendesse rimediare. Nicole distolse lo sguardo. «Tabitha» esordì l'uomo fermandosi davanti a lei. «Tabitha Livingstone.» Stupita che conoscesse il nome della sorella, Nicole risollevò lo sguardo di scatto. «Non sono...» «Non cercare di prendermi in giro» la interruppe però l'altro. «Tu e io ci conosciamo troppo bene.» Nicole prese un respiro corto, a metà tra la delusione e la trepidazione. Le era successo fin troppe volte di essere scambiata per la gemella, ma non più da quando lei era morta. Il problema era che Nicole non 13


sapeva mai che tipo di rapporto Tabitha aveva avuto con la persona che si ritrovava davanti. «Mi chiamo Nicole Livingstone. Sono la sorella gemella di Tabitha.» Osservò lo sconosciuto digerire la notizia. Il suo viso fu attraversato dall'incredulità, poi dalla confusione. «Non mi ha mai detto di avere una gemella.» Nicole rise, ma la sua risata imbarazzata le si strozzò in gola. «Le piacevano le sorprese.» «Mmh» replicò l'altro corrugando la fronte, quindi si grattò il mento. «Dov'è Tabitha, adesso?» Nicole si mordicchiò il labbro. La fitta di dolore la colse alla sprovvista: pensava di essersi abituata alla perdita della sorella, invece, il solo sentire il suo nome fu quasi uno shock. «È morta tre anni fa.» L'uomo spalancò gli occhi. «Non lo sapevo.» «Ha avuto un'infezione» spiegò lei con un cenno del capo. «I medici non hanno potuto far niente. La gente pensava che fosse tanto forte da sopravvivere a tutto. È stato un trauma per tutti noi.» «Mi dispiace molto» offrì lui, ma Nicole lesse la durezza nei suoi occhi. Le tese la mano. Quando l'afferrò, fu immediatamente colpita dal suo calore e dalla sua forza. Era una bella sensazione. «La ringrazio. Lei è?» «Rafe» rispose l'uomo. «Rafe Medici.» Il mondo le sprofondò sotto i piedi. Il cuore prese a martellarle nel petto come se qualcuno avesse azionato un allarme antincendio dentro di lei. Le ci volle un momento per ritirare la mano. Doveva allontanarsi da lui, il più in fretta possibile. Prese un profondo respiro e fece un passo indietro. «Grazie ancora. Addio.» Tentò di girargli intorno, ma lui le sfiorò il braccio con la mano. Mordendosi il labbro, Nicole si fermò e 14


fissò lo sguardo sul suo viso, evitando gli occhi, però. «Sul giornale, ho visto la sua foto insieme a un bambino. È di Tabitha?» «È mio» rispose lei immediatamente, il sangue che le affluiva al cervello. «Joel è mio.» «Tabitha ha avuto un figlio prima di morire?» «Joel è mio. Ora devo andare» dichiarò incamminandosi lungo il marciapiede verso la Camry ibrida. Con il battito impazzito, aprì la portiera e si infilò dietro al volante, ma quando fece per richiuderla, Rafe Medici apparve accanto a lei e glielo impedì. «Signor Medici» cominciò, cercando di non lasciarsi sopraffare dal terrore. «Mio padre morì quando ero molto giovane. Fu una perdita terribile. Non vorrei mai che mio figlio dovesse affrontare la stessa difficoltà.» L'umanità che lesse nella sua espressione la colse di sorpresa: la sorella l'aveva descritto come una persona dall'ego mostruoso. Nicole guardò di proposito la mano che le impediva di chiudere la portiera. «Per cortesia, si allontani dall'auto. Devo andare» ribadì con quel tono che aveva sviluppato per bloccare le discussioni con le strutture di assistenza sanitaria che rifiutavano di collaborare. Sentì la potenza del suo sguardo indagatore mentre toglieva la mano. Non era affatto intimidito. E perché avrebbe dovuto esserlo? Era più alto di lei di una quindicina di centimetri, e con quelle spalle ampie e quei muscoli tonici probabilmente avrebbe potuto sollevare tre Nicole. «Arrivederci» promise. E a quel punto Nicole schizzò fuori dal parcheggio. Arrivederci. Sperava proprio di no. Con Joel prossimo al quarto compleanno, aveva pensato di essere al sicuro. Dopotutto, al funerale di Tabitha non c'era stato 15


segno di Rafe – niente fiori, biglietti, niente di niente. Imboccò la superstrada sudando freddo. Nicole aveva sempre mantenuto un basso profilo; le veniva naturale, del resto: era stata Tabitha quella esuberante ed estroversa. Dopo tutto quel tempo, aveva portato Joel a conoscere uno dei propri assistiti, per fargli ammirare la sua collezione di modellini di dinosauri. Un giornalista che raccontava le storie dei veterani disabili li aveva sorpresi, catturandoli in una foto che era stata pubblicata sul giornale. Una iella nera. Serrando le dita sul volante, si chiese se avrebbe dovuto prendere Joel e lasciare immediatamente la città. Il bimbo però era timido, e sembrava trovarsi a proprio agio con gli amici dell'asilo. Ricordò l'espressione determinata di Rafe e rabbrividì. Sua madre viveva dall'altra parte del mondo, in Francia; Nicole e Joel avrebbero potuto recarsi da lei, almeno per un po'. La madre però conduceva una vita sociale piuttosto attiva e avere un bimbetto intorno le avrebbe dato fastidio. Tabitha si sarebbe rivolta al padre, e con una prestazione da Oscar sarebbe riuscita a scucirgli dei soldi, ma Nicole preferiva limitare il rapporto col genitore al minimo indispensabile. Dopo quello che aveva fatto... Prese un profondo respiro per calmarsi. Le avevano sempre detto che lei era la gemella col senso pratico: avrebbe trovato la soluzione, e avrebbe protetto Joel a ogni costo. Stava mentendo, stabilì Rafe mentre la osservava uscire dal parcheggio in tutta fretta. Sentiva un formicolio alla mano sinistra, e la sensazione gli era servita da avvertimento per tutta la vita. Quella donna prometteva guai, forse ancora più della sorella, se possibile. All'inizio era sembrato che a Tabitha piacesse vive16


re con Rafe, ma presto aveva capito che tutto ciò che voleva da lui era il suo denaro. Dopo tutto quel tempo, non riusciva ancora a capacitarsi di una simile ingordigia. In fondo la sua famiglia era benestante. Ma Rafe ricordava come lei l'avesse supplicato di lasciarle vendere qualcuno dei suoi yacht. Glielo aveva concesso, compiacendosi in segreto di aver avuto la meglio sull'onnipotente Conrad Livingstone grazie alla sua stessa figlia. Ma il gioco gli si era ritorto contro; lei gli aveva mentito per gonfiare la propria commissione, dopodiché aveva tentato di sedurre uno dei suoi clienti, un principe spagnolo. Non ci era riuscita. La mente in preda a un turbine di pensieri, Rafe si incamminò verso la propria auto a nolo. La cosa fondamentale era scoprire se aveva un figlio o no. Non sarebbe stato così difficile. Dopo aver ricevuto il primo rapporto dell'investigatore privato, Rafe si recò da un avvocato, volendo conoscere le proprie possibilità nel caso si avviasse una battaglia legale per la custodia. L'avvocato scosse il capo. «La signorina Livingstone può lottare, ma a meno che non riesca a dimostrare che lei è un genitore indegno, non può vincere. Ha bisogno solo di un test di paternità per dimostrare che il bambino è suo. Dovrebbe essere piuttosto semplice ottenere un'ordinanza dal tribunale.» Rafe ripensò agli anni in cui gli era stata negata la conoscenza del figlio, tutto per colpa dei Livingstone, e fu assalito dall'amarezza. «Queste persone mi hanno ingannato nel peggiore dei modi. Voglio portare via Joel il più presto possibile.» Il legale però sollevò una mano. «Non così in fretta.» «Perché no?» domandò Rafe. «Mi ha appena detto che otterrei la custodia senza problemi.» 17


«È vero» confermò l'uomo, «ma deve tenere a mente il bene di suo figlio. Vuole davvero strapparlo all'unica persona che conosce fin dalla nascita? Direi che Nicole Livingstone si è presa cura di lui nel migliore dei modi, non è d'accordo?» «Già» dovette riconoscere con riluttanza. «Legalmente, ha tutto il diritto di portare via suo figlio e di fare in modo che non riveda mai più Nicole, ma deve riflettere su cos'è meglio per Joel. Come reagirebbe se venisse strappato dalla donna che ritiene sua madre?» Lo stomaco gli si contorse all'idea. La sua esperienza non era troppo dissimile – aveva perso i genitori e la famiglia da bambino, anche se non tanto piccolo. Il trauma l'aveva segnato per anni. Nonostante la collera verso i Livingstone, doveva ammettere che Nicole era stata una buona madre per Joel. Sembrava diversa da Tabitha, ma non poteva esserne certo. Era difficile credere che non fosse come il padre e la sorella, soprattutto dato che non si era data la pena di informarlo dell'esistenza di Joel. Aveva la possibilità di vendicarsi dei rivali, finalmente, ma per quanto gratificante, la vendetta era egoista. Ora aveva un figlio a cui pensare e quella consapevolezza lo spiazzava ogni volta che si fermava a rifletterci sopra. Nicole poteva essere utile. In mente gli balenò la sua immagine: certo non era il suo tipo, non era affatto appariscente e celava con discrezione la propria sensualità. Ma c'era qualcosa in lei che lo incuriosiva; aveva il sospetto che, una volta mollato il freno, sarebbe stata esplosiva. Ci sarebbe voluto l'uomo giusto per farle perdere il controllo. In altre circostanze, avrebbe accettato la sfida per soddisfare la propria curiosità, ma in quel mo18


mento c'era in gioco qualcosa di ben più importante. Suo figlio. «Quale storia vuoi che ti legga?» Il cuore le si strinse nel petto quando il bimbo sollevò quattro libretti con occhi speranzosi. Biologicamente poteva essere suo nipote, ma per lei Joel era suo figlio in tutto e per tutto. E aveva fatto in modo che la cosa fosse riconosciuta in tribunale. «Quattro?» tentò. «Pensavo di leggertene solo due questa sera.» «Ma mi piacciono tutti questi» replicò Joel guardando i libri. Il fatto di dover scegliere evidentemente lo metteva in difficoltà. Nicole sospirò. «D'accordo, ma solo per questa volta» dichiarò, ben sapendo che non sarebbe riuscita a dire di no se il bambino glielo avesse chiesto di nuovo la sera dopo. Aveva il sospetto, comunque, di godersi più del figlio quei teneri momenti tra loro. Joel le si accoccolò in braccio e aprì il primo libro – la storia di una fragola gigante e del topolino che voleva mangiarsela. In un angolino della propria mente, Nicole si stava chiedendo se avrebbe sentito ancora parlare di Rafe Medici. Si era concessa di rilassarsi un briciolo, non avendo avuto sue notizie in due giorni. La sua intensità l'aveva spaventata a tal punto che si era quasi convinta a lasciare il paese. Tabitha era morta quando Joel aveva solo sei mesi, e da quel momento Nicole era diventata in tutto e per tutto la sua mamma: quando era malato, o non stava bene, quando chiacchierava, sorrideva e rideva, e quando sollevava le manine per essere abbracciato. Quel tenero legame l'aveva intrappolata il giorno della sua nascita. Il parto era stato difficile e Tabitha 19


le aveva chiesto di assistere; poi aveva sviluppato un'infezione, lÏ in ospedale, e i sei mesi successivi erano stati un viaggio sulle montagne russe per tutte le persone coinvolte. Nicole aveva strappato tutto il tempo che poteva al lavoro per prendersi cura di Joel e della sorella. Ma Tabitha si era stancata degli ammonimenti dei medici e spesso aveva trascurato le medicine; aveva continuato a uscire la sera, lasciando il figlio a Nicole. Una sera era collassata ed era stata portata d'urgenza in ospedale: l'infezione si era diffusa e in una settimana se l'era portata via. Devastata e traumatizzata, Nicole si era assicurata la custodia legale di Joel, come le aveva chiesto Tabitha. Anche se il padre l'aveva invitata a vivere con lui, lei aveva rifiutato. Non voleva che il piccolo dovesse subire il carattere imprevedibile del nonno. Con la minaccia di Rafe Medici a cui non riusciva a smettere di pensare, Nicole mise il bambino a letto dopo che si era addormentato nel corso della lettura della quarta storia e tornò in soggiorno. Il silenzio la avvolse come un mantello. All'inizio, subito dopo la morte di Tabitha, aveva avuto un bel daffare a non farsi prendere dal panico all'idea di dover affrontare il compito immane di crescere il figlio della sorella. Ne sarebbe stata in grado? Tuttavia si era resa conto di non avere scelta: avrebbe dovuto cavarsela. Dopo la dentizione, la varicella e l'introduzione al vasino, aveva smesso di farsi domande. Joel era un bambino sano e felice. Il silenzio, però, non faceva che sottolineare la sua solitudine. Usò il telecomando per azionare la radio, scegliendo una stazione che trasmetteva canzonette allegre. Mentre sorseggiava il bicchiere d'acqua che a20


veva lasciato accanto al divano, per abitudine si dedicò al lavoro che l'attendeva tutte le sere quando Joel dormiva. Non potendo contare sulla madre, lontana, né sul padre, inaffidabile, Nicole era molto grata per la presenza della cugina; Julia amava incitarla a uscire più spesso, ma non le piaceva l'idea di lasciare Joel di sera. E per quanto riguardava gli uomini... be', era stata Tabitha quella che li attirava come una calamita. Il ragazzo che frequentava all'epoca della morte della sorella non se l'era sentita di assumere il ruolo di capo di una famiglia già pronta. Al momento giusto, forse sarebbe arrivato anche l'uomo giusto, un uomo normale, che non fosse egocentrico o ossessionato dal successo. Un giorno, forse, ma non quel giorno. Si costrinse a concentrarsi sul lavoro per distrarsi. Era passata mezz'ora quando sentì bussare alla porta. Guardando l'orologio – le otto e mezza – si alzò circospetta e sbirciò dallo spioncino. Lo stomaco le piombò sotto i piedi: il suo incubo peggiore era dritto davanti alla porta.

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