Il marchese di Yew Park House di Lotte R. James

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Lotte R. James IL MARCHESE DI YEW PARK HOUSE


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Marquess of Yew Park House Harlequin Historical © 2022 Victorine Brown-Cattelain Traduzione di Anna Polo Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici giugno 2022 Questo volume è stato stampato nel maggio 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1310 del 17/06/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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L'Onorevole Henry Walter Fortitude Edmund Spencer, Marchese di Clairborne, era molte cose. Impetuoso non era una di esse. Nonostante il suo sorriso scanzonato facesse pensare il contrario, il marchese, che gli amici chiamavano Spencer, era considerato la quintessenza del lord inglese. Disciplinato e rispettoso, non faceva mai nulla senza prima avere riflettuto sulla moralità, la società e il rigido codice etico che gli era stato inculcato fin dalla nascita. Era dunque incredibile che la mattina del 31 maggio del 1830 stesse percorrendo le ultime miglia lungo un lago scozzese, per raggiungere la sua remota tenuta di Yew Park House, dopo avere lasciato Londra senza il minimo preavviso tre settimane prima. Il più sorpreso di quella partenza precipitosa e del successivo viaggio era senza dubbio lui, anche se, doveva ammetterlo, si rendeva conto solo ora di quanto quella bravata fosse insolita. Ora, alla fine della strada. Spencer rallentò l'andatura del cavallo, trasse un respiro profondo e cercò di calmare il battito del 5


cuore, mentre la follia sconsiderata di ciò che aveva fatto lo travolgeva. A cosa stavi pensando? Non pensavi. Era proprio quello il problema. Per la prima volta non aveva pensato a ciò che stava facendo e alle sue conseguenze. Aveva avuto bisogno di andarsene da Londra e così lo aveva fatto. Si era concesso il lusso di sentire, il lusso supremo e proibito di lasciare che fossero le emozioni a guidare le sue decisioni. Il paesaggio mozzafiato esaltava l'incredibile stupidità del suo comportamento. Non c'erano altre parole per definirla. All'ombra delle possenti montagne, lungo le rive del lago dalle acque minacciose, circondato da alberi altissimi, nella solitudine del mattino assolato, Spencer si sentiva... vulnerabile. Come se il vento fischiante, i richiami degli uccelli e gli sbuffi del cavallo denunciassero a gran voce la sua avventatezza. Non potevo restare, avrebbe voluto rispondere. Non potevo restare là! Gli pareva quasi di udire l'eco di quelle parole immaginarie tornare a prendersi gioco di lui. Non potevo restare. La disperazione e il panico che lo avevano travolto la notte della partenza da Londra, scavando nel suo petto una sorta di caverna, o forse mostrando il suo vuoto, tornarono a invaderlo. Spencer si chinò sulla testa di Simpheon, nella speranza che l'odore rassicurante del cavallo lo riempisse. «Respira» mormorò, costringendo il corpo ad ab6


bandonarsi al conforto del gentile ondeggiare dell'animale. «Respira e basta.» Aveva passato tre settimane per strada, quasi sempre da solo, dato che aveva costretto Josiah, il suo valletto, a preparare un baule e a seguirlo con la carrozza. Si erano incontrati ogni tanto lungo il tragitto. A Enfield, la prima sosta, quando il domestico gli aveva chiesto dove fossero diretti, Spencer aveva risposto semplicemente: A nord. All'inizio il suo piano era stato solo questo: dirigersi a nord. In realtà, era partito con l'idea di andare a trovare Reid e Rebecca a Thornhallow Hall, poiché erano gli unici amici che pensava avrebbero potuto capire il suo dilemma, quando in realtà non lo capiva bene nemmeno lui. Nei dintorni di Lincoln, però, si era ricordato che la fine della gravidanza di Rebecca era vicina; non era il momento di intromettersi in quella situazione delicata. Quella notte si era ubriacato. Josiah aveva quasi strabuzzato gli occhi alla vista del padrone, in genere composto, che non si reggeva in piedi. Non era stata una bella notte. Aveva... smosso cose. Cose che erano già in movimento – da lì quel viaggio precipitoso – ma su cui non era il caso di rimuginare. Doveva continuare a procedere e così aveva fatto. La sosta a Lincoln aveva avuto anche un effetto positivo, ricordandogli un posto dimenticato da tempo. Yew Park House. La sua tenuta in Scozia, dove non si recava da... ventinove anni. Era strano definirla sua. Apparteneva a suo padre; anzi, in realtà al prozio Jasper. La tenuta più piccola 7


del marchesato, una traccia delle radici scozzesi di Jasper, era sempre rimasta ai margini, senza un grande valore. C'erano solo la casa, a volte data in affitto e ancora abitata e affidata alle cure di un esiguo gruppo di domestici del posto, un cottage, quasi sempre affittato, e due piccole fattorie. I profitti erano buoni, date le circostanze, i problemi venivano risolti in fretta e i rapporti sull'andamento della tenuta erano piuttosto concisi. Eppure un tempo era stato un luogo felice. Se lo era ricordato a Lincoln. Fino a quel momento la mente non gli aveva mai permesso di ricordare che là si era sentito parte di una famiglia, si era sentito amato e felice. Da allora non aveva mai più provato niente di simile. In realtà, non aveva più sentito niente. Da quando avevo cinque anni. Era cresciuto, divenendo ciò che era adesso. I lord come lui non si abbandonavano alle emozioni. In quanto alla sua famiglia... Tutto era cambiato dopo quell'ultima estate a Yew Park House. Il freddo si era insinuato e l'amore era stato sostituito dalla formalità e dalle buone maniere. Nemmeno la nascita di Mary, quell'anno, era riuscita a impedirlo. Non si era più ricordato di quel cambiamento, ma solo del freddo gelido e della solitudine. Spencer rabbrividì mentre si tirava indietro dal collo di Simpheon e si raddrizzava sulla sella. Fissò le antiche montagne tutt'intorno e provò uno strano conforto all'idea che costituissero una barriera per tenere fuori il resto del mondo. È per questo che sei venuto qui. Per trovare la 8


pace e ricordare tempi più felici. Per scappare. In quel senso, Yew Park House era perfetta. Forse avrebbe potuto trovare ciò che aveva perso. Delle risposte, degli indizi per riscoprirlo. Aveva bisogno di questo. Non poteva andare avanti così, ignorando le emozioni, l'irrequietezza e il senso di vuoto. L'ultima notte a Londra glielo aveva dimostrato. Era venuto là perché aveva bisogno di riprendersi. Un marchese che aveva un attacco di nervi in un salone da ballo e si sentiva del tutto smarrito non serviva a nessuno. Non poteva essere la persona che aveva bisogno di essere per tutti quelli che dipendevano da lui. E così era partito. Naturalmente, aveva lasciato un biglietto per la madre, altrimenti lei avrebbe potuto incaricare la Guardia Reale di ritrovarlo, ma non aveva spiegato dove andava. Aveva solo annunciato che sarebbe stato via per tutta l'estate e forse anche l'autunno. La madre non aveva bisogno di lui, se non perché svolgesse il suo ruolo. E sua sorella Mary non aveva bisogno di lui da molto tempo, se non da sempre. Era una verità amara e difficile da ammettere, visto che avrebbe dovuto essere il suo protettore e consigliere. Avrebbe dovuto sentirsi necessario, avere voce in capitolo e rivestire una certa importanza, ma sua sorella era così ostinata e indipendente... In realtà, erano una famiglia solo di nome. Degli estranei che a volte dividevano gli stessi spazi. Una cosa che odiava... Respira. Lasciati il resto alle spalle. Riprenditi, così potrai 9


essere quello che hai bisogno di essere... per il resto della tua vita. Il futuro che, lo sapeva, stava arrivando era come un abisso senza fondo, un precipizio a un passo di distanza e lui... si era fatto prendere dal panico. Lo vedeva, riusciva quasi a toccarlo e si era reso conto di non essere pronto. Per questo era venuto là. Per pensare, per trovare un equilibrio, prima di tornare alla sua vita. Anche se non era quella la sensazione. Quello, però, era il prezzo che si pagava per una vita di privilegi. Il dovere e il sacrificio erano il prezzo del potere. Avrebbe dovuto saperlo, poiché era la lezione gli era stata inculcata più di tutto il resto. Vivi in modo onorevole. Prenditi cura di chi dipende da te. Fai un buon matrimonio. Genera degli eredi e preserva l'eredità per le future generazioni. Spencer ruotò le spalle come per liberarsi di quel pesante mantello, trasse un altro profondo respiro e si rese conto che il cuore era tornato al suo solito ritmo. Abbozzò un lieve sorriso mentre l'aria fresca che sapeva di erica e pino lo colmava come una droga. Riposo. Quiete. Pace. Una via di scampo. Spencer spronò Simpheon e lasciò che le sue paure venissero spazzate via dal vento. Vide davanti a sé la curva che portava a Yew Park House, scoppiò in una risata e spinse il cavallo al galoppo. Una via di scampo. Se un luogo al mondo si poteva definire una via di 10


scampo dal mondo che aveva deciso di lasciare per un certo tempo, Yew Park House lo era di sicuro. Un po' arretrata rispetto alla riva del lago e nascosta rispetto al viale di tassi e querce, la casa sembrava uscita da un sogno fantastico e un po' febbrile. Spencer aveva dimenticato come fosse strana, magnifica e imponente... Gli sprazzi di ricordi erano come frammenti di un vaso rotto e vedendola adesso, mentre si avvicinava a passo più lento, non poté fare a meno di scoppiare a ridere. La casa era decisamente bizzarra, messa insieme come pezzetti di una ceramica immaginaria da qualcuno che non aveva la più vaga idea di come dovesse apparire una casa. Ogni stile degli ultimi due secoli era rappresentato. Il corpo principale era quadrato e fatto di pietra, tutto ciò che rimaneva dell'originale struttura medievale. Da là, la casa si estendeva sopra un'altura, con una sezione in stile baronale, un'ala palladiana, delle torri gotiche, un'ala barocca e un'aranciera ispirata allo stile rinascimentale italiano sul retro. Non sembrava una casa, ma una bizzarra creazione inventata dal cuoco di una duchessa con zucchero, frutta e torri di torte. Davanti all'edificio, nel mezzo del viale d'accesso, sorgeva una gigantesca, rumorosa fontana a cinque livelli, con una collezione di centauri e dei che si divertivano negli spruzzi scintillanti. La casa era circondata da fitti alberi che da bambino gli sembravano delle vere e proprie foreste, come quelle che sorgevano ai piedi delle grandi montagne in lontananza. E poi c'erano giardini altrettanto meravigliosi ed 11


eccentrici, tali da rendere fiero chiunque, dai maestri italiani a Capability Brown. Sì, il posto ideale per prendermi una pausa. Un banco di nuvole soffici passò davanti al sole e l'eccitazione fu sostituita in un attimo da un brivido, mentre l'ombra conferiva varie sfumature di grigio alla casa dai colori vivaci. Qualcosa si risvegliò nella mente di Spencer, qualcosa di oscuro e pericoloso dimenticato da tempo. Il nostro segreto, Henry... Cercò di scacciare quel vago ricordo, ma quando il vento portò fino a lui una risata infantile, al tempo stesso spettrale, raggelante e allegra, il brivido si fece più intenso. Solo un po' di freddo. Questo era un posto felice. Mentre raggiungeva le cavernose porte medievali, e gli stallieri e i domestici gli andavano incontro per salutarlo, Spencer non poté fare a meno di dubitare di quelle frasi rassicuranti. «Bentornato a Yew Park House, milord» lo accolse il maggiordomo nel suo accento scozzese profondo e morbido, rivolgendogli un inchino. Spencer smontò da cavallo, gettò le redini a uno stalliere e si avvicinò. L'uomo era ormai sulla settantina, con una massa di riccioli grigi trattenuta da un cordoncino di cuoio, rughe profonde e un portamento fiero che sembrava più scozzese che adatto a un maggiordomo. Spencer sorrise. Lo sguardo azzurro che incontrò il suo suscitò un'ondata di ricordi di un uomo gigantesco che lo inseguiva per i corridoi. Pur invecchia12


to, non aveva perso la sua imponenza e nemmeno la scintilla scherzosa negli occhi. «McKenna» lo salutò con un cenno del capo. «E Mrs. McKenna» aggiunse, girandosi verso la donna dall'aria austera alla sinistra del maggiordomo, la governante. Anche lei era invecchiata, eppure restava la donna inflessibile che un tempo lo intimidiva tanto, benché emanasse una tristezza che non rammentava. «È un piacere rivedervi.» «Vi ricordate di noi, allora!» si stupì Mr. McKenna. La moglie si schiarì la gola e gli lanciò uno sguardo severo, come per ammonirlo a non essere così audace. «Le mie scuse, milord. Seguitemi, prego. Abbiamo preparato la casa come avete richiesto, anche se non sapevamo bene quando aspettarvi. Il messaggero ha detto soltanto che sareste arrivato presto...» Giunsero nell'ampio ingresso e Mrs. McKenna si schiarì di nuovo la gola. Spencer sorrise tra sé; in realtà apprezzava quell'atteggiamento informale, così diverso da quello della servitù delle sue altre residenze. Per dirlo al maggiordomo, avrebbe aspettato un momento in cui non fosse stata presente la moglie, rigida osservante dell'etichetta come sua madre. E come lui, nella maggior parte delle situazioni. «Possiamo farvi portare subito un pasto freddo, milord» continuò Mr. McKenna. Spencer si guardò intorno nello spazio a volta, tutto legno scuro, pietra grigia e scene di caccia, rischiarato da bracieri e così enorme che avrebbe potuto perdersi al suo interno. «Con caffè o vino. Oppure possiamo avere pronto 13


per voi un pasto caldo, nel tempo necessario a rinfrescarvi dopo il viaggio... se è questo che desiderate, naturalmente.» «Grazie, McKenna. Mi rinfrescherò e poi prenderò un caffè e un pasto freddo sul terrazzo. Ce n'è uno, vero?» L'uomo ridacchiò. «Oh sì, ce ne sono parecchi, milord.» «Mi pareva.» Il maggiordomo indicò un domestico poco lontano. «Jack vi mostrerà le vostre camere e vi assisterà fino all'arrivo del vostro valletto.» «Grazie, McKenna.» «Milord.» Il maggiordomo si inchinò e si avvicinò alla moglie, rimasta ferma nel corridoio in ombra dietro alle scale. Lei rivolse a Spencer una riverenza e si voltò, ma non prima di lanciargli uno sguardo che gli gelò il sangue. Era pieno di uno strano misto di rabbia, risentimento e desiderio. È stato solo un gioco di luce, vecchio mio. Spencer seguì il domestico al piano di sopra e si lasciò alle spalle tutto ciò che poteva disturbare la pace appena ritrovata. Si ripulì e indossò uno dei due abiti da viaggio, rinfrescato e stirato, e si godette un pasto a base di formaggio, caffè e pane appena fatto. Era passata un'ora dal suo arrivo e non sapeva cosa fare. Seduto nella prima delle numerose terrazze che digradavano dalla casa verso il lago, lasciò vagare lo sguardo sulla scintillante distesa d'acqua, godendosi 14


il contrasto tra la brezza fresca e l'intensa luce del sole, e si chiese cosa fare con se stesso. C'erano moltissime occupazioni in cui avrebbe potuto cimentarsi: rivedere i conti, ispezionare la tenuta, incontrare l'amministratore... Avrebbe potuto scegliere una qualsiasi delle tante cose che un proprietario terriero accorto avrebbe fatto per assicurarsi che la sua proprietà fosse in ordine. Soprattutto visto che lui e, a quanto ne sapeva, suo padre non ci mettevano piede da trent'anni. Avrebbe potuto dedicarsi alle attività di un signore di campagna, come andare a caccia, anche se non era sicuro che fosse la stagione adatta. Avrebbe potuto fare una tonificante passeggiata in campagna, o perfino pescare. O... Cos'altro si fa in campagna? O meglio, cosa avrebbe dovuto fare lui in campagna. C'erano delle regole al riguardo, regole cui in genere si atteneva, ma lo scopo di quel viaggio folle era proprio sfuggire alla solita vita, almeno per qualche tempo. Godersi un po' di pace, trovare un equilibrio e capire cosa lo rendeva così irrequieto e gli provocava quel senso di vuoto. Dunque, comportarsi come al solito non era la soluzione. Avrebbe dovuto fare ciò che voleva, senza preoccuparsi delle convenzioni. Non aveva mai goduto di quella libertà, però, e ora si sentiva smarrito. Spencer rivolse il viso al sole, chiuse gli occhi e cercò di pensare a ciò che gli sarebbe davvero piaciuto fare in quel momento. Una libertà totale. Niente mamma, niente Mary, niente società, niente... No. Quei pensieri non gli erano di alcuna utilità. 15


Dovrei scrivere a Reid e informarlo del mio viaggio, così potrà mandarmi notizie del bambino... Maledizione, concentrati! Udì di nuovo un'argentina risata infantile e balzò in piedi, guardandosi intorno per capire da dove venisse. Nella tenuta c'erano bambini di cui ignorava l'esistenza? Contadini e braccianti ne avevano di sicuro, ma non vivevano così vicini alla casa. Una delle domestiche aveva un figlio? No, impossibile. Comunque non poteva accettare l'idea che stesse sognando o, peggio ancora, che quella fosse un'allucinazione. Non intendeva prendere in considerazione quell'idea e nemmeno quella che un bambino fantasma si aggirasse nella tenuta. Spinto da un nuovo proposito, Spencer si diresse verso la terrazza successiva, ispirata a un mosaico romano, poi scavalcò la siepe e la ringhiera che la circondavano e atterrò sul prato. Sorrise a quella prodezza e si diresse verso i giardini alla sua sinistra. Cominciò le sue ricerche nei vasti giardini in stile rinascimentale. I bassi labirinti di bosso erano vuoti e nessuno si nascondeva dietro alle statue di Venere e Apollo. Nel giardino roccioso c'era solo una cascata e nel roseto si sentivano soltanto i canti degli uccelli. Spencer passò in fretta alla zona più naturale, secondo lo stile di Brown. Aveva appena imboccato un sentiero che si inoltrava verso una distesa di querce e fiori selvatici quando sentì di nuovo la risata. Inclinò la testa cercando di capire da dove veniva e sentì qualcos'altro. 16


«Elizabeth!» Una voce di donna. Dunque non sono matto! E veniva dal... tempio dei quattro venti. «Ti ho trovato» borbottò Spencer dirigendosi a grandi passi verso uno dei molti capricci che costellavano la tenuta. L'eccitazione della caccia gli scorreva nelle vene come una droga. Sbagliò strada due volte, ma alla fine raggiunse la piccola radura in cui sorgeva un edificio in stile palladiano, con colonne corinzie e porte finestre dorate. Stava per entrare quando una bambina dai riccioli castani e un vestito di cotone sgualcito schizzò fuori e corse verso di lui ridacchiando. Colto di sorpresa, Spencer lasciò che gli finisse addosso. Rimasero entrambi fermi e stupefatti, mentre la voce risuonava di nuovo. «Elizabeth!» Spencer si liberò lentamente dalla bambina, tenendole le mani sulle spalle affinché non scappasse e abbassò lo sguardo. Lei lo ricambiò con enormi occhi verdi. Pareva terrorizzata e lui avvertì un tuffo al cuore e si costrinse a sorridere. Dopotutto quell'inseguimento gli era piaciuto. «E così tu sei Elizabeth» osservò gentile, lasciandola andare. Gli arrivava al petto e doveva avere una decina d'anni. Era flessuosa come una puledrina e forse altrettanto ombrosa, ma poi inclinò la testa osservandolo e gli rivolse un'aggraziata riverenza. «Henry Spencer» si presentò lui con un sorriso e un inchino formale. «Marchese di Clairborne. Al vostro servizio, milady.» 17


«Elizabeth! Oh...» Spencer e la sua nuova amica si girarono all'unisono verso la voce. La donna davanti a loro doveva essere la madre di Elizabeth, dato che li fissava con gli stessi grandi occhi verdi, anche se i suoi erano un po' più scuri, di una sfumatura che faceva pensare al muschio. Forse, però, era solo effetto della luce che si rifletteva dai suoi abiti scuri di vedova. Era poco più alta della figlia, che si spostò lentamente dietro di lei, e aveva una figura formosa, come se traboccasse vitalità. Una dea greca trasformata da statua a creatura vivente. I capelli della madre sono un po' più chiari, pensò Spencer studiando la nuova arrivata. Osservava sempre la gente ed era curioso. Gli parve di riconoscerla e non certo per il piccolo fremito di interesse che lo attraversò. Doveva avere più o meno l'età di sua sorella Mary. La massa di capelli sciolti che le scendeva sulle spalle era come un arcobaleno autunnale: c'erano sfumature castane come quelle della figlia, ma anche ramate e perfino riflessi d'argento e nero. Le guance piene erano al momento rosse come mele, anche se madre e figlia avevano lo stesso naso piccolo e tondo, le sopracciglia scure e deliziose orecchie lunghe. E quelle labbra... Ovviamente non avrebbe mai esaminato Elizabeth in quel modo, ma non poteva fare a meno di notare le labbra carnose della madre, che probabilmente si sarebbero distese in un sorriso radioso. Tutto il suo essere pareva risplendere e Spencer si chiese cosa 18


avrebbe provato a crogiolarsi in quella luce intensa, ritrovandosi colpito e intrappolato in quel bagliore... Cosa diavolo ti è preso? Elizabeth sussurrò qualcosa all'orecchio della madre e una cortina di ferro parve calare tra loro due e lui. Spencer decise che la cosa non gli piaceva affatto. «Milord» lo salutò la donna in un inglese melodioso, rivolgendogli una riverenza elegante come quella della figlia. Interessante. «Vi prego di accettare le nostre scuse. Non sapevamo della vostra presenza. Mia figlia voleva esplorare i giardini.» «E voi esaudite ogni suo desiderio, Mrs...?» Spencer aveva usato un tono scherzoso, unito al sorriso che in genere conquistava le matrone più arcigne della buona società. La mascella contratta della donna, il lampo di rabbia negli occhi e la schiena rigida gli fecero capire di averla invece offesa. «Madame de l'Omont» rispose con freddezza, senza lasciargli il tempo di riparare. «La vostra vicina, milord.» Indicò un punto verso sud ovest e lui capì. «Ah» rispose nel tono più gioviale e caloroso che riuscì ad abbozzare. «Dunque siete la nuova inquilina di Willowmere Cottage.» «Sì, milord» confermò la donna. «Se volete scusarci, non vi disturberemo più.» «Potete visitare i giardini quando volete, madame» le assicurò Spencer mentre si giravano per andarsene. «In qualsiasi momento, mademoiselle.» Lei non diede segno di averlo sentito e continuò ad allontanarsi, ma la bimba si girò appena e lui a19


vrebbe giurato di vedere un sorrisino sulle sue labbra. O forse era anche quello un gioco di luce, pensò Spencer girandosi verso la casa. Mentre tornava indietro, si ritrovò a sperare di rivederle. Sarebbe stato davvero interessante.

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