YVONNE LINDSAY
Il prezzo del segreto
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The High Price of Secrets Harlequin Desire © 2013 Dolce Vita Trust Traduzione di Roberta Canovi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2018 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Destiny gennaio 2018 Questo volume è stato stampato nel dicembre 2017 da CPI, Barcelona HARMONY DESTINY ISSN 1122 - 5470 Periodico settimanale n. 2271 del 20/01/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 413 del 31/08/1983 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
1 «Cosa vuol dire che te ne vai? Mancano quattro settimane e mezzo a Natale! Siamo così presi con ospiti ed eventi che non riusciamo neanche a muoverci. Ascolta, parliamone. Se non sei felice, possiamo aggiustare le cose. Ti troviamo qualcos'altro da fare.» Tamsyn sospirò. Trovarmi qualcos'altro da fare. Certo, come se questo potesse aiutarla in quel momento! Non poteva biasimare Ethan: il fratello voleva solo aiutarla, come aveva fatto per tutta la vita. Ma la situazione ormai andava oltre la sua portata. Per questo doveva andarsene. Era da un po' che pensava di prendersi una vacanza. Lavorare alla tenuta Masters, che oltre a essere la casa di famiglia era un'azienda vinicola e un resort di lusso alla periferia di Adelaide, non la appagava da molto tempo, ormai. Si sentiva irrequieta, come se quello non fosse più il suo posto... al lavoro, a casa, in famiglia, persino nel fidanzamento. La débâcle della sera prima non aveva fatto altro che dimostrare quanto avesse ragione. «Ethan, ora non posso parlare. Sono in Nuova Zelanda.» «In Nuova Zelanda? Pensavo che fossi rimasta da Trent qui ad Adelaide, ieri sera.» L'incredulità del fratello le giunse chiara attraverso il vivavoce della macchina a noleggio. Tamsyn contò fino a dieci, lentamente, prima di rispondergli. «Ho rotto il fidanzamento.» Ci fu un breve silenzio. «Tu cosa?» Sembrava quasi che Ethan temesse di non aver sentito bene. 5
«È una lunga storia.» Deglutì per ricacciare indietro il dolore che ormai si era trasformato in una morsa nel petto. «Le orecchie ce le ho.» «Non adesso, Ethan. Io non... non posso.» La sua voce si ruppe e le lacrime scesero incontrollabili sulle guance. «Io lo ammazzo» grugnì il fratello, protettivo come sempre, dall'altra parte del mare della Tasmania. «Non farlo. Non ne vale la pena.» Ethan sospirò e lei percepì la preoccupazione e la frustrazione in quell'unico suono. «Quando torni?» «Non... non lo so. Al momento è un po' tutto per aria.» Probabilmente non era l'occasione migliore per comunicargli che aveva comprato un biglietto di sola andata. «Be', perlomeno il tuo assistente è in grado di sostituirti. Zac è aggiornato su tutto?» Anche se sapeva che il fratello non poteva vederla, Tamsyn scosse la testa e si morsicò il labbro. «Tam?» «Ehm... no. L'ho licenziato.» «Tu co...?» Ethan si bloccò di colpo quando fece due più due, giungendo al proverbiale quattro come risultato. Nonostante ciò, non riuscì a eliminare l'incredulità dal proprio tono. «Zac e Trent?» «Già» confermò, la gola serrata su quell'unica sillaba. «Stai bene? Ti raggiungo, dimmi solo dove sei.» «No, non è il caso. Starò bene tra un po'. Ho solo bisogno...» Inspirò. Non riusciva nemmeno a trovare le parole per spiegare ciò di cui aveva davvero bisogno. Poteva dirgli solo qualcosa che avrebbe capito. «Ho solo bisogno di stare un po' da sola, di spazio per riflettere. Mi dispiace andarmene così. È tutto sul mio computer, conosci la password, e le prenotazioni sono riportate anche sul calendario alla parete. In ogni caso, resto raggiungibile per telefono.» «Possiamo cavarcela, non ti preoccupare.» La convinzione del fratello maggiore non era confortante quanto lo sarebbe stato un suo abbraccio, ma per il momento avrebbe dovuto farsela bastare. «Grazie, Ethan.» «Nessun problema. Tam, chi si prenderà cura di te?» 6
«Lo farò io» rispose decisa. «Penso davvero che dovresti tornare a casa.» «No, so quello che faccio. È importante per me, ora più che mai.» Questo però doveva dirglielo, anche se sapeva che non avrebbe apprezzato. «Ho intenzione di trovarla, Ethan.» Silenzio, poi un altro sospiro. «Sei sicura che sia il momento giusto per andare a cercare nostra madre?» Erano passati alcuni mesi, ormai, ma lo shock della scoperta che la madre – che da anni e anni credevano morta – era invece viva e vegeta in Nuova Zelanda le riverberava ancora nella mente, praticamente ogni minuto di ogni giorno. Scoprire dopo la sua morte che il padre aveva mentito loro per tutto quel tempo era una cosa; apprendere che il resto della famiglia gli aveva retto il gioco in quella menzogna era un'altra. Rendersi conto, poi, che la madre aveva scelto di abbandonarli, di non cercare nemmeno di mettersi in contatto con loro... be', quello aveva suscitato talmente tante domande che Tamsyn aveva cominciato a mettere in dubbio persino se stessa. «Non riesco a immaginare un momento migliore, e tu?» «Io, invece sì. Sei ferita, sei vulnerabile. Non voglio che tu debba patire un'altra delusione. Torna a casa, lascia che assuma un investigatore in modo da sapere cosa ci aspetta.» Riusciva a immaginarsi il fratello, la fronte corrugata, le labbra strette a dimostrare la sua preoccupazione. «Voglio farlo da sola. Ne ho bisogno. Ascolta, non sono lontana da quell'indirizzo che mi hai dato un paio di mesi fa. Sarà meglio che vada» fece per concludere. «Hai intenzione di bussare alla sua porta senza alcun preavviso?» «Perché no?» «Tam, ragiona. Non puoi presentarti da una persona e annunciare semplicemente che sei la figlia perduta da tempo.» «Solo che non sono perduta, no? Sapeva benissimo dove eravamo, tutti quanti. È lei che se n'è andata e non è più tornata.» Non riuscì a celare il dolore nella propria voce. Un dolore 7
che aveva fatto a pugni con il risentimento e con la collera e con così tante altre domande senza risposta che Tamsyn era riuscita a malapena a dormire una notte tranquilla da quando aveva saputo che la madre era ancora viva. Che la donna di cui aveva fantasticato, una madre che l'aveva amata e che non l'avrebbe mai abbandonata, in realtà non era mai esistita. Aveva così tante domande e si era convinta di essere abbastanza forte da affrontare le risposte. Ne aveva bisogno per poter voltare pagina, perché tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento era fondato su bugie e invenzioni. Il tradimento di Trent era stato l'ultima goccia. Non sapeva più chi fosse, ma era pronta a scoprirlo. La voce di Ethan irruppe nei suoi pensieri. «Fammi un favore: trova un motel o un posto qualsiasi e dormici su prima di fare qualcosa di cui potresti pentirti. Possiamo riparlarne domani mattina.» «Ti farò sapere com'è andata» replicò Tamsyn ignorando la richiesta del fratello. «Ti chiamo tra qualche giorno.» Terminò la telefonata prima che Ethan potesse aggiungere altro e ascoltò attentamente la voce metallica del GPS che la informava che avrebbe dovuto svoltare di lì a cinquecento metri. Ebbe una morsa allo stomaco. Doveva farlo. Per quanto fosse irrazionale ed estraneo al suo carattere, lei che pianificava tutto fino all'ultimo dettaglio, aveva bisogno di farlo. Rallentando, svoltò e varcò l'imponente ingresso che immetteva in un lungo viale. Arrestò l'auto e chiuse gli occhi per un istante. Era arrivato il momento: presto si sarebbe ritrovata faccia a faccia con la madre che non vedeva da quando aveva tre anni. Rabbrividì. Preso un profondo respiro, riprese ad avanzare sulla strada fiancheggiata da vigne rigogliose. Il fatto che si potesse già intravvedere la prima uva, nonostante fosse solo la fine di novembre, preannunciava una vendemmia eccezionale. Seguì la via che si inerpicava su per la collina finché, dopo un tornante particolarmente stretto, si ritrovò davanti alla casa, una grande costruzione di due piani, fatta di pietra e le8
gno di cedro, che dominava la sommità. Serrò le labbra: evidentemente non era stata la mancanza di soldi a tenere lontano la madre, rifletté. Era così che Ellen Masters aveva usato il denaro che il marito le aveva mandato negli ultimi venti e passa anni? Tamsyn usò quella rabbia come sprone per scendere dall'auto e arrivare alla porta. Ora o mai più. Prendendo un altro profondo respiro, sollevò il batacchio di ferro battuto e lo lasciò ricadere con un colpo sonoro. Dopo pochi istanti sentì dei passi all'interno, e i nodi allo stomaco stritolarono ciò che restava della sua determinazione. Che cosa diavolo ci faceva lì? Finn Gallagher aprì la porta e dovette costringersi a non indietreggiare. Riconobbe la donna che aveva davanti con certezza assoluta: era la figlia di Ellen. Quindi la principessina finalmente aveva deciso di far visita alla madre. Troppo tardi, a suo parere. Decisamente troppo tardi. Le fotografie che aveva osservato, nel corso degli anni, non le rendevano giustizia, e aveva l'impressione di non vederla al meglio, in quel frangente. Il suo sguardo acuto colse subito i lunghi capelli castani scompigliati, e le ombre scure che le cerchiavano i grandi occhi marroni in un viso che sembrava di porcellana. Quegli occhi erano così simili a quelli della madre... La donna che, insieme al compagno Lorenzo, gli aveva fatto da madre quando la sua famiglia si era disintegrata. Aveva gli abiti stropicciati, che comunque mettevano in risalto un corpo perfetto. La gonna le accarezzava i fianchi per scendere poi lungo le gambe snelle a fermarsi appena sopra le ginocchia, non abbastanza lunga da essere obsoleta e non abbastanza corta da essere inappropriata. Tutto l'insieme rifletteva appieno l'ambiente privilegiato in cui era cresciuta. Finn aveva delle difficoltà a non provare risentimento, conoscendo le privazioni che aveva dovuto patire la madre che aveva lottato con le unghie e con i denti per 9
costruirsi una vita dignitosa. Evidentemente la famiglia Masters badava ai propri membri, tuttavia non a quelli che si allontanavano dall'ovile, a quelli che non si adattavano alle regole. Riportò l'attenzione sul suo viso e notò che le labbra tremarono lievemente prima di piegarsi in un sorriso nervoso. «Buongiorno. Mi chiedevo se... è qui che vive Ellen Masters» esordì. La voce era tremula, come se avesse la gola chiusa; nella luce del tardo pomeriggio, notò anche i segni evidenti lasciati dalle lacrime sulle guance. Finn si sentì fremere dalla curiosità, ma la tenne a freno. «E lei è...?» domandò, pur conoscendo già la risposta. «Oh, mi scusi.» Gli porse la mano. «Sono Tamsyn Masters. Sto cercando mia madre, Ellen.» Finn le strinse la mano, notando immediatamente la freschezza della pelle, la fragilità delle dita quando le avvolse nelle proprie. Stroncò sul nascere l'istinto di protezione; c'era qualcosa che non andava nel mondo di Tamsyn Masters, ma non era un suo problema. Il suo problema era tenerla lontana da Ellen.
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2 «Non c'è nessuna Ellen Masters, qui» rispose mentre le lasciava la mano. «Sua madre la stava aspettando?» Lei ebbe il buon gusto di arrossire. «No. Speravo di farle... ehm, una sorpresa.» Una sorpresa? Non le era passato per la mente di chiedersi se la madre avrebbe voluto, o potuto incontrarla? Tipico di quelli del suo genere, rifletté con rabbia. Ragazzi viziati cresciuti nella bambagia convinti che il mondo giri intorno a loro. Lo conosceva bene, quel genere, sfortunatamente fin troppo: il genere che si aspetta sempre di più, a prescindere da quanto uno possa dare. Gente come Briana, la sua ex: bella, all'apparenza compassionevole, cresciuta in un ambiente ricco di possibilità ma, alla fredda luce del giorno, niente più di un'avara egoista. «È sicura di avere l'indirizzo corretto?» domandò dopo qualche istante, celando la propria collera. «Be', pensavo...» Dalla borsa recuperò un foglio stropicciato dove aveva scritto l'indirizzo. «È questo, no? Sono nel posto giusto?» «Questo è il mio indirizzo, però Ellen Masters non vive qui. Mi dispiace, a quanto pare ha fatto un viaggio a vuoto.» La vide crollare davanti a lui, ogni particella del corpo che perdeva vitalità. Gli occhi si velarono di lacrime e un'espressione disperata le congelò i lineamenti delicati in una maschera di tristezza. Finn provò di nuovo la tentazione di proteggerla, insie11
me al desiderio di dirle dell'ingresso nascosto che aveva superato lungo il viale per arrivare alla villa, quello che conduceva al cottage dove Ellen e Lorenzo avevano vissuto negli ultimi venticinque anni, tuttavia li ignorò. Sapeva che Tamsyn Masters era adulta, legalmente, da dieci anni. Che cosa l'aveva spinta a cercare Ellen? E più importante ancora, perché non l'aveva cercata prima, quando avrebbe potuto fare la differenza? «Io... oh, be', mi spiace averla disturbata. Evidentemente mi sono state fornite delle informazioni sbagliate.» Infilò di nuovo le mani nella borsa, questa volta per estrarne un paio di occhiali da sole che infilò senza troppa grazia, per nascondere alla vista lo sguardo tormentato. Mentre lo faceva, Finn colse la banda bianca che aveva sull'anulare della mano sinistra. Un anno prima aveva letto che si era fidanzata... che il fidanzamento fosse finito di recente? Per questo era venuta in cerca della madre? Qualunque cosa fosse, non erano affari suoi. «Nessun disturbo» rispose prima di restare a guardarla tornare alla macchina e fare dietro front. Non appena fu ripartita, senza perdere un solo secondo prese il cellulare e compose il numero che conosceva a memoria. Scattò direttamente la segreteria e lui si lasciò sfuggire un'imprecazione a denti stretti. «Lorenzo, chiamami» disse alla voce automatica che gli chiedeva di lasciare un messaggio. «C'è stata una complicazione qui a casa.» Rinfilò il telefono in tasca e chiuse la porta d'ingresso. Per qualche motivo, aveva la sensazione che prima o poi avrebbe rivisto Tamsyn Masters. Mentre ripercorreva a ritroso il viale della villa, Tamsyn vide svanire anche gli ultimi residui di contegno. Le lacrime che si era sforzata di trattenere mentre parlava con quell'estraneo cominciarono a scendere copiose lungo le guance. Tirò su col naso, cercando di arginare i sentimenti che ribollivano troppo vicino alla superficie fin dalla sera prima, quando aveva lasciato Adelaide. 12
Perché mai aveva pensato che potesse essere così semplice? Avrebbe dovuto immaginarlo. Avrebbe dovuto dare ascolto a Ethan, e aspettare un momento migliore. Be', ormai la frittata era fatta, era andata all'indirizzo dove l'avvocato del padre defunto aveva inviato tutti quei pagamenti negli anni solo per scoprire che era l'indirizzo sbagliato. La delusione aveva un gusto amaro, aveva scoperto, non una ma ben due volte nelle ultime ventiquattr'ore. Non faceva altro che dimostrarle che, agire in maniera diversa dal solito era un errore: non era fatta per essere impulsiva. Per tutta la vita aveva soppesato, valutato e analizzato attentamente ogni cosa, prima di agire, e ora capiva perché l'aveva fatto: era più sicuro. Si evita di rimanere feriti. Certo, non si prova il brivido del rischio, però sulla sua pelle aveva capito che il gioco non valeva la candela. Tamsyn ripensò all'uomo che le aveva aperto la porta. Più di uno e ottanta, tanto da costringerla a piegare la testa all'indietro per guardarlo negli occhi. Era notevole, il tipo che attira l'attenzione solo entrando in una stanza, con quella fronte ampia, sopracciglia definite e occhi grigi come la pietra. In altre circostanze ne sarebbe rimasta colpita, come era colpita dal fatto che il suo sorriso, per quanto educato, fosse stato tutt'altro che caloroso. Quello che aveva notato era qualcosa nei suoi occhi quando l'aveva guardata, come se... No, non era possibile; non poteva averla riconosciuta perché lei era certa di non averlo mai visto prima. Sicuramente se lo sarebbe ricordato, altrimenti. Il sole stava tramontando e la stanchezza, così come il fuso orario, cominciavano a farsi sentire in ogni muscolo. Doveva trovare un posto dove dormire prima di commettere qualche stupidaggine come addormentarsi al volante. Tamsyn accostò e consultò il GPS per cercare una sistemazione. Grazie al cielo c'era un piccolo hotel a un quarto d'ora di distanza. Costoso almeno quanto il Masters, ma perlomeno aveva una camera libera. Fatta la prenotazione, seguì le indicazioni fino a destinazione e si ritrovò davanti a 13
una caratteristica costruzione dei primi del Novecento. Con i raggi dorati del sole della sera che accarezzavano le pareti, appariva accogliente e invitante. Proprio ciò di cui aveva bisogno. Finn camminava avanti e indietro per lo studio, incapace di ritrovare la concentrazione per valutare i disegni aperti sulla scrivania. Progetti che sarebbero finiti dritti nella spazzatura se non fosse riuscito a ottenere la servitù di passaggio necessaria per avere accesso al tratto di terra che voleva usare per quella particolare opera. Si infilò una mano tra i capelli, arruffandoli ancora più del normale. La suoneria del cellulare fu una distrazione benvenuta. «Gallagher.» «Finn, c'è qualche problema?» «Lorenzo, per fortuna mi hai richiamato.» Tornò a sedersi sulla poltroncina e la fece ruotare per guardare fuori dalla finestra, in modo che il panorama rallentasse i suoi pensieri in una parvenza di ordine. «Cosa succede, ragazzo mio?» Nonostante gli anni vissuti in Australia, e le due ultime decadi in Nuova Zelanda, la sua voce aveva ancora l'accento della nativa Italia. «Innanzitutto, come sta Ellen?» «Non bene, oggi è una brutta giornata.» Dopo le prime indicazioni di cedimento di un rene e del fegato, Ellen e Lorenzo si erano trasferiti a Wellington, dove lei poteva ricevere le cure specialistiche richieste dalla progressiva demenza. «Mi dispiace.» «È così che vanno le cose. Ho chiesto ad Alexis di mettere in programma di rientrare.» «Va così male?» Alexis era l'unica figlia di Lorenzo ed Ellen. Nel corso dell'ultimo anno aveva lavorato all'estero, e in quel periodo era in visita alla famiglia di Lorenzo, che ancora viveva in Toscana. 14
«Sì, non ha più la forza di lottare. Se mi riconosce è una buona giornata, ma diventano sempre più rare.» Finn percepiva il dolore trasparire dalle parole di Lorenzo, prima che prendesse un profondo respiro e continuasse. «Ora dimmi, perché mi hai chiamato?» Non provò neanche a trovare un modo meno brutale per dire ciò che doveva dire. «Tamsyn Masters è venuta qui alla villa e ha chiesto di Ellen.» «Così finalmente è successo.» «Le ho detto che qui non vive nessuna Ellen Masters e l'ho rispedita per la sua strada.» Lorenzo emise una breve risata, aspra come il rumore delle foglie d'autunno che si sbriciolano sotto i piedi. «Non le hai detto che ci vive Ellen Fabrini, immagino, eh?» «No» ammise lui. A Tamsyn non aveva mentito spudoratamente: anche se Lorenzo ed Ellen non si erano mai sposati ufficialmente, lei era sempre passata per la moglie e aveva usato il suo cognome per tutto il tempo che erano stati in Nuova Zelanda. «Hai detto che se n'è andata?» «Sì, con un po' di fortuna per tornare in Australia. A cosa pensi?» «Sai che non amo quella famiglia, dopo ciò che ha fatto alla mia Ellen» cominciò Lorenzo, in tono assorto. «Ho perso il conto delle ore che ha passato a piangere sulle lettere che ha scritto a quei bambini. Mi si spezzava il cuore ogni volta. E loro hanno mai cercato di contattarla quando sono cresciuti? No, mai una volta. Eppure, per quanto auguri a tutti loro di finire all'inferno, so quanto Ellen li amava e li ama ancora, e se dovesse stabilizzarsi, se la sua mente si schiarisse appena. Be', se questo succedesse... forse, dico solo forse, potrebbe trarre beneficio dalla visita di sua figlia.» Finn era incredulo. «Vuoi che la trattenga?» «Ti chiedo solo di non cacciarla via, non ancora. Tuttavia, vedi di non rivelarle dove si trova Ellen. Visto come stanno le cose...» La sua voce si ruppe e gli ci volle un momento per riprendersi. 15
«Capisco.» Finn era molto legato a Lorenzo, che gli aveva fatto da padre quando il vero padre era morto e la madre aveva patito un devastante esaurimento nervoso. All'epoca Finn aveva dodici anni e Lorenzo, socio di suo padre, l'aveva accolto nel proprio cuore e nella propria casa insieme a Ellen. La coppia era stata la sua roccia nel corso della turbolenta adolescenza. Il loro supporto incondizionato, insieme all'attenta custodia della terra che il padre aveva posseduto, aveva assicurato stabilità e, a lungo andare, un'esistenza serena per tutti. Finn doveva tutto a loro. «Me ne occupo io, non ti preoccupare» assicurò a Lorenzo prima di chiudere la chiamata. Come se ne sarebbe occupato era tutta un'altra faccenda. Innanzitutto, doveva scoprire dov'era andata Tamsyn: a giudicare dalla sua aria esausta, dubitava che fosse arrivata lontano. Gli bastarono un paio di telefonate per scoprire che la principessina australiana aveva scelto una delle sistemazioni più lussuose della zona. Appurato ciò, cos'avrebbe dovuto fare? Finn si appoggiò allo schienale e intrecciò le dita sotto il mento, dondolando la poltroncina mentre tornava a guardare fuori dalla finestra. Il crepuscolo cominciava a calare sui monti Kaikoura, restringendo il suo mondo agli acri di terra che lo circondavano. I suoi acri, la sua terra. La sua casa. Una casa che non avrebbe avuto se non fosse stato per la determinazione di Lorenzo ed Ellen tanti anni prima. Avrebbe fatto qualunque cosa, per loro, anche se questo comportava fare amicizia con la donna che aveva causato a Ellen tanta sofferenza nel corso degli anni. Crescendo, Finn di tanto in tanto aveva sentito parlare degli altri figli di Ellen: quelli che era stata costretta ad abbandonare quando il suo matrimonio si era irrimediabilmente compromesso. Aveva visto con i suoi stessi occhi il dolore che quell'abbandono le aveva causato, l'aveva vista cercare sollievo nell'alcol che, a lungo andare, le aveva minato la salute, e si era interrogato su quei bambini e sul per16
ché non avessero fatto il benché minimo sforzo per cercare di mettersi in contatto con la madre che li amava con tutto il cuore. Quando era stato abbastanza grande, e abbastanza abile con il computer, aveva svolto qualche ricerca e aveva scoperto che Ethan e Tamsyn Masters vivevano nella tenuta di famiglia, l'azienda vinicola Masters appunto, ed erano cresciuti nell'abbondanza, senza mai doversi sporcare le mani. Niente lavori dopo la scuola, o nel fine settimana; niente incubo dei prestiti per studenti e ristrettezze varie. No, a loro era stato servito tutto su un piatto d'argento. Finn non si vergognava di ammettere di aver provato risentimento nei confronti dell'altra famiglia di Ellen, che aveva avuto tutto facile mentre lei si era dovuta accontentare di poco... l'unica certezza era l'amore dell'uomo con cui se n'era andata lasciando marito e figli alle spalle. Un uomo che le era stato accanto nella lotta contro la dipendenza, prima che il suo corpo e la sua mente cominciassero a vacillare. In quel momento la sua salute era così precaria che Finn temeva che, se anche avesse riconosciuto Tamsyn, l'incontro avrebbe potuto sconvolgerla a tal punto da perdere del tutto la ragione. Non era così che era morta sua madre? Quando finalmente gli era stato permesso di andare a trovarla, vedere il figlio non aveva fatto altro che ricordarle ciò a cui aveva rinunciato dal momento in cui l'improvvisa morte del marito l'aveva costretta a rintanarsi tra le cosiddette mura sicure della propria mente. E la vergogna l'aveva fatta affondare ancora di più nelle sabbie mobili. Non ne era più emersa. Il ricordo di quei giorni era ancora doloroso, e Finn si costrinse a sotterrarlo di nuovo. Doveva concentrarsi su Tamsyn Masters, e su come convincerla a restare nei paraggi senza rivelarle nulla di Ellen. Ripensò a ciò che sapeva di lei: ventotto anni, cinque meno di lui, fidanzata con un avvocato di Adelaide. Quel giorno però non aveva l'anello di fidanzamento. Il che poteva voler dire molte cose. Poteva averlo scordato, oppure 17
averlo mandato a pulire, o... Forse, con un po' di fortuna, poteva significare che sarebbe stata disponibile a vivere un flirt per superare un momento difficile. Giusto un'esca per farle desiderare di restare nel distretto di Marlborough. Del resto, se era superficiale come di solito lo erano le persone come lei, non correva alcun rischio di coinvolgimento emotivo. Era solo un'opportunità per tenerla sotto osservazione. Da vicino. Avrebbe dovuto impegnarsi un po', però confidava nelle proprie capacità. Si sentì percorrere da una scarica di eccitazione. Sì, era sicuramente all'altezza del compito, che gli avrebbe permesso di scoprire qualcosa di più sulla misteriosa signorina Tamsyn Masters.
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dal 27 febbraio 2273 - Salvata dal milionario di J. Maynard Dylan Kavanagh, scapolo di successo di Silver Glen, ha incrementato la propria fortuna con il Silver Dollar Saloon. Ed è al bancone del suo lussuoso bar che incontra nuovamente Mia Larin. La donna ha bisogno del suo aiuto, e lui... LA SAGA DEI KAVANAGH 2274 - Passione extra contratto di K. Cantrell Desmond un inventore milionario che ha grosse difficoltà nelle relazioni con l'altro sesso, ma desidera più di ogni altra cosa un figlio. Decide così di trovare una madre surrogata che accetti tutte le sue condizioni, e McKenna è la donna giusta per quel ruolo. 2275 - Voglio te di Y. Lindsay Il milionario Raoul decide di affidare la figlioletta alle cure della migliore amica della moglie che non c'è più. Alexis dovrebbe dare alla piccola Ruby l'affetto di cui ha bisogno, lui ha però intenzione di stare alla larga dalla donna per dissimulare l'attrazione che da sempre prova per lei. 2276 - L'eredità di D. Wade Mason ha avuto una vita turbolenta e quando un'eredità gli regala l'opportunità di tornare al suo paese d'origine si appresta a prendersi le proprie rivincite. Prima fra tutte, impossessarsi della rinomata scuderia che appartiene a EvaMarie, la donna che gli ha spezzato il cuore.
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