Natalie Anderson adora i lieto fine, che è poi la ragione per la quale quando deve cominciare a leggere un nuovo romanzo comincia a farlo dall'ultima pagina, tanto per essere sicura che faccia al caso suo. Per questo motivo, avrete già capito come potrà concludersi il libro che state stringendo in questo momento tra le vostre mani... Natalie, che vive a Christchurch in Nuova Zelanda insieme al suo splendido marito e ai loro quattro figli, oltre ai lieto fine adora i cioccolatini alla menta, il succo di frutta all'ananas e le lunghe docce sotto un forte getto d'acqua. Visita il suo sito natalie-anderson.com
NATALIE ANDERSON
Il richiamo della corona
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Secret That Shocked De Santis Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2016 Natalie Anderson Traduzione di Anna Vassalli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Collezione Harmony novembre 2017 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2017 da CPI, Barcelona COLLEZIONE HARMONY ISSN 1122 - 5450 Periodico bisettimanale n. 3225 del 14/11/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 22 del 24/01/1981 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
1 Stella Zambrano si sentiva come una bambina convocata nell'ufficio del preside senza sapere perché. Non poteva fare altro che aspettare e non pensare al peggio. L'ala del palazzo di San Felipe riservata agli alti gradi dell'esercito era concepita per intimidire e impressionare. E riusciva perfettamente nell'intento. I soffitti a volta erano alti diversi metri, le piastrelle del pavimento avevano disegni alquanto intricati che mettevano a dura prova la logica e le pareti erano ricoperte da ritratti in cornici dorate degli antenati dei De Santis: principi, militari di alto grado, uomini potenti. San Felipe, un'isola rinomata nel cuore del Mediterraneo, era attualmente governata dal Principe Antonio De Santis. Austero ma amato, Antonio era affiancato dall'affascinante fratello minore Eduardo. Volto pubblico di San Felipe, il temerario, intrigante Principe Eduardo teneva a galla il turismo dell'isola praticamente da solo. Il quadro più recente della sala ritraeva i due fratelli l'uno accanto all'altro, in alta uniforme. Era appeso sulla parete di fronte a Stella, che preferì fissare il pavimento. Il sudore sulla schiena ghiacciò. Si augurò che quel giorno i principi non fossero a palazzo. «Sottotenente Zambrano?» Nel sentire il suo nome Stella alzò gli occhi. «Il generale la sta aspettando.» 5
Era giunto il momento. Stella studiò l'espressione del capitano per farsi qualche idea, ma dedusse che se fosse stato un cadavere avrebbe avuto la stessa espressione. Si sentiva a disagio, sapendo che avrebbe dovuto indossare i pantaloni blu e la camicia bianca inamidata dell'uniforme, invece che la tenuta da fatica con gli stivali infangati. Aveva appena concluso l'addestramento della mattina quando un sergente con l'aria impassibile era comparso dal nulla avvertendola della convocazione: si trattava di una questione urgente e non aveva il tempo per cambiarsi. L'aveva condotta direttamente dalla base al palazzo dove il generale delle Forze Armate di San Felipe aveva il proprio quartier generale. Adesso era consapevole delle macchie sugli abiti, del fango sul viso. Ma forse il generale non avrebbe badato al suo aspetto disordinato. Forse questa convocazione era per comunicarle che era stata accettata la sua richiesta per la missione oltremare che aspettava da tempo. Tuttavia l'opprimente silenzio che aleggiava nella sala diceva ben altro. Inoltre questa convocazione era troppo vicina all'ultimo rigetto della sua richiesta. Troppo inaspettata. E quegli sguardi cauti del personale che si aggirava intorno... il fatto che non la guardassero negli occhi... Un brivido le percorse la spina dorsale. «Sottotenente?» ripeté aspro il capitano. Lei sbatté le palpebre, il cervello che tornava bruscamente al presente. Mortificata, balzò in piedi. Mai prima un ufficiale superiore le aveva ripetuto un ordine. Rigida, lo seguì fino alla porta intagliata chiusa che aprì; poi, impassibile, attese che lei varcasse la soglia. Cercando di distendere i nervi, Stella entrò fermandosi a rispettosa distanza dalla scrivania. La porta alle sue spalle si chiuse pesantemente. L'uomo in uniforme seduto alla scrivania non alzò gli 6
occhi. Non le disse di sedersi. Non le disse niente. Studiava un file aperto davanti a sé. Stella sapeva che era il suo file personale, ma mantenne lo sguardo fisso sulla parete alle spalle dell'uomo, dove campeggiava un altro ritratto del principe. Era tuttavia più che consapevole dell'uomo dai capelli grigi che aveva messo gli occhiali per leggere il file. Erano più di cinquant'anni che il generale serviva nelle Forze Armate. Altri, alla sua età, sarebbero già stati in pensione. Ma non lui. Era fisso lì per la vita, perché la sua vita era l'esercito. E lei questo lo rispettava. Lo capiva. Perché la pensava allo stesso modo. «Sottotenente.» Finalmente si rivolse a lei. «Sì, signore.» L'uomo non aveva ancora alzato gli occhi. «Il pomeriggio del ventisei luglio lei era di servizio alla caserma San Felipe. È così?» Stella provò una morsa allo stomaco. Quella data era marchiata a fuoco nella sua mente. «Credo di sì, signore.» Si umettò le labbra secche. Ormai sapeva che l'istinto aveva visto giusto. Non si trattava di una nuova missione nella quale aveva tanto sperato. «È rimasta alla base, come le era stato ordinato, tutto il pomeriggio e la serata?» Stella deglutì. Si era trattato di un'ora soltanto. Un'ora durante la quale... No, non pensarci. Non ricordare. Facendo ricorso a tutti gli anni di ferrea disciplina bloccò i ricordi, com'era riuscita a fare in quelle ultime settimane. Ma il tradimento aleggiava intorno a lei. Qualcuno aveva parlato. «Sottotenente?» incalzò il generale. «Quel giorno ha lasciato la base senza autorizzazione?» Negli ultimi tre mesi aveva avuto i nervi tesi come corde di un violino in quanto continuava a domandarsi, 7
ad aspettarsi, quasi, se sarebbe successo qualcosa come conseguenza di quella pazzia. Ma non era successo niente e aveva cominciato a tranquillizzarsi perché, evidentemente, il pericolo era passato. Non era così. «Il ventisei luglio» ribadì il generale. «Ricorda quel pomeriggio, sottotenente?» «Io...» Disperata, Stella si rese conto di non poter dare una risposta. Si umettò di nuovo le labbra. «Ero nei paraggi. Ho lasciato la base solo per poco.» «Era di servizio alla caserma. Non aveva l'autorizzazione per lasciare la base.» Era una fredda constatazione. Era scesa sugli scogli, poi alla baia, distante solo pochi metri. Si sarebbe accorta se fosse suonato l'allarme, ma non era successo. Ed era certa che nessuno l'avesse cercata in camera, perché di sicuro le avrebbe detto qualcosa in seguito, no? «La settimana scorsa ha fatto gli esami medici di routine.» Il generale studiò di nuovo i documenti. «Sì, signore.» Stella deglutì, sorpresa per il cambio di argomento. «Gli esami hanno rilevato un problema.» Problema? Sulle spine, rimase in attesa, sicura che il suo superiore l'avrebbe informata in merito, ma solo quando fosse stato pronto, e non prima. Ma lei stava bene, si sentiva in forma. D'accordo, ultimamente si stancava facilmente, ma oltre a questo... «Da quanto sa di essere incinta?» «Cosa?» Sbalordita, Stella dimenticò di rivolgersi formalmente al superiore. «Una donna che è nell'esercito non può essere incinta» proseguì il generale aspro. «Lei non ha riferito le sue condizioni al suo ufficiale superiore. Un'altra infrazione alle regole.» Incinta? «Non sono...» A quel punto Stella, a dir poco sciocca8
ta, trasse un profondo respiro. «Non è possibile...» C'era stato un unico rapporto in quell'ora. E aveva usato la protezione. L'espressione già gelida del generale divenne glaciale, ma comunque Stella aveva già il sangue ghiacciato. Non poteva essere incinta. Era l'unica cosa che si era ripromessa che non sarebbe mai successa. Il vecchio esibì un foglio. «L'esame è stato ripetuto una seconda volta. Non c'è alcun dubbio sulle sue condizioni. Non renda il suo congedo ancor più infamante.» «Il mio congedo?» Senza preoccuparsi della forma, Stella si aggrappò allo schienale della sedia, la testa che le girava. Non poteva essere. Non poteva essere vero. No, non era proprio possibile. «Lei è sollevata dal suo incarico.» Il viso del generale era privo di espressione. «Ha lasciato la base senza autorizzazione. Ha tenuto nascoste le sue condizioni. È esonerata dal servizio militare di San Felipe con effetto immediato. Dopo essere tornata in caserma restituirà l'uniforme che indossa. Dalla sua camera è già stato rimosso tutto ciò che appartiene all'esercito e i suoi effetti personali sono già stati impacchettati. Li prenderà e lascerà la base. Ha dieci minuti prima di essere considerata indesiderata e scortata all'uscita.» Stella provò un senso di nausea e le si annebbiò la vista. Era appena stata espulsa dall'esercito, l'unico luogo che considerava come la sua casa. Ed era incinta. La bile le risalì in gola. Sapevano con chi era stata in quel momento di pazzia? Chi era l'uomo che aveva fatto sì che lei accantonasse tutte le inibizioni come fossero cose di nessuna importanza? Sapevano che era stata la più grande idiota del pianeta? Il panico minacciò di travolgerla completamente ma poi, con un ultimo sprazzo di istinto di sopravvivenza, riaffiorarono le difese. 9
Cercò di ragionare, di lottare per il proprio futuro. «Non dovrei essere deferita alla Corte Marziale?» chiese ignorando le lacrime nella voce e augurandosi che il vecchio non le notasse. «Non dovrebbe essere presente un militare che registra il colloquio?» Non voleva un trattamento di favore. Non per quanto aveva fatto e con chi l'aveva fatto. O per chi era lei. Il generale borbottò qualcosa d'incomprensibile. Non era una vera e propria risposta. Era il suo primo passo falso nell'incontro... uno scorcio di quasi umanità. Stella ebbe l'impressione di notare qualcosa di fuggevole nei suoi occhi prima che il generale si concentrasse di nuovo sui documenti. Ma non era l'espressione che lei avrebbe voluto scorgere. «Noi abbiamo ritenuto opportuno salvare la sua reputazione» disse aspro. E questo spazzò via le ultime speranze di Stella. Chi erano quei noi che avevano preso quella decisione? Ed era realmente per salvare la sua reputazione? O quella di qualcun altro? Di qualcuno molto più importante di lei. Volevano soffocare lo scandalo e farla sparire con discrezione? Per quell'incidente? Per un attimo provò una gran rabbia Avrebbe voluto urlare al mondo quel tradimento. Quell'ingiustizia. Ma non poteva, perché era colpa sua se la sua vita era andata sottosopra. Sua la disgraziata scelta di quel pomeriggio. Ma quest'insinuazione che fosse incinta... Doveva essere falsa. «Non sono incinta» ribadì con decisione. Si rifiutava di crederlo. «È congedata.» L'ordine aspro la gelò. Chiariva che la sua carriera era distrutta e che a lui 10
non interessava la sua reazione o quanto potesse dire in propria difesa. Indugiò a fissare l'uomo dai capelli grigi che aveva tanto potere. Non poteva sapere con chi lei era stata, perché se l'avesse saputo sarebbe stato ancora più infuriato. Voleva solo che lei scomparisse, e il più velocemente possibile. Vattene, le suggerì l'istinto. Doveva andarsene prima che lui scoprisse con chi era stata. Prima che chiunque altro lo scoprisse. Ma non aveva nessun posto in cui andare. Non aveva una casa sua. Talvolta viaggiava e spesso nei periodi di riposo restava alla base e si offriva volontaria per turni extra. E allora, dove poteva andare? Non certo da lui. E per quanto riguardava la casa della sua infanzia... Guardò di nuovo il vecchio che adesso la ignorava volutamente con quell'espressione impassibile. Fece un tentativo. «Signore...» «È congedata.» Il sentirlo di nuovo la privò di ogni dignità. Non le rimaneva che la supplica. «Papà...» Il generale Carlos Zambrano, generale operativo delle Forze Armate di San Felipe e suo unico parente, non rispose. Si limitò a riporre i documenti nella cartelletta che era tutto ciò che rimaneva della sua carriera militare per la quale aveva lavorato tanto. Aveva fatto l'unica cosa che si era ripromessa di non fare mai: aveva infranto la barriera tra la professione e la vita privata. Una barriera che sia lei sia suo padre avevano sempre tenuto in gran conto. Sconfitta, rimase in silenzio. Ferita in modo insopportabile si voltò e si avvicinò alla porta. A ogni passo sperava che suo padre la richiamasse, la fermasse. Che facesse qualcosa per aiutarla. Ma lui non l'aveva mai fatto in precedenza e quel 11
giorno non ci fu altro che l'inevitabile, deludente silenzio. Una delusione da entrambe le parti. Mentre chiudeva la porta, con un'occhiata Stella lo vide sempre alla scrivania, che evitava il suo sguardo rifiutando di riconoscerla. Ancora una volta l'aveva deluso e non c'era modo di porre riparo a qualcosa di così catastrofico. Non si sarebbe mai redenta ai suoi occhi. Aveva perso tutto quello per cui aveva lavorato tanto. Indugiò, la mano sulla maniglia in cerca di sostegno. Non sapeva cosa fare, dove andare. Lentamente si rese conto delle occhiate furtive delle persone presenti nella stanza. Era insolito per qualcuno del suo grado essere convocato nell'ufficio del generale. Probabilmente ritenevano che fosse un trattamento di favore perché lei era sua figlia. Ma forse già sapevano, e questo pensiero la fece inorridire. Sapevano cos'aveva fatto e con chi l'aveva fatto? Ma era stato un trattamento preferenziale. Sarebbe dovuta essere espulsa con disonore o, nel migliore dei casi, ammonita formalmente e privata dei gradi. Invece suo padre si era servito della propria autorità per far sì che fosse rimossa dal servizio in segreto. In modo che non si creasse imbarazzo per nessuno. Salvo che lei era rimasta senza niente. Senza lavoro. Senza casa. La reputazione che si era costruita con tanti sacrifici bruciata via in un attimo. E tutto per quella dannata ora in cui si era persa. Quell'ora della quale si supponeva che nessuno fosse al corrente... Stella prese posto nella jeep con la quale il sergente l'avrebbe riaccompagnata agli alloggiamenti. Si guardò intorno, la bellezza dell'isola che adesso la opprimeva. La mente era tormentata da dubbi e da domande senza risposta. Erano trascorsi tre mesi da quel pomeriggio as12
solato. Come poteva essere incinta da tre mesi e non essersene accorta? Inorridita, si rese conto che una gravidanza non era mai rientrata nei suoi programmi. Scese dalla jeep. Non c'era nessuno in vista. Ma appena entrata in camera sua si rese conto che qualcuno era stato molto indaffarato in quel breve lasso di tempo. Tutti i suoi oggetti personali erano spariti. Era rimasto solo un bagaglio rigonfio ai piedi del letto disfatto. Provò una fitta al cuore. Qualcuno si era preso la briga di impacchettare le sue cose, e questo le parve invasivo oltre che offensivo. E dov'erano i militari che lei considerava più che amici? Cercando di soffocare la sofferenza, Stella chiamò un taxi, si tolse l'uniforme e indossò un paio di jeans e una vecchia maglietta. Lasciò la divisa ben ripiegata sul letto, poi prese il bagaglio e passò oltre la Sicurezza. Dentro e fuori in meno di otto minuti. Non che suo padre sarebbe rimasto impressionato da qualsiasi cosa lei facesse. Per quanto avesse sempre provato. «All'aeroporto, per favore» ordinò al tassista. Una ventina di minuti dopo, giunta all'aeroporto, chiedeva un biglietto per il primo volo in partenza. L'incaricata cominciò a battere al computer, ma qualche istante dopo una certa confusione, o forse cautela, le si accese nello sguardo. Gli occhi sempre fissi sullo schermo, stringeva in mano il passaporto di Stella. «Mi dispiace...» mormorò, ma subito s'interruppe. Stella s'irrigidì e cautamente si guardò intorno. Nell'angolo c'erano due soldati in uniforme e il capitano che era stato nell'ufficio di suo padre. «Deve venire con me, signorina Zambrano.» L'ufficiale prese il passaporto dalle mani dell'incaricata dell'aeroporto. Stella non si mosse. «Signorina Zambrano?» ripeté. «Da questa parte.» 13
Non sottotenente. Non più. Era già stata privata del grado che aveva impiegato sei anni a guadagnarsi. Inizialmente non era stata accettata nelle Forze Armate di San Felipe, così si era trasferita in Nuova Zelanda, la terra di nascita di sua madre. Grazie alla doppia nazionalità era stata accettata nell'esercito di quel Paese. Aveva lavorato sodo, era salita di grado, finché non le era stato possibile tornare a San Felipe con un curriculum che neppure suo padre poteva ignorare. Era decisamente in gamba. E così era stata accettata la sua richiesta di trasferimento, ben decisa a proseguire la rapida ascesa nella carriera. Adesso studiava il suo ufficiale superiore, che non lo era più, perché lei era un civile. Non aveva più alcuna autorità su di lei. Quindi poteva anche fargli lo sgambetto e fuggire. Aveva un fisico in forma, e ce l'avrebbe fatta. «Mi auguro che non faccia una scenata qui» l'ammonì l'ufficiale intuendo il suo lampo di ribellione. «Mi occupo io del suo bagaglio.» L'aveva già tra le mani. Stella avrebbe voluto urlare, battere i piedi a terra, ma non avrebbe ottenuto niente. E il capitano aveva ragione. Non voleva fare una scenata, voleva solo scivolare via dalla propria vita nella più totale oscurità. Quando lo seguì docilmente, il viso dell'ufficiale s'illuminò di un sorriso di sollievo. «Lei era a palazzo» rimarcò Stella seguendolo. «Nell'ufficio di mio p...» Si corresse subito. «Nell'ufficio del generale. Perché adesso è qui?» «Eseguo gli ordini.» «Gli ordini di chi?» L'ufficiale non rispose alla domanda. «Da questa parte, signorina Zambrano.» Non poteva essere stato suo padre a impartire quegli ordini. Le avrebbe detto qualcosa in ufficio. Invece aveva chiarito di volersi lavare le mani di lei. 14
Doveva essere un ordine dall'alto. Se prima provava dei brividi freddi, adesso era completamente gelata. Il capitano la condusse lungo vari corridoi finché aprì una porta che dava su una pista di atterraggio. «Dove stiamo andando?» chiese Stella allarmata scorgendo un elicottero pronto al decollo. «In un luogo dove sarà al sicuro.» Perché subiva qualche minaccia? «Perché non sarei al sicuro a San Felipe?» «È stato deciso che non resti a San Felipe.» No, d'accordo. Fu percorsa di nuovo da un brivido gelato lungo la spina dorsale. «Allora, dove mi conduce?» Ma pareva che l'ufficiale per quel giorno avesse esaurito le parole. Suo malgrado, Stella salì sull'elicottero e il capitano prese posto accanto a lei, che si ritrovò stretta tra due militari, come per bloccarle un tentativo di fuga. O come se avesse bisogno di un paio di guardie del corpo. Si guardò intorno. Non aveva forse il diritto di sapere dove la conducevano? I militari non aprivano bocca. Ma guardando dal finestrino Stella ebbe la risposta in meno di cinque minuti. All'inizio, dall'alto, l'isola appariva spoglia e poco ospitale. Pareva solo scogli... quasi come Alcatraz. Sulla cresta di quegli scogli c'era una fortezza, costruita secoli addietro per impedire l'ingresso alla laguna. Adesso scorgeva anche un edificio in pietra. In precedenza l'aveva visto solo in fotografia, ma ormai sapeva esattamente dov'era diretta. Era il luogo più privato ed esclusivo di San Felipe. L'accesso era vietato a meno che non si avesse un invito a dir poco speciale, perché quella era l'isola in cui gli appartenenti alla famiglia reale trascorrevano le vacanze in tranquillità. Ma non era una semplice casa di vacanza. Era un pa15
lazzo, antico e decorato, uno dei gioielli dell'isola. Molti sarebbero stati orgogliosi di avere la possibilità di una vista dall'alto di tale meraviglia, ed eccitati all'idea di poter mettere piede nel palazzo. Ma Stella provava solo un senso di nausea e la vista si annebbiò. Controllati. Adesso non poteva permettersi di essere debole. Doveva essere più forte che mai. «Se vuole seguirmi...» Il capitano scese dall'elicottero portando il suo bagaglio. Be', non aveva scelta. Lo seguì velocemente lungo il viale immacolato, l'impressione di vivere una favola in cui doveva attraversare un giardino incantato per raggiungere un principe repellente che l'aspettava nel castello. Salvo che non era repellente. E questo era il problema. Ma non fu accompagnata all'ingresso principale, bensì a una porta secondaria spalancata. All'interno scorgeva diversi scaffali ricolmi di libri. Il capitano s'inchinò. «La lascio qui.» E se ne andò velocemente, con il suo bagaglio e il suo passaporto. Stella indugiò prima di compiere il passo fatale ed entrare. Sapeva che il Principe Eduardo la stava aspettando in quella sala. Il principe playboy, l'affascinante protagonista di tutto ciò che c'era di avventuroso e attraente a San Felipe. Capriccioso, volubile, viziato. Tutto ciò che lei non era. Eppure era stato lui il suo errore spettacolare. Il suo unico convegno amoroso. L'unico al quale non era stata capace di resistere, pur con tutta la ferrea disciplina di lunghi anni di servizio militare. Ed era evidente che avrebbe pagato un prezzo esorbitante per quel momento di capriccio del principe. Quindi adesso era più che cauta. Ma nonostante il tempo che aveva avuto per prepararsi, non era pronta ad affrontarlo. Non aveva un'uniforme 16
dietro alla quale nascondersi, nessun piano tattico che le assicurasse di vincere questa battaglia. E sarebbe stata una battaglia, contro se stessa, oltre che contro di lui. «È meglio non stare troppo al sole, possono accadere strane cose.» Era in parte un ordine, in parte un avvertimento, in parte un modo per portarla a ricordare. Ma fu sufficiente la sua voce per scatenare una reazione che non avrebbe voluto. I ricordi si affollarono ai margini della mente. Tentatori. Non poteva permettersi di ricordare. Non poteva cedere di nuovo. Aveva già perso troppo. Il Principe Eduardo De Santis non era un seduttore spietato come un pirata. Non si lasciava alle spalle orde di cuori spezzati, ma sorrisi dolci e sospiri del genere se solo lui volesse. Ma lui non avrebbe mai voluto; Eduardo amava troppo la libertà. E per diverse persone questo era parte del suo fascino. Non c'era da dire niente di male su di lui, ma certamente non era perfetto. Faceva ciò che gli piaceva. Amante dell'azione e dell'avventura, era un esempio di tutti i piaceri di San Felipe. E lei non ne era forse una testimone intima? Irrigidendosi, Stella entrò. Nonostante la vista annebbiata, lo vide subito. Era splendido come non mai. Alto, con capelli neri forse troppo lunghi, indossava una camicia scura e un paio di jeans ed era a piedi scalzi, in quel modo arrogante che gli era tipico. Si appoggiò alla porta chiusa osservandola con i suoi occhi azzurri, di quell'azzurro dei lapislazzuli per cui l'isola andava famosa. Il cuore cominciò a batterle forte, producendole una vampata di calore. L'aveva sempre giudicato splendido. Qualsiasi donna l'avrebbe fatto, ma le foto sui giornali non gli rendevano 17
giustizia. In carne e ossa, Eduardo era ancora più fantastico. D'altra parte Stella aveva conosciuto di persona il suo corpo perfetto, i muscoli potenti, la forza, la sua abilità. Di nuovo bloccò la mente. Doveva riacquistare il controllo sulla situazione. Su di sé. Ma il polso pulsava, le mani erano sudate. Come poteva quell'uomo con solo un'occhiata renderla muta e immobile? Come poteva far riemergere il desiderio? Smettila. Perché se le analisi erano accurate, aveva qualcosa di ben più importante di cui preoccuparsi. Qualcun altro, oltre a se stessa, da proteggere. Ed era stata addestrata a proteggere e difendere ciò che era più prezioso. La libertà... di una nazione e del suo popolo. Incluso il popolo futuro. Così gli restituì lo sguardo, mantenendo le distanze. E la freddezza. Il protratto silenzio era come una barriera tra loro. «Non può rapire i civili a suo piacimento» disse alla fine, con uno sprazzo d'indipendenza. «Tu non sei un civile.» La voce tradiva la condanna. «Lo sono adesso» ribatté lei aspra. Qualcosa gli attraversò lo sguardo, ma Eduardo non rispose. Lei si voltò fingendo di studiare i libri sul vicino scaffale. Qualsiasi cosa pur di non guardarlo. L'attrazione che provava per lui era troppo forte. E adesso anche l'irritazione. «Devo considerarmi prigioniera?» «Sei qui perché è l'unico luogo in cui si possa avere una certa privacy.» «Non abbiamo alcun bisogno di privacy» ribatté lei aspra. Non voleva stargli vicino. Non da sola. E di certo non sulla sua isola, dove probabilmente aveva condotto cen18
tinaia di amanti. E neppure poteva cedere a quelle riflessioni, non poteva vederlo come un amante. Adesso il silenzio era opprimente. Stella era orribilmente consapevole della sua presenza. Riaffiorò alla superficie tutto ciò che non era stato detto, i ricordi che aveva soffocato e che ora minacciavano di travolgerla. Alzò il capo, lo sguardo di sfida. L'espressione del principe era impenetrabile. Stella provò un brivido. Il suo sguardo lasciava intendere qualcosa di più della determinazione. Era spietato. No, non era lo stesso uomo che aveva conosciuto in quel pomeriggio di sole. «Sei stata congedata dall'esercito» considerò lui all'improvviso. «Sì.» «Perché sei incinta.» Il tono era irritante, di disapprovazione. Lei sentì un nodo in gola che le impedì di replicare. Non ne era certa, ma probabilmente temeva il suo giudizio. Ancor più di ciò che le riservava il futuro. Le era capitato di trovarsi in situazioni a rischio, ma non aveva mai provato la paura che aveva ora. E neppure si era mai sentita così sola. Non aveva nessuno che potesse aiutarla. Come risultato, era emotivamente impotente. Il cuore accelerò di nuovo il battito. Stella trasse dei profondi respiri cercando di controllare la reazione fisica, e di negare a se stessa che quella reazione era dovuta a lui. Eduardo si avvicinò, l'espressione poco rassicurante. Questo non era lo splendido Principe Azzurro che il popolo adorava. Era un gelido estraneo scolpito nel granito. Un lato di lui che non avrebbe mai immaginato potesse esistere. Perché, quando quel pomeriggio l'aveva lasciato, non si era voltata indietro. 19
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