CAISEY QUINN
IL RITMO DEL MIO CUORE traduzione di Vera Sarzano
ISBN 978-88-6905-123-4 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Leaving Amarillo William Morrow an imprint of HarperCollinsPublishers © 2015 Caisey Quinn Traduzione di Vera Sarzano Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HC giugno 2016
Il ritmo del mio cuore
A mio fratello Michael, che ha sempre riempito di musica la nostra casa, giorno e notte.
La musica fonde insieme tutte le singole parti del nostro corpo. Ana誰s Nin
Prologo
MusicFest di Austin, quinto giorno È in momenti come questo, quando sono in scena e do il meglio di me e l'archetto danza sulle corde come se vivesse di vita propria, che mi sembra di volare. Non sono sul palco, non sono davanti al pubblico, non sono nemmeno più su questa Terra: sono in cielo, in un'altra dimensione. Il cuore mi batte al ritmo dei colpi assordanti della batteria di Gavin e la chitarra di Dallas è come un fiume in piena che mi scorre nelle vene e mi trascina da una parte all'altra del palco. Le note mi prendono, mi trasportano, e io suono con tutta l'anima. La musica mi avvolge, entra in me, una fiammata mi percorre dalla testa ai piedi, è un incendio che mi brucia dentro. La parte di pubblico che riesco a vedere è immersa in una luce al neon bluastra con sfumature rosse. Colori vivi, come mi sento viva io; colori che potrebbero distrarmi se non stessi suonando, ma sono concentrata. Io e lo strumento siamo una cosa sola, fa parte di me, e più che dal violino posato sulla spalla, sembra che le note escano direttamente dal mio cuore. Con la nostra musica portiamo il pubblico in uno stato quasi onirico, in un'altalena di emozioni. A Dallas piace cominciare e concludere con canzoni ritmate, che fanno da cornice ai lenti nel mezzo. Suoniamo Whiskey Redemption subito dopo alcune rielaborazioni di pezzi 11
R&B che il pubblico canta con noi. Continuiamo con Ring of Fire e poi quel pezzo di Adele che adoro. Per Love runs out cantiamo tutti e tre, a turno, una sorta di sfida tutti contro tutti. Il prossimo pezzo è il mio preferito e quando lo suoniamo vado al massimo, faccio faville. È una fusione tra Whataya want from me e Beneath your beautiful che abbiamo modificato per renderla più nostra. Tra tutte le cover che abbiamo messo online, è quella più scaricata in assoluto. Convincere Dallas è stata dura e per prendere i tempi giusti ci è voluta un'eternità. Un lavoraccio, ma ne è valsa la pena. Mi basta guardare in faccia il pubblico per convincermene. Suoniamo il pezzo folk che ha scritto Dallas e chiudiamo la scaletta con una nostra versione di When you leave Amarillo. Gli applausi sono assordanti, mi vibrano dentro come una scarica elettrica. Faccio fatica a respirare. Con un inchino ringraziamo il pubblico più numeroso e più entusiasta per il quale ci sia mai capitato di esibirci e scappiamo dietro le quinte. Scendiamo dal palcoscenico e mi sembra di volare sospesa a un metro da terra. Un tipo in giacca e cravatta, forse un potenziale agente, prende mio fratello e lo trascina in un angolo buio. Gavin, invece, è dietro di me. È vicinissimo, sento l'adrenalina che gli scorre nelle vene, anche lui, come me, è euforico. «È stato fantastico!» Mi volto verso di lui. «Anche meglio del sesso.» Smette di tamburellare le bacchette sulle gambe e mi fissa dritto negli occhi. Il suo sguardo color nocciola si fa più cupo quando mi spinge nel corridoio, dove mio fratello non può vederci. «È stato fantastico perché tu sei stata fantastica.» Le fioche luci del backstage che si riflettono nei suoi occhi lo fanno sembrare quasi posseduto, un essere ul12
traterreno. In quel preciso momento il gruppo successivo sta entrando in scena e mio fratello con una stretta di mano sta accettando un accordo che cambierà per sempre il corso delle nostre vite. Ma qui, adesso, Gavin Garrison mi sta guardando negli occhi, sta facendo l'amore con me solo guardandomi negli occhi. E non voglio che smetta. Mai più. Abbassa la testa, le nostre labbra quasi si sfiorano, con le sue parole riesce a farmi battere ancora più forte il cuore e mi rende totalmente incapace di formulare un pensiero coerente e logico. «Ma se pensi che sia stato anche solo lontanamente paragonabile al sesso, quei bellocci con cui sei uscita fino a ora non hanno capito un bel niente della vita.»
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Ah, il sesso quando ci si lascia! Zero stress. Nessuna preoccupazione, non bisogna essere perfetti. Fammi godere per l'ultima volta, per favore, arrivederci e grazie. Stammi bene, ma anche no. Tante care cose. Non che io sia un'esperta, per carità. Ho fatto sesso con un solo ragazzo. Ma sono convinta che l'ultima volta sia stata la migliore in assoluto. Quell'ultima volta con Jaggerd McKinley non è stata niente male, tant'è che adesso sto seriamente pensando di rimettermi con lui solo per poterci lasciare di nuovo e godermi una seconda ultima volta. Santo il Signore, quel ragazzo sì che sa muovere le mani. E non solo per riparare auto scassate. Siamo usciti per un anno e me lo aveva sempre tenuto nascosto. «Dixie, è la seconda volta che ti perdi l'attacco.» La voce di mio fratello mi coglie di sorpresa. «Potresti gentilmente tornare tra noi? Questa sala non è mica gratis, sorellina.» «Colpa mia, scusa.» Mio fratello e Gavin mi fissano e mi sento le guance in fiamme. Di solito è Gavin quello che si distrae e sbaglia tutto (perché magari ha adocchiato una bella ragazza o una fan lo ha centrato in pieno con le mutandine che ha appena lanciato sul palco), di solito è lui che mio fratello guarda storto. «Tutto a posto?» Gavin è preoccupato. La scorsa settimana abbiamo suonato al Midnight Rodeo, un locale in 14
centro. Quello che ormai è il mio ex ragazzo non ha mai particolarmente apprezzato Leaving Amarillo, la nostra band, e si è presentato lì ubriaco fradicio. Gavin e mio fratello erano già pronti a prenderlo a cazzotti prima che la sicurezza lo scortasse all'uscita, uno spettacolo decisamente poco edificante. «Sì, tutto a posto. Scusate. Riprendiamo.» Scrollo le spalle, sollevo Oz, il mio violino, e mi preparo a suonare. Dopo appena due battute la musica intorno a noi si interrompe bruscamente, di nuovo. «Cazzo, Dixie! Sono solo tre accordi.» Gli occhi di Dallas sembrano sparare raggi laser color del ghiaccio e il bersaglio da colpire sono io. Abbasso l'archetto e sospiro. «Mi dispiace.» Prendo fiato e sorrido a mio fratello e a Gavin chiedendo scusa. «Giuro che adesso mi riprendo. Sto bene adesso.» «Sei riuscita a dormire almeno un po' stanotte?» Lo sguardo di Dallas si fa più dolce e questa sua improvvisa preoccupazione mi stupisce. Durante le prove e le registrazioni la musica viene prima di tutto il resto. Di solito. Non so se a farlo preoccupare sono state le occhiaie scure che mi ritrovo dopo tutte le notti passate al capezzale di nostro nonno o la mia recente rottura, sta di fatto che per ricominciare aspetta la mia risposta. «Sì, tranquillo. Sto bene, davvero. Riprendiamo.» Con un sorriso forzato, alzo di nuovo l'archetto. Suoniamo senza pause metà della scaletta e combatto con tutte le mie forze contro la stanchezza e i ricordi che mi tormentano, e che non hanno nulla a che vedere con Jaggerd. Alla fine è l'istinto affinato con anni e anni di esercizio a vincere e l'archetto vola sulle corde. «Così, dai!» urla mio fratello dando il cinque a Gavin quando ci fermiamo un attimo per riprendere fiato. «È così che si fa!» Mi sorride e anch'io gli sorrido, Dallas è così entusiasta. 15
«Che cosa ne dici, siamo pronti per Nashville?» Essere riuscita a suonare e aver reso mio fratello orgoglioso di noi mi fa sentire leggera, come se avessi perso cinque chili. «Ci siamo quasi, sorellina. Ci siamo quasi» mi risponde Dallas prima di rivolgersi a Gavin. «Okay, riprendiamo dall'inizio di Ring of Fire e andiamo fino in fondo alla scaletta.» Faccio uno sforzo cosciente per non alzare gli occhi al cielo quando mi chiama sorellina. Nonostante io abbia ormai diciannove anni, Dallas mi tratta ancora come se ne avessi dodici. E come se fosse mio padre. I nostri genitori sono morti in un incidente stradale quando noi eravamo piccoli ed effettivamente è successo che Dallas dovesse farmi da padre. Lo sguardo color nocciola di Gavin cerca il mio e mi fa un cenno per accertarsi che io sia pronta prima di darci l'attacco. Sento un tuffo al cuore, come mi succede ogni volta che ci guardiamo negli occhi per più di mezzo secondo. Mi è bastato quello sguardo per tornare indietro nel tempo, alla prima volta in cui l'ho visto. Gavin Garrison, il batterista della band nonché il miglior amico di mio fratello, è stato la mia prima cotta. Dal momento in cui comparve a casa dei nonni, sotto il portico, il giorno del funerale dei miei genitori, con quei suoi occhi timorosi da cucciolo abbandonato, i vestiti strappati e i capelli troppo lunghi e arruffati, siamo sempre stati un trio inseparabile. Quel giorno fu quasi surreale: gente che non conoscevamo ci camminava intorno in punta di piedi, ci offriva tè, biscotti e qualunque cosa potesse, a parer loro, farci dimenticare che all'improvviso eravamo diventati un'orfana di nove anni e un orfano di dodici. Io e Dallas eravamo seduti sul dondolo sotto il portico, in silenzio, e già di per sé era un fatto strano perché 16
di solito io non tacevo mai. Lo shock e il dolore, però, con le loro mani pesanti mi avevano tappato la bocca. Gavin si avvicinò, con un cenno del mento indicò la gente che entrava e usciva continuamente di casa e poi si rivolse a noi. «Festa?» chiese senza presentarsi. Guardai mio fratello perché non sapevo come rispondere a quello sconosciuto. Dallas deglutì e scosse la testa. «Funerale. I nostri genitori.» Gavin si passò una mano tra i capelli arruffati, scompigliandoli ancora di più. «Ah... cazzo!» Era la prima volta che sentivo quella parola pronunciata ad alta voce, deliberatamente, e un brivido mi percorse la schiena. Con mia grande sorpresa, il cuore iniziò a battermi forte. Da quando la zia Sheila ci aveva comunicato che i nostri genitori erano morti, nel petto sentivo solo dei colpi sordi, lenti, come se il mio cuore avesse deciso che non gliene fregava più niente di niente. «Vi va di andare a rompere qualcosa?» chiese Gavin. Mi girai di scatto verso mio fratello, panico e adrenalina pura mi scorrevano nelle vene. Di' di sì, fu la mia silenziosa supplica. «Perché no?» disse Dallas saltando giù dal dondolo come se seguire tipi un po' strani fosse la cosa più normale del mondo. Scesi insieme i gradini del portico. Dallas ci presentò. Gavin si presentò. Si voltò, mi strinse la mano come facevano gli adulti e giuro su Dio che una scossa mi attraversò il braccio. La stessa scintilla, in quel medesimo istante, brillò anche negli occhi di Gavin e io rimasi come pietrificata. «Che cosa stavi facendo? Perché sei a casa nostra?» gli chiese Dallas guardandolo con sospetto. «Ehm...» Gavin lasciò la mia mano e si grattò la testa. Si guardò intorno, sembrava cercare una via di fuga. Si voltò verso mio fratello e il suo sguardo si fece di nuovo 17
circospetto, velato da quell'ombra di timore. «Cercavo qualcosa da mangiare. Di solito alle feste si mangia.» I ricordi si interrompono bruscamente quando sento il primo colpo sui piatti. È il mio attacco e abbandono il passato per tornare al presente. Sollevo Oz e suono la mia parte; Dallas annuisce, almeno questa volta non ho rovinato tutto, ma si rende conto che sono distratta. Mentre canta i versi che abbiamo scritto insieme, una canzone sul passato che non è fatto solo di ricordi, mi volto verso Gavin. È cambiato molto, non è più il mingherlino attaccabrighe di un tempo. Sotto la maglietta color antracite i muscoli si tendono e si rilassano e adesso ha le braccia ricoperte di tatuaggi. Suona la batteria, ci mette l'anima, e io non riesco a togliergli gli occhi di dosso. È diverso. È più... vivo. È migliorato molto anche in fatto di igiene personale rispetto a quando aveva dieci anni e nella vita doveva cavarsela praticamente da solo. Però ha ancora fame. Un bisogno profondo, oscuro, che quando lo guardo in quei suoi occhi fieri e feroci mi consuma anima e corpo. «Prendiamoci cinque minuti di pausa» dice Dallas al termine della canzone lanciandomi un'occhiataccia che sembra voler dire vedi di ripigliarti, cazzo. «Devo fare un paio di telefonate.» Me ne vado senza dire una parola né all'uno né all'altro. Prendo una bottiglietta d'acqua e salgo la rampa di scale che porta sul tetto. Cerco di non perdermi nei ricordi, ma quella giornata incombe pesante su di me come un cielo in tempesta. Quel giorno, dieci anni fa, corsi in casa a prendere quante più tartine, biscotti e dolci potessi. Era così tanta la fretta di tornare fuori prima che i ragazzi se ne andassero che rischiai di inciampare. Offrii loro quello che avevo preso e mi infilai in bocca una fetta di torta al cioccolato perché non volevo che 18
Gavin si sentisse un caso umano. I miei genitori erano morti da poco e già ne avevo abbastanza della compassione altrui, una sensazione troppo amara. Non la sopportavo. In un certo senso io e quel ragazzino eravamo uguali, me lo sentivo. Ecco perché non feci mai commenti né gli chiesi perché andasse in giro con i vestiti sporchi, i capelli arruffati, tutto solo da una parte all'altra della città in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Mangiammo camminando, il parcheggio abbandonato non era lontano, e appena arrivati cominciammo a lanciare vecchie bottiglie di birra contro il muro di mattoni e continuai finché non riuscii più a sollevare il braccio. Ognuna di quelle meravigliose esplosioni di vetro mi riportava in vita, faceva riemergere le emozioni che avevo nascosto sotto una spessa coltre nera. Il giorno in cui i miei genitori erano morti il mondo era diventato grigio, e non in senso metaforico. Da quel giorno in Texas il clima era diventato uggioso e non aveva mai smesso di piovere. Ma quello sfogo, quel rompere qualcosa, come l'aveva chiamato Gavin, aveva ridato colore alla mia vita come un raggio di sole che filtra tra le nuvole. Mi faceva sentire bene. Troppo bene. Mi stavo divertendo e quel senso di colpa era troppo per una bambina di nove anni. «Caaaazzooooo!» urlai per sfogare il dolore, la confusione. Gavin si fermò e mi guardò. Dallas continuò a lanciare le bottiglie anche quando crollai a terra. Mi nascosi dietro i miei boccoli scuri, una tenda tra me e i ragazzi, e piansi, piansi davvero, per la prima volta da quando avevo ricevuto la notizia. A un certo punto il rumore di vetri infranti si interruppe. «Non toccarla» disse mio fratello con voce calma ma minacciosa, quasi violenta. «Sta bene. Vuoi essere nostro amico? Allora non toccarla, mai.» 19
Alzai la testa e vidi Gavin che si stava avvicinando a me. Stava venendo a consolarmi, probabilmente, ma Dallas l'aveva fermato. La ghiaia sotto le ginocchia e i palmi delle mani mi faceva male, ma io osservavo il ragazzo sconosciuto, la battaglia che si stava consumando nella profondità dei suoi occhi. «Alzati, Dixie Leigh» disse Dallas in tono più dolce. «È ora di tornare a casa.» Casa. Non poteva essere vero. Casa nostra era una villetta nella zona residenziale appena fuori Austin dove giravamo in bicicletta e giocavamo con gli amici. A casa nostra c'erano mamma e papà, i pancake per colazione e i cartoni animati la domenica mattina. Dovevamo tornare in una catapecchia senza televisione, con un portico tutto diroccato, lungo una strada sterrata di Amarillo, e dovevamo vivere con persone che prima vedevamo solo durante le feste. Casa nostra era morta insieme ai nostri genitori. Non saremmo mai più tornati a casa. In cima alle scale esco sul tetto, sento la pesante porta di ferro chiudersi alle mie spalle e prendo un respiro profondo. Oggi qui in Texas è nuvoloso, proprio come quel giorno di dieci anni fa. Io, Dallas e Gavin non vagabondiamo più per le strade di Amarillo come tre cuccioli randagi, ma per certi versi la nostra vita è sempre la stessa. Adesso però giriamo il Texas su Emmylou, la Chevrolet Express che ci accompagna da un concerto all'altro, noi e i nostri strumenti, e suoniamo per chiunque sia disposto a pagarci. Anche quando, a volte, la paga non è altro che un pasto caldo e le mance lasciate in un barattolo. Abbiamo iniziato a suonare a casa dei miei nonni quando io avevo quindici anni, ma abbiamo fatto veramente sul serio solo dopo essere arrivati terzi a un concorso nazionale, quando io ero all'ultimo anno di supe20
riori e i ragazzi si erano già diplomati. Suono il violino nei Leaving Amarillo, e sono brava. Di solito apriamo proprio con me che suono Devil went down to Georgia da sola, per attirare l'attenzione del pubblico. Funziona quasi sempre. Purtroppo quando ci siamo resi conto che i Leaving Amarillo potevano essere molto più di un hobby, io avevo già accettato una borsa di studio per la scuola di musica più prestigiosa del Texas. L'anno scorso ho frequentato il primo semestre alla Shepherd School of Music di Houston, ho studiato musica classica e io e il mio violino eravamo già pronti per la buca dell'orchestra. Quando il nonno ha avuto un attacco di cuore sono riuscita a congelare la borsa di studio e a tornare a casa per prendermi cura di lui. Quando si è completamente ripreso, Dallas e Gavin mi hanno permesso di suonare con i Leaving Amarillo per un paio di serate. E poi ancora altre. E adesso che abbiamo preso lo slancio, spero di non dovermi mai più vestire di nero e seguire come una pecora gli altri musicisti nella buca dell'orchestra. Il problema è che se entro la fine dell'estate non troviamo un manager con le conoscenze giuste che ci metta sotto contratto, a settembre sarò costretta a tornare a scuola. Quante volte gli ho detto che nella buca dell'orchestra non riesco a respirare, eppure Dallas è irremovibile e non mi permetterà mai di rinunciare alla borsa di studio per vivere chiusa in un furgone con lui e Gavin e suonare per due spiccioli. A parte la musica, una ragazza come me non ha molte altre possibilità di carriera. Se lascio la scuola e la band non sfonda passerò il resto dei miei giorni a chiedere ai clienti se con la torta vogliono anche il caffè. Guardo in lontananza il centro di Amarillo, le nuvole grigie che attraversano rapide il cielo, e sento tutto il peso del tempo che scorre, che mi scivola tra le dita ve21
loce e che non riesco a fermare in alcun modo. Prego i miei genitori e chiunque lassĂš mi stia ascoltando e chiedo una possibilitĂ . Una svolta. Supplico di farcela. Vi prego, vi prego, fateci vivere il nostro sogno.
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