Il ritorno della duchessa di Jenni Fletcher

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JENNI FLETCHER

Il ritorno della duchessa


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Duke's Runaway Bride Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2021 Jenni Fletcher Traduzione di Lucia Rebuscini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici febbraio 2022 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1292 dello 03/02/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Dedica

Per Beatrice Gimson e John Bond, i miei insegnanti preferiti di sempre.


Prologo

Oxfordshire, marzo 1807 Quinton Everett Maximilian Roxbury, dodicesimo Duca di Howden, tirò le redini, rallentando l'andatura del suo cavallo dal galoppo al trotto, fino a un lento passo. Sfortunatamente, anche se l'animale si fosse impuntato, rifiutandosi di proseguire, o gli fossero spuntate le ali e fosse volato via nella direzione opposta, nulla avrebbe potuto impedirgli di arrivare prima o poi a destinazione ed era solo questione di minuti prima che lui smontasse davanti alla facciata di pietra grigia di Howden Hall, avvilito e con il cuore pesante. Che triste contrasto. Solo cinque minuti prima, al confronto, il suo cuore era stato leggero. Non privo di peso, quella condizione apparteneva a un ricordo della gioventù, ma sicuramente più leggero. Ora, sollevando gli occhi verso la grande facciata della dimora ancestrale, si sentiva come se una di quelle pietre gli gravasse sullo stomaco. Lui detestava quelle pietre, dalla prima all'ultima. Perlomeno, in quei giorni stava facendo qualcosa per quella casa, si consolò, come dimostrava il rumore 7


cadenzato di un martello lontano. Grazie alla fortuna recentemente acquisita, era finalmente riuscito a dare inizio a delle riparazioni essenziali – appena in tempo, nel caso del tetto – ma anche questo non era sufficiente per rendergli gradito quel luogo. Non gli era mai piaciuto e non si aspettava che un giorno sarebbe stato diverso. Eppure, si trovava lì, intrappolato per sempre. La sua identità e quella della casata degli Howden erano intrecciate per la vita. Uno stalliere arrivò correndo dalle scuderie e Quinton si costrinse a cedergli le redini. Qualche momento di autocompatimento e risentimento era accettabile, ma lui aveva dei doveri, una montagna di doveri, per la precisione, e le dieci del mattino era l'ora giusta per iniziare a darsi da fare. Salì i gradini, chiedendosi se apparisse stanco e tormentato come si sentiva. Da quando aveva ereditato la tenuta gli erano apparse due nuove rughe sulla fronte, per tacere dei solchi profondi che aveva tra le sopracciglia. Per fortuna, i suoi capelli erano ancora folti e neri come prima, ma da un giorno all'altro si aspettava che iniziassero a incanutire e a cadere. Da un certo punto di vista, la situazione era quasi comica. Tredici mesi prima era considerato un trofeo ambito sul mercato matrimoniale: giovane, bello ed erede di un ducato apparentemente prospero. Un mese dopo, invece... be', era lecito dire che la sua reputazione aveva subito un duro colpo nel modo più mortificante possibile. Dopo quello che era accaduto, persino le madri più ambiziose non lo avevano più cercato, non volendo condannare le proprie figlie a uno scandalo pubblico e alla probabile rovina. Una premura verso di loro e un colpo all'autostima per lui. Salutò con un cenno il valletto che gli aprì la porta, 8


quindi entrò nel vestibolo, permettendogli di aiutarlo a togliersi la giacca. Uno, due, tre... Guardò speranzoso in direzione della soglia del suo studio. Sarebbe riuscito a raggiungerla in tempo? No, l'esperienza gli aveva insegnato che qualsiasi tentativo sarebbe stato inutile. Meglio restare e farla finita subito con... Quattro, cinque... Divaricò le gambe, in attesa. Sei, sette... Che strano, di solito non riusciva a contare fino a quel punto. Di solito erano già tutti appostati al suo arrivo. Otto, nove... Ah, eccoli, i passi che si avvicinavano; i passi di tre persone, se non si stava sbagliando. Ruotò le spalle e piegò il collo prima da una parte e poi dall'altra, preparandosi... Dieci. «Non puoi immaginare cosa ha fatto!» Antigone, di diciassette anni, fu la prima a parlare, puntando un dito accusatorio verso la biblioteca. «Justin?» Quinton inarcò un sopracciglio mentre il fratello quattordicenne li raggiungeva. «È una disgrazia!» Queste parole arrivavano dalla loro madre, che scendeva le scale in quel momento. «Non sono mai stata insultata tanto!» Quinton si sfregò il mento, dubitando della veridicità di quell'affermazione, ma non poté evitare di chiederle: «In che modo?». «Mrs. Padgett darà una festa la prossima settimana e io non sono stata invitata!» «Pensavo che Mrs. Padgett vi fosse antipatica.» «È così, infatti, ma non è questo il punto. Io sono pur sempre la duchessa!» Una piccola ruga apparve tra le sue sopracciglia. «Dovrei essere invitata ovunque, che io decida di accettare oppure no. Invece l'ho saputo da una lettera di Lady Fortescue.» «Molto premuroso da parte sua informarvi.» 9


«È una vecchia gatta odiosa. La prossima volta che la vedrò, le...» «Ha letto il mio diario!» esclamò Antigone, rifiutandosi di essere ignorata. «Cosa?» La madre si voltò di scatto verso di lei. «Justin, è vero?» «Sì, è vero! Io stavo scrivendo in biblioteca, ma mi sono dovuta alzare per... be', avete capito, e quando sono tornata, lui aveva il naso tra le pagine del mio diario, questa piccola serpe!» «Non capisco perché te la prendi tanto.» L'accusato iniziò infine a difendersi. «Non c'è scritto nulla di interessante. Ieri ha visto delle giunchiglie... sai che notizia! Davvero interessante.» «Sei un maiale insensibile!» «Justin, non si deve invadere l'intimità di un'altra persona.» La duchessa sollevò il mento, assumendo un'espressione severa. «A parte questo, se non sbaglio avevamo già discusso dell'uso che ti è concesso fare della biblioteca, Antigone.» «Tu prendi sempre le sue parti!» «Non sto prendendo le parti di nessuno. Strettamente parlando, la biblioteca è riservata agli uomini di casa. Una donna dovrebbe scrivere nella tranquillità del salotto o della sua stanza, dove c'è un bellissimo scrittorio, aggiungo.» «Io preferisco la biblioteca!» «E una signora non usa le parole serpe e maiale.» «Questa signora sì, le usa!» Gli occhi verdi di Antigone luccicavano minacciosi. «Potrei chiamarlo anche con altri epiteti, me li ha insegnati Corin.» «Avanti, dilli» la incitò immediatamente Justin. «Voglio saperli anch'io.» «Ora basta!» Quinton alzò una mano prima che sua 10


sorella potesse riaprire bocca. «Justin, tu hai sbagliato. Mamma, siate superiore a Mrs. Padgett e a Lady Fortescue. Antigone, di qualunque epiteto si tratti, ti ordino di dimenticarlo immediatamente. In cambio, domani ti porterò con me a cavallo; i boschi sono pieni di giunchiglie.» «Oh, sì, grazie!» «E io?» protestò Justin con una vocina infantile. «Voglio venire anch'io!» «Assolutamente no! Tu scriverai di avere sbagliato e il motivo, e poi tradurrai ciò che hai scritto in latino, così farai un po' di pratica per la scuola. E ora, se volete scusarmi, ci sono dei documenti che mi attendono. Posso sperare che non si verifichino altre tragedie fino all'ora di pranzo?» Quinton rivolse a tutti un'occhiata severa, assicurandosi che non ci fossero ulteriori proteste, prima di affrettarsi a raggiungere il suo studio. «Ben fatto!» disse un'altra voce quando la mano di Quinton si posò sulla maniglia. Lui chiuse gli occhi, contando di nuovo fino a dieci, prima di voltarsi e alzare gli occhi verso la galleria che correva lungo tutto il primo piano. Corin aveva venticinque anni, solo tre meno di lui, ma a volte sembrava che fossero venti in meno. «Ti sei alzato presto.» Quinton non riuscì a trattenere il sarcasmo. «Lo so, tutte quelle urla...» «Devo lavorare.» «Io non tengo un diario, sarebbe pieno di oscenità» proseguì Corin, tappandosi il naso. «Immagino. Ci vediamo a pranzo.» Quinton lanciò una seconda occhiata ai capelli arruffati del fratello e ai suoi abiti spiegazzati. Probabilmente, erano ancora 11


quelli che aveva indosso il giorno prima. «Apprezzerei se per quell'ora riuscissi a renderti presentabile.» «Farò del mio meglio, ma non posso promettere nulla.» Corin alzò le spalle. «Comunque, non dovresti dare retta a tutto quello che dicono.» Con un sorrisetto tirato, Quinton aprì la porta dello studio e se la richiuse alle spalle. La sua famiglia era... be', era la sua famiglia. Lui li amava, sarebbe stato pronto a dare la vita per ognuno di loro, se fosse stato necessario, ma le costanti lamentele, le urla, i litigi e le accuse lo sfinivano. Anche nelle giornate migliori era forte la tentazione di buttarli tutti in mezzo alla strada. A eccezione di Helen. A proposito, dov'era Helen? Probabilmente, nascosta sotto qualche tavolo. La sua vita sarebbe stata molto più facile se avesse potuto unirsi a lei. Si appoggiò contro la porta per qualche istante, assaporando l'improvvisa quiete. Lo studio era il suo paradiso, il suo rifugio, l'unico luogo in tutta la casa in cui la sua famiglia sapeva di non poter entrare, a meno che una questione di vita o di morte non richiedesse la sua attenzione immediata. Quella era esattamente la ragione per cui Quinton vi trascorreva circa l'ottanta per cento del suo tempo. Lentamente attraversò il logoro tappeto rosso fino alla scrivania di noce e si sedette. Perlomeno, Justin presto sarebbe andato a Eton. Questo avrebbe dovuto ridurre in parte le urla, anche se, senza dubbio, Antigone avrebbe iniziato a lamentarsi perché sentiva la sua mancanza. Sua sorella aveva bisogno di compagnia, di un'altra donna con cui parlare, altrimenti sarebbe rimasta da sola con la loro madre e si sarebbe annoiata a morte. Quinton avrebbe dovuto iniziare a pensare a una soluzione, ma gli era difficile prendere 12


qualsiasi decisione fino a quando... be', fino a quando non avesse sistemato un'altra questione che richiedeva più tempo di quanto lui avesse previsto. «Buongiorno, Vostra Grazia.» Harker, il suo segretario, apparve sulla porta che metteva in comunicazione i loro due studi. «Spero che la vostra cavalcata sia stata piacevole. Non faceva troppo freddo?» «Molto freddo, ma è stata ugualmente piacevole.» Quinton posò i palmi delle mani sulla scrivania, determinato a mettersi subito al lavoro. «Ho pensato che dovremmo dare un'altra occhiata a quei progetti per i cottage dei nuovi manovali. Non sono sicuro che siano abbastanza spaziosi.» «Certo, Vostra Grazia, vado a prenderli, ma...» «Sì?» Quinton inarcò un sopracciglio, stupito dalla reticenza del segretario. Di solito andava dritto al punto. «È successo qualcosa?» «Non esattamente. Il fatto è che... questa mattina hanno consegnato una lettera.» «Non mi pare un fatto insolito.» «No, ma il corriere arrivava da Bath.» «Ah!» Era una buona cosa che fosse già seduto, pensò Quinton. In quel momento, non si sarebbe fidato della stabilità delle sue gambe. «Capisco.» «Naturalmente, non ne ho letto il contenuto.» Harker tolse un foglio piegato dalla tasca interna della giacca e lo fece scivolare sulla scrivania verso di lui. «Ma mi sono preso la libertà di custodirla per voi.» «Per evitare occhi indiscreti, intendi dire? Ottima idea.» Harker indietreggiò rispettosamente di un passo. «Vi lascio leggere in pace. Se volete scusarmi, Vostra Grazia...» «Sì, grazie, per il momento è tutto.» 13


Quinton attese fino a quando il segretario si chiuse la porta alle spalle prima di abbassare gli occhi sulla lettera, poi li sollevò di nuovo, guardando nel vuoto per qualche istante, e infine fissò di nuovo la lettera. Ecco la cosa che stava aspettando da giorni, e ora che l'aveva tra le mani provava uno strano senso di inquietudine. Aveva la sensazione che il foglio fosse bollente, come se le parole che vi erano scritte potessero marchiarlo a fuoco, se non avesse prestato attenzione. Qualsiasi speculazione a quel punto era inutile. Fece un respiro profondo, ruppe il sigillo e lesse. La grafia era minuta e ordinata, senza tanti fronzoli e svolazzi, e il messaggio era conciso, di soli due paragrafi. Non conteneva scuse, né spiegazioni, né richieste di aiuto, o espressione di sentimenti, solo rammarico e un'offerta. Quinton si appoggiò allo schienale della sedia, lasciandosi scivolare dalle dita il foglio, che si adagiò sulla scrivania. Be', doveva riconoscerglielo. Proprio quando aveva pensato che sua moglie non gli avrebbe riservato altre sorprese, lei gli aveva fatto la sorpresa più grande di tutte. Le giunchiglie avrebbero dovuto aspettare. Era arrivato il momento per lui di recarsi a Bath e di scongiurare un altro scandalo.

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Il ritorno della duchessa JENNI FLETCHER INGHILTERRA, 1807 - In fuga dal giorno delle nozze, Beatrix si nasconde a Bath, lavorando in un negozio di biscotti. Quando chiede il divorzio al marito, il famigerato Duca di Howden...

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