Il ritratto della seduzione

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EVIE DUNMORE Il ritratto della seduzione

Immagine di copertina: Lee Avison/Trevillion Images

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Portrait of a Scotsman

Prima pubblicazione in Italia presso Mondadori Retail S.p.A. per Mondolibri, Milano © 2021 Evie Dunmore Traduzione di Paola Pianalto

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

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© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special maggio 2023

Questo volume è stato stampato nell'aprile 2023 da CPI Moravia Books

I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379

Periodico mensile n. 336S del 5/05/2023

Direttore responsabile: Sabrina Annoni

Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994

Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

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Londra, agosto 1880

Mentre, accaldata sotto il mantello di lana, indugiava sul marciapiede fradicio di pioggia davanti al palazzo di Chelsea in cui stava per penetrare furtivamente, Hattie Greenfield non poté fare a meno di ripensare all'ultima volta che aveva eluso la sorveglianza del suo agente di scorta. Il risultato era stato un alterco con un orrendo poliziotto e la detenzione di una cara amica nel carcere di Millbank. Tutte le avventure più perigliose avevano inizio sfuggendo al burbero Mr. Graves, evidentemente. E anche le migliori.

Squadrò il portone laccato in cima ai gradini d'ingresso. Le fauci leonine in ferro che stringevano il batacchio avevano i denti assurdamente lunghi e appuntiti. L'avvertimento che stava per entrare nella tana del leone era quasi troppo squillante da ignorare per una persona selettivamente superstiziosa. Stavolta, tuttavia, la sua avventura non era una marcia intrinsecamente rischiosa su Parliament Square per i diritti delle donne, bensì la visita guidata a una galleria d'arte privata. Assolutamente innocua.

Sollevò le sottane con una mano e iniziò la salita.

Le sue amiche avrebbero puntualizzato che la galleria apparteneva a Mr. Blackstone, un uomo a cui la buona società aveva affibbiato il nomignolo di Belzebù, e che per di più era il rivale in affari di suo padre, e che no, lei non avrebbe dovu-

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to farsi cogliere ad ammirare i suoi quadri preraffaeliti senza uno chaperon.

Era lecito presumere che Mr. Belzebù non fosse presente, tuttavia: in pochissimi lo avevano visto in carne e ossa, in effetti. Secondariamente, lei si era iscritta alla visita guidata col nome di Miss Jones, studentessa di lettere classiche a Cambridge, invece che come Harriet Greenfield, studentessa di belle arti a Oxford nonché ereditiera di un banchiere. In terzo luogo, il tour completo della galleria d'arte e antiquariato di Mr. Blackstone prevedeva la presenza di un piccolo gruppo di altre giovani appassionate d'arte e, verosimilmente, dei loro chaperon, e l'invito nella sua borsetta a rete indicava che le stava facendo attendere: la visita guidata era iniziata alle due in punto e il suo piccolo orologio da taschino ardeva per il ritardo, rischiando di farle un buco nel corpetto.

I colpi del batacchio parvero affievolirsi, ignorati, nell'atrio al di là del portone. Hattie suonò il campanello.

Silenzio.

Sotto l'orlo del mantello, Hattie cominciò a battere il piede bagnato. Dovevano avere incominciato la visita senza di lei. Dunque era scesa dal fiacre, irrimediabilmente bloccato a causa della pioggia e del traffico poco dopo aver lasciato Victoria Station, e aveva affrontato con coraggio il restante quarto di miglio a piedi... per niente? Il martellare del ferro sul rovere divenne insistente.

O forse aveva sbagliato di nuovo? Armeggiò tra le pieghe del mantello per trovare la borsetta ed estrasse l'invito. Controllò con estrema attenzione l'indirizzo e poi di nuovo il numero civico. Era sempre il numero dodici di Carlyle Square. La piazza era piccola, dubitava che ci fosse un numero ventuno. Bussò di nuovo, e poi un'altra volta ancora.

Il pesante portone si spalancò all'improvviso, inaspettatamente. L'uomo che lei si trovò davanti non era un maggiordomo. I radi capelli grigi erano spettinati, indossava un

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grembiule macchiato di pittura ed emanava un odore pungente di... lucido per mobili d'antiquariato? Hattie cercò di valutare con discrezione se quel viso affilato e rugoso le risultasse familiare avendolo visto in qualcuno dei circoli artistici che soleva frequentare. L'uomo invece la scrutò platealmente: puntò lo sguardo sullo spazio vuoto in cui avrebbe dovuto esserci un'accompagnatrice e poi risalì dall'orlo zuppo del mantello ai capelli rossi, ormai senza dubbio increspati dall'umidità.

«E voi sareste?» chiese con voce strascicata.

Lei si schiarì la gola. «Sono qui per la visita.»

«La visita?» ripeté l'uomo. Poi nei suoi occhi si accese un barlume di comprensione. «La visita.»

«Sì.»

Le labbra sottili dell'uomo si incresparono in un sorrisetto di scherno. «Capisco.»

Hattie spostò il peso da un piede all'altro. «Temo di essere un po' in ritardo. Vengo da fuori Londra, capite, è stato un lungo viaggio, poi la mia compagna è stata... poco bene, e dopo c'era un traffico così spaventoso su Lyall Street, per colpa di tutta questa pioggia; le strade sono...»

«Entrate, allora» disse lui, facendosi bruscamente da parte e invitandola ad accedere con un gesto della mano.

Era seccato; gli artisti maschi avevano questa prerogativa: mettere in chiaro che erano seccati quando qualcuno interrompeva il loro lavoro.

Non c'era nessuna cameriera in vista a cui affidare il mantello; il luogo sembrava assolutamente deserto, in realtà. Un certo nervosismo le rimescolò lo stomaco, ma l'uomo odoroso di lucido per mobili si era già avviato, distanziandola, i suoi passi frettolosi riecheggiavano sulle mattonelle bianche e nere dell'ingresso.

«Signore.» Hattie si affrettò a seguirlo, con l'acqua che faceva cic ciac tra le dita dei piedi.

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Svoltarono in un corridoio semibuio. A sinistra, eleganti file di statue e vasi rappresentavano un richiamo invitante, ma non scivolare sul pavimento coi tacchi bagnati richiedeva tutta la sua attenzione. L'uomo si era fermato poco più avanti e aveva aperto una porta. Le fece cenno di entrare, ma lei esitò sulla soglia poiché, quantunque la stanza fosse bene illuminata, non c'era traccia del gruppo in visita. Non c'era anima viva. Il pittore indicò spazientito il divano più vicino.

«Avanti, sedetevi.»

Anche da dove si trovava lei era evidente che il sofà risaliva all'epoca di Luigi XIV, e sedersi sulla seta giallo gelsomino con addosso il mantello bagnato l'avrebbe rovinato.

«Sareste così cortese da mandare qualcuno a prendere il mio mantello, Mr...?»

L'uomo chinò il capo in un inchino beffardo. «Verrà presto qualcuno a occuparsi di voi.»

«Signore, devo chiedervi di...»

La porta le venne chiusa risolutamente in faccia e lei rimase a fissare, sconcertata, il pannello di legno bianco.

«Ah, be'.» Espirò con forza.

Nel silenzio della stanza il battito del cuore le risuonava forte nelle orecchie. Un caldo rivolo di sudore le scivolò lungo la schiena. Pericoloso, diceva il suo istinto. Signore degli Inferi, Capo della malavita. Erano state queste le parole della sua amica Lucie allorché aveva scoperto che il suo fidanzato, Lord Ballentine, aveva preso in prestito del denaro da Mr. Blackstone per acquistare una casa editrice, non molto tempo prima...

Hattie azzardò un sorriso. «Avventuroso» disse. «Tutto ciò è favoloso, e avventuroso.»

Si volse verso la stanza. Quello era il covo di un pirata. E i tesori erano accatastati in alte pile. Ogni mensola e tavolo su cui posava lo sguardo era colmo di splendore: coppiette in

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lucida porcellana – Meissen, a uno sguardo più attento – statuine in filigrana avorio e oro, scatole intagliate magnificamente, coi bordi delicatamente smussati, in tutte le tonalità di verde giada. Alcuni pezzi selezionati erano illuminati da piccole lampade da tavolo con paralumi in ceramica talmente sottili che la luce a gas filtrava attraverso di essi come fossero di seta. Il muro di fronte era rivestito da una carta da parati Morris, sfrenatamente floreale – uno spreco, visto che era ricoperto da cima a fondo di quadri, le cui cornici dorate quasi si toccavano.

«Oh, cielo.» Hattie rise piano. Un Cranach il Vecchio era in bella mostra accanto a un dipinto raffigurante un picnic che aveva tutta l'aria di essere un Monet. Più intriganti dei Preraffaeliti, oggettivamente. Le braci che ardevano nel camino alla sua destra, quel giorno sorprendentemente esercitavano un'enorme attrattiva. Mentre si faceva strada con cautela attraverso la messe di tavolini finemente decorati, ne investì uno col mantello facendo oscillare pericolosamente una ballerina di porcellana ritta sulle punte. Misericordia. Cosa era saltato in mente a Mr. Blackstone, o al curatore della sua galleria, di ammassare alla rinfusa quei pezzi preziosi come gli invitati a una cena sovraffollata, organizzata senza la dovuta attenzione e in una stanza aperta al pubblico, per di più?

Il calore proveniente dal focolare era debole. Il suo riflesso nell'ampio specchio sopra la mensola del camino era altrettanto deludente: la piuma viola sul cappellino si era assottigliata come la coda di un topo, i riccioli solitamente morbidi come seta erano un disastro, il nasino all'insù era di un rosa acceso. Se la breve camminata aveva ridotto così il suo viso, come aveva conciato le sue scarpe?

Hattie tirò fuori un piede da sotto l'orlo della gonna. Tacchetti sottili, seta bianca ricamata con perline minuscole. Scelta assolutamente inappropriata per una gita, ma quel paio di scarpe era tra i suoi preferiti. Ora chiaramente rovinato in

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modo irreparabile. Sentì un tuffo alla bocca dello stomaco. Tutta colpa del professor Ruskin. Se la settimana precedente non avesse definito bello il suo Ratto di Persefone , quella mattina non sarebbe salita sul treno. Era stato un bello di troppo da quando si era iscritta a Oxford, l'anno prima. Ruskin l'aveva buttato lì en passant, con un bonario cenno di assenso, dopodiché si era soffermato accanto al cavalletto di Lord Skeffington commentando approfonditamente il suo lavoro, e lei aveva drizzato le orecchie sforzandosi di cogliere i suoi consigli su come rafforzare lo stile gotico in un dipinto. In qualche modo, l'idea di dare una bella occhiata alla Ofelia di Millais, che Mr. Blackstone aveva assicurato alla propria collezione privata, si era radicata nella sua mente durante quella lezione. E sì, forse c'era stata anche una piccola, stuzzicante tentazione alla prospettiva di mettere piede nella proprietà di Mr. Blackstone, l'unico uomo in Gran Bretagna che osava non degnare di una risposta gli inviti a pranzo di suo padre.

La sua attenzione si spostò automaticamente sulla coppia di vasi panciuti laccati di verde che affiancavano l'orologio sulla mensola del camino. A prima vista passavano facilmente inosservati, anonimi nella loro semplicità, come il parente povero in un opulento salone da ballo. Eppure... Hattie esaminò con cura il rilievo sul vaso più vicino. Sentì un fremito lungo il collo... stava guardando qualcosa di davvero straordinario. Non avrebbe dovuto toccarlo. No, proprio no. Sfilò il guanto dalla mano sinistra, lo infilò nella tasca del mantello e fece scorrere delicatamente l'indice sul motivo lungo il bordo del vaso. Con un pizzico di fortuna avrebbe trovato un marchio a conferma dei suoi sospetti... se osava cercarlo.

Non ci mise molto a decidere.

Afferrò il vaso con entrambe le mani, maneggiandolo con la trepidante cautela che avrebbe riservato a un uovo crudo, e

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lo capovolse. Ecco il marchio. Tutti i sottilissimi peli sulle sue braccia si drizzarono. Quel pezzo all'apparenza insignificante era quasi certamente un vaso della dinastia Han. Se era autentico, aveva quasi duemila anni. Adesso Hattie aveva i palmi caldi e sudati.

«Preferirei che non lo toccaste» disse una voce maschile, roca e profonda.

Lei trasalì con uno strillo, premendo il vaso al petto. Ciò che vide nello specchio la lasciò impietrita.

Il pirata era tornato nella sua caverna.

Non aveva visto né udito nulla, tanto era assorta. Doveva essere da un po' che la osservava, con una spalla appoggiata allo stipite della porta della stanza adiacente e le braccia incrociate sull'ampio petto. Hattie si voltò adagio, con un altro tuffo allo stomaco. Non era un pirata, naturalmente, ma senza giacca né cravatta, e con le maniche arrotolate che mettevano in mostra due avambracci muscolosi, era indecente. I capelli, neri come il carbone e ribelli, erano troppo lunghi, e la mascella squadrata era velata da un'ombra di barba. Ma la parte più selvaggia di lui erano gli occhi... puntati su di lei con una singolare intensità che le fece arricciare le dita dei piedi nelle calze bagnate.

«Stavo solo...» le mancò la voce.

Lui chiuse la porta. Lei aumentò la stretta sul vaso. Era stato mandato a prenderla, ovviamente, ma i nervi di lei urlarono, sollecitandola a battere in ritirata. Lui si mosse con scioltezza – troppa scioltezza – verso di lei, senza sfiorare nulla nella sua avanzata tra i delicati artefatti. Lei rimase immobile come un coniglio atterrito finché non le fu di fronte.

Faceva colpo, indubbiamente. I contrasti cromatici calamitavano tutta l'attenzione sugli occhi: duri e grigi come ardesia, con sopracciglia e ciglia nere come l'inchiostro, nel volto pallido. I lineamenti erano decisamente virili, la loro perfetta simmetria vagamente disturbata da un naso

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un tempo rotto. Aveva l'aspetto senza età di un uomo che aveva vissuto troppo intensamente, troppo in fretta.

La tenne avvinta col suo sguardo mentre faceva scivolare due dita della mano destra nella bocca del vaso, che lei stava ancora stringendo convulsamente come una ladra colta in flagrante.

«Perché non lo date a me» le intimò lui.

Con la pelle che palpitava rovente per l'imbarazzo, Hattie lasciò andare la preziosa ceramica. Aveva dei fratelli e studiava gomito a gomito con dei maschi, e non ammutoliva mai in loro presenza – non ammutoliva mai. Ma quando quell'uomo rimise il vaso sulla mensola del camino, lei respirò il suo odore, un'intrigante miscela di sapone al pino e amido –un profumo di pulito per certi versi incongruo col suo aspetto piratesco – e non seppe più dove guardare, tanto era acutamente consapevole della virilità di quell'uomo. Era appena più alto della media, ma le morbide maniche di cotone della camicia aderivano alle spalle lasciando intuire rigonfiamenti muscolosi che nessun gentiluomo avrebbe avuto. Hattie riportò lo sguardo sul suo viso proprio mentre lui chinava il capo, e i loro occhi si incrociarono in un'altra reciproca ispezione. Una sottile cicatrice tagliava in due il lato sinistro del labbro superiore dell'uomo. Hattie si accorse di avere la bocca secca. Era uno scherzo della luce, o le iridi dell'uomo erano diventate un po' più scure?

«Non era mia intenzione toccarlo» disse con sussiego.

Un'espressione lievemente ironica gli attraversò il viso, senza tuttavia ammorbidire la dura piega della bocca. «E con chi ho il piacere, Mrs...?»

«Miss. Mi chiamo Miss Jones.» Il nome le uscì di bocca in un tono innaturale.

Lui registrò la bugia con un lampo negli occhi. «Qual è lo scopo della vostra visita, Miss Jones?»

Era scozzese. Le sue r spiccavano come ringhi dolcemente

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arrotati. Ecco spiegati la carnagione chiara e i capelli scuri tipici dei Celti... cosa ancora più interessante, il calore emanato dal suo corpo era più caldo delle braci nel camino. Hattie capì perché le stava così vicino. La mano destra era ancora posata sulla mensola del camino, vicino alla spalla di lei, mentre il braccio le bloccava ogni via di fuga sulla sinistra.

Si umettò le labbra nervosamente. Lo scopo della sua visita? «Il tour completo...»

Una leggera tensione gli contrasse le spalle. «Ne siete sicura?»

«Naturalmente, e vi sarei molto obbligata se poteste...»

Lui alzò una mano sul suo viso sfiorandole appena lo zigomo con la punta dell'indice.

Quell'uomo la stava toccando. Un uomo la stava toccando.

Il mondo rallentò fino a fermarsi. Avrebbe dovuto strillare. Schiaffeggiarlo. Il suo corpo non ubbidì; rimase immobile, mentre l'aria tra loro crepitava, con la premonizione di trovarsi alle soglie di qualcosa di decisivo.

Il grigio degli occhi di lui era evanescente e minaccioso come fumo. «Bene» mormorò. «Allora vi accontento subito, Miss Jones.»

Chiuse le dita sulla sua nuca e poi posò la bocca sulla sua.

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Che labbra morbide. La pressione aliena di una bocca calda e morbida sulla sua fu tutto ciò che colse nel suo stupore raggelato. Peli ispidi che le pungevano il mento. Il contatto viscido di una... lingua sulle labbra, che reclamava di entrare... Hattie piegò indietro la testa di scatto mentre la mano volava verso l'alto, e il paff del palmo nudo contro la guancia dell'uomo risuonò come uno sparo. Hattie strillò, in ritardo, perché aveva appena schiaffeggiato un uomo così forte da voltargli la testa dall'altra parte.

Lui scosse leggermente il capo, l'espressione incredula per un attimo, poi la scrutò con maggiore attenzione. «La signora non è qui per questo tipo di giro, arguisco» disse cupo.

Hattie indietreggiò di corsa, fuori della sua portata, col cuore che martellava nel petto. «Non toccatemi.»

La gonna incontrò un ostacolo; qualcosa stridette sul parquet e qualcos'altro andò in frantumi. Il tacco sinistro slittò e un dolore lancinante le trafisse la caviglia che si storceva, strappandole un grido di dolore.

L'uomo inveì sottovoce, andandole dietro.

«State lontano da me!»

Lui si avvicinò, le spalle robuste che incombevano minacciose. Una rapida occhiata le chiarì che era a metà strada dalla porta. Aiuto

ma c'era qualcuno in grado di aiutarla in quella grande casa vuota?

Un altro schianto.

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«Miss...»

Hattie afferrò alla cieca qualcosa da un tavolo, puntandola come un fioretto contro di lui.

«Fermo dove siete o vi infilzo con questo.»

Adesso lui la udì e si fermò, gli occhi fissi sull'arma improvvisata, alzando adagio le mani coi palmi avanti come a tentare di calmare un cavallo imbizzarrito... come se fosse lei la squilibrata nella stanza!

«Va bene» disse. «Però posate quella.»

Hattie si rese conto che stava brandendo la ballerina sulle punte che poco prima aveva quasi fatto cadere.

«È un pezzo unico» aggiunse l'uomo.

«Lo so bene» sbottò lei. «Meissen, edizione limitata del 1714.»

Negli occhi di lui balenò un lampo di sorpresa, che però svanì in meno di un secondo. «Dunque sarete d'accordo con me che non dovrebbe andare distrutta sull'onda di una inutile scenata» disse.

«Scenata» strillò lei, oltraggiata. «Voi, signore, avete appena abusato di me.»

«Uno spiacevole equivoco» disse lui, non particolarmente dispiaciuto, a giudicare dal tono.

Hattie agitò la ballerina contro di lui. «Mr. Blackstone verrà informato della vostra condotta inqualificabile.»

Lui increspò le labbra. «Senz'ombra di dubbio. Miss Jones, perché non vi sedete?» Indicò l'orlo della gonna. «Sembra che vi siate fatta male.»

Lui non aveva il diritto di pensare o alludere ad alcuna parte della sua anatomia, ma naturalmente doveva aggiungere al danno la beffa menzionando la sua caviglia slogata. La stava anche guardando con crescente fastidio, come un predatore che si chieda perché si stava facendo comandare a bacchetta dalla sua preda.

Col piede sinistro che pulsava per il dolore, Hattie avanzò

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adagio verso la porta, camminando di sbieco come un granchio perché non voleva perderlo di vista. Una volta in corridoio fu sopraffatta dal sollievo: il pittore contrariato e un giovane gentiluomo con un bel paio di baffi biondi indugiavano a pochi passi di distanza con espressione vigile.

«Grazie a Dio!» esclamò, zoppicando verso di loro. «Mi serve il vostro aiuto. C'è un uomo!» Indicò col pollice alle proprie spalle. «E temo che non si stia comportando da gentiluomo.»

I due uomini si scambiarono un'occhiata guardinga. Allora le venne in mente che dovevano averla udita gridare – perché altrimenti erano lì, davanti alla porta? Eppure nessuno dei due era entrato a vedere cosa stava succedendo. Fu colta da un senso di nausea e di vertigine, come sul punto di sentirsi male. Ma certo. Era conciata da far paura. Era lì tutta sola, senza accompagnatore. Il suo mantello anonimo, che doveva servire a celare la sua vera identità, era un oggetto di scena scovato in un vecchio baule nella stanza dei giochi della sua infanzia. In quel momento lei non era Hattie Greenfield; non era neanche una signorina accompagnata, come si conveniva, da uno chaperon. L'assenza del nome di suo padre la colpì con la gelida forza di un ceffone, come se le avessero strappato uno scudo invisibile, come se l'avessero improvvisamente spogliata nuda davanti a una folla. In quel momento... non era nessuno.

Si volse verso il biondino che, quantunque timido, sembrava comunque assai più propenso del pittore a prestare soccorso a una fanciulla in ambasce. «Vi prego, signore, temo di dovermi appoggiare a un braccio per...»

L'attenzione dei due uomini si volse su un punto alle sue spalle, e lei capì che il barbaro era uscito in corridoio. Sentiva l'oscura energia che gli turbinava intorno.

«Se mi faceste la cortesia di fermare un fiacre, ve ne sarei immensamente grata» aggiunse in fretta.

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«Non siate precipitosa» disse la voce malvagia.

«Dovete anche informare Mr. Blackstone che ha al suo servizio un manigoldo che importuna le sue ospiti sotto il suo stesso tetto.»

Il biondino sgranò gli occhi, allarmato. «Ehm» fece, deglutendo convulsamente. «Miss...»

D'un tratto Hattie capì, e le sfuggì un ansito patetico. Chiuse gli occhi. «È fermo proprio dietro di me, giusto?» squittì. «Mr. Blackstone.»

«Esatto, sì» confermò il giovane, in tono di scusa.

Era proprio sciocca, a volte. L'identità dello scozzese avrebbe dovuto esserle chiara appena lui aveva attraversato deciso il salotto come se fosse a casa sua o, quanto meno, quando aveva tentato di prenderla con la forza accanto a un vaso della dinastia Han, come se niente fosse. Tutte le cose orribili che aveva udito sul suo conto erano vere, evidentemente.

Uno strattone alla statuina le rammentò che la stava ancora stringendo in mano.

Ormai era inutile brandirla, a ogni modo.

Quel bruto di Mr. Blackstone le stava proprio di fronte e la guardava intensamente. Nella mano destra stringeva la ballerina, quasi inghiottendo la minuscola donna nel grosso pugno. Belzebù. Uno dei più ricchi, dei più crudeli, dei più malfamati uomini d'affari d'Inghilterra; aveva portato alla rovina finanziaria svariati Pari del Regno, se ci si poteva fidare delle voci in circolazione. Era perfetto per la parte: dagli occhi, che sembravano non conoscere gioia, al naso rotto, alla corporatura massiccia – forse il suo sport preferito era il lancio dell'incudine, pensò Hattie. In pochissime sapevano com'era fatto di persona; era sfuggente come un fantasma. E lei lo aveva baciato. Una vampa di rossore le risalì lungo il collo. Suo padre l'avrebbe spedita in convento.

D'un tratto negli occhi di Mr. Blackstone balenò una folgo-

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razione e la profonda ruga tra le sue sopracciglia scure si spianò. Fece un passo indietro e chinò il capo. «Blackstone, al vostro servizio. Il mio assistente, Mr. Richard Matthews.» Allungò brusco la statuetta al biondino, senza staccare gli occhi da lei. Non presentò il pittore contrariato.

«Miss Jones» disse rigida lei.

«Così avete detto.»

La melodiosa inflessione celtica era svanita, ma il sarcasmo del tono era più che evidente. Hattie aveva fatto la sua conoscenza solo da qualche minuto e già sapeva che era una delle persone meno raffinate che avesse mai incrociato sulla sua strada. E lui sapeva che lei stava mentendo. Doveva andarsene prima che capisse qual era la sua vera identità, perché in tal caso quella malaugurata gita sarebbe di certo giunta alle orecchie di suo padre.

«Orbene» riprese lui. «Che cos'è questo tour per cui dite di essere venuta, Miss Jones?»

Lei scosse la testa. «Desidero solo andare via.»

Lui socchiuse le palpebre.

«Preferisco non arrecarvi altro disturbo» azzardò Hattie. Se non fosse stato per la caviglia, per le gonne strette e per le scarpe rovinate, se la sarebbe data a gambe.

Mr. Richard Matthews emise un flebile gemito di sconforto.

«Temo che il tour a cui vi riferite sia stato annullato.»

Blackstone aveva girato di scatto la testa vero il suo assistente come se fosse sorpreso e Mr. Matthews si stava contorcendo, a disagio; lei invece si sentì improvvisamente sollevata.

«Allora c'era davvero un tour guidato. Cominciavo a pensare che fosse frutto della mia immaginazione.»

Matthews stava evitando gli occhi del suo datore di lavoro. «Sì, c'era. Ho fatto spedire ieri tutti i preavvisi di cancellazione. La pioggia incessante ha provocato una perdita nel tet-

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to della galleria principale e alcune delle opere esposte sono state danneggiate.»

«Non l'Ofelia, spero.»

Tutti e tre gli uomini la guardarono senza capire.

«Sono venuta per vedere i Preraffaeliti» chiarì lei, rivolta a Mr. Matthews. «L'Ofelia in particolare.»

«No, l'Ofelia è in perfette condizioni» si affrettò a rassicurarla lui.

Il danno alle opere d'arte poteva forse spiegare il pittore che indugiava con espressione annoiata alle spalle di Mr. Blackstone e che, plausibilmente, era il restauratore. Non spiegava, tuttavia, perché era stata molestata. L'unica spiegazione possibile per quello era che l'avessero scambiata tutti per una delle donnine allegre di Mr. Blackstone... Si sentì impallidire.

Mr. Matthews diede uno strattone al nodo della cravatta.

«Vi prego di accettare le mie più profonde scuse, Miss Jones. Forse hanno fatto confusione all'ufficio postale.»

«Non datevi pena, vi prego» lo tranquillizzò lei, sforzandosi di sorridere. Il servizio postale del regno funzionava alla perfezione, per quel che ne sapeva. Il suo avviso di cancellazione doveva essere arrivato alla sua assistente a Cambridge, e per qualche motivo Miss Jones non l'aveva avvisata per tempo del cambio di programma. Inoltre lei, Hattie, quel mattino non si era fermata a ritirare la posta nella sua cassetta delle lettere a Oxford, preoccupata com'era di ripassare mentalmente i passi da compiere per sfuggire al controllo di Mr. Graves, alle University Galleries di Oxford.

«Matthews!» esclamò bruscamente Mr. Blackstone. «Dite a Nicolas di accompagnare a casa Miss Jones.»

Lei indietreggiò di un passo. «Grazie, non è necessario.»

Lui la fulminò con un'occhiata torva. «Sì, invece.»

Mr. Matthews si stava già affrettando a risalire il corridoio sulle gambe secche.

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«È molto gentile da parte vostra insistere» disse lei a Mr. Blackstone. «Ma ho semplicemente bisogno di aiuto per fermare un fiacre.»

«La mia carrozza è più veloce, più confortevole, ed è in attesa qua dietro.»

Lei scosse la testa, col cuore che ricominciava a galoppare in modo sgradevole. «Non voglio incomodarvi oltre, signore.»

«Sarò franco, allora, Miss Jones» disse lui in tono strascicato.

«Forse sarà sfuggito alle vostre delicate orecchie, ma io ho una reputazione da difendere.» Così dicendo annuì nella sua direzione, alludendo al suo aspetto inzaccherato e claudicante. «E se ci tenete a salvaguardare la vostra, vi conviene non farvi vedere mentre uscite zoppicando dal mio portone senza chaperon.»

Hattie non pensava che le sue guance potessero avvampare ancora di più, ma così fu. Un sermoncino sul decoro da parte di un uomo tanto incivile, peraltro meritatissimo a dir poco, doveva essere il colmo dell'umiliazione nella vita di una giovane donna. Alzò il mento.

«D'accordo.»

Mr. Blackstone scoprì in un sorriso una chiostra di denti sorprendentemente forti e bianchi. Il canino sinistro era malamente scheggiato, una sorta di continuazione della cicatrice che gli fendeva il labbro superiore. Senza smettere di fissarla, srotolò le maniche della camicia in un tentativo irrimediabilmente tardivo di pudicizia. La vista del cotone stazzonato e dei bordi senza polsini che gli sfioravano i polsi produsse l'effetto contrario, poiché un uomo, presumibilmente, appariva proprio così quando si rivestiva in fretta e furia dopo un appuntamento clandestino.

Hattie distolse lo sguardo, la gola stranamente serrata. Le labbra le fremevano ancora per il bacio che Blackstone le a-

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veva dato; il palmo sinistro le doleva ancora per la collisione con la sua guancia. La caviglia era in fiamme. In verità, se fosse stato il mezzo di trasporto più veloce a sua disposizione, avrebbe lasciato la galleria anche in groppa a un asino.

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ton, Susan Dennard, Jodi Picoult e le Lyonesses: per avere inserito la mia opera nei vostri autorevoli consigli di lettura, soffietti e apprezzamenti; il vostro talento è pari alla vostra gentilezza.

Isabel Ibañez, Christine Wells e Kerri Maher: la vostra recensione è stata fondamentale.

La squadra della Berkley, specialmente Jessica Brock e Jessica Mangicaro, per avere fatto come sempre un ottimo lavoro nel presentare alle lettrici la Lega delle donne straordinarie.

Un grazie speciale alla mia fantastica curatrice, Sarah Blumenstock, per avermi sempre concesso il tempo e lo spazio di cui ho bisogno per fare del mio meglio; e al mio agente, Kevan Lyon, che è al tempo stesso l'agente più grintoso e più incoraggiante che potrei desiderare.

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Il ritratto della seduzione

EVIE DUNMORE

Londra, 1880 - Come ha fatto Hattie Greenfield, ambiziosa ereditiera, suffragista e studentessa di Oxford, a ritrovarsi davanti all'altare con l'attraente, ma rozzo scozzese Lucian Blackstone, tanto temuto nell'alta società di Londra? Solo un viaggio improvviso in Scozia le consentirà di vedere il marito sotto una luce diversa.

La dama dei corvi

JOANNA HICKSON

Londra, 1485 - Costretta a vivere all'ombra della Torre di Londra, Joan Vaux scopre di dover imparare a navigare nelle pericolose acque della nuova Inghilterra che si sta delineando sotto la dinastia dei Tudor. Audace e compassionevole, proprio come i corvi che lei tanto ama, avrà bisogno di sapere usare al meglio i suoi occhi e l'istinto...

Il figlio del duca

LORRAINE HEATH

Londra, 1874 - Un tempo Marcus Stanwick, legittimo erede del potente Duca di Wolfford, aveva tutto; ma dopo l'uccisione del padre, accusato di avere attentato alla vita della Regina Vittoria, ha perso ogni cosa. Ora, tutto ciò che desidera è ripristinare il buon nome della famiglia e smascherare gli altri congiurati. La sua ricerca, però...

Il prezzo del riscatto

ELAINE COFFMAN

Inghilterra-Italia, 1795-1815 - Cresciuta in solitudine, Maresa è diventata ostinata e ribelle, e il suo unico punto di riferimento è l'amico d'infanzia Percy. Quando questi è chiamato a combattere nella guerra contro Napoleone, Maresa, sempre attratta dall'uomo sbagliato, inizia a passare da un pretendente all'altro, creando scandalo ovunque

Una lady molto intrigante

SARAH FERGUSON, DUCHESSA DI YORK

Inghilterra, 1872 - Lady Mary Montagu Douglas Scott, legata alla Regina Vittoria, è all'apparenza una lady perfetta, ma in realtà anche un'acuta osservatrice e una studiosa oltremodo intelligente. Negli anni ha deliberatamente creato un'immagine di sé facile da ignorare e ancora più da sottovalutare, la copertura perfetta per...

La principessa irrequieta

JULIA LONDON

Inghilterra, 1858 - La Principessa Amelia Ivanosen ha corteggiato lo scandalo troppe volte, così, prima che commetta un errore irreparabile, viene mandata in Inghilterra. Peccato che tra lei e i numerosi scapoli che le vengono presentati non si accenda mai una piccola scintilla. Quando però incontra lo scontroso e solitario Duca di Marley...

Il gioco dell'alfiere

LORRAINE HEATH

Londra, 1875 - Nata in una famiglia aristocratica e desiderosa di vivere libera dalle restrizioni della società, Daisy Townsend è diventata un'intraprendente investigatrice. Ma quando viene assunta per ottenere la prova dell'infedeltà di una moglie e si assicura un posto nella casa dell'amante della donna, l'ultima cosa che si aspetta è...

Il patriota

ELAINE COFFMAN

Italia, 1821 - Caduto Napoleone, le città italiane pullulano di traditori e spie. Angelo Bartolini, patriota e membro della Carboneria, è ricercato dalle autorità e la sua vita scorre tra mille pericoli. Solo il profondo amore che nutre per Beatrice, una giovane pittrice inglese che ha tentato invano di dimenticare, gli impedisce di arrendersi.

Dal 13 luglio

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