Il vero natale

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I tuoi sogni più hot si stanno per avverare…

I romanzi che hai sempre desiderato ma non hai mai osato chiedere Adrenalina, pericolo, passione. Lei è un’investigatrice privata, lui un irresistibile enigma. Fino a che punto è lecito mescolare lavoro e piacere? “Sensuale, intenso, coinvolgente… decisamente HOT!” Amazon Reviews

Una tentazione che ti coglie senza preavviso e ti travolge lasciandoti in balia di sospiri ed eccitazione. Mandy.

Lui è puro desiderio, ossessione, piacere, sensualità dirompente. Mandy e Alexandra sapranno resistere? Voi sicuramente… no. “Uno sfondo intrigante e misterioso che accende la passione ad ogni pagina.” Goodreads Reviews

Dal 17 dicembre in edicola www.harlequinmondadori.it – Seguici su


Inghilterra, 1816 - Mondanità, ricevimenti, matrimonio. Ecco le regole dell’alta società. Valide per tutte… tranne per Damaris, che desidera solo una cosa: essere libera.

Scozia, 1840 - Un matrimonio è amore, speranza, una nuova vita. Ma chi può dire quali segreti si portano all’altare.

Inghilterra - Scozia, 1766 - Un segreto doloroso, un passato oscuro sul quale aleggia l’ombra dello scandalo. La splendida Alice potrà combattere il proprio destino e tornare a vivere?

Francia, 1174 - Il frutto proibito ha un fascino irresistibile. Così come la passione che sboccia tra l’umile figlia di un trovatore e un cavaliere.

In edicola dall’1 dicembre

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Julia Williams

Il vero Natale


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Last Christmas HarperCollins Publisher Limited, UK © 2009 Julia Williams Traduzione di Roberta Canovi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance dicembre 2015 Questo volume è stato stampato nel novembre 2015 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 160 del 25/12/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Prologo

La BMW M5 era nuova di zecca. Ogni dettaglio degli interni in pelle ne denunciava il lusso, mentre gli ultimi optional tecnologici contraddistinguevano lo status di top della gamma, degno delle lodi di Jeremy Clarkson. Rilassandosi sul sedile, Marianne si voltò a guardare Luke, sicuro di sé, una sola mano sul volante, e sospirò di felicità. «Che c'è?» le domandò lui, accennando una risata. «Penso di dovermi dare un pizzicotto» rispose. «Non riesco ancora a credere che sia tutto vero.» Luke si mise a ridere di gusto. «Sei una sciocca» considerò senza cattiveria prima di accelerare nel vento. Non era la prima volta che aveva dovuto darsi un pizzicotto, da quando lei e Luke si erano messi insieme. Il suo fascino e la sua bellezza l'avevano incantata fin dall'inizio, anche se si era sentita un pesce fuor d'acqua vicino a lui. In realtà, Luke era così lontano dal tipo d'uomo di cui tendeva a innamorarsi, che la forza dei propri sentimenti l'aveva colta di sorpresa; tuttavia, c'era qualcosa di ipnotico nella combinazione di occhi nocciola e capelli biondi in un viso dai lineamenti classici e decisi, tanto che le era stato impossibile resistere. In normali circostanze, Marianne non avrebbe mai conosciuto uno come Luke, ma grazie a Carly e Lisa, le sue amiche d'infanzia che con i loro impieghi nella City guadagnavano cifre da capogiro, nonostante la crisi economica, a febbraio si era ritrovata in vacanza sulla neve. Lo stipendio da insegnante non glielo avrebbe mai permesso, tuttavia all'ultimo minuto Carly aveva dovuto rinunciare e 5


generosamente le aveva ceduto il proprio posto, permettendole di passare una settimana disintossicante sugli sci e di godersi la vita al di fuori delle piste in un ambiente che altrimenti non avrebbe mai immaginato di frequentare. Aveva conosciuto Luke il primo giorno quando, presa dall'ansia, era volata per terra davanti a un gruppo di sciatori più esperti. La loro risata non era stata maliziosa, ma Marianne si sentiva già in partenza in imbarazzo, davanti a quella bella gente sofisticata; era lontana anni luce dal proprio mondo, e gli altri se ne rendevano conto. E aveva l'impressione di essersi appena dimostrata il goffo, brutto anatroccolo che senza dubbio doveva apparire ai loro occhi. Luke era l'unico che non si era messo a ridere. Anzi, l'aveva aiutata ad alzarsi con quelle sue braccia forti e si era offerto di insegnarle a sciare. Per tutta la settimana l'aveva trattata con affetto e tenerezza, combinati con un'infinita dose di pazienza per la sua evidente mancanza di destrezza sugli sci. Marianne gli era stata estremamente grata per tanta gentilezza. Anche il fatto che Luke fosse incredibilmente bello, affascinante ed evidentemente interessato a lei era stato di grande aiuto. La faceva sentire un cigno aggraziato, anche se lei sapeva che il brutto anatroccolo era nascosto lì da qualche parte, sotto la tuta da sci. Stare con lui era stata un'esperienza magica, di quelle che cambiano la vita. Da quel momento, a Marianne sembrava di non aver più rimesso i piedi per terra, mentre Luke la trasportava in un mondo del tutto alieno al suo. L'aveva portata a Henley per la regata, a Wimbledon per la finale, a Silverstone per il Gran Premio, in splendidi hotel di campagna per dei fine settimana in cui si era sentita una star del cinema. Ogni volta con Luke era un'avventura, ma quel giorno lui aveva superato tutte le aspettative. Le aveva telefonato la sera prima. «Ti va di passare il weekend nella casa di campagna dei miei?» era stata la proposta iniziale. Il cuore le era balzato in gola. Con Luke era sempre un'abbuffata o il digiuno totale: durante i fine 6


settimana o era talmente occupato da non avere tempo neanche per una telefonata, oppure si abbandonava all'impulso di portarla in qualche posto straordinario. Che era fantastico, ma a volte Marianne avrebbe voluto riportare la loro relazione su un piano un po' più paritetico. La proposta significava che finalmente l'avrebbe presentata alla famiglia? Luke aveva già incontrato due volte i suoi genitori. Marianne era stata nervosa come non mai in entrambe le occasioni, invece lui come al solito aveva affascinato tutti; suo padre e sua madre erano stati conquistati all'istante e la madre, che desiderava disperatamente dei nipoti, si era dovuta trattenere più di una volta dal chiedere esplicitamente quando Luke sarebbe entrato a far parte della famiglia in maniera ufficiale. Marianne si era aspettata la reciprocazione dell'invito, ma fino a quel punto non era arrivata. Sapeva che Luke veniva da una famiglia benestante, che lavorava nella società di famiglia che si occupava di sviluppo territoriale – costruire città ecosostenibili, era la sua definizione – ma, a parte questo, le briciole di informazioni che le aveva fornito erano state a dir poco scarse. Forse, se non fosse stata tanto abbagliata dalla sua brillantezza, avrebbe fatto più domande – facile a dirsi, a posteriori. A bloccarla era sempre stata la considerazione che, se lui avesse voluto riferirle più dettagli, l'avrebbe fatto. Marianne non voleva ficcanasare. Stavano procedendo lungo tortuose stradine di campagna, col sole di fine estate che gettava lunghe ombre sui campi di granoturco; le mucche pascolavano tranquille, e gli uccellini cantavano sulle siepi. Era la campagna dei suoi sogni. Da bambina, Marianne era stata appassionata di storie in cui i protagonisti erano bambini che vivevano incredibili avventure lontano dalla città – La banda dei cinque, Swallows and Amazons, The Lone Pine Club – e sembravano tutti condurre una vita molto più eccitante di quella che lei viveva nella piatta periferia a nord di Londra. I suoi programmi televisivi preferiti, Una famiglia americana e La casa nella prateria, erano un'ulteriore 7


conferma che il suo futuro ideale prevedeva un accogliente cottage di campagna, un matrimonio con un uomo che la adorava, una manciata di bimbi dalle guance rosee e, naturalmente, animali in abbondanza. Il fazzoletto che avevano per giardino non era sufficiente per avere degli animali domestici, e si era sempre ripromessa che avrebbe compensato da adulta. Crescendo in una strada grigia di Londra, Marianne si era sempre sentita limitata e confinata dalla città. Niente la rendeva più felice che fare lunghe passeggiate in campagna, a respirare aria fresca, alla mercé degli elementi. Era stato a lungo il suo sogno vivere in un luogo come quello dove si trovavano. «È favoloso» commentò ammirata. «Che posto splendido dove vivere.» «Non è male, suppongo» concordò Luke noncurante. «Ma devo ammettere che mi annoia un po' fare il bifolco di campagna.» «Sul serio?» Marianne era incredula; non riusciva a capire come una persona cresciuta in un posto simile potesse mai desiderare di lasciarlo. «Ci siamo quasi» annunciò quindi Luke, superando un trattore lentissimo prima di premere il piede sul pedale e accelerare a una velocità esaltante. Il vento le spingeva indietro i capelli e il sole le brillava sul viso. Era una sensazione fantastica essere vivi. E poi, tutt'a un tratto, furono arrivati a destinazione. Sbucando da una curva, si ritrovarono davanti un'imponente costruzione in stile Tudor, completa di due ali, torri elisabettiane, orditura bianca e nera sulle facciate e bei timpani, con tanto di ampio prato all'inglese sul davanti dove scorrazzavano liberi dei pavoni. Marianne rimase a bocca aperta: finalmente poteva ammirare Hopesay Manor, casa della famiglia Nicholas da generazioni e, forse, se tutto fosse andato come auspicava, sua futura dimora. «Questa è la casa della tua famiglia?» squittì. Luke si voltò a guardarla con espressione divertita. «Non te l'avevo detto?» 8


«Non esattamente» replicò Marianne. Aveva immaginato che vivesse in una casa grande, ovviamente. Ma aveva pensato fosse più lo stile da rockstar, con tanto di piscina privata e campo da tennis sul retro. Ma quella... quella era una magione. Vasta era un eufemismo. «Be', tecnicamente non è qui che sono cresciuto. I miei genitori avevano un appartamento più vicino a Hope Christmas. Hopesay Manor appartiene a mio nonno. Non che lui ci venga spesso. Quel vecchio allocco insiste a girare il mondo, nonostante la sua età. Credo siano anni che non trascorre qui più di un paio di giorni.» Il suo tono si era fatto insolitamente brusco e Marianne rimase stupita dalla sua improvvisa veemenza. «Non vai d'accordo con tuo nonno?» Lui sorrise. «Oh, be', lui è a posto, suppongo. È solo un po' ottuso, non ha idea di come funzioni il mondo di questi tempi. Insiste che abbiamo dei doveri nei confronti della nostra gente – la mette così. Gli piace pensare che viviamo in qualche dimenticata epoca feudale, dove tutti si tolgono il cappello davanti al signorotto locale. Non vuole capire che il mondo è cambiato.» «E cosa pensa delle vostre città ecosostenibili?» «Non ne sa niente» ammise Luke. «Sono l'unico che si occupa degli affari, in questa famiglia. Ai miei più che altro interessa giocare a bridge e bere gin tonic; anche loro sono ben poco lungimiranti. Io mando avanti lo spettacolo, in sua assenza. Se non gli piace il modo in cui faccio le cose, dovrebbe presenziare più spesso alle riunioni del consiglio d'amministrazione.» Parcheggiò l'auto nello spiazzo semicircolare antistante la costruzione e insieme imboccarono il vialetto di ingresso. Il grande portone di quercia doveva essere alto almeno quattro metri e aveva un'aria imponente. Sull'architrave, Marianne intravide un'iscrizione incisa nella pietra, qualcosa a proposito della felicità e al fatto di doverla a Dio. «Che cosa c'è scritto?» domandò, aguzzando gli occhi per cercare di interpretare i segni. «Oh, niente d'importante.» Luke sorvolò sulla domanda 9


con un gesto indifferente, quindi sollevò il batacchio di ottone e lo sbatté molto forte sulla porta. Anche quello era insolito, notò Marianne: sembrava ritrarre un uomo – sempre ammesso che fosse un uomo – che indossava una specie di lunga vestaglia e schiacciava un serpente sotto ai piedi. Marianne avrebbe voluto chiedere delucidazioni, ma rimase in silenzio, perplessa dall'evidente mancanza di interesse di Luke per qualunque cosa fosse anche solo remotamente connessa con la casa. Lui batté di nuovo l'anello, con impazienza, e alla fine venne ad aprire un servitore dall'aria piuttosto polverosa, che avrebbe potuto avere un'età qualsiasi tra i cinquanta e i cent'anni. «Ah, mister Luke, signore» salutò. «È passato un po' di tempo.» «Buongiorno, Humphrey» ricambiò Luke. «Questa è la mia amica Marianne.» Perché non ha detto ragazza?, si chiese lei, delusa. «Pensavo di mostrarle il posto prima di raggiungere i miei.» Humphrey annuì e scomparve da qualche parte nelle viscere della dimora, mentre Marianne restava a guardare meravigliata l'atrio immenso. Era rivestito di boiserie scura di legno, e lungo lo scalone erano allineati i ritratti di persone dei tempi passati, che sembravano accompagnare fino all'imponente pianerottolo superiore. Il pavimento di marmo a scacchi bianchi e neri riecheggiò i suoi passi. Si sentiva incredibilmente esposta in uno spazio tanto vasto. Lo stomaco le si contrasse. Quel posto era così diverso da quello dov'era cresciuta... come avrebbe mai potuto sentirsi a casa? Di certo, ora che l'aveva portata lì, era solo una questione di tempo prima che anche Luke se ne rendesse conto, no? «Per la miseria, è buio qui dentro» si lamentò lui mentre apriva gli scuri per lasciare entrare la luce del tramonto. Nei raggi che penetravano dalle finestre si vedevano i granelli di polvere danzare, ipnotizzando Marianne che rimase in silenzio ad assorbire la scena. «Be', cosa ne pensi?» le domandò Luke. «È fantastica» mormorò lei trasognata. 10


Lui l'attirò a sé, e il cuore partì a un ritmo irregolare quando la baciò sulle labbra. Marianne sentì un familiare svolazzo nello stomaco; non aveva mai desiderato nessuno con l'intensità con cui desiderava Luke. Anzi, era terrorizzata da quanto lo voleva. E se lui non l'avesse desiderata altrettanto? «C'è un letto gigante nella camera padronale» la informò lui con un sorrisetto. «Non possiamo» protestò però lei. «Non qui.» «Ci siamo solo noi» ribatté Luke. «Nessuno lo saprà.» «Ehm... e il tuo maggiordomo?» Usciva con un ragazzo che aveva un maggiordomo? Era surreale. Si sarebbe svegliata da un momento all'altro. «Non dirà niente. E poi, è sordo come una campana, quindi puoi fare tutto il rumore che vuoi» la provocò con un'occhiata a cui era impossibile resistere. La trascinò ridacchiante su per lo scalone, indicando nel tragitto i vari antenati. «Il Ralph Nicholas originario, che andò in Terrasanta con Riccardo I; Gabriel Nicholas, che costruì il nascondiglio del prete sotto Edoardo VI e sopravvisse per tramandarne notizia ai posteri; Ralph II salvò Carlo II nella battaglia di Worcester, bla bla bla...» «Come puoi essere tanto sprezzante?» si stupì Marianne. «Voglio dire, nella mia famiglia il picco di interesse storico è per la volta in cui la bisnonna Maud si ritrovò vicino a Giorgio VI nel parco di Windsor. Io provengo da una nobile discendenza di lavoratori e servitori. Questo è... è... incredibile. Sarebbe un sogno avere simili antenati.» «Non lo sarebbe se conoscessi la mia famiglia» replicò Luke con una smorfia. «Con il potere viene la responsabilità. Il costume fa l'uomo, come recita il motto del New College di Oxford. Abbiamo un dovere da rispettare. Abbiamo persino un motto di famiglia in latino: Servimus liberi liberi quia diligimus, che si traduce con Serviamo liberamente, perché liberamente amiamo. Sentirtelo ripetere fin dalla nascita è un po' soffocante.» «Oh.» Marianne non riuscì a trattenersi quando vide 11


dalla finestra che lui aveva appena aperto uno splendido giardino ornamentale con tanto di fontane, pozzi e, verso il fondo, un recinto per i cervi. «È straordinario. Sei così fortunato.» «Io sono fortunato ad averti trovato» la corresse, e il suo cuore perse un battito. Era per questo che stava con lui. Per il modo in cui la guardava, come se fosse l'unica donna al mondo. Per il modo in cui la faceva sentire così speciale. Tutti i dubbi e le ansie svanirono quando Luke le prese la mano e si inginocchiò. «Non volevo farlo adesso, ma vederti così, con quest'aria tanto sexy... non posso resistere.» Oh, mio Dio, stava per chiederle di sposarlo? «Aspetta un attimo, ho dimenticato una cosa...» Luke scattò verso un gruppo di tende in un angolo e sganciò un anello. Tornò di corsa da lei, si rimise in ginocchio. «Allora, dove eravamo?» Marianne rimase immobile mentre le baciava la mano, le infilava l'anello della tenda all'anulare e pronunciava: «Marianne Moore, vuoi sposarmi?». «Sì» rispose lei in un sussurro. Non ebbe bisogno nemmeno di un secondo per pensarci; era quello che aveva desiderato per tutta la vita, stare con un uomo che amava e vivere in un posto splendido come quello. «Sì, certo che lo voglio.» E in un secondo si ritrovò tra le sue braccia, e poi a correre per la casa gridando di felicità. L'improvviso tonfo di un portone che sbatteva li riportò alla realtà. «Che cos'è stato?» domandò Marianne. Dall'atrio provenne il suono impaziente di un campanello ed entrambi corsero alla balaustra per guardare di sotto. E videro un uomo azzimato, un po' in là con gli anni, che appariva piuttosto infastidito. «Nonno?» Il volto di Luke era il ritratto dello shock e della costernazione. «Luke, ragazzo, sei tu?» rispose l'uomo. «Vedo che sono arrivato giusto in tempo.» 12


PARTE PRIMA Pagina

Romanzo

I gave you my heart...



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L'anno passato 22 dicembre Sainsbury brulicava di gente. A Catherine, che già si sentiva un'ipocrita per esserci entrata, sprofondò il cuore sotto ai piedi quando vide le orde di persone che razziavano il supermercato, afferrando freneticamente gli articoli dagli scaffali come se fosse l'ultima possibilità di fare acquisti. Per l'amor del cielo, avrebbe voluto protestare, mentre osservava i clienti che la superavano con carrelli pieni fino all'orlo di prosciutti e tacchini, mince pie e crema al brandy, e le inevitabili bottiglie di alcolici, non è che rischiamo la carestia, o sbaglio? Poi però si biasimò da sola; dopotutto, anche lei era lì per lo stesso motivo, no? In realtà, doveva acquistare solo il minimo indispensabile: la crema al brandy e il Christmas pudding. Sua madre aveva promesso di preparare entrambi ma, stranamente, se n'era dimenticata; così lei era stata costretta ad affrontare le masse assatanate, quei volti miserabili quanto si sentiva lei. Si chiese se fosse il caso di rinunciare e provare a preparali da sola; dopo tutto, era quello che la Casalinga Felice consigliava sempre di fare. No, Cat, si ammonì. C'erano ancora dei regali da incartare, un tacchino da scongelare, verdure da cucinare, una casa da agghindare per gli ospiti – non aveva proprio il tempo per preparare il Christmas pudding, nemmeno quello che poteva essere fatto con un giorno d'anticipo. La Casalinga 15


Felice poteva anche ingoiarseli, i suoi consigli – e che le andassero di traverso. «Mi sembra un'idea eminentemente saggia.» Un vecchietto sulla settantina, con indosso un elegante cappotto di gabardine, si sfiorò il cappello davanti a lei, in cenno di saluto, mentre le passava accanto col cestello sotto braccio. «Mi scusi?» Cat lo osservò allibita; evidentemente stava di nuovo parlando da sola, come le capitava a volte al supermercato. «Stavo solo puntualizzando che per una volta potrebbe prendersela comoda» chiarì lo sconosciuto. «Il Natale non è solo dover essere perfetti, sa.» «Oh, invece sì» lo contraddisse allora Catherine. «E questo sarà il Natale più perfetto della storia.» «Be', lo spero di sicuro. Le auguro un Natale di pace e felicità.» E detto ciò sparì nella folla mentre Catherine restava a chiedersi come facesse un totale estraneo a sapere di lei e delle sue fisime. Strano, davvero molto strano. Preso un profondo respiro, spinse il carrello nella ressa. Le canzoni natalizie risuonavano senza sosta, presumibilmente per far entrare i clienti nello spirito della festa. Peccato che lei da mesi si sentisse dell'umore opposto. Va' a farti benedire, avrebbe voluto sbottare quando fu il turno di una versione particolarmente sdolcinata di Have Yourself a Merry Little Christmas. Guarda tutte queste persone: ce n'è forse qualcuna che sembra felice? Ogni anno, il Natale sembrava cominciare sempre prima, e ora che i quattro figli frequentavano tre scuole diverse, Catherine aveva dovuto sorbirsi altrettanti spettacoli natalizi; prima o poi avrebbe costretto Noel ad andarci, a costo di trascinarcelo per i capelli. Le esibizioni avevano variato dal dolce ma incasinato a casaccio – dove la sua bimba di quattro anni vestita da stella aveva girato a vuoto per tutto il tempo; al totalmente incomprensibile – la recita dei bimbi di sette e nove anni, che in qualche modo aveva messo insieme la festa indiana Diwali, quella musulmana id al-fitr e quella ebraica Hanukkah; al minimalista e sperimentale – nel caso del concerto organizzato dalla classe che la figlia 16


undicenne aveva appena cominciato. Uno dei motivi per cui Catherine aveva sempre desiderato una famiglia numerosa era festeggiare il Natale in tanti, cosa che non le era mai capitata da bambina, essendo figlia unica. Aveva sempre pensato che avrebbe adorato ascoltare i canti tradizionali proposti dai bambini, non che li avrebbe considerati un peso. E nessuno le aveva mai spiegato quanto sarebbe stato impegnativo organizzare il Natale per una famiglia di sei persone, senza considerare tutti gli ospiti occasionali che, nel giorno di festa, sembravano migrare verso casa sua come uno stormo di piccioni. «Il prossimo anno, ricordami di emigrare» borbottò tra sé mentre si addentrava nella sezione delle mince pie. Per la miseria. Un tempo la gente era solita comprare – se non preparare a casa – una mince pie; ora Sainsbury aveva tutta una sezione dedicata: mince pie di lusso, mince pie al brandy, mince pie allo sherry, mince pie con doppio ripieno, senza grassi, senza glutine, senza latticini, probabilmente persino senza mince – il ripieno – per quanto ne sapeva. Il mondo era impazzito. «Lo ricordi anche a me.» La donna che frugava sullo scaffale accanto a lei le offrì una risata asciutta. Poi la guardò con maggiore attenzione... Oddio, no. «Ma lei non è...?» «Sì» sospirò Catherine, «temo di essere io.» «Sono una sua grande fan» replicò la donna. «Conservo tutte le sue ricette. Non so cosa farei senza la sua crostata al limone.» «La ringrazio» rispose lei imbarazzata, pregando che la fan non notasse cos'aveva nel carrello, altrimenti la sua fama di fautrice di tutte le cose fatte in casa sarebbe finita alle ortiche. «Mi piacerebbe fermarmi, davvero, ma purtroppo ho una fretta indiavolata. Cose da fare, gente da vedere. Sono certa che capisca. Le auguro uno splendido Natale.» Catherine si sentì un verme ad allontanarsi di corsa; quella povera donna era sembrata simpatica ed era maleducato da parte sua reagire a quel modo. Ma non poteva avere cinque minuti di pace in cui essere semplicemente se stessa 17


e non quell'orribile personaggio che sembrava essersi impossessato della sua vita? Andò a mettersi in coda, dietro a una delle file impressionanti di clienti, e vicino alle casse vide negli espositori l'ultimo numero di Happy Homes. Ed eccola lì, risplendente in un costume da Babbo Natale con tanto di berretto rosso – perché, perché si era lasciata convincere a fare quel servizio fotografico? – sotto al titolo che recitava La guida della Casalinga Felice per il Natale Perfetto. Da un momento all'altro, qualcuno nella fila avrebbe riconosciuto la Casalinga Felice nella donna stressata in coda dietro di lui, e si sarebbe accorto che era tutto un grande imbroglio. Catherine non avrebbe retto. Osservò le casse automatiche, dove le code sembravano ancora più orrende e la gente si lasciava andare a moti di rabbia da supermercato mentre i computer sovraccarichi sputavano risposte sbagliate o conti errati. Catherine guardò il contenuto del proprio carrello: era lì dentro da mezz'ora e a dimostrarlo aveva solo due confezioni di mince pie, un pacco di zucchero, un Christmas pudding e niente crema al brandy. Di quel passo sarebbe rimasta in coda per almeno mezz'ora, e a quel punto ogni cliente di Sainsbury avrebbe riconosciuto il suo alter ego. Guardandosi furtivamente intorno, spinse il carrello in una corsia defilata e, sentendosi più o meno come si sentiva quando, a quattordici anni, andava a nascondersi dietro le pensiline delle biciclette per fumare, lo abbandonò. Per una volta potevano anche cavarsela senza crema al brandy. E tanto il Christmas pudding non piaceva a nessuno. Gabriel sedeva in soggiorno, la testa tra le mani. Il fuoco nel camino si era spento da tempo e, al calar della sera, ombre scure sembravano sprigionarsi da ogni angolo della stanza solitamente accogliente. Avrebbe dovuto riaccendere il fuoco, scaldare l'ambiente prima di andare a prendere il figlio; la casa non era mai stata tanto fredda e desolata. Stephen. 18


Oddio. Che cos'avrebbe detto a Stephen? Grazie al cielo era stato fuori tutto il pomeriggio, per le prove della recita di Natale. Grazie al cielo non aveva assistito all'ultima, penosa scenata dei genitori. Gabriel aveva tentato di proteggerlo dalla verità su sua madre per sette anni, ma quel giorno avrebbe avuto delle difficoltà. «Tu non capisci. Non hai mai capito» lo aveva accusato Eve, gli occhi duri e lucidi di lacrime non piante, il viso contorto dalla sofferenza. Era vero. Gabriel non capiva. Come avrebbe potuto capire il dolore che lei doveva affrontare ogni giorno, l'angoscia del sentirsi sempre fuori sincrono col mondo, incapace di accettarne la realtà? Era proprio la sua fragilità che l'aveva attirato in primo luogo. Eve gli aveva ricordato un uccellino ferito, e dal momento in cui l'aveva conosciuta non aveva desiderato altro che proteggerla e prendersi cura di lei. Gli ci erano voluti anni per capire che, qualunque cosa facesse, non avrebbe potuto proteggerla da se stessa. Né dai luoghi dolorosi in cui si perdeva la sua mente. «Ti prego, lasciami provare» l'aveva supplicata. «Se mi escludi, come posso aiutarti?» Eve era rimasta lì in piedi, nella casa che aveva sempre odiato, le valigie pronte – se ne sarebbe andata senza neanche salutare se lui non fosse rientrato per caso, perché si era dimenticato di informarla che dopo le prove avrebbe portato Stephen dai cugini, per decorare l'albero. «Non puoi» gli aveva risposto lei, prima di avvicinarsi per accarezzargli dolcemente la guancia. «Non l'hai mai capito, vero? Tutto questo» aveva ripreso con un gesto a comprendere la casa, «e tu, e Stephen. Non è abbastanza per me, e non posso continuare a fingere che lo sia. Mi dispiace.» A quel punto le lacrime gli avevano pizzicato gli occhi. Sapeva che aveva ragione, ma avrebbe voluto che si sbagliasse. Per il bene di Stephen, se non per il proprio. Gabriel aveva passato anni e anni a cercare di raggiungerla, tanto che ormai era diventato il suo modo di essere. Non aveva voluto affrontare la verità. Non c'erano più scuse: 19


non sarebbe mai stato capace di dare a Eve ciò di cui aveva bisogno. Lei era a un mondo di distanza da lui, lo era sempre stata. «Che cosa dico a Stephen?» Eve aveva soffocato quello che avrebbe potuto essere un singhiozzo. «Sei un brav'uomo, Gabe» aveva commentato. «Troppo bravo per me. Meriti di meglio.» E poi gli aveva dato un bacio sulla guancia, prima di uscire di casa per salire sul taxi che la aspettava, mentre Gabriel restava a fissarla in silenzio attonito. Aveva saputo che sarebbe arrivato quel momento, fin da quando l'aveva presa sotto la propria ala. Eve era un uccellino selvatico, e aveva sempre sentito che prima o poi sarebbe volata via. Ma non così, non a pochi giorni dal Natale. Aveva perso il senso del tempo, seduto da solo nel buio incombente. Poi si rese conto tutt'a un tratto di quanto si era fatto freddo, quanto sarebbe sempre stato freddo, ora che Eve se n'era andata. Si chiese cos'avrebbe fatto, se l'avrebbe mai rivista. E cosa diavolo avrebbe potuto dire a loro figlio... Noel Tinsall sorseggiò un'altra boccata di birra al bar del locale più kitsch che avesse mai visto, dove l'ufficio aveva organizzato il party di Natale, ascoltando Paul McCartney proclamare quanto fosse splendido il Natale che stava passando. Noel era contento che qualcuno la pensasse così. Si chiese vagamente quando avrebbe potuto andarsene senza essere scortese; probabilmente non prima di Gerry Cowley, il CEO dell'azienda, che stava mostrando le proprie – terribili – doti sulla pista da ballo, sbirciando lascivamente tutte le segretarie. Erano solo le otto. La festa era appena cominciata, eppure i membri più giovani dello staff avevano già bevuto più del ragionevole; probabilmente, nel giro di qualche giorno, su Internet sarebbe comparsa una buona quantità di foto imbarazzanti. Perché ai party di quel tipo le persone si comportavano sempre da idiote? I Baccanali andavano anche bene, sempre che il giorno dopo non ci fossero poi da affrontarne i demoni al distributore dell'acqua. 20


«Ehi, Noel, bell'omaccione, vieni a ballare.» Era la sua segretaria, Julie. O meglio, non più la sua segretaria: da quando quel raccomandato di Matt Duncan aveva avuto la sua promozione, ora la segretaria la condivideva con lui – un'altra velata frecciatina per lasciargli intendere che il suo piedestallo in ufficio veniva eroso pezzo per pezzo. C'era stato un tempo in cui bastava un suo gesto e i dipendenti saltavano sull'attenti; ora saltavano a un gesto di Matt. Forse era arrivato il momento di cambiare lavoro. Noel odiava ballare, ma non riusciva proprio a essere scortese con le persone, perciò ben presto si ritrovò in mezzo alla pista da ballo, circondato da corpi sudati e agitati, con addosso la sensazione che tutti ridessero di lui. «Sei dannatamente sexy, lo sai?» Julie gli si stava strofinando addosso, prendendolo per la cravatta. «Molto più di quello sciocco di un perdente di Matt.» No, no, no! Avevano sempre avuto un buon rapporto professionale, ma Julie era chiaramente arrabbiata e voleva provarci con lui. Non che non fosse incredibilmente attraente, e non che Noel non fosse tentato per un istante... Cat si sarebbe accorta che l'aveva tradita? Le sarebbe importato? Alle volte pensava di no. Julie era carina, semplice, e disponibile. Sarebbe stato così facile... Che diavolo gli passava per la testa? Noel scosse il capo: era decisamente ora di tornare a casa. «Mi spiace, Julie, devo andare» si scusò. «Catherine ha bisogno di me. I bambini... sai com'è.» A Catherine probabilmente non sarebbe importato un fico secco che lui ci fosse o no, a giudicare dall'attenzione che gli riservava in quei giorni, ma non c'era bisogno che Julie lo sapesse. Schivando il suo bacio alcolico, Noel uscì dal locale nella gradita aria frizzante della sera dicembrina. Era ancora abbastanza presto perché il terzo taxi cui fece cenno fosse miracolosamente libero, e in pochi minuti era in viaggio in direzione Clapton, tranquillo nella consapevolezza di non aver fatto la figura dell'idiota, nonostante i drink bevuti. Il taxi si fermò davanti a casa, un'imponente villetta bifamiliare in stile edoardiano in una strada sorprendentemente 21


verde. Le luminarie che aveva appeso insieme ai bambini la sera precedente si accendevano e si spegnevano a ritmo maniacale – uno di loro doveva aver armeggiato di nuovo con il pulsante di regolazione. Salì gli scalini ed entrò nel caos. «Ti odio.» Melanie, la figlia più grande, gli sfrecciò accanto lanciandosi su per le scale in una cascata di lacrime, seguita a ruota dal fratello, James, che gridò di rimando: «Anch'io ti odio!». «Nessuno odia nessuno in questa casa, spero» esordì Noel, ma fu bellamente ignorato e nella casa rimbombò il suono di due porte che sbattevano. «Non voglio andare a letto. Non voglio!» stava urlando Ruby, la più piccola, mentre l'ultima ragazza alla pari, l'inefficiente Magda, cercava di sollevarla dal pavimento della stanza dei giochi, dove la piccola stava scalciando e sbraitando. Noel notò con un sospiro che lo scaffale era caduto di nuovo. Non era certo di volersene occupare, però, perciò infilò la testa in soggiorno e trovò Paige, la figlia di mezzo, che sgraffignava le decorazioni di cioccolato dell'albero. «Dov'è tua madre?» le chiese. «È impegnata con il maledetto blog» rispose tranquilla, cercando di nascondere le prove del crimine. «Non si dice maledetto» la riprese Noel automaticamente. «Mamma lo chiama così.» «E non rubare il cioccolato dall'albero» aggiunse il padre. «Non lo sto rubando. Magda ha detto che potevo prenderlo.» «Ah, davvero?» Catherine arrivò dalle scale, l'aria spossata. «Forza, è ora di andare a nanna.» Diede un bacio sulla guancia a Noel senza neanche guardarlo, prima di entrare nella stanza dei giochi per calmare non solo l'urlante Ruby, ma anche una Magda semiisterica che piagnucolava che quei bambini erano diavoli venuti direttamente dall'inferno. 22


Noel scese in cucina, recuperò una birra, e si stravaccò sconsolato davanti alla televisione. A volte gli sembrava di essere un fantasma. «Angeli! Ho bisogno degli angeli!» Diana Carew, formidabile rappresentante del Consiglio Parrocchiale, si dimenava come una gigante balena spiaggiata. Era difficile immaginare come una persona così grossa potesse effettivamente passare attraverso la porticina della stanza dove i bambini aspettavano il loro turno per salire sul palco, ma in qualche modo ci riusciva. Marianne si pentì subito della cattiveria di quel pensiero, ma era in effetti difficile distogliere lo sguardo dagli enormi seni di Diana. Non aveva mai visto niente di così grosso. E le dava qualcosa di cui sorridere, mentre sedeva al gelo di quella piccola sala comunale dimenticata da Dio, a osservare la recita di Natale di Hope Christmas prendere forma, sapendo bene che a lei non era richiesto alcun input. Nelle settimane precedenti, Marianne si era resa tristemente conto di trovarsi nello staff solo perché ogni altro abitante del villaggio sano di mente, compresi i suoi colleghi a scuola, aveva già educatamente declinato. O meglio, tutti a parte l'adorabile e incredibile Philippa – Pippa per gli amici. Marianne l'aveva conosciuta solo di recente, da quando aveva accettato di aiutare per la rappresentazione, ma la donna stava velocemente diventando la sua migliore amica e uno dei numerosi motivi per cui adorava vivere a Hope Christmas. Pippa le stava andando incontro con una gradita tazza di tè e un sorrisetto contenuto a stento. Insieme osservarono Diana spingere a forza tre angeli riluttanti sul palco, dove andarono a unirsi a un asino, due pastori, qualche agnello, Babbo Natale e diversi elfi, tutti presi nel canto di Have Yourself a Merry Little Christmas, mentre sistemavano i regali ai piedi di Maria e Giuseppe. «Devo confessarti» sussurrò Marianne, «che questa rappresentazione della Natività mi sembra piuttosto insolita. Non ricordo di aver letto degli elfi nella Bibbia.» 23


Pippa rischiò di strozzarsi col tè. «Temo che gli elfi siano intoccabili» replicò quando si fu ripresa. «Ogni anno Diana propone una versione leggermente diversa, ma gli elfi ci sono sempre. Risale all'epoca in cui insegnava all'asilo del paese – ed è rimasta così. Hanno tutti troppa paura di lei per provare a farle cambiare idea.» «Ma ci sono dei veri e propri canti natalizi?» indagò Marianne. Fino a quel momento, nelle prove precedenti in cui era stata incastrata, l'unica cosa vagamente simile a un canto tradizionale era stata Little Donkey. «Probabilmente no. Perlomeno quest'anno ha rinunciato a Frosty the Snowman» le rivelò Pippa. «Bada bene, al Consiglio Parrocchiale ci sono voluti tre anni per farle capire che, a Betlemme, il giorno di Natale, in effetti non nevicava. Adorava la macchina per fare la neve.» Marianne scoppiò a ridere, ma si zittì subito quando Diana la fulminò con gli occhi, prima di riprendere a comandare i bambini e a sgridarli quando sbagliavano una battuta. Era davvero formidabile. E la sua versione della recita natalizia era dolce, a suo modo. Era solo... così lunga. E aveva poco a che fare con la vera Natività. A Marianne piaceva che il Natale fosse... be', Natale. C'era una purezza nella storia originale che sembrava mancare nella vita di tutti i giorni. Era un peccato che Diana non si lasciasse convincere a catturarne un po'. I bambini stavano diventando irrequieti e i genitori cominciarono ad arrivare per portarseli via. Diana avrebbe potuto andare avanti tutta notte, ma Pippa le ricordò gentilmente che c'era ancora la prova costume, durante la quale avrebbe potuto rivedere l'opera nella sua interezza. Marianne aiutò i piccoli attori a togliere i costumi e a indossare sciarpe, berretti e cappotti. Il vento si era fatto gelido e c'era la promessa della neve nell'aria. Magari sarebbe stato un bianco Natale. Il suo primo a Hope Christmas, il paese di cui si stava rapidamente innamorando. E il primo da fidanzata. L'anno dopo, sarebbe stata una donna sposata... Ormai i bambini se n'erano andati quasi tutti, ma ce n'era 24


ancora uno seduto solo in un angolo. Stephen, le sembrava si chiamasse, e aveva la sensazione che fosse imparentato con Pippa, in qualche modo. Marianne non aveva vissuto in paese abbastanza a lungo da memorizzare tutte le varie interconnessioni tra le famiglie, molte delle quali vivevano lì da generazioni. Non era uno dei suoi alunni, ma la scuola era abbastanza piccola perché conoscesse la maggior parte dei bambini almeno di vista. «Viene la tua mamma a prenderti?» gli domandò. Il ragazzino alzò gli occhi e quello sguardo triste le trafisse il cuore. «La mamma non viene mai» rispose. «Viene il mio papà. Dovrebbe essere già qui.» Povero piccolo, rifletté Marianne. Probabilmente i genitori si erano separati. Non poteva avere più di sei o sette anni; forse avrebbe fatto meglio a informare Pippa che era ancora lì. Proprio in quel momento però sentì una voce fuori dalla porta. Un istante dopo entrò un uomo alto, con un lungo impermeabile portato sopra a un paio di jeans e a un maglione bianco a maglia intrecciata. Aveva una spessa sciarpa a righe avvolta intorno al collo – doveva essere il padre di Stephen. «Papà!» Il bambino gli si lanciò tra le braccia. «Ehi!» L'uomo si voltò verso Marianne e la guardò con profondi occhi marroni. Occhi espressivi, passionali. Lei rabbrividì: c'era così tanta sofferenza in quegli occhi. Le parve di guardare in una finestra affacciata sulla sua anima, e distolse lo sguardo, a disagio. «Mi dispiace per il ritardo» si scusò. «Ho avuto un imprevisto.» Qualcosa nel modo in cui lo disse la fece sentire tremendamente in pena per lui. Sembrava che avesse il peso del mondo sulle spalle. «Va tutto bene?» Marianne accennò a Stephen che era aggrappato al padre come a un salvagente. Il padre la guardò, con lo stesso sguardo triste e penetrante di suo figlio. «Non esattamente» rispose. «Ma non è niente che non possa gestire. Andiamo, Stephen; ti porto a 25


casa dei tuoi cugini. Penso che nevicherà, stanotte.» «Possiamo fare un pupazzo di neve?» «Certo.» Il padre si voltò verso Marianne. «La ringrazio per averlo tenuto d'occhio.» «Nessun problema» rispose lei, quindi li osservò allontanarsi. Si chiese cosa li affliggesse a quel modo, ma poi si impose di scacciare il pensiero dalla mente. Qualunque fosse il loro problema, non erano affari suoi.

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Romantiche vacanze a Virgin River di Robyn Carr La vita a Virgin River scorre come in un'altra dimensione, avvolta nell'abbraccio protettivo dei boschi che la circondano. Il luogo ideale per trovare rifugio e rigenerarsi. I fratelli Riordan hanno la reputazione di cattivi ragazzi, ma Patrick fa eccezione. Di indole gentile, in quest'ultimo periodo la sua vita è stata messa a dura prova a causa del lavoro super impegnativo come pilota della Marina. Se a questo poi si aggiunge l'incontro con Angie, l'affascinante nipote di Jack Sheridan, la situazione diventa davvero complicata e i suoi nervi rischiano davvero di saltare. Angie Le Croix è venuta a Virgin River per trascorrere un periodo di vacanza lontana da...

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Chiacchiere di mezzanotte di Dakota Cassidy Marybell Lyman è famosa per due cose: il suo sguardo e la sua acconciatura che sfida il buonsenso. A questo aggiunge numerosi piercing e un sorriso beffardo che comunica chiaramente di tenere le dovute distanze. Ma quando inizia a parlare è tutta un'altra storia. Il tono melenso e la tipica cadenza del sud, morbida e avvolgente, sono il segreto che rendono Marybell la punta di diamante all'interno della Call Girls, la fiorente società di hot line per cui lavora. Il tuttofare Taggart Hawthorn è letteralmente ipnotizzato da lei. Marybell è una contraddizione vivente: voce e modi dolci e amorevoli dentro, aspetto ruvido e spinoso fuori. Lui vuole andare a fondo, vuole conoscerla davvero e vuole che lei gli sussurri parole proibite con...

La casa dei ricordi di Linda Goodnight Il ricordo della maternità e del matrimonio sono ancora freschi nella memoria di Julia Presley, nonostante un evento tragico le abbia portato via entrambi molti anni prima. Trova conforto nella routine della gestione del Peach Orchard Inn, una splendida villa coloniale a Honey Ridge, in Tennesee, e lascia che quel luogo antico e misterioso riempia il vuoto che ha dentro di sé. Non più, infatti, il piacere del bacio gentile di un uomo. Non più la gioia nel sentire la voce di un bambino che la chiama mamma. La vita scorre calma e sempre uguale... fino a quando a Honey Ridge arriva un affascinante sconosciuto, Eli Donovan, accompagnato da un bimbo e da profondi e oscuri segreti.

Dal 12 febbraio


Frenetica, travolgente, adrenalinica. Questa sembra essere la vita all’Eastern Beaches Hospital… basta poco per far scoppiare una scintilla in corsia! Ruby, Tilly, Ellie e Jess sono quattro infermiere giovani, carine e libere, almeno per il momento! Questo è il diario della loro ultima estate da single.

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