Innamorata del conte sbagliato

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LORRAINE HEATH

Innamorata del conte sbagliato


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Earl Takes All Avon Books An imprint of HarperCollins Publishers © 2016 Jan Nowasky Traduzione di Graziella Reggio Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers, LLC, New York, U.S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2018 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici aprile 2018 Questo volume è stato stampato nel marzo 2018 da CPI, Barcelona I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1109 dell'11/04/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Prologo

La fredda e uggiosa sera del 15 novembre 1858, la vita di Edward Alcott era diventata di colpo grigia. A impedire che si tingesse di nero, soltanto la presenza del gemello Albert. A soli sette anni, maggiore di lui di un'ora, questi era diventato Conte di Greyling, poichĂŠ entrambi i genitori erano deceduti in un orribile incidente ferroviario. Pochi giorni dopo, Albert lo aveva tenuto per mano mentre sedevano davanti alle bare contenenti i miseri resti del padre e della madre. La notte seguente al funerale si era infilato nel suo letto, affinchĂŠ nessuno dei due si sentisse solo e smarrito. Durante il viaggio per Havisham Hall, il maniero del Marchese di Marsden, senza volerlo, gli aveva permesso di sfogare la rabbia e la frustrazione per l'ingiustizia della vita. Loro due avevano infatti continuato a schiaffeggiarsi e a spintonarsi a vicenda, finchĂŠ non erano stati separati dal legale che li accompagnava. Infine, quando erano stati abbandonati in quel luogo remoto, affidati alla tutela del marchese, il fratello gli aveva assicurato che sarebbe andato tutto bene e che sarebbero rimasti sempre uniti. Era diventato la sua ancora di salvezza, il suo conforto, l'unica costante nella vita. Ma ormai glielo stava rubando lei, quella giovane 5


con soffici capelli corvini, splendidi occhi blu, la risata argentina e un dolce sorriso. Lady Julia Kenney. Albert, abbagliato dalla sua bellezza, dalla sua grazia e dalle tenere attenzioni, le permetteva di sottrargli troppo tempo con cavalcate al parco, giri in barca sul Tamigi, cene e persino letture di poesie. Lo strappava agli amici più cari, spingendolo a rinnegare l'amore per le bevute, le donne facili, il gioco d'azzardo e i viaggi. Di lì a sei settimane, Edward, il Duca di Ashebury e il Visconte Locksley sarebbero partiti per l'Estremo Oriente. Albert avrebbe dovuto far parte del gruppo. Almeno queste erano state le sue intenzioni finché Lady Julia non gli aveva chiesto di rimanere. Senza esitare, il fratello l'aveva assecondata, rinunciando al viaggio. Per rigirarlo come voleva, le bastava battere le ciglia o agitare il ventaglio. Era intollerabile. Una donna non avrebbe dovuto esercitare un simile controllo sulla vita di un uomo. Edward non capiva di preciso perché l'avesse seguita fuori dal salone da ballo fino al giardino in penombra, per quale motivo si fosse soffermato a guardarla mentre lasciava il vialetto e spariva tra le siepi e i graticci di rose. Sapeva soltanto che non poteva perdere Albert a causa sua. Dopo una breve esitazione, si nascose nell'ombra, lontano dal bagliore delle lampade a gas. Procedette quindi con cautela mentre le pupille si adeguavano al buio, e infine la trovò con la schiena appoggiata al muro di recinzione. Julia incurvò le labbra in un sorriso seducente, felice di vederlo. Edward, avvicinandosi, colse il suo sguardo adorante. Nessuna lo aveva mai guardato così, come se gli avesse dedicato ogni respiro, come se fosse esistita soltanto per lui e per il suo diletto. Questo gli provocò una tensione al ventre, accompagnata da un'inebriante sensazione di potere. 6


«Temevo che non sareste venuto» gli sussurrò con voce angelica. Edward fu lacerato da una tentazione indicibile, che lo lasciò impotente di fronte al suo richiamo di sirena. Non riusciva a capire. In ventitré anni di età non aveva mai permesso a una donna di suscitargli una simile tempesta di emozioni contraddittorie. Avrebbe dovuto allontanarsi finché poteva, tuttavia era attratto da Julia come se fosse stata creata apposta per lui. Le posò una mano sul viso e avvertì, con la punta delle dita, le pulsazioni rapide della sua tempia. Con occhi languidi, lei sospirò. Edward sapeva che era sbagliato, che se ne sarebbe subito pentito, eppure si sentiva incapace di pensieri e azioni razionali. Protendendosi in avanti, prese quello che non gli spettava: si impossessò di quella bocca sensuale come se gli fosse sempre appartenuta, nel passato, nel presente e nel futuro. Julia emise un altro sospiro, ancora più dolce, che lo eccitò quasi al punto di piegarlo in due. Traendola a sé, Edward approfondì il bacio e la esplorò con la lingua. Sapeva di champagne, con un accenno di fragola. Lei gli cinse il collo con le braccia snelle, insinuandogli le dita tra i riccioli biondi. I sospiri si mutarono in mugolii accoglienti. Il passare del tempo parve fermarsi come gli orologi di Havisham Hall: nessun ticchettio, nessun movimento delle lancette, nessun rintocco. Edward avrebbe voluto rimanere sempre là, passare con lei quella notte e tutte quelle che sarebbero seguite. Arretrando, sostenne lo sguardo languido di Julia. Lei gli accarezzò le tempie e, con una tenerezza infinita, sorrise. «Vi amo tanto, Albert.» Il nome del gemello, pronunciato da quelle labbra, fu come un violento pugno all'addome che minacciò di ridurlo in ginocchio. Non era lui che Julia aveva accolto con tanta gioia. La passione, l'ardore e il desiderio erano rivolti ad Albert. Che idiota era stato a credere il 7


contrario, anche solo per un istante. Come ovvio, non lo avrebbe rivelato a lei. Si costrinse a sorridere, trionfante e malizioso. «Se lo amaste davvero, sareste capace di distinguerci.» Ashe e Locke ci riuscivano, e persino il folle Marchese di Marsden che li aveva allevati. «Edward?» ansimò lei, pallidissima. L'evidente repulsione assestò un duro colpo al suo orgoglio. Tuttavia, mostrandosi impassibile, lui si sprofondò in un inchino teatrale. «Al vostro servizio.» «Siete una bestia.» Con la mano inguantata, Julia lo schiaffeggiò con una forza inattesa che lo fece barcollare. Recuperato l'equilibrio, Edward drizzò la testa. «Vi è piaciuto, Julia.» «Lady Julia» lo corresse. «E dopo le nozze con Albert sarò Lady Greyling. Insisto affinché vi rivolgiate a me in termini formali. E di sicuro non l'ho gradito.» «Bugiarda.» «Perché fare una cosa tanto orribile? Come avete potuto essere così crudele e scorretto?» Perché Edward non si era mai negato alcun capriccio e, d'improvviso, l'aveva desiderata con tutto se stesso. «Cosa sta succedendo qui?» domandò una voce profonda. Edward si voltò e vide Albert a pochi passi di distanza, sul viso un'espressione interrogativa. Non sembrava adirato, ma solo perplesso, come se non avesse nemmeno concepito l'idea che il gemello potesse essere così ignobile da baciare la sua fidanzata. «Vi aspettavo qui, come previsto» gli spiegò con dolcezza Julia, andandogli incontro e guardandolo con un'adorazione che servì soltanto a spargere sale sull'autostima ferita di Edward. «Vostro fratello è passato per caso e ha iniziato a espormi il programma del viaggio in Oriente. A quanto sembra, sarà l'avventura di una 8


vita. Vorrebbe tanto che ci andaste anche voi.» Edward detestava doverle essere grato per la menzogna, però era certo che Albert non lo avrebbe mai perdonato se avesse appreso che aveva approfittato di lei. Si domandò come mai Julia non gli confessasse la verità, cogliendo l'occasione per creare tra di loro un baratro che niente, in cielo o in terra, avrebbe mai colmato. Ma, soprattutto, per quale strano motivo incoraggiava Albert a partire? «Mi bastate voi come avventura» le rispose questi, poi guardò Edward. «Ti ho già avvisato che non provo più interesse per i viaggi. Non apprezzo questo subdolo tentativo di servirti di Julia per convincermi a cambiare idea. Adesso ti sarei grato se ti allontanassi per consentirmi di stare appartato in giardino con la mia fidanzata.» «Albert...» «Vattene, Edward.» Il tono impaziente lo avvisò che, se avesse insistito, sarebbe riuscito soltanto a creare distanza tra loro. Infine, dopo un rapido cenno di saluto, Edward si allontanò dalla coppia, dalle rose e dall'ombra. Aveva bisogno di un bicchiere di whisky. Una bottiglia sarebbe stata ancora meglio. Voleva sbronzarsi fino all'oblio per dimenticare il calore di Julia tra le braccia, la sensazione meravigliosa del contatto con le sue labbra. Doveva scordare di averla desiderata, seppur per un breve istante, per se stesso.

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Mr. Edward Alcott, fratello del Conte di Greyling, è incorso in una morte prematura durante il loro recente viaggio in Africa. Ancor più triste è la considerazione che non sia riuscito a realizzare niente di rilevante durante i ventisette anni di vita. Necrologio del Times, novembre 1878 Inghilterra, 1878 Aveva bisogno di whisky, d'urgenza. Tuttavia il dovere gli imponeva di stare fuori dalla dimora di Evermore, la tenuta avita nello Yorkshire, per esprimere gratitudine ai pochi che avevano partecipato alle esequie del gemello, nel pomeriggio. «È un sollievo che non sia toccato a voi, Greyling.» «Era bravissimo a ballare, anche se spesso, nel valzer, stringeva la dama in maniera scandalosa.» «Peccato che sia scomparso prima di dimostrare il proprio valore.» «Nel bere mi ha battuto un sacco di volte, vi assicuro.» I commenti continuarono, dipingendo il ritratto di un briccone buono a nulla. In genere lui non si curava dei giudizi espressi sul secondogenito, però quel gior10


no lo infastidivano, forse perché, purtroppo, erano veritieri. Il Duca di Ashebury e il Visconte Locksley, gli amici d'infanzia, erano nei pressi a ricevere la loro dose di condoglianze. Era risaputo che loro quattro erano uniti come fratelli, poiché erano stati allevati dal padre di Locksley. Benché avesse avuto poche occasioni per parlare con loro dopo il funerale, lui avrebbe preferito che partissero con gli altri. Invece, insieme a Minerva, la moglie di Ashe, si sarebbero trattenuti per la notte. Era stata Julia a invitarli, convinta che il consorte avrebbe gradito la loro compagnia. Si sbagliava di grosso, ma aveva buone intenzioni. Mentre ringraziava con cortesia i presenti, appariva incantevole persino in gramaglie. Si era fatta carico dell'organizzazione, inviando le partecipazioni, spiegando al vicario come svolgere il servizio funebre, assicurandosi che i rinfreschi fossero pronti prima della partenza degli ospiti. Lui non era quasi riuscito a rivolgerle la parola per l'intera giornata, anche se, in realtà, non avrebbe saputo cosa dirle. Dopo il suo ritorno c'erano stati troppi momenti di silenzio imbarazzato. Questo doveva cambiare, e in fretta. Quando l'ultima carrozza imboccò il viale, Julia si avvicinò con calma, lo prese sottobraccio e gli diede una stretta affettuosa. «Sono contenta che sia finita.» Malgrado l'evidente gravidanza, pareva la donna più elegante del mondo. Gli carezzò una guancia. «Sembri stanco.» «È stata una settimana lunga.» Era rientrato dal viaggio dieci giorni prima. Aveva avuto tempo per dolersi durante il lungo e stremante tragitto di ritorno. Per lui quel giorno rappresentava soltanto una formalità, una prova da affrontare prima di andare avanti. «Mi farebbe bene qualcosa di forte» dichiarò Ashe, avvicinandosi insieme alla moglie e a Locke. «So dove trovare una bottiglia» gli assicurò. Dopo 11


aver condotto il gruppetto nell'atrio di casa, posò una mano sulla schiena di Julia e chiese: «Signore, ci scusate un momento?». Lei esitò. Mille domande si affollavano nei magnifici occhi blu. Lui non intendeva certo respingerla, ma aveva un bisogno disperato di alcol e sperava che Julia lo scambiasse per il desiderio di stare solo con gli amici. Infine, dopo averlo scrutato in volto per quella che parve un'eternità, annuì. «Sì, certo.» Si girò quindi verso Minerva con un sorriso gentile. «Ordino il tè.» «Non ci vorrà molto» le assicurò lui prima di imboccare il corridoio, davanti ad Ashe e Locke. Entrato in biblioteca, si diresse deciso al buffet, versò whisky in tre bicchieri, li distribuì e alzò il proprio. «A mio fratello. Che riposi in pace.» Ne tracannò il contenuto con una lunga sorsata. Ashe si limitò a bere un piccolo sorso, poi inarcò un sopracciglio. «Dubito che accadrà. Cosa diavolo stai combinando, Edward?» Lui sentì il sangue gelare e, con la mente che turbinava, prese in considerazione l'idea di negare l'accusa. Troppo, però, era in gioco. Andò alla finestra e guardò il campanile della chiesa del villaggio, dove poche ore prima si era svolta la funzione in suo onore. A poca distanza, simile a un nastro steso sulle colline, c'era la strada percorsa dal carro funebre con a bordo la bara lustra, che il piccolo corteo aveva seguito fino al mausoleo di famiglia. «Quando avete capito che non sono Albert?» «Poco prima del funerale» rispose Locke. «Lo avete rivelato a Julia?» «No» gli assicurò Ashe. «Ci è sembrato meglio tenere per noi i sospetti finché non ne avessimo avuto conferma. Cosa diavolo sta succedendo?» «Ho promesso ad Albert, quando stava per morire, di impegnarmi come possibile per evitare che Julia perda il bambino.» Durante il loro breve matrimonio a12


veva avuto ben tre aborti spontanei. «Farmi passare per lui sembrava la soluzione migliore. Devo capire come avete dedotto la verità. Se Julia sospetta...» «Hai smarrito il senno?» tuonò Ashe. «Abbassa la voce» gli intimò Edward. Non era certo il caso di farsi udire dai domestici. «Credi davvero di poter ingannare Julia?» Ci riusciva già da oltre una settimana. Aveva convinto tutti: la servitù, il vicario, i pochi partecipanti al funerale, Julia. Ma non i due amici, e questo era un problema. Si voltò verso di loro. «Albert non mi ha dato scelta, se devo onorare la sua richiesta.» «Ormai la gravidanza è abbastanza avanti da aver superato i rischi peggiori» notò Locke, spalla a spalla con Ashe, come se insieme avessero avuto più possibilità di convincerlo che era pura follia, cosa di cui lui stesso era consapevole. Edward gli scoccò un'occhiataccia. «Lo potresti giurare? Garantire? Sai quanto lo ama e quanto Albert amava lei. Se scopre che è morto, non andrà in pezzi? Non si ammalerà per la profondità della pena?» Locke, con un lungo sospiro, si avvicinò al buffet e si versò altro whisky. Edward comprese che aveva capito, ma ne trasse poca soddisfazione. «Hai idea di come reagirà Julia, qualora dovesse scoprire l'inganno?» domandò Ashe. Lui non aveva pensato ad altro mentre arrancava per la giungla trascinando il corpo del gemello, attraversava il mare e poi viaggiava nel carro con a bordo la cassa contenente le sue spoglie mortali. «Avrà di me un'opinione ancora peggiore di adesso. Mi colpirà con il primo oggetto pesante a portata di mano. Sarà devastata, con il cuore distrutto, e piomberà nella disperazione.» «Proprio per questo la devi avvisare subito, prima di spingerti oltre.» «No.» 13


«Allora provvederò io, dannazione» sbottò Ashe, dirigendosi alla porta. Superandolo di corsa, Edward lo fermò. «Tocca quella maniglia e ti stendo.» L'amico lo fulminò con lo sguardo. «Non te lo permetterò.» «Anche se sei più anziano di me, e per giunta un duca, la faccenda non ti riguarda.» «Certo che sì» replicò con durezza. «Riguarda tutti noi. Locke, spiegagli che è un idiota.» «Mi spiace, ma sono d'accordo con lui.» Con espressione sbalordita, Ashe si girò a guardarlo. Quello che, sbagliando, aveva creduto suo alleato stava con un fianco appoggiato al bordo della scrivania e il bicchiere in mano. «Non ti sembra una pessima idea?» «È la peggiore concepita da un inglese, dopo quella di partire per le crociate. Però Edward non ha torto. Non sono fatti nostri e non abbiamo il diritto di esprimerci in proposito.» «Forse non ti importa niente di Julia, ma a me sì.» «Ma se Edward avesse ragione nel temere che apprendere la verità rischierebbe di mettere a repentaglio la vita del bambino, l'ultimo dono di Albert?» Ashe lasciò ricadere le spalle e arretrò di un passo. «Amavo Albert come un fratello.» «Come un fratello non è lo stesso che esserlo davvero» dichiarò Locke. «Per non aggiungere che nessuno di noi due era presente quando Albert ha esalato l'ultimo respiro. Non abbiamo sentito le sue parole d'addio né assistito alla disperazione con le quali, di sicuro, le ha pronunciate.» Sii me, aveva ansimato. Sii me. Edward non si era mai reso conto della forza che potevano assumere poche sillabe. «Devi sempre dar prova di tanta maledetta logica?» gli chiese Ashe. Locke alzò il bicchiere. «Al posto tuo non mi la14


menterei. La mia logica ti ha aiutato a conquistare tua moglie.» Scuotendo il capo, Ashe rivolse di nuovo l'attenzione a Edward. «Ci hai riflettuto a fondo? A che mese è arrivata? Tra il settimo e l'ottavo? Ancora per parecchie settimane dovrai fingere di amarla, mentre non siete mai andati d'accordo. Tutta Londra sa che la sopporti a malapena» gli rammentò, convinto che fosse la sfida peggiore per lui. Se solo fosse stato così semplice. Dopo il maledetto, sconsiderato bacio in giardino di anni addietro, Julia non lo aveva mai visto con favore. Edward non la poteva biasimare. Da allora, infatti, aveva tenuto una condotta tutt'altro che esemplare. «Ho considerato la questione da ogni punto di vista.» Accigliato, Ashe chiuse i pugni. «Se insisti con questa farsa, scorgo all'orizzonte solo disastri.» «Li affronterò quando si presenteranno. Per ora mi preoccupo soltanto di evitare catastrofi prima del parto. Mi rendo conto che non sarà facile. Gli ultimi dieci giorni sono stati orribili. Tento di comportarmi con lei come farebbe Albert, ma so di non riuscirci bene, poiché spesso mi scruta con perplessità. Finora, credo, ha attribuito al lutto il mio atteggiamento insolito e il mio bisogno di solitudine. Tuttavia non potrò sfruttare a lungo questo pretesto, quindi devo capire cosa mi abbia tradito. Come avete dedotto che sono io e non Albert?» «Non so se aiutarti in questa faccenda» ammise Ashe. «Non mi piace la falsità.» «E pensi che a me piaccia?» gli chiese Edward in un tono che rivelava lo strazio provocato da settimane di riflessioni, dubbi e rimorsi. «Lo avevo persuaso a partire con me perché, da egoista, volevo godermi un ultimo viaggio insieme. Desideravo che mi anteponesse a lei. E gli è costata la vita. Ormai non posso fare altro che impegnarmi per impedire che gli costi anche il fi15


glio. È tutto ciò che resta di mio fratello. Avrei tanto voluto essere io a venir deposto nella cripta, nel pomeriggio. Ma questo non si può cambiare. Quindi mi rimane soltanto la possibilità di mantenere la promessa. Non conta quanto mi peserà, quanto sembri folle. Non mi vengono in mente altri sistemi per evitare che Julia perda il bimbo. Dunque aiutatemi, se siete affezionati ad Albert come sostenete.» Con un sospiro, Ashe si versò una generosa dose di whisky. «Vi conosco da quando avevate sette anni. L'aspetto è identico, ma i modi sono diversi. Tu non ti massaggi l'orecchio destro.» «Caspita, è vero.» Lo fece allora, strattonando con forza il lobo. A cinque anni Albert aveva perso l'udito dall'orecchio destro, dopo essere stato spinto da Edward in un laghetto ghiacciato. Da allora, di tanto in tanto sentiva dolore, quindi lo sfregava, soprattutto quando rifletteva... spesso su come rimproverare il gemello per una malefatta. «Inoltre tracanni troppo whisky» intervenne Locke. «Immagino che tu non abbia smesso.» «No, però bevo solo dopo che è andata a letto.» Ashe strizzò le palpebre. «Non ti corichi con lei, vero?» «Dio, perché dovrei? Non intendo certo tradire mio fratello da morto.» «Non posso parlare per Albert, ma quando dormo tengo sempre mia moglie tra le braccia.» «Perché sei innamorato in maniera disgustosa.» «Lo stesso valeva per lui.» Edward scosse la testa. «Avevano camere separate. Sono tranquillo da questo punto di vista.» Ashe inclinò la testa. «Le abbiamo anche noi.» Con un'imprecazione, Edward si riempì il bicchiere fino all'orlo, poi si diresse verso il camino e si lasciò cadere sulla poltrona. Senza dubbio Julia avrebbe detto qualcosa, se lo avesse aspettato a letto. A meno che 16


non attribuisse la sua assenza al bisogno di dolersi in solitudine. Quanto tempo sarebbe passato prima che il comportamento insolito del presunto consorte la inducesse a preoccuparsi, alimentando la tensione fino a provocare proprio quello che lui cercava di prevenire? Ashe e Locke occuparono le poltrone vicine. Nessuno dei due pareva entusiasta, ma almeno non lo guardavano come se fosse stato pazzo come il Marchese di Marsden. Edward puntò lo sguardo sulle fiamme che si torcevano nel camino e si immaginò che la sua anima si sarebbe dibattuta per l'eternità in quelle dell'inferno. «Ho preso in considerazione l'idea di rimanere in Africa e spedirle un telegramma con un pretesto per il nostro ritardo, però sapevo che Albert mi avrebbe perseguitato se l'avessi lasciata sola verso la fine della gravidanza. Ho una certa esperienza di morti che tormentano i vivi.» «Il fantasma di mia madre che ulula per la brughiera è solo un frutto della follia di mio padre» dichiarò Locke. «Comunque sono cresciuto con questa idea.» Edward guardò gli amici fraterni. «Sapete se Albert usasse un particolare termine affettuoso con Julia?» I due batterono le palpebre e si scambiarono un'occhiata, a corto di parole. Infine Ashe rispose: «In effetti era il tipo. Io però l'ho sempre sentito chiamarla per nome». «Anch'io» confermò Locke. «Forse lo riservava ai momenti di intimità.» Diavolo! Fino a poco prima Edward era sicuro di poter imitare il gemello, tuttavia gli amici stavano elencando diversi aspetti che aveva trascurato. Per un breve periodo ci era riuscito, ma a quel punto doveva impegnarsi di più e prestare molta attenzione. «Non ho frugato tra le sue cose, mi sono limitato a metterle nel baule.» Aveva sistemato il proprio e quello di Albert 17


nella camera che occupava in passato, quando veniva in visita, con l'intenzione di svuotarli in seguito. «Magari troverò una lettera che ci fornirà qualche risposta.» Una missiva non finita, che gli avrebbe strappato le viscere. La morte lasciava troppo incompiuto. «Sei consapevole» intervenne con lentezza Ashe, «che dovrai astenerti dai rapporti sessuali? Considerati i tuoi trascorsi, sarà una vera sfida per te. Ma se Julia scoprisse che vai in giro a fornicare, convinta che tu sia Albert, rischierebbe davvero di perdere il bimbo.» «Ci ho riflettuto e intendo essere casto come un monaco.» Ridacchiò schermendosi. «Magari non sarà difficile come immagini. Nessuna delle mie vecchie conquiste era presente oggi. E alcune erano nobildonne.» Aveva notato la loro assenza, e anche che tutti avevano gli occhi asciutti. Nemmeno una lacrima per lui. Partecipare al proprio funerale si era rivelata un'esperienza assai umiliante. «Edward...» «Greyling.» Edward corresse subito Locke. «Se vogliamo che questa messinscena abbia qualche possibilità di successo, dovete considerarmi anche voi il Conte di Greyling e chiamarmi Greyling, oppure Grey come facevate con Albert, in presenza di altri. Adesso, però, è meglio abituarci anche tra noi, per evitare errori in pubblico.» Anche lui doveva smettere di pensare a se stesso come Edward. Nei modi, nel pensiero e nelle azioni doveva essere il Conte di Greyling. Almeno finché Julia non avesse dato alla luce l'erede. Dopo di che sarebbe stato costretto a fornirle un altro motivo per odiarlo rivelandole la verità, spezzandole il cuore e distruggendo il suo mondo.

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Quando ho concepito la storia di Edward, prevedevo che sarebbe stata una sfida. Innanzitutto volevo evitare che i lettori si affezionassero ad Albert prima di scoprire che in realtà era lui, e non intendevo metterlo in cattiva luce. Sapevo inoltre che, ai tempi, la legge inglese vietava di sposare la vedova del fratello. Mi pareva strano che solo nella fantasia di un romanziere un uomo potesse desiderare in moglie la cognata, quindi ho svolto qualche ricerca. È stato piuttosto interessante. Ho trovato il caso di una donna incarcerata per avere celebrato le nozze con il vedovo della sorella, il quale però non subì ripercussioni. Ho saputo di coppie che si erano sposate senza rivelare la parentela, in parrocchie dove nessuno le conosceva, ottenendo così un attestato di matrimonio privo di valore legale. Sarebbe bastata una semplice obiezione per annullare le nozze. Ho inoltre scoperto che alcuni si recavano in Svizzera o in Norvegia, dove le leggi erano più accomodanti; ma poiché i costi erano elevati, ne approfittavano soltanto i ricchi. Per sessantacinque anni alcuni membri del Parlamento si batterono per cambiare la legge. Infine, nel 1907, venne permesso alla sorella di una defunta di sposare il cognato. Ma solo nel 1921 fu concesso an314


che agli uomini di unirsi in matrimonio con la vedova del fratello. Mi piace pensare che Edward e Julia, a quel punto, fossero ancora in vita. A essere sincera, non sono certa che il figlio avrebbe ereditato, poichĂŠ avevano aggirato la legge sposandosi all'estero, ma scrivo narrativa, quindi spero siate indulgenti quando affermo che sarebbe diventato il prossimo Conte di Greyling. In ogni caso, Edward e Julia auguravano ai figli soprattutto la salute e la felicitĂ . E vi assicuro che questi desideri furono esauditi. Buona lettura, Lorraine

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