HELEN KIRKMAN
IL CUORE BARBARO DELLA VENDETTA
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Moment's Madness Harlequin Historical © 2003 Helen Kirkman Traduzione di Laura Iervicella Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A.. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici maggio 2004 Seconda edizione I Romanzi Storici Harlequin Mondadori gennaio 2014 Questo volume è stato stampato nel dicembre 2013 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) I ROMANZI STORICI HARLEQUIN MONDADORI ISSN 1828 - 2660 Periodico mensile n. 125 dello 08/01/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 212 del 28/03/2006 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Essex, Inghilterra, 917 d.C. Sigrid continuò a correre tra le fiamme, sicura che fosse arrivata l'ora del Ragnarok, la fine del mondo, la catastrofe che avrebbe travolto sia gli dei sia gli uomini. Il suo mondo bruciava. La morte la inseguiva. Le maledizioni dei Sassoni le risuonavano nelle orecchie. Maledetta danese, le urlavano. Sgualdrina vichinga. Non hai scampo. Quelle grida assetate di vendetta le gelarono il sangue nelle vene. Si accorse che il suo respiro si faceva sempre più affannoso mentre i piedi scivolavano sempre più di frequente lungo la viuzza coperta di ciottoli che si snodava tra gli edifici. Il pesante rumore di passi si avvicinava sempre di più. Possibile che non ci fosse un posto per nascondersi in quella città ormai completamente saccheggiata? Lanciò un'occhiata disperata alle sue spalle e subito dopo trasalì rendendosi conto di essere andata a sbattere contro una parete di pietra. O almeno quella fu la sensazione che provò, anche se ebbe l'impressione che quella parete si stesse spo5
stando. Sentì qualcosa di metallico flettersi sotto i suoi palmi, come fossero fredde squame di serpente, e le sembrò che la sua pelle rischiasse di lacerarsi a quel contatto. Poi si rese conto che si trattava di un uomo con indosso una cotta di maglia di ferro e in mano una spada insanguinata. Si lasciò sfuggire un grido, convinta che fosse arrivata la sua ora. Ma la lama non la colpì. Si limitò a tagliare l'aria infuocata vibrando come se fosse un essere vivente. Il suo possessore però la tenne saldamente in pugno. Se doveva morire per mano di un guerriero sassone, che almeno si trattasse di una fine rapida, pensò Sigrid. Gli cercò la faccia con lo sguardo e si accorse che sotto l'elmo aveva un'espressione dura e impassibile. Poi vide i suoi occhi. Erano azzurri, come quelli della maggior parte degli Anglosassoni. Ma sembravano avere qualcosa di magico. Almeno quella era l'unica spiegazione possibile, infatti ciò che lei fece l'attimo successivo poteva avere una giustificazione solo se frutto di un incantesimo. I suoi inseguitori girarono l'angolo e si fermarono di colpo mentre il suo corpo si muoveva come se fosse spinto da una volontà propria. Sigrid raddrizzò la schiena e chiuse una mano attorno a un muscoloso avambraccio protetto da ampi bracciali di ferro. Le parole le uscirono di bocca senza che riuscisse a fermarle, e non in danese ma in anglosassone, in modo che non potesse essere fraintesa. «Andate via» disse rivolta ai suoi inseguitori. «Io appartengo a lui.» I tre, con gli abiti sporchi e laceri e i petti ansimanti, esitarono. I loro sguardi ancora accesi per l'eccita6
zione e lucidi a causa del troppo bere, non guardarono lei ma il possente guerriero a cui la donna si stava aggrappando. Nel silenzio totale nessuno si mosse. Il cuore di Sigrid batteva all'impazzata mentre i polmoni rischiavano di scoppiare. Che cosa aveva fatto? Come poteva essersi giocata tutta la sua vita in un solo istante? Quell'uomo aveva in mano il suo destino e lei glielo aveva affidato basandosi sull'impressione di un momento. Le era bastato guardarlo una sola volta negli occhi per fidarsi di lui. Ma niente le assicurava che fosse migliore di quelli che la braccavano. Era un anglosassone come i suoi inseguitori. Faceva parte di un esercito che aveva combattuto contro la sua gente vincendo e che ora si sarebbe insediato con orgoglio in quella città che fino a quel momento era stata sotto il controllo dei Danesi. Era una pazza. La cotta di maglia a cui si stava aggrappando era macchiata di sangue. Chi la portava era un soldato, addestrato all'uso della forza bruta. Tuttavia lei aveva visto la sua faccia e per qualche strana ragione i suoi occhi le avevano ispirato fiducia. Ma infine l'impossibile accadde. Il guerriero raccolse la richiesta d'aiuto e fece una cosa che suo marito, il defunto guerriero vichingo, con tutto il suo terrificante potere, non avrebbe mai fatto per lei. Sigrid sentì tendersi il muscolo d'acciaio che stringeva tra le dita e prima che si rendesse conto di cosa era successo, lo sconosciuto le aveva fatto scudo con il proprio corpo e aveva sollevato la spada insanguinata verso i suoi inseguitori. «Ucciderò chiunque di voi osi fare un solo passo avanti» disse subito dopo con una voce calma e profonda. Immediatamente tre paia d'occhi lo scrutarono con 7
estrema attenzione e anche Sigrid si soffermò a guardare l'uomo che la stava proteggendo. Era alto e ben fatto. Indossava un'armatura, a differenza dei suoi oppositori, e la guardia della sua lama insanguinata era d'oro. Non mostrava alcun segno di debolezza, non sembrava avere il minimo dubbio che avrebbe vinto. Intendeva ciò che aveva detto e la sua gelida determinazione la indusse a rendersi conto di quanto fosse stata avventata nel chiedergli aiuto. Se quei bruti ubriachi avessero raccolto la sfida impegnandolo in una battaglia, lei avrebbe cercato di scappare e lui non avrebbe potuto fare altro che lasciarla andare. Non avrebbe potuto combattere contro tre persone con una mano sola tenendola ferma con l'altra. Ma anche i suoi inseguitori avevano visto quella gelida e spaventosa espressione che aveva notato lei. Forse fu per questo che si dileguarono nell'ombra come spiriti malvagi. Sigrid comprese in quel momento di avere solo una esile speranza di sfuggirgli, così si divincolò cercando di liberarsi dalla stretta della sua mano prima che lui se ne rendesse conto. I suoi sforzi però furono vani perché la presa sul suo polso si accentuò. «Aspettate.» Pronunciò una sola parola che però aveva il tono di un ordine. Non c'era nessun altro in vista e senza troppe cerimonie lei si ritrovò trascinata verso di lui. Da quella posizione lanciò un'altra cauta occhiata al suo viso chiedendosi che cosa mai avesse creduto di vedere. Era indubbiamente attraente, per quanto l'elmo e lo strato di polvere sulla pelle le permettevano di scorgere, ma gli occhi erano di un gelo mortale. 8
Maledetta danese. Sgualdrina vichinga. Non hai scampo. «Lasciatemi andare» disse cercando di restare calma. «Dove?» Sigrid sbatté le palpebre, sorpresa, non sapendo cosa dire. Ma non era una vera domanda, perché lui non attese la risposta. «Questo esercito è completamente fuori controllo» continuò infatti in tono calmo. «È comandato dal più grande idiota di tutto il regno dell'Essex. So già che non farà niente per fermare ciò che sta accadendo e anche se tentasse ormai è troppo tardi.» O almeno questo era quello che credeva avesse detto. Lei parlava la sua lingua, ma lui aveva un accento che non le era familiare. E poi quella era l'ultima cosa che si aspettava di sentir dire da un Sassone. Il guerriero spostò la presa in modo da avvicinarla ancora di più a sé. «Avete qualche congiunto che possa proteggervi?» le domandò. Nei suoi occhi non c'era altro che un terribile senso di gelo e Sigrid dovette farsi forza per sostenere il suo sguardo. «Avevo un marito» rispose. «Adesso è morto.» Si portò istintivamente una mano al collo dove pendeva un ciondolo d'argento tenuto da un sottile laccio di cuoio che una volta ornava il collo taurino del consorte. Mentre faceva quel gesto si accorse che le tremava la mano. L'amuleto era nascosto sotto il lino logoro della sua camicia ma poteva sentire la fredda impronta del metallo contro la pelle. Vi erano raffigurate due spade, tre aste e la lancia di Odino. Lo avrebbe riconosciuto a occhi chiusi. Suo marito non se l'era mai tolto 9
finché era stato in vita. Non sarebbe stato possibile perché faceva parte di lui. Adesso era suo. Nessun altro lo avrebbe reclamato perché tutti ne avevano paura. Anche lei provava lo stesso timore. Il sottile pendente pesava come piombo sul suo collo. La sua mente fu invasa dall'ossessionante visione delle facce trionfanti che le avevano portato la notizia che era diventata vedova. Erano tutte persone che conosceva bene e che si erano date un gran daffare per essere le prime a comunicarle che Ragnar era morto, che anche il più forte e terribile degli uomini era stato ucciso dalla pioggia mortale delle frecce nemiche. Era stato colpito da lontano. Da vicino nessuno sarebbe riuscito a sopraffare la sua furia distruttrice. Le avevano raccontato di averlo visto cadere al tramonto al limitare della foresta. Avevano trovato l'amuleto tra le foglie autunnali cadute a terra. Ma nessuno era riuscito a recuperare il suo corpo. Ragnar giaceva da qualche parte là fuori, privo di sepoltura, sotto l'ombra degli alberi, facile preda dei corvi. E per suoi compagni avrebbe avuto i lupi. «È morto» ripeté e le parole risuonarono pesanti come l'amuleto che teneva appeso al collo. Quando il Sassone la sentì rabbrividire, Sigrid credette di vedere un lampo di reazione in quegli occhi di ghiaccio. O forse si era trattato di uno scherzo della luce che stava svanendo. «Capisco.» Doveva avere frainteso la sua reazione. «Allora sarà meglio che veniate con me.» La presa al braccio si strinse di nuovo e lei si ritrovò a camminare lungo il pendio della collina insieme a lui, senza quasi riuscire ad appoggiare i piedi a terra. 10
Adesso era perduta, qualunque cosa facesse. Era rimasta intrappolata dalle sue stesse azioni. Non sarebbe mai potuta sfuggire a un uomo del genere e, anche se ci fosse riuscita, il suo destino non sarebbe stato diverso da quello a cui lui l'aveva appena sottratta. Fece un ultimo tentativo di scappare tirandogli il braccio, scalciando e contorcendosi. Lui si limitò a serrare la presa con un lieve sospiro di esasperazione. Non gli costò il minimo sforzo e nemmeno si diede la pena di parlare. Lei gli lanciò un'occhiata di puro terrore. Aveva fatto ricorso a tutte le sue risorse e il Sassone non sembrava averlo quasi notato. Ciò la convinse a non riprovarci. Passarono attraverso gli edifici in fiamme. La gente correva, da sola o in piccoli sparuti gruppi. A volte qualcuno gridava. Sembrava la fine del mondo. Ma il Ragnarok, la distruzione del mondo conosciuto, doveva segnare l'inizio di una nuova era. Lei invece non riusciva a immaginare alcuna rinascita da tanta desolazione. Nessuna delle persone che fuggivano li avvicinò. Camminavano proprio in mezzo alle rovine e tuttavia era come se non ne facessero parte. Cominciò a sentirsi quasi estraniata mentre la sua mente si annebbiava. Tutta la sua vita era andata in fumo e niente sembrava più avere il potere di toccarla. Tranne l'uomo che procedeva al suo fianco. Continuò ad avanzare mentre quella strana sensazione di estraneità cresceva. Il profilo scuro degli edifici che costituivano la città perse ogni significato come se non avesse più niente a che fare con lei. L'unica cosa che restò reale nell'oscurità crescente del tardo pomeriggio fu il Sassone e la sua stretta sul braccio che le rammentava la gelida morsa dell'inverno. 11
Inciampò contro qualcosa che ostruiva il terreno. Non seppe di cosa si trattasse perché si rifiutò di guardare. Fu tirata su di peso, ma non riuscì ugualmente a proseguire. Le sembrava di non avere più la forza di mettere un piede davanti all'altro. Lui si fermò. Forse l'avrebbe lasciata andare e lei avrebbe finalmente potuto lasciarsi cadere nel fango e restare sdraiata lì in attesa della morte. Sentì il braccio coperto dalla cotta di maglia passarle attorno alla vita e attirarla contro il suo corpo solido e possente. Sigrid si lasciò sfuggire un sussulto mentre la sua testa gli poggiava contro la spalla e le ciocche dei suoi lunghi capelli si sparpagliavano sull'ampio torace. Era convinta che quella fosse la fine. Ma la voce del Sassone la scosse. «Non è lontano. Appena oltre le mura ci sono una stalla e alcuni magazzini. Andiamo laggiù» la informò riprendendo a camminare. Lei costrinse i suoi piedi a muoversi. Non le aveva ancora fatto del male. Avrebbe aspettato fino a quando non fossero arrivati a destinazione. Ma due parole in quello che le aveva detto riaccesero il suo spirito combattivo. Le mura. Se intendeva davvero condurla da quella parte, le sarebbe riuscito più facile escogitare il modo di scappare trovando rifugio nei boschi e riguadagnando così la libertà. Quel lampo di speranza si trasformò in una piccola fiamma che le scaldò il cuore. Sarebbe sopravvissuta anche a questo, a qualsiasi costo. Adesso camminare le costava meno fatica dato che lui sosteneva la maggior parte del suo peso apparentemente senza quasi rendersene conto. Ma la sensazione di torpore che le annebbiava la mente non fece che rafforzarsi. Le sembrava di muoversi in un sogno. La luce si stava affievolendo. In quella zona della città non c'erano incendi, 12
si sentiva meno rumore e si vedeva poca gente in giro. Lei e l'uomo al suo fianco sembravano essere gli unici a camminare per strada. Pareva che non esistesse nessun altro al mondo. A un certo punto credette di essere sul punto di perdere conoscenza. «Siamo arrivati.» Sigrid sobbalzò. Non poteva essere svenuta sul serio. Non era possibile camminare se si era incoscienti. Ma si ritrovò con la testa appoggiata alla sua spalla e con una delle mani aggrappata alla fibbia del cinturone che teneva la spada. Il panico che l'afferrò riportò all'erta i suoi sensi. Cercò di allontanarsi da lui quanto più possibile, ma non le riuscì di farlo per più della lunghezza di un braccio visto che lui le teneva saldamente il polso usando una minima parte della sua spaventosa forza. Lei cercò di indovinare quanto fossero lontane le porte della città. «Le uscite sono sorvegliate» la informò il Sassone come se le avesse letto nel pensiero. «E i boschi sono pieni di disperati scappati da un esercito allo sbaraglio. Dubito che il fatto che appartengano alla vostra razza costituisca un elemento rassicurante per voi.» La parte razionale della sua mente sapeva che aveva ragione. Tuttavia continuò a pensare che doveva pur esserci un posto dove avrebbe potuto nascondersi senza che nessuno riuscisse a trovarla. Non aveva altra scelta. «Lasciatemi andare.» Guardandola, lui pensò che aveva un'aria così irreale da assomigliare piuttosto a uno spirito dei boschi. Il polso che stringeva tra le dita era così esile che avreb13
be potuto spezzarlo senza la minima fatica. La donna era una danese, faceva parte della gente che aveva invaso la sua terra e che distruggeva e razziava tutto ciò che trovava sul suo cammino. Se non fosse morto, il marito avrebbe continuato a uccidere e mutilare i suoi uomini. Il dovere di coloro che restavano vivi era vendicare tutte quelle atrocità. Qualsiasi persona gli avrebbe detto di farlo, tranne il prete e, per ragioni di opportunità politica, Re Edoardo del Wessex. O forse così credeva. Guardò quel viso pallidissimo. Tutta la sua persona tradiva l'origine nordica, dai capelli biondo chiarissimo, alla linea sottile che le contornava gli occhi, per finire con l'esotico abbigliamento, un aderente abito di lana dai colori brillanti indossato sopra una sottile camicia che lasciava le braccia esili esposte alla vista. Era una nemica. Però era spaventata a morte. Ma non assomigliava per niente alla sua defunta moglie. Lottò con tutte le sue forze per soffocare i tormentosi ricordi, evitando così di imboccare una strada che si era rivelata senza via d'uscita dal giorno in cui aveva chiesto a Elswyth di sposarlo. Elswyth, così bella e piena di energia, così piena di voglia di vivere fino alla fine, quando era corsa verso il proprio destino. Un destino che non meritava. Niente aveva potuto porre rimedio a quel disastro. Il destino si compiva sempre, quali che fossero le conseguenze. In quella tragica occasione però era stato lui a sbagliare, e questo non poteva dimenticarlo. Il destino. Questa donna aveva scelto di mettersi nelle sue ma14
ni e lui aveva raccolto la sua disperata richiesta facendo scappare gli uomini che la inseguivano. Lo aveva fatto, consapevole che il suo gesto avrebbe avuto delle conseguenze. Ormai si sentiva responsabile per la sua incolumità e non avrebbe potuto lasciare andare il fragile polso della ragazza. Guardò le ossa minute strette tra le sue dita. Avrebbe dovuto romperle. Avrebbe dovuto spezzarle il collo, proprio come qualche coraggioso vichingo aveva spezzato quello di Elswyth. Girò la minuscola mano riposta nella sua e seppe che non avrebbe mai potuto farlo. Qualcuno gridò in lontananza. Era un urlo pieno di disperazione e lui provò un senso di nausea. L'insensatezza della battaglia lo aveva disgustato. E più di ogni altra cosa lo aveva disgustato ciò che era accaduto dopo. Fortunatamente non erano stati i suoi uomini ad abbandonarsi ai saccheggi. Il suono trapassò ancora le loro orecchie e lui la sentì sussultare. Allora lasciò cadere a terra la spada, una lama degna di un re, e le strinse entrambe le mani con le sue. «Se restate con me sarete al sicuro» le disse. «Avete la mia parola.» Subito dopo si interruppe. Era una follia parlare in quel modo a una donna danese, ma ormai non poteva più rimangiarsi la promessa. Era il destino a volerlo. Qualcuno aprì una porta poco lontano e la luce di una torcia li illuminò nell'oscurità facendo luccicare i grandi occhi grigi della ragazza. «Rimarrete?» Sigrid poté osservare la faccia del Sassone grazie a quel chiarore inaspettato e ciò che vide la stupì. Notò 15
la stessa sofferenza che l'aveva indotta a fidarsi di lui poco prima. Il suo sguardo si fissò sui lineamenti virili seminascosti dall'elmo. Poi incrociò i suoi occhi e dimenticò la città che bruciava e l'esercito degli Anglosassoni. Dimenticò i Vichinghi che si nascondevano tra i boschi. Dimenticò tutto. All'improvviso c'erano solo lei e quello sconosciuto, niente altro esisteva al mondo. Lo fissò senza vacillare e in un angolo della sua mente seppe che la risposta che gli avrebbe dato poteva decidere non solo il proprio destino ma anche quello dell'uomo che aveva davanti. «Sì.»
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Il cuore barbaro della vendetta Helen Kirkman Inghilterra, 917 - Cercando scampo da alcuni nemici che dopo la vittoria imperversano nel suo villaggio, Sigrid si affida a un prode cavaliere sassone solo perché le sembra di leggere nel suo sguardo la promessa che la proteggerà dalla devastazione che la circonda. E infatti, malgrado l'apparenza gelida e distante, Liefwin si rivela un uomo generoso e sensibile, che ben presto conquista il cuore della giovane. In un mondo dove vendetta, morte e distruzione regnano sovrani, una storia d'amore tra un Sassone e una Vichinga è fuori discussione, ma la giovane non è disposta ad arrendersi e decide di lottare.
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