JACQUELINE NAVIN
IL DUCA E L'ISTITUTRICE
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Strathmere's Bride Harlequin Historical © 1999 Jacqueline Lepore Navin Traduzione di Laura Iervicella Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2001 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici giugno 2001 Seconda edizione I Romanzi Storici Harlequin Mondadori settembre 2014 Questo volume è stato stampato nell'agosto 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano I ROMANZI STORICI HARLEQUIN MONDADORI ISSN 1828 - 2660 Periodico mensile n. 138 dell'11/09/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 212 del 28/03/2006 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Inghilterra, Northumberland, 1847 Non c'è alcun dubbio, pensò Jareth Hunt, Duca di Strathmere, guardando dalla finestra del suo studio le due nipotine e la loro istitutrice che si ruzzolavano nel prato. Il comportamento di Chloe Pesserat era del tutto inaccettabile. Stringendo gli occhi, scosse la testa con aria di disapprovazione. La donna in questione si adagiò sulla coperta che aveva allargato sull'erba appena tagliata con la testa tra le mani e una delle gambe piegate, lasciando che il suo piede nudo disegnasse oziosi cerchi nell'aria. La signorina Pesserat aveva l'aria di essere nella sua camera da letto piuttosto che in un luogo pubblico. La sua gamba inguainata da calze pesanti era esposta fino al ginocchio. Era davvero ben proporzionata, con un polpaccio affusolato e una caviglia snella... Jareth infilò un dito nella cravatta annodata stretta e tirò, ma scoprì che faceva ancora fatica a respirare. Era colpa del fuoco, pensò, guardando il caminetto con aria di riprovazione. Ardeva con troppo vigore per un giorno così mite. La temperatura era insolitamente tiepida, notò solo in quel momento. 5
Aprì il battente e socchiuse la finestra per lasciare entrare un filo d'aria fresca. Gli acuti strilli della nipotina più grande lo fecero sussultare. Rebecca, che aveva cinque anni, gridava e correva in cerchio, agitando le braccia e recitando in tono monotono e ad alta voce una cantilena incomprensibile. Aggrottò le ciglia a quel ridicolo atteggiamento, del tutto fuori luogo per la figlia dell'ultimo Duca di Strathmere. Tuttavia preferiva di gran lunga il comportamento irritante di Rebecca al modo in cui Sarah, la nipotina più piccola di tre anni, sedeva in silenzio stringendo tra le dita un fiore avvizzito, ricordo dell'estate ormai finita. «E poi che cosa accadde?» gridò Rebecca. «Poi il principe sconfisse il drago malvagio!» La voce della signorina Pesserat conservava solo una traccia del suo accento francese che la rendeva musicale, allegra e innegabilmente incantevole. «Evviva!» esclamò Rebecca. «Ha ucciso il drago!» Cominciò di nuovo a saltare e a strillare. «E allora...» continuò la signorina Pesserat sollevando un dito esile. Rebecca si immobilizzò. «Sì?» la incalzò allegramente. «Tornò dalla principessa e...» Si fermò e le due voci declamarono in coro la frase finale. «Da quel momento vissero insieme felici e contenti!» Rebecca batté le mani saltellando. La signorina Pesserat si voltò verso Sarah e la stuzzicò facendole il solletico con le dita per cercare di farla sorridere. Ma non ci fu nessuna risata. Il cuore di Jareth si strinse mentre osservava la nipotina, la piccola Sarah, che non aveva più pronunciato una parola dal giorno dell'incidente che aveva provocato la morte dei suoi genitori tre mesi prima. 6
Pura e semplice sfortuna, un errore del conducente, uno strappo nel tessuto del destino, qualcosa di inesplicabile aveva fatto sì che la carrozza del fratello maggiore di Jareth si rovesciasse e precipitasse in un profondo e aspro dirupo. Il duca e la duchessa erano rimasti uccisi. Per fortuna le bambine, che si trovavano con loro, erano sopravvissute. Ma l'incidente aveva lasciato tracce profonde. Rebecca era rimasta ferita, anche se si era ripresa in fretta. Stranamente, Sarah se l'era cavata con qualche graffio, solo che aveva perso una madre amorevole, un padre devoto e la capacità di parlare. Le sue corde vocali non avevano subito alcun danno, ma la bambina, per sua natura così esuberante, aveva semplicemente cessato di parlare. Non emetteva alcun suono, non piangeva né rideva, da quel giorno. Quel terribile evento aveva anche fatto di Jareth il settimo Duca di Strathmere, attanagliato dal dolore e completamente infelice. La vita piena di soddisfazioni che aveva condotto come secondogenito era solo un ricordo. I suoi affari, i suoi amici, la sua preziosa libertà, tutto questo era finito. Ora aveva solo doveri, verso il ducato e verso la sua famiglia, in particolare le nipoti. E anche una enorme seccatura. La signorina Chloe Pesserat. La signorina Pesserat si alzò fermandosi a infilare una scarpa abbandonata poco lontano. Tenendosi in equilibrio su un piede allargò le esili braccia con un movimento delicato che gli ricordò la prima ballerina che aveva visto danzare su un palcoscenico di Parigi. La signorina Chloe, come la chiamavano le bambine, possedeva una grazia straordinaria. Era evidente in ogni suo minimo movimento, che rendeva ogni gesto incredibilmente seducente. In quel momento lei iniziò a rincorrere Rebecca in 7
modo per niente aggraziato affermando di essere il drago tornato in cerca di vendetta. Rebecca strillò dichiarando di essere il principe e affrontando il mostro malvagio. Sarah sorrise e si mise a correre quando sua sorella l'avvertì del pericolo mortale in cui si trovava, ma in silenzio. Sempre in silenzio. Jareth osservò Rebecca che in quel momento aveva un'aria allegra. Sembrava avere superato la perdita dei suoi genitori senza problemi, tranne per gli incubi notturni. Gli avevano riferito che quasi ogni notte nelle ore che precedevano l'alba la piccola si ritrovava a singhiozzare sospesa tra il sonno e la veglia e le sue grida erano così strazianti da far sciogliere in lacrime gli affezionati servitori. L'unica che riusciva a tranquillizzarla, e non senza sforzo, era proprio la signorina Chloe. Jareth corrugò la fronte e tornò a concentrarsi sulla giovane donna che si stava comportando in modo alquanto indecoroso emettendo suoni che non avevano niente di umano e sollevando le gonne fin quasi alle ginocchia. «Un comportamento deplorevole. Non sei d'accordo anche tu?» chiese una voce raffinata alle sue spalle. Jareth annuì. La bambinaia aveva appena gettato Rebecca a terra e mentre si rotolavano tra l'erba sollevavano zolle di fango. Grosse macchie scure comparvero sui loro vestiti. «Abominevole» disse sua madre. «Non c'è modo di mandarla via?» chiese Jareth. Tutto questo era davvero ridicolo. Stavano facendo capriole proprio come monelli di strada! «Il dottore ha detto che è assolutamente fuori discussione. Entrambe le bambine sono ancora emotivamente molto fragili e teme che non sopporterebbero di perdere anche lei. Hanno riversato tutto il loro affetto 8
sulla signorina Chloe. Separarla dalle piccole dopo la morte dei loro...» La duchessa ebbe una impercettibile esitazione, ma per suo figlio che non aveva mai sentito la voce della madre vacillare durante tutta quella tragedia equivaleva a vederla sciogliersi in lacrime. Rimase impassibile sapendo che non sarebbe stato appropriato mostrarle che aveva notato il suo turbamento. Quando tornò a parlare, il suo tono era fermo come sempre. «Un tale evento dopo la perdita dei loro genitori potrebbe essere devastante.» «Qualcuno le ha parlato?» «Io l'ho fatto in numerose occasioni.» Un lungo sospiro accompagnò le sue parole. «Lei però si rifiuta di seguire le mie istruzioni e non si fa scrupolo di palesarlo. Mi ha detto che le bambine hanno bisogno di gioia nelle loro vite e che convenienza e convenzioni devono passare in secondo piano in questo periodo che ha definito di cura.» Jareth espresse la sua disapprovazione sbuffando. «Anch'io la penso come te, Strathmere.» Era strano con quanta facilità sua madre ora lo chiamasse usando il suo titolo, senza avere l'aria di rammentare che solo poco tempo prima era un altro figlio ad avere quel titolo, un figlio ormai morto. Adesso lui era Strathmere, anche per sua madre. Ogni cosa era cambiata in modo irrevocabile, persino quel legame primordiale con la donna che lo aveva partorito trentun anni prima. «Spero che tu riesca a essere più energico con lei» continuò la duchessa. «Siatene certa» rispose lui con profonda convinzione. Notò che la signorina Pesserat si era caricata Rebecca sulla schiena e stava galoppando sul prato come un cavallo imbizzarrito. «Una vera vergogna.» Dal suo tono non fu difficile 9
per Jareth immaginare il suo labbro che si piegava in una smorfia di disprezzo. In quel momento, gli occhi dell'oggetto della sua disapprovazione incontrarono i suoi attraverso la finestra aperta. Lei si fermò e per un istante l'ampio sorriso le si gelò sul viso prima di scomparire. Ignara del cambiamento avvenuto, Rebecca la spronò a continuare. A vederla così, sembrava del tutto normale, si disse Jareth. Irremovibile sotto il suo sguardo, era una ragazza comune, forse anche carina, con gli occhi grigioazzurri dal taglio particolare, il naso all'insù e l'ampia bocca mutevole. Le ciocche scure dei capelli sfuggite al nodo sulla nuca le incorniciavano il viso. Non era bella, ma aveva un qualcosa che indusse l'uomo a soffermarsi a guardarla. Lei abbassò le gonne e raddrizzandosi afferrò Rebecca che scivolò a terra borbottando la sua disapprovazione per la fine del loro gioco. «So che sei arrivato appena ieri» gli sussurrò la madre all'orecchio. «Ma voglio che le parli il prima possibile. Più tardi arriveranno degli ospiti e sarebbe impensabile che assistano a qualcosa di simile a quello che abbiamo appena visto. Ricordi i Rathford? Hai conosciuto Lord e Lady Rathford e la loro deliziosa figlia Helena l'ultima volta che sei venuto qui in visita.» «Sì» si limitò a rispondere lui senza distogliere lo sguardo dalla ragazza. La signorina Pesserat, la cugina di sua cognata che era venuta dalla Francia per prendersi cura di Sarah e Rebecca, stava dando degli ordini alle bambine con la sua voce dall'accento affascinante mentre raccoglieva la coperta e se la metteva sotto un braccio senza piegarla. Rebecca, a quanto pareva, non voleva saperne di rientrare. La signorina Pesserat bloccò le sue proteste in 10
tono deciso e finalmente la piccola si diresse con fare recalcitrante verso la casa. Quanto a Sarah, la signorina Pesserat dovette semplicemente limitarsi ad allungare una mano perché la bambina l'afferrasse. Jareth provò una stretta al cuore al pensiero di quanto fosse cambiato quello spirito vivace dalla sua ultima visita, solo sette mesi prima. «Comportati con fermezza» lo incalzò la madre. Lui udì il caratteristico fruscio del suo abito mentre la duchessa si dirigeva verso la porta. «Ma non essere scortese» aggiunse in tono sostenuto prima di uscire. «Le bambine hanno bisogno di lei. Noi abbiamo bisogno di lei, che il Signore ci aiuti.» La signorina Pesserat e le piccole scomparvero dietro l'angolo, presumibilmente per entrare dalle cucine. La duchessa era uscita. Il sommesso scatto della porta che si chiudeva gli disse che era rimasto solo. Jareth Hunt chinò la testa e sentì una profonda debolezza assalire ogni centimetro del suo corpo. Chloe riuscì a mettere a letto le bambine per un sonnellino, ma non fu un'impresa semplice. Aveva dovuto promettere a Rebecca che, quando si fosse svegliata, ad attenderla ci sarebbero stati i suoi biscotti preferiti, ma quello non era un problema. La cuoca le faceva sempre dei piccoli favori. Era francese come lei e, nonostante le due non si conoscessero prima di arrivare a Strathmere, la donna considerava Chloe una di famiglia. Canticchiando sottovoce, Chloe si avvicinò al letto di Sarah. La bambina stringeva al petto il suo orsacchiotto ormai spelacchiato. Gli mancava l'occhio sinistro e di tanto in tanto bisognava ricucirlo. Chloe accarezzò i capelli chiarissimi della piccola 11
sorridendo. «Il buon vecchio Samuel veglierà sui tuoi sogni.» Samuel era il nome dell'orsacchiotto. Lei aveva sempre pensato che fosse troppo solenne per un amico tanto caro e fedele, ma si chiamava così già da prima che lei arrivasse a prendersi cura delle bambine di sua cugina Bethany e tale era rimasto. Cullata dalla sua dolce voce e dalle tenere carezze, Sarah si addormentò subito. Chloe andò a controllare Rebecca. La bambina dormiva a bocca spalancata e russava debolmente. Guardandola, lei provò una stretta al cuore. In qualche modo le sue cicatrici erano più profonde di quelle della sorella. Chloe conosceva bene gli orrori che la piccola teneva sepolti dentro di sé. Chiuse gli occhi per trattenere le lacrime. Carissima Bethany, mi prenderò cura di loro. Farò superare a tutte e due questo terribile momento. Confido nel fatto che il tuo amore mi aiuterà e mi mostrerà il modo migliore per farlo, cugina. Una giovane cameriera di nome Mary comparve sulla porta. Annuì quando Chloe si mise un dito sulle labbra. In silenzio Mary le porse una lettera. «Grazie» rispose lei con un sussurro avvicinandosi per prenderla. La cameriera la seguì mentre usciva dalla stanza delle bambine e attraversava quella dei giochi per dirigersi nella sua piccola camera. La missiva era da parte di suo padre. Chloe ne riconobbe immediatamente la grafia. Quanto amava le sue lunghe e particolareggiate lettere, piene di notizie della sua famiglia. Come le mancavano tutti. Desiderava tornare a casa, a quella vita serena e tranquilla nella valle della Loira, circondata da persone che la conoscevano dalla nascita e senza nessuno che la guardasse accigliato con aria di disapprovazione per il solo fatto che rideva troppo forte. 12
«E Sua Grazia desidera vedervi nel suo studio quando avrete finito con le bambine» aggiunse Mary in tono sommesso. Chloe sollevò la testa di scatto. Sapeva che era solo questione di tempo prima che fosse chiamata a comparire davanti al nuovo duca. Lo aveva visto in due occasioni. La prima volta era stato il giorno precedente, quando era arrivato. Non era venuto al funerale del fratello poiché si trovava all'estero e la sua ultima visita risaliva a un mese prima che lei arrivasse a Strathmere. Lo aveva osservato dalla finestra mentre scendeva da una carrozza chiusa di color nero, come voleva la moda. Alto, elegante, vestito in modo impeccabile con la marsina, i pantaloni con la piega e la camicia bianca inamidata, rappresentava l'immagine che un duca avrebbe dovuto avere. Tranne per i capelli castano scuro. Quella chioma l'aveva sorpresa perché le ciocche si arricciavano libere attorno al collo. Naturalmente erano pettinate, ma c'era in loro qualcosa di indomito. Allo stesso modo si indovinava uno sguardo appassionato nei suoi grandi occhi nocciola, aveva scoperto Chloe quando lo aveva visto la seconda volta, mentre la stava osservando dalla finestra della biblioteca. Non temeva il confronto che avrebbe avuto con lui, ma non si poteva nemmeno dire che fosse entusiasta di incontrarlo. Era stanca di combattere contro la disapprovazione della potente famiglia Hunt solo per avere il privilegio di essere se stessa. Guardò la lettera che teneva in mano e provò un'immensa nostalgia di casa. Raddrizzando le spalle posò la busta sul comodino, decisa a leggerla più tardi. «Riferisci che scenderò subito» disse a Mary. «Il tempo di mettermi in ordine.» Impiegò solo pochi minuti per cambiarsi d'abito e 13
per indossare un grazioso vestito di mussola e raccogliere i capelli in un semplice nodo. Naturalmente il risultato non fu strepitoso. Non aveva particolare talento per le acconciature, probabilmente perché non possedeva il dono della pazienza. Scrutò nel piccolo specchio e vide riflessa l'immagine di una ragazza carina con la pelle splendente e due grandi occhi di una insolita sfumatura di azzurro striato di grigio. Suo padre le aveva sempre detto che i suoi occhi assomigliavano a un mare in tempesta. A lei piaceva quell'immagine. Anche il suo naso minuscolo era grazioso e ben proporzionato. La sua bocca era larga con grandi labbra piene e la tendenza a piegarsi in un sorriso contagioso. Di sicuro era una fanciulla graziosa, ma non una vera bellezza e questo non le dispiaceva per niente. Le donne veramente belle come sua cugina Bethany avevano troppe responsabilità nel soddisfare le aspettative degli altri o nel giustificarsi se il loro aspetto non era sempre impeccabile. Bethany aveva speso moltissime energie cercando di convincere tutti che, pur essendo bella, era comunque una persona onesta e perbene. Lisciandosi un'ultima volta i capelli, Chloe scese in biblioteca. Si fermò sulla soglia della stanza che era ora dominio del nuovo duca e fece un profondo respiro. La duchessa madre voleva mandarla via, questo lo sapeva già, e forse il duca condivideva la sua opinione. L'ironia era che anche lei desiderava andarsene, ma non poteva farlo per due buone ragioni. Una si chiamava Rebecca e l'altra Sarah. Bussò alla porta con aria svogliata ed entrò.
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