Raye Morgan
Non dirmi di no!
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Marriage for Her Baby Harlequin Mills & Boon Romance © 2013 Helen Conrad Traduzione di Daniela Alidori Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Serie Jolly aprile 2014 Questo volume è stato stampato nel marzo 2014 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY SERIE JOLLY ISSN 1122 - 5390 Periodico settimanale n. 2552 del 15/04/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 56 del 13/02/1982 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Sara Darling stava raccogliendo donazioni per la Fondazione Sunshine che si occupava di bambini, ma non era facile perché erano le ultime settimane estive e quasi tutti i vicini erano in vacanza. Faceva incredibilmente caldo quel giorno e i gradini dei villini sembravano più alti del solito. Salire quelle scale, bussare alle porte e scendere senza ricevere risposta era demoralizzante. Le uniche persone che aprivano erano affittuari a cui non interessava devolvere denaro a un'associazione locale. «Altro che raccogliere» borbottò tra sé mentre gocce di sudore le scendevano lungo la schiena. «Sarebbe più giusto definirlo "supplicare".» Ogni anno si lasciava convincere da sua sorella, Jill, e ogni volta si riprometteva che sarebbe stata l'ultima. Mentre passava davanti alla sua casetta, sorrise. Ultimamente, non ci aveva abitato perché erano in corso dei lavori di ristrutturazione. Per fortuna, erano quasi finiti e lei non vedeva l'ora di trasferirsi lì con la sua bambina. L'ultima casa sulla tabella di marcia era quella accanto alla sua. I proprietari erano in viaggio in Europa, ma l'avevano affittata a dei vacanzieri. 5
Guardò la porta rossa e sospirò, mentre affrontava la scala che dalla spiaggia portava sul portico. In realtà, era stanca e desiderava solo tornare da Savannah. Bussò. Nessuna risposta. Oh, bene. Si accinse a voltarsi, ma un rumore proveniente dall'interno la spinse a fermarsi. Cos'era stato? Una sirena? Un allarme? O l'inquilino che suonava una strana musica? Qualunque cosa fosse, non erano affari suoi. Si girò di nuovo, ma di colpo la porta si spalancò, come se qualcuno le avesse dato uno strattone da dentro e Sara si ritrovò a fissare un paio di gelidi occhi azzurri incorniciati da sopracciglia folte e minacciose. «Sì?» chiese l'uomo in tono impaziente. Inspiegabilmente, Sara arrossì e per un momento non riuscì a ricordare il motivo della visita. «Io... ehm...» Forse, perché era così bello. O, forse, perché aveva un'aria tanto feroce. O per il torace nudo e muscoloso, e il modo in cui i jeans erano appesi ai fianchi. Qualunque fosse la causa, aveva la mente completamente vuota. «Ehi, sei una donna» esclamò il tizio come se fosse una specie di rivelazione. Lei accennò un sorriso. «Così sembra» rispose cercando di suonare leggera, tentativo che fallì miseramente. Il tipo si accigliò ancora di più. «Mi serve una donna. Forse, puoi aiutarmi. Vieni.» E sporgendosi la afferrò per un polso e la tirò dentro chiudendo la porta con un colpo. 6
«Aspetti un attimo!» «Nessun attimo. Sta per scoppiare l'inferno. Vieni. In fretta.» In effetti, c'era un rumore insopportabile che proveniva dalla stanza verso cui si stavano dirigendo. La curiosità era forte, e fu ricompensata. Quando lui aprì le doppie porte, Sara pensò che gli elementi si fossero scatenati tutti insieme. Qualcosa stava roteando e sbatteva contro il muro. Del cibo sfrigolava sui fuochi mentre dense volute di vapore uscivano dalla lavastoviglie. Un gatto si era arrampicato sulla zanzariera e miagolava disperato perché voleva uscire. La porta del frigorifero era aperta e creava un noioso ronzio di sottofondo. Nel frattempo, lattine di soda stavano rotolando lentamente sul pavimento. Di tanto in tanto, una si apriva e rovesciava per terra il liquido gassato. Una nube di fumo nero si levava dal tostapane e un acre odore di pane bruciato aleggiava nell'aria. «Vedi a cosa mi riferivo?» urlò l'uomo per superare il frastuono. «Da dove comincio?» Qualunque cosa stesse friggendo sulla stufa di colpo scoppiò, creando alte fiamme arancioni che si innalzarono verso il soffitto. Sara sussultò. L'inferno doveva essere molto simile. A fatica, trattenne un urlo di orrore. Non era il momento di arrendersi al panico. Doveva mantenere il controllo. Ma lei non era perfetta. «Oh, santo cielo... cos'ha fatto?» strillò sapendo che non ci sarebbe stata nessuna risposta. «È impazzito?» Lui allargò le mani e scosse la testa. «Aiuto!» disse. 7
Lei lo guardò. Stava davvero aspettando che gli dicesse cosa fare. Deglutì e si impose di ragionare. Le situazioni, prese una alla volta, erano tutte risolvibili. Dannazione, poteva farcela. Doveva solo assumere il comando. Perché no? Il tizio era incapace di agire e attendeva ordini. Lei gli prese un braccio. «Okay» urlò forte per farsi sentire oltre il frastuono. «Spegni la lavastoviglie. Io mi occuperò del fuoco.» Lui si girò. Le fiamme diventavano sempre più alte. «Davvero, tu?» disse scettico. Sara non perse altro tempo. Il coperchio della pentola era caduto sul pavimento. Si chinò a raccoglierlo, inspirò profondamente e lo buttò sulla padella, coprendo le fiamme che senza ossigeno soffocarono. Poi, girò la manopola del gas e si concesse un profondo sospiro di sollievo. «Ehi» esclamò lui, stupefatto. «La lavastoviglie» gli rammentò indicandola con la testa. Di lì a poco avrebbero nuotato nella schiuma se non la bloccava, col rischio di scivolare e farsi male. «Giusto» convenne il tizio mentre lei puntava verso l'angolo della cucina dove la lavatrice stava centrifugando, ma non essendo in equilibrio, vibrava con un rumore sinistro. Mostrando una padronanza che non sapeva di possedere, con decisione Sara staccò la spina e immediatamente la macchina cominciò a rallentare. «Come faccio a fermare quest'affare?» le stava urlando fissando i pulsanti sulla lavastoviglie. Senza esitare, si precipitò al suo fianco e premette lo stop. Poi, passando accanto al frigorifero, af8
ferrò la volo le ultime due lattine prima che si sfracellassero per terra, le posò sullo scaffale e chiuse lo sportello. Il ronzio cessò. Ma non era ancora finita. Il fumo nero che era uscito dal tostapane aveva attivato l'allarme antincendio che stava urlando, "Evacuare! Evacuare! C'è un incendio in cantina. Evacuare!" Sara lo guardò in cerca di una spiegazione e lui scosse la testa. «Non c'è nessuna cantina» la rassicurò. «Il congegno è impazzito.» «Come si fa a farlo tacere?» gli chiese sapendo che doveva esserci un modo, anche se era sicura, che lui non se lo ricordasse. «Non so.» Sara esitò. L'allarme era troppo in alto e non poteva agitare uno straccio per dissipare i fumi e creare aria, come era solita fare a casa sua. Eppure, bisognava zittirlo. Si guardò intorno e scorse una scopa. La prese e gliela mise in mano. «Uccidilo» gli ordinò. Lui fu tentato di mettersi a ridere. «Stai scherzando?» Lei scosse la testa. «Tu sei più alto. Dagli un colpo con la scopa. Dovrebbe funzionare. Altrimenti, hai una pistola?» Quella volta scoppiò in una fragorosa risata, ma obbedì e colpì il dispositivo che smise di ululare. «Oh, mio Dio» mormorò lei appoggiandosi al bancone. «Che sollievo.» «Quasi finito» disse lui voltandosi verso il gatto che era ancora aggrappato sulla zanzariera e miagolava con tutto il fiato che aveva nei polmoni. «È tuo il gatto?» gli chiese Sara guardando quel9
la povera bestiola letteralmente terrorizzata. Lui scosse la testa. «Mai visto prima. Dev'essersi nascosto qui quand'è cominciato il trambusto.» Lei annuì. Era verosimile. L'aveva visto spesso aggirarsi nei paraggi. «Okay. Dovrai aiutarmi. Questa sarà una partita a due.» Lui fece segno di sì con la testa. «Dimmi solo cosa devo fare.» Sara lo guardò negli occhi aspettandosi una vena di ironia. Sembrava il genere di uomo pronto a mollarla da sola, adesso che la faccenda era quasi sistemata. Invece, no. I suoi occhi erano limpidi e sinceri. Stava davvero aspettando i suoi ordini. Per qualche strana ragione, quello le fece accelerare i battiti. Scrutò la stanza. «Ci servirà una salvietta.» Lui si girò e ne afferrò una dal cesto della biancheria sporca di fronte alla lavanderia. Gliela porse e lei si voltò verso il gatto. L'unico modo con cui era mai riuscita a catturare il suo gatto, quando ne aveva avuto uno, per portarlo dal veterinario, era stato avvolgerlo in una morsa così stretta da nascondere gli artigli. Ma quello era un randagio e probabilmente era abituato a difendersi dagli attacchi di altri animali. Sperava solo di non finire in una pozza di sangue. «Okay. Io lo prendo, tu tieni aperta la porta. Pronto?» Trasse un profondo respiro, mormorò una preghiera e si allungò verso il gatto. La bestia la vide avvicinarsi e lanciò un miagolio ancora più acuto. Senza lasciarsi intimorire, Sara gli lanciò addos10
so la salvietta e lo abbracciò sollevandolo leggermente per fargli rientrare le unghie senza che si strappassero dentro le maglie della zanzariera. In qualche modo funzionò. Il gatto lottò per divincolarsi, ma lei lo tenne e in fretta lo portò verso la porta aperta. Una volta sul portico, non riuscì a deporlo per terra gentilmente come avrebbe voluto. Il poverino si lanciò giù e sparì in un batter d'occhio. Quando Sara si girò, col respiro ansante per lo sforzo, vide l'uomo che la fissava con ammirazione. «Wow» esclamò. «Sei incredibile.» Sara capì che non stava scherzando. In effetti, se l'era cavata piuttosto bene. Aveva mantenuto il controllo e si era mossa con una determinazione che la rendeva orgogliosa. Per quanto riguardava lui... cosa diavolo era successo, comunque? Scosse la testa. «Come hai fatto a sbagliare tante cose insieme?» gli domandò ancora sconcertata dal dramma cui aveva appena assistito. Lui le rivolse un mezzo sorriso che non raggiunse gli occhi. «Sbalorditivo, vero? Non lo so. Ultimamente, temo di avere una propensione per gli insuccessi.» «Ne dubito.» Rifiutò quella spiegazione. Aveva l'aria di uno che faceva quasi tutto giusto. Solo, quel giorno le cose gli erano sfuggite di mano. Erano in piedi nel cortile sul retro e nessuno dei due pareva disposto a tornare in cucina. Lei rabbrividì al solo pensiero. «Davvero» ribadì lui. «Ho passato la maggior parte della mia vita in stanze di albergo o tende. 11
Non sono abituato alla cosiddetta civiltà.» Per un attimo, Sara fu tentata di ridergli in faccia, ma lui non stava sorridendo. «Non sarai cresciuto in una caverna?» obiettò. «No.» La fissò con quegli incredibili occhi azzurri. «Somigliava più a una baracca. E dopo la morte di mia madre, mio padre ha smesso di vivere come la gente normale. Cacciava, pescava e ci cibavamo di quello che prendeva. In città ci chiamavano I Selvaggi. All'epoca, io mi offendevo, ma ora, col senno di poi, capisco che avevano ragione.» Lei non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle pozze blu. Era ipnotizzata. Deliberatamente, indietreggiò di un passo mettendo dello spazio tra loro, per uscire dalla sua sfera magica. Non bastò e si ritrovò a sistemarsi i lunghi capelli biondi come una scolaretta al primo appuntamento. Accidenti! No, non era nello stato d'animo di civettare con uno sconosciuto. Interruppe il contatto visivo e scosse la testa. «Avrai un bel po' da pulire lì dentro» gli fece notare. «Non io» rispose lui deciso. Lei aggrottò la fronte. «Non puoi lasciare quel macello. Prima o poi dovrai sistemare.» «Mi prendi in giro?» Il suo sorriso fu una rivelazione. «Non intendo rientrare in quel caos. Affitterò una nuova casa e ricomincerò da capo, forte di tutto quello che ho imparato da te.» Le ci volle un momento per capire che stava scherzando. Scosse la testa, non sapendo cosa fare. Era alto e forte, con un corpo che sembrava scol12
pito nel marmo. Le ricordava un dio greco, con un viso che non aveva nulla da invidiare a quello di un attore. I lineamenti erano regolari, ma non femminei. Gli occhi, con le folte ciglia scure, avevano un'espressione languida. Molto accattivante. Ma lo sguardo era freddo e anche un po' inquietante, totalmente privo di calore. «Ho una proposta» esordì lui con un sopracciglio inarcato. «Andiamo al bar all'angolo. Ti offro un caffè.» Quell'invito la colse di sorpresa. Aveva rinunciato agli uomini tanto tempo prima. Il gioco non valeva la candela. Aveva altre cose nella vita, molto più importanti. Inoltre, quel tipo era sì un vicino di casa, ma era soprattutto uno sconosciuto. Perciò, pensò a una scusa per ritirarsi senza offenderlo. «Oh, non so. Devo...» «Dai.» La toccò. Un tocco veloce, di passaggio. Probabilmente, non si era nemmeno accorto delle dita che le avevano sfiorato il braccio. Ma lei, sì. E sentì una scossa che si riverberò in tutto il corpo. «Te lo devo. Mi hai appena fatto un favore.» «Be'...» Stava cedendo. Una parte di lei era seccata. Cosa diavolo pensava di fare? Ma, un'occhiata all'orologio le disse che aveva tutto il tempo. La bambina stava facendo il sonnellino pomeridiano a casa di sua sorella e probabilmente avrebbe dormito ancora per una mezz'ora. Così... perché no? «Solo un caffè» concesse. «Bene.» Le tese la mano. «Sono Jake Martin. E immagino che tu ti chiami Jill.» «Oh, no.» Scosse la testa, chiedendosi come fosse giunto al nome di sua sorella, poi si rese conto 13
che si era messa il grembiule di Jill per fare la colletta e che il nome "Jill" era ricamato in rosso sopra la tasca. «No, in verità...» «Forza, Jill, andiamo» la esortò lui prendendole la mano. Il suo cuore sembrò fare una giravolta dentro al petto. Guardò quel torace nudo e muscoloso e suo malgrado arrossì. «Se fossi in te mi metterei una camicia» suggerì, col fiato corto. «Oh.» Lui si fermò di colpo. «Ehi, scusa. Hai ragione, sono un po' troppo informale. Prendo subito qualcosa.» Si girò per farlo e lei trattenne il respiro mentre notava la ragnatela di cicatrici rosso porpora che gli attraversava la schiena. Finse di non averle viste mentre si infilava una maglietta blu e insieme si avviavano verso il bar all'angolo. «Mi piace tanto qui» le disse guardando la distesa blu dell'oceano che circondava l'isola di fronte a Seattle. Anche a lei piaceva. Anzi, aveva intenzione di passarci tanto tempo, una volta finita la ristrutturazione della cameretta di Savannah, la sua bimba di nove mesi. Un gruppo di gabbiani volò sopra le loro teste lanciando delle urla stridule, mentre giù all'imbarcadero stava attraccando il traghetto che riportava indietro i pendolari che andavano a lavorare a Seattle. Sì, era lì che voleva abitare. «Peccato che non possa rimanerci» osservò Jake con aria di rimpianto. «Dove andrai a vivere?» si informò Sara, non per 14
curiosità ma solo per fare conversazione. Lui esitò. «Non lo so» rispose. «Non ho ancora avuto tempo di pensarci. Ma sicuramente da qualche altra parte.» Aveva un sorriso strano mentre parlava e Sara si domandò perché. Si sedettero in un tavolino appartato, uno di fronte all'altra. Sara non aveva fame, ma prese il menu e cominciò a scorrerlo, solo per darsi un tono. «Hai detto che ultimamente hai vissuto in tenda» gli rammentò senza alzare gli occhi dalla carta. «Perché?» «Prestavo servizio nell'esercito» rispose in fretta, come se non avesse voglia di parlarne. «Non era difficile da indovinare» mormorò lei continuando a leggere il menu. «Da cosa l'hai capito?» le chiese stupito. Sara si strinse nelle spalle. «Hai un atteggiamento da militare» spiegò. In effetti, ce l'aveva scritto in fronte. Era il classico tipo che rifiutava i legami. Poveretta la donna che si innamorava di uno così. Significava solo guai. «Tè freddo» ordinò alla cameriera, in piedi con un taccuino in mano. «Caffè nero per me» disse lui. «E due fette di torta di ciliegie.» «Devi essere molto affamato» commentò lei. «No. Ma vedo che lo sei tu» ribatté lui. Poi sorrise e quello tolse tutta l'acredine. «Ti piacerà la torta di qui. Fidati.» Fidarsi di quel tizio. Al riguardo Sara nutriva qualche perplessità. Però, l'uomo aveva ragione. La 15
torta era deliziosa. Si guardò intorno nel ristorante stupita che non ci fosse nessuno che conosceva. Solo la ragazza dietro il bancone sembrava un viso familiare. In effetti, non si era fatta molti amici da quando si era trasferita nell'isola ed essendo un tipo riservato, non era abituata a parlare con gli estranei. Preferiva tenere per sé le proprie cose. Tra cui una di cui pochi erano a conoscenza. Non si era mai innamorata. Aveva avuto delle relazioni e una volta era stata anche fidanzata. Ma si era sempre sentita un po' distaccata, come se non riuscisse a farsi coinvolgere dai sentimenti. Il fidanzamento era stato il momento più alto di partecipazione. Freddy le piaceva. Era divertente e di buon carattere e amavano le stesse cose. Per un attimo era anche riuscita a immaginare la vita che avrebbero condotto insieme e che non era diversa da quella che aveva sempre sognato. Tutto combaciava. Perché non sposarlo e sperare che funzionasse? Il fingere di essere innamorata era diventato un'ossessione per lei. Si era sforzata tanto. Ma quando lui la abbracciava, spesso si ritrovava ad allungare il collo per vedere che ore erano. E quando la baciava, non c'erano scintille. Si era detta di non essere infantile. Chi diavolo aveva bisogno delle scintille? E poi aveva capito... lei ne aveva bisogno. Era chiedere troppo? Quando si erano separati, si era convinta di non avere le qualità per portare avanti un rapporto amoroso e si era rassegnata a concentrarsi solo sulla carriera. 16
Nel frattempo, aveva divorato metà della sua porzione di torta e stava cercando di decidere se dovesse finire anche il resto. Era terribilmente buona, ma quante calorie! Era sempre stata magra e slanciata e si sforzava di mantenersi così, anche a costo di qualche sacrificio. Spingendo il piatto di lato, guardò verso Jake. «Mi stavi raccontando che vivevi in tenda» gli rammentò, «e poi ti sei seccato quando ti ho detto che avevo intuito che eri un militare.» Lui le rivolse un'occhiata stupita, ma accettò di riprendere l'argomento. «Negli ultimi due anni, sono stato mandato nel sud est asiatico» spiegò. «Siamo sopravvissuti cibandoci di radici di taro e dei prodotti della terra.» Sara fece una smorfia. Non sapeva se credergli o no, ma il lampo divertito nei suoi occhi era una sfida che non si lasciò scappare. «Non vi davano razioni doppie di vitamina C?» gli chiese, compiaciuta con se stessa per l'ironia. Jake si appoggiò allo schienale e la osservò attraverso le fitte ciglia. «No, perché lavoravo sotto copertura.» Di colpo, si incupì e i suoi occhi divennero grigi come il mare in burrasca. «Negli ultimi mesi sono stato tenuto prigioniero in un campo di terroristi. E credimi, ringraziavamo il cielo di avere le radici di taro in alternativa agli insetti viscidi e disgustosi.» Sara lo fissò, incerta se stesse scherzando o no. Sembrava terribilmente serio. Decise di stare al gioco e di non farsi intimidire. «Così è per quello che ti sei dimenticato come si vive da persona civilizzata?» 17
Lui annuì. «Quando sono tornato alla civiltà, ho pensato di provare tutti gli elettrodomestici che non avevo mai usato prima.» Si concesse un sorriso di disapprovazione. «Ero convinto che sperimentandoli tutti insieme avrei imparato più velocemente. Come hai potuto constatare, è stato un fallimento.» «Okay» gli concesse. «Ti consiglio di ricominciare da capo, uno per volta, finché non li maneggerai con padronanza.» Lui stava scuotendo la testa. «Non ho tempo» disse. «Devo impratichirmi in fretta. Mi serviranno molto presto. Per una faccenda importante.» Incuriosita, Sara attese, ma lui non le diede spiegazioni. Non riusciva a immaginare a cosa si riferisse, ma era evidente che si stava interessando sempre di più alle vicende di quel Jake Martin. Per la prima volta in anni, aveva incontrato un uomo che non solo le faceva accelerare i battiti, ma le suscitava pensieri bollenti. Peggio, era tentata di trovare un appiglio per chiedergli di restare fuori a cena. Forse, aveva la scusa perfetta. La sua casa era praticamente esplosa quel pomeriggio e la cucina non era agibile. Quindi, perché non invitarlo a mangiare da sua sorella? Sorrise soddisfatta e attese il momento giusto. Ma nel frattempo, c'era la questione di quella cosa importante che lo spingeva a fare pratica su come si usano gli elettrodomestici. «Devo indovinare di cosa si tratta?» azzardò. Ormai, stava flirtando spudoratamente. Aveva dimenticato com'era divertente quella piccola scossa elettrica quando gli occhi si incontravano, la fit18
ta di eccitazione nel petto. Si morse il labbro inferiore e attese la risposta. «Scusa se sono così reticente» si difese lui, gli occhi che sprizzavano scintille. «Ma ho dei validi motivi.» «Puoi dirmi tutto» lo esortò lei. «Sono una tomba.» Lui esitò, guardandola come se cercasse di decidere se poteva fidarsi. Sara sorrise, tentando di apparire affidabile. «Okay.» Si sporse in avanti per parlare in modo più confidenziale. «Sto per diventare padre. E devo imparare a prendermi cura della mia bambina il più in fretta possibile.»
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2550 - Cercasi principessa
di T. Carpenter Amanda Carn è ancora incredula. Lei la figlia perduta del re di Pasadonia? Pare proprio di sì, e il capitano delle guardie reali, l'affascinante Xavier LeDuc, pare confermare la cosa. Che cosa faccio ora? Io non mi sento una principessa!
2551 - In Grecia con il capo
di N. Harrington Lexi non può lavorare per l'uomo che ha malmenato suo padre, l'affascinante e ricchissimo Mark Belmont. Lei ha bisogno di soldi e rescindere il contratto ora sarebbe un danno enorme per le sue già magre finanze. Lexi è solo lavoro, poi ognuno andrà per la propria strada.
2552 - Non dirmi di no!
di R. Morgan Sara Darling è al settimo cielo, essere mamma è la cosa più bella e gratificante che abbia mai provato. Le cose belle, però, non durano per sempre: Jake Martin, il padre biologico di Savannah, è tornato. Che cosa vorrà da loro? Le SORELLE DARLING: quando essere mamme single è un piacere.
2553 - Poi sei arrivato tu
di A. Weaver Per Lainey Keeler è un periodo no: prima il divorzio, ora una gravidanza non prevista da affrontare da sola. Unica consolazione la sua attività di volontaria che le ha fatto conoscere una simpatica vecchietta e il suo attraente nipote, Ben Lawless. Ora deve trovare il modo di dirgli che è incinta...
dal 6 maggio 2554 - Un milionario tutto da scoprire
di S. Jump "Mi chiamo Jack Night." Marnie Franklin non crede alle proprie orecchie; l'unico uomo che non avrebbe mai voluto incontrare, ora è lì davanti a lei ed è affascinante, gentile, ironico, galante... E Marnie che lo immaginava cinico e snob... E adesso che cosa faccio?!
2555 - Siamo solo amici?
di C. Colter Lucy sta per rivedere Mac, l'uomo che sette anni prima le ha rubato il cuore. All'epoca erano molto amici, poi un amore struggente e impossibile aveva cambiato tutto. Ora Lucy è cresciuta ed è sicura che non ricadrà più nella rete di Mac. Amici, siamo solo amici.
2556 - La consulente vuole me
di J. Braun Alec McAvoy sa di essersi cacciato in guai molto seri, ma non accetterà mai e poi mai di essere affiancato da una consulente d'immagine, per quanto molto affascinante come Julia Stillwell. Io non ho bisogno di una balia!
2557 - Quando gli opposti si amano
di K Hardy Emmy non può ancora crederci: lei e quello stakanovista, soffocante di Dylan saranno i tutori del piccolo Tyler. La convivenza non potrà che essere impossibile. Come si fa a mettere insieme il diavolo e l'acqua santa?
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