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Joss Wood
Scoop al primo sguardo
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: If You Can't Stand the Heat... Harlequin Mills & Boon Modern Heat © 2013 Joss Wood Traduzione di Carlotta Picasso Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Serie Jolly ottobre 2015 Questo volume è stato stampato nel settembre 2015 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY SERIE JOLLY ISSN 1122 - 5390 Periodico settimanale n. 2625 del 27/10/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 56 del 13/02/1982 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
1 Ellie Evens sorrise, riconoscendo la voce squillante della sua migliore amica. «Pronto? El?» «Ciao Merri! Come sta la nostra Principessa?» s'informò subito, spostando una pila di fatture da un punto all'altro della scrivania. La Principessa a cui si riferiva Ellie era Molly Blue, la sua figlioccia di appena sei mesi, che le aveva rapito completamente il cuore nel momento stesso in cui era nata. Merri cominciò un lungo monologo sui suoi impegni di neo-mamma, descrivendo la sua giornata nei minimi dettagli finché udì l'amica sbadigliare. «Scusa... come al solito il mio sproloquio finisce per annoiarti, ma almeno le altre volte fingevi un certo interesse!» la punzecchiò. L'amica che El ricordava, uno spirito libero e indipendente, che adorava andare alle feste, indossare abiti alla moda e tacchi alti, era diventata mamma a tempo pieno e lei doveva abituarsi all'idea che le sue priorità erano cambiate. Per Merri adesso contava solo la figlia. «Coraggio. Che cosa ti succede?» le domandò. Si conoscevano da quando erano adolescenti e Merri sa5
peva intuire lo stato d'animo dell'amica dalla semplice intonazione della voce. Seduta nel minuscolo ufficio situato al secondo piano della sua panetteria, Ellie si morsicò le labbra. Doveva assolutamente rivelare a Merri, sua collaboratrice oltre che amica, la notizia che le era appena giunta alle orecchie e che l'aveva gettata nel panico. Tirò un respiro profondo, poi parlò di getto. «I Khan hanno venduto l'edificio.» «Quale edificio?» «Questo! Il nostro... quello dove abbiamo la panetteria» farfugliò lei. «Tempo sei mesi, dobbiamo sgombrare.» Silenzio. «Perché?» «I proprietari hanno più di settant'anni e probabilmente avranno ricevuto una proposta interessante per la vendita dell'immobile. Questo spazio commerciale è il migliore che si possa trovare nel raggio di parecchi chilometri.» «Lo so. È proprio all'incrocio delle due strade principali della città e di fronte alla spiaggia più famosa di False Bay.» «Esatto.» Ellie guardò fuori dalla finestra la spiaggia bianca che si allungava nell'oceano, quel giorno particolarmente calmo. Erano trascorse ventiquattr'ore soltanto da quando aveva ricevuto la scioccante notizia della vendita del palazzo nel quale aveva sede da oltre quaranta anni la panetteria di famiglia. «Non potremmo stipulare un contratto di affitto con i nuovi proprietari?» «Purtroppo non è così semplice. La nuova proprietà vuole ristrutturare i locali, promuovere nuove atti6
vità commerciali e aumentare il canone. Noi non potremmo permettercelo. E la cosa più spaventosa è che Lucy...» «Chi? L'agente immobiliare?» «Sì... Mi ha riferito che questo spazio commerciale ha un grande valore e molti lo hanno già richiesto, dichiarandosi disposti a versare qualsiasi cifra. Dubito che riusciremo a tenere aperta la nostra panetteriacaffetteria-pasticceria» ammise El con tristezza. Dopo quarant'anni di attività a St James e a False Bay, il futuro della bottega Pari's era incerto e lei avrebbe dovuto escogitare una nuova strategia per sopravvivere. «Ne hai parlato con tua madre?» «Non ancora. È da dieci giorni che cerco di mettermi in contatto con lei per sapere come sta ma non riesco a rintracciarla. Si sarà rifugiata in qualche eremo, oppure si starà abbronzando sulle spiagge di Goa» rispose Ellie con voce stanca. Sono stata io a suggerirle di andare fuori per un anno per riposarsi, divertirsi e inseguire i suoi sogni. Come mi è venuto in mente? E sua madre aveva accolto la proposta con entusiasmo. Aveva preparato i bagagli e prenotato un biglietto aereo sotto lo sguardo sgomento della figlia. Ellie non avrebbe mai creduto la madre capace di lasciare la panetteria e lei... «El, so che questo non è il momento migliore per te, ma non posso più rimandare. Devo chiederti un favore enorme.» Lei aggrottò la fronte, allarmata dal tono serio dell'amica. «Puoi chiedermi tutto, a condizione che tornerai a lavorare lunedì.» Merri le era mancata moltissimo durante il suo congedo di maternità e aveva assoluto bisogno di lei, 7
ma il silenzio che seguì presagiva delle cattive notizie. «Merri, ti prego! Non abbandonarmi proprio adesso.» «Mia figlia ha bisogno di me» replicò l'altra con tono infelice. «Scusami, ma non sono ancora pronta per tornare a lavorare. Concedimi un altro mese. Molly è ancora troppo piccola e non me la sento di lasciarla a una baby-sitter. Devo stare con lei... Ti prego, dimmi che mi comprendi, Ellie.» Non ti ho rimpiazzato e ti ho tenuto il posto perché saresti tornata presto. Sei stata tu a chiedermi di non cercare una sostituta. So soltanto che sto lavorando troppo e che non ce la faccio più a mantenere questi ritmi convulsi e che i nostri clienti affezionati non fanno che chiedere di te... «Vuoi che ti conceda un altro mese?» replicò lei, strofinandosi la fronte con il dorso della mano. Che cosa poteva dirle? Merri non aveva necessità di lavorare, perciò se l'avesse obbligata a scegliere tra la panetteria e la sua bambina, avrebbe sicuramente scelto la figlia. Costringerla a tornare sarebbe stato inutile ed Ellie non aveva altre armi per persuaderla, se non fare appello alla loro lunga e inossidabile amicizia. Aveva resistito sei mesi da sola, senza l'aiuto di Merri e di sua madre. Avrebbe stretto i denti per un altro mese. Si morsicò le labbra mentre prendeva la decisione. «Certo, Merri. Stai tranquilla. Ma non farmi aspettare troppo. La mia energia si sta esaurendo.» «Sei una vera amica, la migliore che potessi avere. Sapevo di poter contare su di te. Adesso purtroppo devo salutarti. La Principessa ha cominciato a fare i capricci.» Ellie udì il pianto acuto della piccola. 8
«Cercherò di passare al negozio verso la fine della settimana. Ti saluto. Ti voglio bene.» «Anch'io ti voglio bene.» Fine della telefonata. «El... c'è qualcuno per te alla porta» annunciò Samantha, una delle sue aiutanti. Ellie guardò il vecchio orologio appeso alla parete e aggrottò la fronte perplessa. Il negozio aveva chiuso da più di dieci minuti ormai. «Chi è?» Samantha si strinse nelle spalle. «Non l'ho mai visto prima. Mi ha detto di riferirti che è stato tuo padre a mandarlo qui. È solo e ha un grosso zaino. Posso fare qualcosa prima di andare?» «No, grazie, Sammy. Vai pure.» Ellie guardò il monitor che trasmetteva le immagini mandate dalle telecamere di sicurezza situate all'esterno e all'interno della panetteria e del magazzino. Sobbalzò, restando a bocca aperta per la sorpresa. In piedi, accanto alla fila di frigoriferi dallo sportello di vetro, con uno zaino che pendeva dalle spalle larghe, la barba incolta e i capelli scompigliati, Jack Chapman si dondolava sui talloni. Qualsiasi donna che avesse seguito i notiziari lo avrebbe riconosciuto. Ellie non avrebbe saputo dire se Jack Chapman fosse più famoso per i suoi reportage di guerra o per il fascino che sprigionava. Indossava jeans logori, una maglietta scura che gli copriva la cintura e degli stivali incrostati di terra. Mentre lo osservava, Jack si ravviò i capelli e armeggiò con lo zaino. Persino così trasandato era attraente. Ma perché suo padre l'aveva mandato da lei? Sollevò la testa dal monitor sentendo bussare alla porta. Era di nuovo Sammy. 9
«Che cosa succede adesso?» la interrogò Ellie, riconoscendo il suo sguardo inquieto. «So di averti promesso di venire a lavorare domani per aiutarti con il buffet per l'evento di moda...» «Ma?» «Mi hanno regalato il biglietto per il concerto dei Linkin Park, il mio gruppo preferito... Ci terrei tantissimo ad andare.» Ellie rifletté sulla possibilità di farle una predica sul senso di responsabilità e dovere, sul fatto che le promesse, una volta fatte, dovevano essere mantenute, ma Sammy aveva solo diciannove anni. Come poteva chiederle di rinunciare al concerto dei Linkin Park? Inoltre lavorava per pagarsi gli studi all'università e non avrebbe potuto permettersi il costo di un biglietto di quel tipo. Ellie ricordò se stessa alla sua età e non poté biasimarla. «Va bene... per questa volta ti lascio libera» acconsentì. «Adesso vai, altrimenti farai tardi.» Ellie sorrise, sentendo Sammy gridare di gioia mentre scendeva le scale, poi tornò seria appena i suoi occhi si posarono sul monitor. Scrollò la testa e telefonò a suo padre. «Ellie, tesoro» rispose lui con la sua voce inconfondibile e profonda. «Papà!» l'apostrofò. «Perché Jack Chapman è nella mia panetteria?» «Oh... È già arrivato? Bene... cominciavo a preoccuparmi.» El arricciò le labbra. Sapeva che Jack era il figlio che suo padre avrebbe desiderato avere. Negli ultimi dieci anni non aveva fatto altro che incensarlo. «Mi fa piacere che sia arrivato sano e salvo. Jack è un esempio da seguire per tutti i giovani corrispondenti di guerra. Imparziale, onesto, coraggioso, dispo10
sto a far emergere la verità a costo della propria vita» cominciò. «Non m'interessa, papà. Voglio solo sapere perché è qui? Perché lo hai mandato da me?» E poi perché mi cerchi solo quando hai un favore da chiedermi? Sbaglio. Sono stata io a chiamare te. Tu ti sei limitato a mandare avanti il tuo ragazzo, aspettandoti che io soddisfi i tuoi capricci. Certe cose non cambiano mai. «Ha bisogno di un posto dove dormire. Stava intervistando degli uomini sulla guerra somala quando è stato aggredito e spogliato di tutti i suoi averi: contanti, carte di credito, cellulare e sotto la minaccia di un mitra è stato costretto a salire a bordo di un aereo di aiuti umanitari delle Nazioni Unite» spiegò Mitchell Evens. Certo, papà. Ho per caso tatuato sulla fronte B&B? Ellie, che di solito faceva di tutto per compiacere il padre, tentò di non assecondarlo, ma come sempre fallì. «Per quanto tempo dovrò ospitarlo?» Sono una buona a nulla. «Dunque zuccherino, la questione è...» Suo padre doveva aver già pianificato ogni cosa e conoscendolo, lei cominciò a preoccuparsi. «Jack mi sta aiutando a scrivere un libro sulla vita degli inviati e dei corrispondenti di guerra, compresa la mia. Ha bisogno di parlare con i miei familiari per raccogliere delle informazioni, perciò ho pensato che potrebbe trattenersi da te per un po' di tempo in modo che possiate parlare della tua vita insieme a me...» proseguì lui A quale vita si riferiva? Per Mitchell la loro casa era stata un luogo di pas11
saggio, una sosta obbligata tra un viaggio e l'altro. Aveva trascorso la sua esistenza spostandosi senza sosta, raggiungendo quei paesi dai quali la gente tentava di fuggire come l'Iraq, la Bosnia, Gaza. Il lavoro era sempre stato la sua priorità, la sua ragione di vita, la sua passione travolgente e irrinunciabile. Suo padre aveva perso tutti i momenti importanti della sua infanzia e della sua adolescenza e del resto come poteva lasciarsi coinvolgere dalle questioni familiari quando nel mondo c'erano problemi molto più gravi di cui parlare e scrivere? Ellie aveva sofferto molto per la sua assenza, l'aveva vissuta come un vero e proprio abbandono e così era cresciuta piena di paure, ansie e insicurezze. Provava ancora risentimento nei suoi confronti, ma per fortuna quei tempi erano lontani e lei era cresciuta. Mitchell parlò ininterrottamente per minuti interi ed Ellie cercò di non perdere il filo del discorso. «L'editore e io desideriamo anche inserire la storia di Jack, che è il più brillante fra tutti noi, ma è difficile farlo parlare di sé. È come cercare l'acqua nel deserto. Jack è un enigma, lo è sempre stato. Perciò... potresti provare a parlargli di me?» Ellie era incredula. Suo padre era egoista ed egocentrico. «Forse» rispose a mezza bocca ma entrambi sapevano che lo avrebbe fatto. «Scusa, papà... ma come puoi chiedermi all'ultimo minuto di ospitare una persona che è abituata a vivere come uno zingaro? Avresti almeno potuto avvisarmi!» Mitchell faceva sempre quello che gli passava per la testa senza preoccuparsi degli altri. «Jack non è un randagio. Tutt'altro!» sentenziò. Esasperata, Ellie si strofinò le tempie. Le mancava il coraggio di deludere il padre. Sarebbe stato molto 12
più semplice acconsentire alla sua richiesta e offrire un letto a quel ragazzo, accontentandosi dell'approvazione di suo padre per pochi secondi, piuttosto che sentirsi rinfacciare il suo diniego per gli anni a venire. Se almeno i colleghi del padre fossero stati delle persone normali! L'ultimo ospite che Ellie aveva accolto in casa sua si era ubriacato, aveva tentato di metterle le mani addosso e infine era svenuto sul suo tappeto persiano. Tutti i corrispondenti, i cameraman, i produttori nei quali si era imbattuta erano stravaganti, folli, irrequieti. Probabilmente lo erano per vocazione professionale, altrimenti non avrebbero potuto essere testimoni dei conflitti che affliggevano il mondo. Da grave la voce di Mitchell tornò allegra. «Jack è un bravo ragazzo. Non dorme da giorni e non mangia un pasto decente da più di una settimana. Ti chiedo solo di offrirgli un letto, del cibo e un bagno caldo. So che posso contare su di te, bambina mia!» Bambina mia! Ellie sbirciò l'uomo che era entrato nel suo negozio e che era l'emblema della sensualità e della trasgressione. Aveva un fisico atletico e muscoloso che veniva voglia di toccare. «Hai già conosciuto Jack, se non ricordo male» asserì suo padre. «Sì. Ci siamo presentati al tuo matrimonio con Steph.» Steph, la terza moglie di Mitchell per soli sei mesi. Ellie, che all'epoca aveva diciotto anni, era una ragazza timida e introversa e ricordava di non aver fatto alcuna impressione a Jack. Probabilmente lui non la ricordava nemmeno. «Hai ragione. Steph mi piaceva. Era una cara ra13
gazza. Non capisco ancora perché mi abbia lasciato.» Oh, papà! Forse anche a lei non piaceva stare da sola. L'uomo di cui si era innamorata era stato via cinque mesi su sei di matrimonio, apparendo saltuariamente nei notiziari televisivi. Quella povera ragazza, come del resto tutti quelli che ti hanno amato, ha vissuto con l'angoscia di non sapere se fossi vivo o morto. È una guerra persa tentare di stare accanto a qualcuno che è ossessionato dal proprio lavoro, rifletté tra sé e sé. Lei, sua madre e le altre due moglie di Mitchell erano sempre state messe da parte di fronte ai suoi impegni lavorativi e lei stessa era caduta in quello stesso circolo vizioso, fidanzandosi con Darryl. Aveva giurato a se stessa di non innamorarsi di un giornalista e così era stato, ma la vita le aveva giocato uno scherzo crudele perché, convinta di essersi legata a un uomo completamente diverso dal padre, si era dovuta presto ricredere perché Darryl aveva trascorso molto meno tempo a casa con lei rispetto a Mitchell pur senza mai allontanarsi da Londra. Che ingenua era stata! Guardò il cellulare, rendendosi conto che il padre aveva riagganciato senza neanche salutarla. Rassegnata, sollevò le spalle, tornando a osservare Jack attraverso il monitor. Impaziente, batteva un piede sul pavimento, le braccia conserte. L'immagine in bianco e nero non gli rendeva giustizia. Ellie ricordava che i suoi occhi erano di un caldo color nocciola, ma a seconda della luce che catturavano, potevano apparire verdi o marroni, con delle pagliuzze dorate. In quel momento però aveva lo sguardo cupo e insofferente. Era diverso dal ragazzo ventiquattrenne che aveva 14
incontrato dieci anni prima. Era maturato e il suo viso si era indurito, probabilmente perché aveva visto cose che lo avevano segnato per sempre, eppure Ellie avvertì un calore al ventre che si diramava fino alla pelle e che non era altro che attrazione. Nervosa, scostò la sedia per alzarsi. Che lui fosse alto, bello, tanto affascinante da fermare il traffico non doveva in alcun modo influire sul suo giudizio. «Jack?» Lui si voltò al suono di quella voce modulata e s'impietrì. Aveva immaginato di trovarsi di fronte alla ragazza impacciata e sovrappeso che aveva conosciuto al matrimonio di Mitchell invece i suoi occhi si posarono su una fanciulla radiosa, dall'aspetto esotico, dalla pelle color caffellatte, dagli occhi azzurri e luminosi, dal mento appuntito, simile a quello del padre e dai lunghi capelli neri striati di verde e di viola che le sfioravano la vita. «Ciao. Sono Ellie. Non so se ti ricordi di me... Mitchell mi ha chiesto di ospitarti.» «Sei cambiata rispetto all'ultima volta che ci siamo visti» farfugliò lui. «Grazie per la tua disponibilità» aggiunse, posando lo zaino per terra con il cuore che stranamente gli martellava nel petto. Che ti prende, vecchio mio? Ti emozioni di fronte a questa ragazza? Sei un idiota! pensò tra sé. Perché la vista di Ellie lo aveva scosso al punto che la lingua gli si era incollata al palato e il respiro era diventato affannoso? Si guardò intorno, cercando di non comportarsi come un adolescente. «Davvero carino questo posto. È tuo?» chiese tanto per rompere il ghiaccio. 15
«Sì. Mio e di mia madre» rispose lei con un sorriso incantevole. Jack annuì mentre osservava attraverso la porta di vetro il frigorifero vuoto. «Non dovrebbe esserci del cibo?» «A fine giornata riponiamo i prodotti avanzati in celle frigorifere che hanno una temperatura più bassa rispetto a questo frigorifero» spiegò, giocherellando con la tracolla di pelle della borsa. Era evidente il suo disagio. «Come è andato il volo?» s'informò più per educazione che per interesse. «Bene, grazie» tagliò corto lui, senza darle spiegazioni. In realtà aveva viaggiato seduto per terra e per tutto il tempo c'era stata turbolenza. Aveva le costole incrinate e la testa sul punto di esplodere, ma preferì fingere di sentirsi bene. Non voleva farle credere di aver bisogno di un'infermiera, benché fosse esausto, dolorante e stentasse a reggersi in piedi. La sensazione di avere una lama conficcata nel fianco lo costrinse a piegarsi su se stesso. Desiderava soltanto farsi una doccia e dormire indisturbato per una settimana. Lanciò un'occhiata al reparto delle bevande analcoliche. Avrebbe ucciso pur di bere una Coca-Cola. Ellie seguì il suo sguardo. «Serviti pure.» «Non posso pagarti.» Non aveva nemmeno i soldi per permettersi da bere. «Posso offrirti una bibita senza andare in bancarotta» mormorò lei. Jack prese una Coca-Cola e la trangugiò, conscio che lo zucchero e la caffeina contenuta in quel liquido frizzante gli avrebbero regalato un'ora o due di energia. Sospirò dopo aver scolato la lattina. Avrebbe dovu16
to chiedere un prestito a Ellie oltre a un letto per la notte e aspettare fiducioso che la banca gli recapitasse le nuove carte di credito. Detestava chiedere aiuto e dipendere da qualcuno. Equivaleva a consegnarsi nelle mani degli altri e questo lo faceva sentire impotente. Si augurò di risolvere quell'incresciosa situazione nell'arco di un paio di giorni al massimo. Ellie gli tolse la lattina vuota di mano e gliene offrì un'altra. «Grazie, basta così» rispose lui, accennando un sorriso. Si guardarono a lungo negli occhi, soppesandosi a vicenda. Jack restò ammaliato dalla bellezza di Ellie, una mescolanza perfetta di caratteri orientali e occidentali che la rendevano molto particolare. Gambe lunghe, vita sottile, seni tondi e alti... Quel corpo armonioso e proporzionato era un richiamo irresistibile, la promessa di gioie e piaceri sconosciuti. Tuttavia, da esperto conoscitore del genere umano e in particolare del linguaggio del corpo, colse la sua diffidenza e la sua timidezza. Del resto non poteva aspettarsi una reazione diversa dovendo ospitare un estraneo in casa. «Mi piace il modo in cui hai arredato il negozio» dichiarò lui per metterla a proprio agio. Aveva notato, agganciata alla parete d'ingresso, una canoa rossa piena di fiori colorati. «È un'idea originale quella di utilizzare una canoa come fioriera.» Ellie sorrise. «Forse è un po' azzardata.» «E quelle margherite sembrano vere.» «Sono delle gerbere.» «E che cos'è quella scritta sulla canoa?» «Non ne ho idea. C'era già quando l'ho comprata.» 17
Lo squillo del clacson li interruppe. Jack si era completamente dimenticato del taxista. Deglutì più volte prima di parlare. «Mi sento davvero in imbarazzo e ti chiedo scusa, ma sono completamente al verde. Ti dispiacerebbe pagarmi il taxi? Ti renderò il denaro al più presto.» «Sì, certo.» Ellie prese dalla borsetta il portafoglio e gli allungò delle banconote, sfiorandogli inavvertitamente la mano. Jack strinse le labbra, consapevole dell'attrazione che quella ragazza esercitava su di lui e si precipitò fuori per pagare il conducente. Si trovava in una situazione spiacevole che non avrebbe augurato a nessuno. Non solo era in debito con una donna che trovava estremamente affascinante, ma la donna in questione era la figlia del suo mentore. Ignorala, s'impose. Comportati da adulto quale sei. Pagato il tassista, Jack raggiunse Ellie sulla porta, in tempo per strapparle dalle mani lo zaino dal quale, dopo l'appropriazione indebita da parte dei guerriglieri somali, mancavano cellulare, iPad, telefono satellitare, contanti e carte di credito. «Lascia fare a me. È pesante.» «D'accordo. Chiudo il negozio e ti porto a casa» annunciò lei. Jack l'aspettò fuori, in piedi accanto a un vaso di fiori variopinti, godendosi gli ultimi raggi di sole. Quando Mitchell gli aveva detto che sua figlia gestiva una sorta di caffetteria-panetteria, si era aspettato di vedere una ragazza paffuta, dal colorito roseo e l'aspetto poco curato, invece si era trovato di fronte una ragazza sensuale e dalle spiccate potenzialità artistiche a giudicare dall'arredamento del suo negozio e 18
dal suo personalissimo stile. Persino la collana che indossava era particolare. Più fili di diverse lunghezze formati da piccole sfere di differenti tonalità di blu le ornavano la scollatura. Aspettò che chiudesse a chiave la porta e abbassasse la saracinesca. «A che ora tramonta il sole?» s'informò accorgendosi solo in quel momento che al di là della strada c'era la spiaggia, ancora affollata alle sei di quel tiepido pomeriggio estivo. «Intorno alle otto e trenta» rispose Ellie. «Io non abito lungo la spiaggia, bensì su quella collina e se posso evito di prendere la macchina perciò... dovremmo camminare se te la senti. Jack guardò la salita ripida e sospirò. Proprio quello che gli occorreva! Salire quel pendio con lo zaino in spalla e le ossa doloranti non sarebbe stato facile, ma si adeguò. «D'accordo. Ti seguo.» Ellie s'infilò gli occhiali da sole e s'incamminò. Superarono in silenzio un negozio di antichità, una libreria e una vecchia farmacia. Jack aspettò che fosse Ellie a intavolare una conversazione e dopo qualche minuto lei prese a parlare. «Che cosa ti è successo?» «Tuo padre non ti ha raccontato niente?» «Mi ha detto che sei stato aggredito, derubato e respinto dalla Somalia e che perciò hai bisogno di un posto per dormire perché non sai dove andare e non hai i soldi per pagare una stanza d'albergo.» «Esatto. Sono temporaneamente squattrinato» ammise lui. Per fortuna Mitchell non le aveva riferito i particolari della vicenda. La storia era semplice. Lui aveva rivolto una domanda sbagliata alle persone giuste. Aveva chiesto loro informazioni riguardo al di19
rottamento di alcune navi lungo determinate rotte. A quel punto si era scatenato l'inferno ed era stato picchiato a sangue da sei balordi. «C'è qualcos'altro che posso fare per te oltre a offriti un letto e del denaro?» Una notte insieme? Quella richiesta gli balenò all'improvviso. Jack scosse la testa, imponendosi di restare con i piedi per terra. «Temo di dover approfittare della tua ospitalità per un paio di notti almeno. Avrò bisogno di un cellulare e di un computer e dovrò fornire il tuo indirizzo alla banca per farmi spedire le carte di credito» spiegò. «Ho un vecchio telefono da prestarti e un computer portatile che non uso più. Ti scriverò il mio indirizzo su un pezzo di carta. Devi finire di scrivere un articolo?» «Sì, ma per fortuna ho ancora tempo. Collaboro con una rivista che s'interessa di politica estera.» Ellie sollevò le sopracciglia. «Credevo che lavorassi solo per la televisione.» «A volte accetto degli ingaggi da parte di giornali e riviste. Sono un libero professionista, perciò scrivo articoli e faccio dei report per vari canali televisivi» chiarì lui. Ellie sollevò gli occhiali e lo guardò sorpresa. «Scriverai quello che hai scoperto in Somalia, anche se ti hanno rubato gli appunti?» «Prima dell'intervista avevo salvato le note e i documenti in un flash drive che avevo nascosto in una scarpa.» Era una misura precauzionale che aveva adottato quando aveva cominciato a lavorare nei Paesi del Terzo Mondo. «Però ti hanno lasciato il passaporto?» Jack scrollò le spalle. «Sì, per assicurarsi che par20
tissi. Senza un documento sarebbe stato impossibile lasciare il territorio.» «Fai un lavoro molto pericoloso. È da pazzi rischiare la vita in questo modo» commentò lei. Ma Jack amava quello che faceva e niente o nessuno lo avrebbe fermato. «Quando sono sotto pressione, do il meglio di me. Per questo vado sempre in zone di guerra.» Gli piaceva andare in giro con lo zaino sulle spalle, schivando proiettili e mine antiuomo per riuscire a scrivere delle storie che pochi altri avrebbero avuto il coraggio di raccontare. «Mitchell sostiene che è un'esperienza incredibile rimanere bloccati in albergo a Mogadiscio o a Sarajevo senza luce, acqua e cibo e giocare a poker con le persone del luogo che fanno da interpreti mentre a poca distanza esplodono bombe e proiettili. Sinceramente non lo capisco. Mi sembra una follia.» Jack colse una profonda amarezza nella voce di Ellie e comprese che sotto quelle parole si celava un mondo. «La maggior parte della gente che ha vissuto un'esperienza del genere la considera la peggiore della propria vita, un incubo terrificante e ammetto che lo è, ma l'adrenalina ti aiuta a superare i momenti difficili e la voglia di documentare i fatti, farli conoscere al mondo, ti dà la forza di non arrenderti. È importante divulgare il più possibile ciò che avviene in quelle parti del mondo martoriate da terribili conflitti e che riteniamo troppo lontane da noi per intervenire.» Jack non aveva paura di rischiare la propria vita. Aveva visto la morte in faccia altre volte... Più di ogni altra cosa temeva un'esistenza monotona che significava avere un lavoro sedentario in città. Nessun brivido, nessuna avventura. 21
Aveva ingannato la morte e questo gli aveva consentito di rinnovare la promessa che tanto tempo prima aveva fatto a se stesso: vivere una vita intensa, piena e rischiosa. «Eccoci arrivati.» L'annuncio di Ellie lo distolse dai suoi pensieri e Jack si rasserenò mentre imboccavano un vialetto che portava a un cancello di ferro. Non sarebbe riuscito a camminare ancora a lungo. Inquieta, la mascella contratta, Ellie osservò il telecomando che stringeva tra le mani e socchiuse gli occhi. «Mi rendo conto che t'intralcio con la mia presenza» mormorò lui alle sue spalle, lasciando cadere a terra lo zaino. «Mi dispiace. Non volevo disturbarti, o scombinare i tuoi piani. Tornerò alla panetteria e cercherò un passaggio per l'aeroporto.» Ellie affondò le mani nelle tasche. «No, non è il caso. Ho detto a mio padre che ti avrei dato una mano e così sarà.» «Non ho bisogno della tua carità.» «Non si tratta di carità» reagì lei, sollevando una mano e strofinandosi gli occhi. «È stata una giornata lunga e sono stanca.» In realtà era tesa come una corda di violino. «Ellie» mormorò lui con dolcezza. «Non voglio che tu ti senta a disagio in casa tua. Avevo detto a Mitch che avrei aspettato in aeroporto. Non è un problema.» Ellie affondò gli occhi nei suoi. «Scusami. Tu non hai colpa. È solo che il tuo arrivo... mi ha riportato alla mente vecchi ricordi. L'ultima volta che ho ospitato un collega di mio padre, sono stata rincorsa per tutta casa. Il cameraman in questione era ubriaco e 22
ha cercato di sedurmi finché non ha perso i sensi.» Lui le rivolse un sorriso condiscendente. «Non mi stupisco. Quei dannati cameraman non sanno tenere le mani a posto. Non puoi mandarli da nessuna parte.» El si strinse nelle spalle, schiudendo le labbra in un sorriso imbarazzato. «Non vorrei sembrarti ridicola e ti assicuro che non ho alcuna voglia di parlarti del mio rapporto con Mitchell o del libro al quale collaborate insieme, ma lui mi ha chiesto...» «Per caso ha detto che lo sta scrivendo lui?» Jack scosse la testa perplesso. Mitchell viveva nel mondo dei sogni. Si trattava del suo libro, era lui l'unico autore. Il nome di Mitchell Evens e di Ken Baines sarebbe comparso sulla copertina, ma non ci sarebbero stati dubbi sull'identità dello scrittore. Il cospicuo anticipo che la casa editrice aveva depositato sul suo conto corrente ne era la dimostrazione. «Tuo padre... mi piace ma a volte è una spina nel fianco.» «Perciò significa che non vuoi parlare di lui con me?» domandò lei speranzosa e visibilmente più distesa. Jack aggrottò la fronte. «Scusami, ma in realtà avrei bisogno di qualche informazione.» Si passò una mano sul viso, pensando al libro. La storia di Ken era affascinante, ma mancava parecchio alla sua conclusione. Quella di Mitch progrediva a ritmo costante. Grazie a Dio non avrebbe dovuto parlare di sé. Sapeva entrare nella vita degli altri ma detestava l'idea di mettere in piazza la propria. Spostò lo sguardo su Ellie e notò che era ancora tesa. Come biasimarla? Tra poco un estraneo si sarebbe aggirato tra le sue mura domestiche. «Temi che possa rincorrerti per tutta casa anch'io? 23
Credimi, non sono il tipo e poi sono spossato. Anche volendo, non riuscirei ad alzare un dito. Ellie lo guardò a lungo prima che la sua bocca si aprisse in un sorriso disarmante, che lui non avrebbe dimenticato facilmente.
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