L'occasione di griffin

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VANESSA KELLY

L'occasione di Griffin


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Confessions of a Royal Bridegroom This edition is published by arrangement with Kensington Publishing Corp. and Donzelli Fietta Agency srls © 2014 Vanessa Kelly Traduzione di Rossana Lanfredi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici ottobre 2017 Questo volume è stato stampato nel settembre 2017 da CPI, Barcelona I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1086 del 18/10/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Londra, gennaio 1815 Dopo sette lunghi anni, Griffin Steele stava finalmente per liberarsi del peso che gli gravava sulle spalle, quel peso che aveva tormentato gli ultimi brandelli di coscienza rimasti nella sua anima nera. «Penso che tutto sia come lo volevi» dichiarò Madeline Reeves. «Lizzie, Rebecca e io abbiamo letto i termini con attenzione e credo che sarai soddisfatto.» Griffin sollevò lo sguardo dal documento, posandolo sulla donna che dirigeva la sua casa di tolleranza e che un tempo era stata la sua amante. Madeline era una bellezza statuaria, dai capelli scuri e gli occhi del colore delle prugnole, con una languida sensualità che mascherava una mente dotata per gli affari. Nonostante la sua professione, era anche una persona per bene, una delle poche di cui Griffin si fidasse. Lui fece un cenno con la testa. «So che i termini possono sembrarti troppo rigidi, dati i nostri precedenti rapporti, ma so anche che ne comprendi il motivo.» Griffin lasciò cadere il documento sulla scrivania. «Mi sbaglio?» Il sorriso di Madeline prese una piega sarcastica. «No, non ti sbagli. D'altronde non sbagli mai, vero?» Griffin riuscì a soffocare la risatina amara che gli salì 5


alle labbra. «Mi lusinghi, mia cara. Credo tuttavia che tu capisca la ragione per la quale ho insistito affinché accettassi le mie condizioni.» «Sì, la capisco.» I lineamenti di Madeline cambiarono in modo impercettibile, e in un istante una delle più ricercate cortigiane di Londra si trasformò in un'astuta donna d'affari. «Se non dimostrassimo che siamo in grado di dirigere La Cravatta d'Oro rispettando le tue condizioni, non potremmo mantenere la nostra indipendenza finanziaria e nemmeno trattare le ragazze con un minimo di decenza. So quanto sia importante per te.» Si sporse in avanti e posò una mano sulla scrivania, facendo frusciare il costoso abito color borgogna che esibiva magnificamente le sue forme perfette. «Non permetterò che succeda niente alle ragazze, Griffin. Hai la mia parola.» «So che lo farai e te ne sono riconoscente.» Lo era davvero. Madeline e le nuove socie di lei, tutte donne che lavoravano nella casa, erano una parte determinante del piano che avrebbe permesso a Griffin di riconquistare la libertà. Da tempo desiderava liberarsi de La Cravatta d'Oro. Aveva cominciato a occuparsene soltanto perché trovava intollerabile il brutale trattamento che le ragazze avevano dovuto subire dal precedente proprietario del bordello. Quel porco non aveva fatto nulla per proteggerle da malattie, gravidanze e percosse da parte dei clienti. Purtroppo, lo stesso uomo era anche proprietario del Cormorano, la prima casa da gioco che Griffin aveva acquistato, fondamento della sua ricchezza e influenza. Così, nonostante avesse voluto soltanto la casa da gioco, Griffin si era ritrovato fra le mani anche il bordello. Non che lui fosse un santo, questo no. Anche quell'attività gli aveva fruttato un buon guadagno, ma ora era impaziente di liberarsi di una responsabilità che non aveva mai voluto. Troppo spesso, negli anni passati dal 6


suo arrivo a Londra, aveva visto donne rovinate, maltrattate e poi abbandonate dal genere di uomini che frequentavano posti come La Cravatta d'Oro. Sua madre aveva patito un destino simile. Nelle vene del padre di Griffin scorreva forse il sangue più blu della regione, ma per lui quell'uomo era meno di uno schizzo di fango su uno stivale. «Qualcosa non va, Griffin?» Lo sguardo penetrante di Madeline lo riscosse più della sua voce. Con un cenno d'indifferenza della mano, Griffin si alzò, facendo capire che il colloquio era finito. «Niente affatto, mia cara. Più tardi farò controllare le carte dal mio avvocato, ma sono sicuro che tutto sia in ordine. Dovremmo essere in grado di firmare tra pochi giorni.» Con un sorriso girò intorno alla scrivania e tese la mano a Madeline. «Ti auguro tutta la fortuna che meriti, Mad. So che ce la farai.» Lei si alzò. Era alta, tanto che quasi poteva guardarlo dritto negli occhi. «Non vorresti festeggiare il nostro accordo?» mormorò, e nei suoi occhi scuri brillava un invito. La sua voce gli accarezzò i nervi, piacevolmente eccitante. Un tempo, Griffin avrebbe risposto a quel richiamo senza esitare, ma da mesi ormai non entrava nel letto di Madeline. Se ne asteneva per una crescente sensazione di noia, e per la stessa crescente riluttanza a mescolare gli affari con il piacere. Per un momento considerò l'idea di accettare, poi però quel lato oscuro e insoddisfatto di sé, che di recente si era fatto tanto più insistente, quella parte che lo spingeva a staccarsi dalla sua vita attuale, si riaffermò con forza. Non ebbe bisogno di dire nemmeno una parola. Madeline, sempre percettiva, vide la risposta sul suo volto. «Ah, bene» replicò, niente affatto delusa. «Lo immaginavo. Davvero, Griffin, stai diventando un monaco. Non ti vediamo da tre notti di fila. Spero non abbia intenzione di ritirarti sulla cima di qualche squallida montagna in Scozia, o che non ti seppellisca in una del7


le proprietà di tuo zio.» Lasciò scorrere lo sguardo lungo il suo corpo e aggiunse: «Sarebbe un tale spreco». Lui sogghignò. «Mi stai lusingando e sai che sono immune a certe cose.» Madeline fece per replicare, ma il rumore di qualcuno che bussava alla porta la interruppe. Prima che Griffin desse il permesso di entrare, Tom Deacon fece irruzione nella stanza. Griffin inarcò le sopracciglia con aria interrogativa. Il suo direttore sapeva bene che non era saggio irrompere nel suo ufficio in quel modo. Giacché però aveva un deciso cipiglio sul volto dai morbidi lineamenti, Griffin capì che qualcosa aveva turbato la sua abituale flemma. Tom si fermò davanti alla scrivania, e giacché lo spazio era limitato, Madeline dovette sedere. L'ufficio di Griffin, la stanza dalla quale un tempo aveva diretto la casa da gioco e che dava su Jermyn Street, non era ampio. Lui aveva chiuso il Cormorano da pochi mesi appena e aveva fatto tornare l'edificio alla sua precedente funzione di dimora privata, ma aveva preferito non spostare il suo studio in uno dei più spaziosi ambienti al piano superiore. Da qui, poteva controllare chi andava e veniva nella sua casa e nel bordello che vi si trovava accanto, convenientemente unito alla residenza da un passaggio che si trovava fuori dalla porta dell'ufficio. Con un sospiro, Griffin si spostò dall'altro lato della scrivania e attese. Tom era un uomo di poche parole, non occorreva incalzarlo. Tuttavia, dopo avere osservato per diversi secondi un nervo contrarsi nella sua mascella, Griffin perse la pazienza. «Ebbene, volete dirmi perché siete tanto agitato?» domandò brusco. La mascella di Tom si mosse ancora, come se l'uomo stesse masticando un pezzo di carne dura. Infine sputò le parole: «C'è un bambino nell'atrio». La mente di Griffin impiegò un secondo per afferrare 8


il senso di quelle parole. «Un bambino?» replicò. «Nella mia casa?» Alcune delle ragazze talvolta avevano incidenti analoghi, ma lui aveva cura di allontanarle e di mandarle altrove. I bambini non erano graditi in una casa di tolleranza. Un sorriso cupo curvò le labbra di Tom. «Sì. E a quanto pare è vostro.» Griffin si diresse verso la parte anteriore della casa. «Se c'è qualcosa di cui potete essere assolutamente sicuro» sbottò voltandosi a guardare Tom mentre camminava, «è che quel bambino non è mio. Sono sempre stato molto attento in certe cose.» E lo era stato davvero, soprattutto in considerazione delle sue deprecabili origini. «Vi sto soltanto riferendo quello che mi ha detto il ragazzo che l'ha portato» replicò Tom. «Non ho detto che è vostro.» «Lo spero bene» bofonchiò Griffin, ma non poté fare a meno di contare mentalmente le donne con cui era stato a letto circa nove mesi prima. Dopo pochi momenti arrivò alla conclusione che già sospettava. Aveva dormito soltanto con Madeline, ed era sicuro di non avere concepito nessun bambino con lei. Tuttavia, qualche donna intraprendente o disperata avrebbe potuto metterlo di fronte a una simile accusa, nella speranza di spillargli del denaro. Griffin aveva da tempo la reputazione di uomo dai formidabili appetiti sessuali. Era molto più selettivo di quanto si credesse, a differenza di Prinny e di qualche altro suo zio reale, che sembravano incapaci di resistere al richiamo di qualsiasi graziosa gonnella. Griffin poi stava molto attento a non andare mai a letto con una donna quando era ubriaco. Aveva capito presto che perdere il controllo di se stessi portava guai. Così, nelle rare occasioni in cui si concedeva qualche bicchierino, lo faceva in solitudine, o in compagnia delle poche persone di cui si fidava. 9


Spinse la porta di panno verde e arrivò nell'atrio, ma si fermò di colpo un istante dopo, tanto che Tom andò quasi a sbattere contro la sua schiena. In effetti, c'era un bambino. Era avvolto in una copertina bianca e sistemato dentro un cesto che qualcuno aveva posato al centro dell'ingresso. Da dove si trovava, Griffin non poteva vederlo, ma ne sentiva l'infelice lamento. Quel quasi sommesso piagnucolio prese presto una nota più acuta e in breve si trasformò in un pianto disperato che fece sussultare tutti i presenti. «A quanto pare i polmoni gli funzionano bene» osservò Tom. Resistendo all'impulso di tapparsi le orecchie, Griffin ispezionò il secondo intruso. Un ragazzino di non più di dieci anni, un monello di strada, stava accanto al cesto e faceva roteare nervosamente il berretto tra le mani. Dietro di lui, un'espressione dolente sul volto allungato, era Phelps, il factotum di Griffin. «Cosa diavolo sta succedendo?» domandò Griffin a voce abbastanza alta da sovrastare il pianto. «Phelps, in nome di Dio, perché mai avete fatto entrare questi marmocchi nella mia casa?» «Non sono riuscito a fermare il ragazzino, Mr. Griffin» replicò l'altro. «Mi è schizzato sotto il braccio prima che potessi dire una parola.» Griffin si voltò verso il monello. Aveva un aspetto trasandato, ma una luce intelligente brillava negli occhi del piccolo, insieme a una cauta curiosità. E a Griffin non sfuggì il modo in cui il suo sguardo guizzava da una parte all'altra, evidentemente prendendo nota dei lucenti portacandele da parete e dei pomelli di ottone sulle porte. «Non pensarci nemmeno» lo avvisò Griffin in tono asciutto. Il ragazzo sgranò gli occhi con finta innocenza. «Non so di cosa stiate parlando, capo.» «Oh, sono sicuro di sì. Ora dimmi chi sei e perché hai portato questo bambino nella mia casa.» 10


In quel momento il pianto del piccino raggiunse un livello assordante. «Dannazione, Phelps!» esclamò Griffin. «Prendete il marmocchio e fatelo tacere.» Phelps, un uomo dal fisico atletico, che un tempo aveva posseduto un pub alquanto turbolento in Covent Garden, mise le mani avanti. «Mi dispiace, signore, ma temo che lo farei cadere. Non sono molto portato per i bambini.» «Phelps, avete cresciuto una figlia, ricordate? Lei lavora in questa casa. Di certo l'avrete tenuta in braccio» replicò Griffin, esasperato. «Sì, e la amo più della mia stessa vita, ma non mi piaceva molto tenere nemmeno lei. Soprattutto quando urlava così.» «Forse deve essere cambiato» osservò il monello, con la concreta saggezza di chi ha fratelli minori. Griffin si voltò verso Tom, il quale era indietreggiato fino alla porta di panno e aveva un'aria ancora più terrorizzata di Phelps. «Oh, per l'amor del cielo» bofonchiò Griffin, e s'inginocchiò accanto al cesto. Erano passati anni dall'ultima volta che aveva tenuto un bambino, ma supponeva di non avere dimenticato come si faceva. Crescendo nella canonica di suo zio, in una zona sperduta dello Yorkshire, aveva passato molti pomeriggi solitari nella cucina con la governante. Mrs. Patterson, una donna gentile e quanto di più simile a una madre lui avesse mai conosciuto, aveva un numero infinito di nipotini e spesso lo assoldava come suo aiutante. Così Griffin aveva trascorso molti tetri pomeriggi invernali a cullare un infante mentre Mrs. Patterson si occupava della cucina. «Chissà che ci sarà mai di tanto difficile» mormorò, scostando la coperta. Un visetto rosso e infelice lo guardò. Il piccino inspirò e agitò i pugnetti in aria, preparandosi evidentemente a un altro strillo. Griffin si affrettò a sollevarlo e si alzò. 11


«Su, su, ora basta» disse in tono sommesso, sistemandosi il bambino contro il petto. Il pianto del piccino si acquetò, poi cessò del tutto, sostituito da un susseguirsi di sussulti. «Ah» brontolò Tom, avanzando con molta cautela, come se temesse che il bambino potesse balzar su e mordergli un dito. «Non vi avrei mai preso per un tipo materno.» «Per tenere in braccio un bambino non si deve avere studiato matematica» ribatté Griffin, poi tornò a rivolgere la sua attenzione al monello. «Come ti chiami?» «Roger. E voi?» chiese il ragazzo con sfacciata curiosità. «Griffin Steele, per servirti. E ora forse mi vorrai dire che sta succedendo?» Roger annuì, soddisfatto. «Voi siete il nobile che dovevo trovare. Ho un messaggio per voi.» «Non sono nobile» replicò d'istinto Griffin. Se c'era una cosa che non sopportava era essere preso per un aristocratico. Roger si guardò intorno, poi inarcò le sopracciglia con uno scetticismo cortese che non sarebbe stato fuori posto nei più eleganti salotti di Londra. Griffin sospirò. «Vai avanti, dunque. Chi sta cercando di affibbiarmi questo bambino, dichiarando che io sono suo...» S'interruppe e scosse la testa. «Ma è un maschio o una femmina?» Il ragazzino sollevò le spalle. «Non lo so, capo.» Borbottando tra sé, Griffin sollevò con delicatezza il vestitino di pizzo dell'infante e scostò la biancheria. Notò che gli indumenti erano della migliore qualità e che la cuffietta era bordata dello stesso pizzo del vestitino. «Un maschietto» annunciò, e in fretta ricoprì il piccolo. Tutti nella stanza tirarono un sospiro di sollievo, come se fossero stati impazienti di avere la risposta. «Ora che abbiamo accertato questo fatto, forse puoi 12


dirmi perché lo hai portato qui» continuò Griffin, guardando Roger con severità. Il monello fece per rispondere, ma le parole gli morirono sulla lingua quando la porta di panno verde si aprì e Madeline entrò nella stanza, in tutta la sua gloriosa sensualità. L'espressione esterrefatta sul volto di Roger non era molto diversa da quelle che Griffin aveva già visto innumerevoli volte sulle facce di individui molto più anziani. «Basta» dichiarò, afferrando il ragazzo per una spalla. «Sei troppo giovane anche solo per guardare.» Madeline li raggiunse. «Santo cielo, Griffin. È davvero tuo?» «No» replicò lui, cercando di non ringhiare. «Ma se ora la smettete di interrompermi, forse posso scoprire di chi è davvero.» Madeline fissava il piccino con un'espressione sorprendentemente materna. «Sembra così dolce» mormorò, accarezzando una gota rotonda dell'infante ora sonnacchioso. «Bene, allora puoi tenerlo.» Griffin non esitò a trasferire il piccolo fra le sue braccia, e lei lo prese senza protestare. «Ora, cosa stavi per dire?» domandò poi a Roger. «Non ho idea di chi sia quel marmocchio, Mr. Steele» dichiarò il monello. «L'ho visto per la prima volta mezz'ora fa. Una signora mi ha detto che mi avrebbe pagato mezza sterlina per portarlo qui e aspettare che voi lo prendeste.» Griffin strabuzzò gli occhi all'assurda somma offerta al ragazzo. «E ti ha detto perché?» «No. Ha solo detto che avrei dovuto consegnarlo a voi e a nessun altro. Ha molto insistito su questo. E io ho pensato che dovesse essere vostro.» «Quindi non ha detto che io ero il padre.» «Ora che ci penso, no.» «E come ti paga per il tuo lavoro? La devi incontrare dopo?» Di certo questa misteriosa signora non poteva 13


essere tanto sciocca da pagare un monello di strada prima che portasse a termine il suo incarico. Il ragazzino gli rivolse un sorrisetto sdentato. «Mi dispiace, Mr. Steele, ma la signora mi ha già pagato. Mi ha accompagnato alla vostra porta e ha detto che avrebbe aspettato fuori.» Dopo un momento di sorpresa, Griffin balzò in azione. Attraversò l'atrio come una saetta e spalancò la porta. Corse giù dai pochi gradini e fu in Jermyn Street, silenziosa a quell'ora del giorno. Guardò da una parte e dell'altra, ma l'unico indizio che avrebbe potuto portarlo alla donna del mistero, un landò nero chiuso, si allontanava rapidamente. Imprecando, Griffin rientrò. «Che aspetto aveva la donna? È arrivata in carrozza?» domandò, impaziente. «Non lo so. Portava un velo» fu la succinta risposta di Roger. «E cosa mi dici della carrozza?» Il ragazzo annuì. «Sì, ce l'aveva. Lei mi ha trovato in Piccadilly e mi ha fatto salire. Siamo arrivati in fondo alla strada, poi siamo scesi e abbiamo camminato fino a qui con il bambino.» Rifletté un istante e aggiunse, pensieroso: «Mi chiedo perché non siamo venuti fino alla vostra porta in carrozza». «Suppongo non volesse che qualcuno guardasse fuori e vedesse la vettura» replicò Griffin, sentendosi sempre più frustrato. «Hai notato qualcosa di particolare nella carrozza?» intervenne Madeline. «Uno stemma sul fianco, o segni insoliti?» «Era nera.» Griffin si pizzicò lo spazio tra le sopracciglia. «Grazie per l'acuta osservazione. Qualche altra cosa?» Per tutta risposta il monello scrollò le spalle. «Troppo preso dal denaro della signora per notare altro, eh?» commentò Tom, sarcastico. «Credo che abbiate ragione» rispose Roger con un sorriso. «Potete biasimarmi?» 14


«No, suppongo di no» disse Griffin. «E sei sicuro di non avere mai visto prima questa donna?» «Sì.» «Davvero non ricordi altro?» Il monello batté le palpebre diverse volte, come se si sforzasse di rammentare. «Oh, sì. Lei ha detto che dovevo assicurarmi che leggeste il biglietto e non perdeste l'anello.» Griffin si accovacciò accanto al cesto e cominciò a frugare fra le coperte. Erano morbide e molto fini e pulite. Sembrava proprio che qualcuno tenesse molto a quel piccolo. Finalmente trovò un foglio piegato e chiuso da un sigillo rosso. Se lo infilò nella cintura dei pantaloni e continuò a cercare. Pochi istanti dopo, sul fondo del cesto, rinvenne un sacchetto di velluto nero. Lo aprì e vide che conteneva un anello. Era un anello d'oro con sigillo, con una elaborata incisione sulla sua parte superiore. Griffin lo esaminò. Tom fischiò. «Questo vale un bel po'» osservò, sporgendosi per vederlo meglio. «Cosa pensate significhi l'incisione?» «Sembrerebbe lo stemma di una famiglia, forse italiana» rispose Griffin, sollevando l'anello e tenendolo contro la luce. «Ma devo guardarlo con una lente d'ingrandimento.» «Come fate a capire che è italiano?» chiese Phelps sottovoce, come se qualcuno potesse sentirli. Griffin si guardò intorno. Il gruppetto nell'atrio si era avvicinato per osservare meglio il gioiello. Tutti sembravano affascinati, anche Roger. O almeno così pensò Griffin fino a quando non sentì un movimento vicino alla parte posteriore della sua giacca. «Oh, no, non credo proprio!» esclamò, poi si alzò, afferrò il monello per un polso e lo tirò davanti a sé. «Hai già rubato borsellini a sufficienza per oggi.» Il monello sospirò. «Non potete rimproverarmi per averci provato, capo.» 15


«Invece sì che possiamo» abbaiò Tom, prendendo il fanciullo per una spalla e trascinandolo verso la porta. «Pensare di derubare proprio Griffin Steele, poi. Se non hai altro da dirci, puoi andare per la tua strada.» «Una cosa ancora» intervenne Griffin. «Roger, se vedi di nuovo quella donna, voglio che tu la segua fino a quando non arriva alla sua destinazione e poi vieni a riferire a me.» Non aveva molte speranze che ciò accadesse, ma meglio pensare a ogni eventualità. Fece un cenno di assenso a Tom, che si frugò nella tasca e diede uno scellino al ragazzo. «Ne avrai altri se mi porti informazioni utili» dichiarò Griffin. Roger si toccò il consunto berretto, rivolse loro un altro sorriso sdentato e uscì. «Apri il biglietto» ordinò Madeline, impaziente. Griffin guardò i volti che lo circondavano. Tutti erano in attesa. «Il mistero piace a tutti» borbottò. A lui no. Lui i misteri li odiava. Si fece scivolare l'anello in tasca ed estrasse il biglietto dalla cintura dei pantaloni. La carta era spessa, di ottima qualità. Griffin infilò un dito sotto il sigillo e lo staccò. Poi lesse la nota. La grafia era indiscutibilmente femminile. Questo bambino si chiama Stephen. La sua vita è in grave pericolo. Vi supplico, Mr. Steele, proteggetelo fino a quando non verrò di nuovo a cercarvi. Che Dio vi benedica! Un'amica «Che cosa dice?» volle sapere Tom con una curiosità insolita per lui. «Che il bambino si chiama Stephen e che dobbiamo proteggerlo fino a nuovo avviso» rispose Griffin, soffocando l'impulso di imprecare. «Ebbene, questo è un mistero in piena regola, non trovate, Mr. Griffin?» osservò Phelps. Era evidente che 16


i suoi dipendenti trovavano l'intera situazione divertente. Griffin in proposito aveva idee del tutto diverse. «Sì» rispose, cupo. «Phelps, voglio che troviate Sir Dominic Hunter. Non m'importa se dovrete andare a cercarlo all'inferno, ma non tornate senza di lui.»

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