SUPERTASCABILI
Susan Wiggs
L'OCEANO TRA NOI
traduzione di Maria Cristina Castellucci Grandi & Associati
Immagine di copertina: stock_colors/iStock/Getty Images Plus/Getty Images Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Ocean Between Us Mira Books © 2004 Susan Wiggs Traduzione di Maria Cristina Castellucci Grandi & Associati Srl Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Dcuore settembre 2005 Questa edizione SUPERTASCABILI maggio 2022 SUPERTASCABILI ISSN 2532 - 7089 Periodico mensile n. 76 del 24/05/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 221 del 10/07/2017 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Nave da guerra degli Stati Uniti Dominion (CVN-84) 0037N 17820W Velocità 33 Ore 22.15 (Fuso orario Yankee) Steve Bennett gettò uno sguardo all'orologio sullo schermo del computer. Avrebbe dovuto essere nella sua branda, a dormire. Invece stava seduto con i piedi appoggiati al tavolo, le mani incrociate dietro la testa, e pensava a Grace, fissando un calendario con illustrazioni dello Stato di Washington. Era a migliaia di chilometri da casa, su una portaerei, alle prese con un'interruzione delle comunicazioni voluta proprio da lei. Sua moglie. La madre dei suoi figli. La donna che, da quando era partito, si rifiutava di parlare con lui. Aveva mantenuto il silenzio radio, come una spia in tempi di guerra. Gli spediva soltanto comunicazioni ufficiali riguardanti i ragazzi. Nient'altro. Il viaggio era quasi finito e, per la prima volta nella sua carriera, Steve era preoccupato all'idea di tornare a casa. Non sapeva se sarebbe riuscito a rimettere insieme il suo matrimonio. «Capitano Bennett...» Un ufficiale si era fermato 5
sulla soglia del suo ufficio. Teneva una cartellina in una mano e un'agenda elettronica nell'altra. «Cosa c'è, tenente Killigrew?» «La signorina Francine Atwater è qui per incontrarla, signore.» Bennett represse una smorfia di disappunto. Aveva quasi dimenticato l'appuntamento. Nel ventre della portaerei non c'erano giorno e notte, solo l'implacabile immutabilità delle luci fluorescenti, l'aria viziata degli impianti di riciclaggio e il rombo continuo delle operazioni di volo che si propagava per la struttura d'acciaio della nave. «Bene, tenente. La faccia entrare.» Si alzò e assunse l'atteggiamento rigido e circospetto che gli era stato inculcato da ventisei anni in Marina. Killigrew si allontanò e tornò subito dopo con la giornalista. Steve avrebbe preferito riceverla nell'ufficio riservato agli affari pubblici sul ponte 1, ma evidentemente la signorina Atwater era decisa a esplorare ogni aspetto della vita sulla portaerei. Dopotutto, era l'epoca dei giornalisti "coinvolti". Francine Atwater. Un'esponente dei nuovi media, desiderosa di approfittare dell'apertura verso la stampa recentemente introdotta dalle gerarchie militari. Secondo le informazioni che gli avevano fornito, era arrivata a bordo con un volo riservato e avrebbe trascorso sulla città galleggiante le prossime due settimane. Sia il comandante della Dominion sia il capitano Mason Crowther, comandante dell'Unità Aerea, le avevano dato personalmente il benvenuto, ma l'avevano poi scaricata a qualcun altro. Adesso era arrivato il suo turno. «Signorina Atwater, sono il capitano Steve Bennett, vice comandante dell'Unità Aerea.» Si sforzò di non fissarla, ma era la prima civile che 6
vedeva da mesi. Indossava perfino la gonna. Ringraziò silenziosamente l'inventore dei collant e del rossetto color ciliegia. «Grazie, capitano Bennett.» Le labbra lucide della donna si schiusero in un sorriso. Era consapevole del suo fascino. Lo si capiva dal modo in cui inclinava la testa e lo guardava da sotto in su, fra le ciglia. Tuttavia, sotto gli occhi truccati con cura, non poté fare a meno di notare i segni della fatica. Spesso i nuovi arrivati sulla portaerei soffrivano di mal di mare e d'insonnia a causa del rumore. «Benvenuta a bordo, signorina.» «Vedo che l'hanno informata su di me» disse lei, indicando gli appunti di Bennett sul tavolo. «Sì, signorina.» «Ma che sorpresa. Pare che su questa nave si sappia tutto sul mio conto. La Marina degli Stati Uniti sa più cose di me di quante ne sappia mia madre. Il mio gruppo sanguigno, il numero di scarpe, la capacità visiva, il voto all'esame di biologia al secondo anno d'università...» «Normale procedura, signorina.» I militari non avevano grande considerazione per i giornalisti, neanche quando portavano collant e rossetto. Ma a Steve piaceva l'atteggiamento sicuro di quella donna, soprattutto considerando che portava tacchi di sette centimetri. I civili venivano invitati a indossare un abbigliamento comodo, ma evidentemente nessuno aveva detto a Francine di cambiare le scarpe. Un tremendo sibilo, seguito da un violento colpo, fece oscillare la nave. La giornalista barcollò e Steve allungò una mano per sorreggerla. «Mi dica che mi abituerò» borbottò lei, lasciandosi sfuggire un sospiro. «Sarà meglio. Lanciamo e recuperiamo aerei venti7
quattro ore al giorno, senza sosta.» Steve aprì un cassetto ed estrasse una busta di plastica sigillata. «Prenda questi. Ne tengo sempre una scorta a portata di mano.» «Tappi per le orecchie?» Francine prese la busta e la infilò nella borsa. «Grazie.» Prese un registratore digitale, si accomodò sulla sedia dove Steve l'aveva invitata a sedersi e si guardò intorno nel piccolo ambiente, soffermandosi sui pochi oggetti personali in evidenza. «Ha una bella famiglia.» «Grazie. Lo penso anch'io.» «Quanti anni hanno i suoi figli?» «Brian ed Emma sono gemelli. Si diplomeranno quest'anno. Katie frequenta la prima superiore. E questa è Grace, mia moglie.» Sperò che la giornalista non si accorgesse del dolore e insieme della speranza che trapelavano dalle sue parole. Ogni giorno guardava quella foto e cercava di trovare una soluzione. Non aveva mai ingannato sua moglie, prima, e adesso non sapeva come comportarsi. Un marito normale sarebbe tornato a casa, l'avrebbe portata fuori a cena e avrebbe detto: "Ascolta, tesoro, la verità è che...". Ma lui non poteva farlo, nel mezzo dell'oceano. A volte si chiedeva perfino se avrebbe voluto farlo, dannazione. Si era impegnato per non farla soffrire, ma non sembrava che lei apprezzasse i suoi sforzi. Nella foto, scattata a Mustang Island durante il loro soggiorno a Corpus Christi, ridevano tutti e quattro, i visi abbronzati accesi dall'allegria. «È una bella foto» osservò Francine. «Sembrano persone a cui non può succedere niente di male.» Un'osservazione interessante. Avrebbe potuto essere d'accordo con lei, fino alla sua ultima partenza... Grace e i ragazzi erano l'immagine della classica fa8
miglia americana, di quelle che si vedono alle partite estive di baseball. «Com'è stare lontano da loro per tanti mesi?» Come diavolo pensava che fosse? Una festa? «È dura. Sono sicuro che la maggior parte delle persone a bordo le dirà lo stesso. È difficile dover vedere i primi passi di un figlio su una videocassetta o ricevere la foto di un gol vincente per e-mail.» Avrebbe dovuto prepararsi meglio ad affrontare la curiosità di quella giornalista, per nascondere i suoi sentimenti. Una cosa, d'altra parte, che secondo Grace gli riusciva benissimo. Francine esaminò un'altra fotografia. Era stata scattata quasi vent'anni prima ed era contenuta in una cornice leggermente ricurva. «Il ritorno a casa, però, deve essere fantastico» mormorò, guardando l'immagine sbiadita. Steve non ricordava più chi avesse scattato quella foto, ma il momento era impresso dentro di lui con dolorosa chiarezza. Era il ritorno dalla sua prima missione dopo che si erano sposati. Sullo sfondo si intravedeva la sagoma d'acciaio di una portaerei. Marinai, ufficiali e civili si affollavano davanti alla nave, abbracciandosi con la gioia disperata che solo le famiglie dei militari possono comprendere. Al centro c'erano lui e Grace. Dopo tanti anni, avvertiva ancora la forza del loro abbraccio. L'aveva stretta così forte da sollevarla da terra, una delle scarpe con il tacco di Grace si era sfilata e le dondolava dal piede. Ricordava perfino il suo profumo. Da quel giorno, c'erano state dozzine di partenze e di nuovi incontri davanti alla nave. Tutti i ritorni a casa sfilarono di colpo davanti ai suoi occhi, in successione. Grace incinta dei gemelli, con le scarpe da ginnastica che non riusciva ad allacciare attorno ai piedi 9
gonfi. Poi Grace che spingeva la carrozzina doppia e non passava dalle porte. A quell'epoca, il suo profumo somigliava più a un misto di fazzolettini per neonati e sciroppo per la tosse. Negli ultimi anni i bambini l'avevano tenuta molto impegnata, tra lezioni di musica, attività sportive e riunioni di scout. Ma era sempre venuta a prenderlo, al suo ritorno. Non gli era mai successo di essere lasciato solo come quei marinai che, mollati dalla moglie mentre erano in mare, aveva visto tante volte andare al bar fischiettando, con la sacca in spalla, fingendo che non gliene importasse niente. Grace aveva compiuto quarant'anni proprio il giorno prima. Lui le aveva telefonato, ma gli aveva risposto la segreteria telefonica. Ultimamente era piuttosto suscettibile riguardo alla sua età. Forse non l'avrebbe ringraziato per essersi ricordato del compleanno. Francine gli fece molte domande, sulla carriera in Marina, sul suo ruolo a bordo della portaerei. Ascoltava attenta, registrando e prendendo appunti su un taccuino giallo. Nel momento in cui Steve guardò l'o<rologio, si sorprese di quanto tempo fosse passato. Aveva parlato con quella donna della sua famiglia per quasi un'ora. Si chiese se non le avesse detto troppo. Gli americani avevano davvero bisogno di sapere che la sua vita si stava disfacendo come un nodo lento? Si schiarì la voce. «Sulla mia agenda c'è scritto che devo farle da guida per le operazioni di volo notturne.» Era sorpreso che avesse ottenuto l'autorizzazione di visitare il ponte di notte, ma evidentemente il progetto di Francine Atwater era importante per l'Alto Comando. «Non vedo l'ora, signore» disse lei con un sorriso. Il suo era l'entusiasmo delle persone che amavano volare, soprattutto se potevano farlo su un mezzo iper10
tecnologico e pericoloso. E non c'era volo più pericoloso di quello che si faceva decollando da una portaerei. Sorrise anche lui, a dispetto della stanchezza, perché nonostante tutto condivideva ancora quell'entusiasmo. «Volevo arruolarmi e imparare a volare» disse Francine. I suoi occhi scintillavano. «Ma non me la sono sentita di assumere un impegno così gravoso.» «Succede a molti» osservò Steve, senza esprimere né condanna né orgoglio. La Marina degli Stati Uniti esigeva la metà della vita delle persone. Lui era in Marina da quando aveva compiuto diciotto anni e aveva trascorso in mare esattamente la metà dei suoi ventisei anni di servizio. Tutto questo aveva una ricompensa, ma anche un prezzo. E solo adesso cominciava a capire quale fosse. Mentre si avviavano verso la porta, la casella della posta in entrata sullo schermo del computer si accese, ma Steve non si fermò a controllare chi gli avesse scritto. Non aveva intenzione di leggere un messaggio personale con una giornalista alle spalle. Guidò Francine lungo uno stretto corridoio indicandole, per precauzione, i "picchiaginocchia", elementi strutturali all'estremità di ciascun portello. Lungo il corridoio si allineavano decine di armadietti rossi, al cui interno erano custoditi attrezzature antincendio e abbigliamento protettivo. Una sola scintilla nel posto sbagliato poteva mandare a fuoco mezza nave. Steve parlava, ed era generoso di informazioni, ma non sapeva quante delle sue parole riuscissero ad arrivare alle orecchie di Francine. Il fragore costante delle operazioni di volo, il rombo dei motori, il suono sibilante e sferragliante dell'impianto di alimentazione e del sistema d'arresto, lo stridio dei freni degli aerei che 11
atterravano in coperta, rendevano quasi impossibile la conversazione. Il loro passaggio creava un momentaneo scompiglio nella solita routine. I marinai interrompevano ogni attività, bloccandosi a bocca aperta, non appena vedevano arrivare Francine Atwater. Anche le donne la fissavano, non con il desiderio degli uomini ma con malinconia, e forse un pizzico di disprezzo. Servendo il loro paese avevano imparato a fare a meno del trucco, della lacca per capelli, della vanità. Oltrepassarono l'hangar, dove gli aerei aspettavano con le ali ripiegate come aironi di carta, e raggiunsero il corridoio sottostante il ponte di volo. Il rombo degli aerei che atterravano era assordante. «Dobbiamo cambiarci» disse Steve, porgendole una tuta e un paio di stivali. «Sono stata informata delle procedure di sicurezza» replicò lei. Sedette e si tolse le scarpe, mostrando un piede sottile inguainato nella calza di nylon. «Mi hanno intrattenuta su questo argomento per ore e ore.» «La Marina adora informare la gente» ammise lui. Sentiva ancora dentro la testa l'incessante cantilena che gli era stata ripetuta per anni, la litania senza fine di istruzioni e consigli. «In questo caso, mi auguro che sia stata ad ascoltare.» Subito dopo, presumendo che lei non l'avesse fatto, ripeté l'elenco dei pericoli sul ponte di volo. Si poteva essere risucchiati dalla turbina di un motore. Lo scarico del motore di un jet poteva scagliare una persona a grande distanza o addirittura fuori bordo. Aveva visto uomini robusti rimbalzare come palle da baseball da un capo all'altro. Un cavo d'arresto poteva spezzarsi nel momento in cui veniva agganciato dall'arpione posteriore e sferzare con violenza il ponte, abbastanza da segare le gambe di una persona. Gli aerei in movimen12
to, le motrici lanciate a gran velocità, le barre di frenaggio che potevano rompersi: gli incidenti possibili erano tantissimi. Con gesto automatico Steve fece per toccare la medaglietta di San Cristoforo che portava al collo. Poi ricordò che l'aveva smarrita. Aveva perso il talismano che aveva portato con sé fin dalla prima missione. Non era mai partito senza... Per fortuna non doveva volare. Cercò di distrarsi esaminando la bacheca di una delle squadriglie. C'erano i messaggi più diversi: annunci di oggetti in vendita o che si volevano scambiare, un programma cinematografico, un invito a partecipare all'imminente "Picnic della Spiaggia d'Acciaio", nel corso del quale era prevista l'esibizione di gruppi musicali. Il personale navigante cercava disperatamente di crearsi un'esistenza normale in una situazione assolutamente anormale. Ma non funzionava sempre, si disse Steve. Quando ebbe finito di cambiarsi, Francine Atwater aveva assunto un aspetto del tutto diverso. Gli stivali dalla punta metallica, la tuta grigio verde e la maglia bianca riservata ai visitatori nascondevano ogni tratto della sua bellezza, a eccezione dei grandi occhi marroni. Sentendosi nel ruolo di un assistente di volo, Steve le mostrò come utilizzare il giubbotto di salvataggio. Era corredato da una luce di posizione, una confezione di colorante da versare in acqua casomai si fosse ritrovata a mollo, un razzo di segnalazione e un fischietto. «Questo è il suo MOBI» spiegò, porgendole un trasmettitore della grandezza di un telefono cellulare, con un'antenna collegata a una scatoletta. «Mi lasci indovinare. Indicatore di... uomo in mare.» 13
«Vedo che ha studiato.» «Come le ho detto, mi hanno informata a dovere. Però sta dimenticando qualcosa...» «Cosa?» «Non ho intenzione di fare un bagno a mezzanotte.» «Su questo siamo d'accordo.» Steve fece scivolare l'apparecchio dentro la tasca della tuta di Francine e la chiuse con l'apposita striscia di velcro. «Comunque, per ogni eventualità, è meglio che sappia che il trasmettitore ha un segnale di identificazione particolare. In questo modo, si può risalire subito all'identità del naufrago e alla sua posizione.» «Vuole dire che qui sopra c'è il mio nome?» «Soltanto il numero del giubbotto di salvataggio. Vuole che le faccia vedere come fissare il tutto?» «Lo so già.» Steve mostrò a Francine una tabella su cui erano riportate le esercitazioni notturne. Sulla lista c'era scritto chi decollava, chi atterrava, chi erano i membri degli equipaggi e lo scopo di ogni singola operazione. «Ci sono due nomi segnati in rosso» osservò lei. «Significa qualcosa?» «Sono i novellini, i piloti alla loro prima missione.» «Tenente Joshua Lamont» lesse Francine. Steve rimase impassibile, anche se per lui il suono di quel nome era come un pugno nello stomaco. Si chiese se si sarebbe mai abituato ad avere quel ragazzo sotto il proprio comando. Un Greyhound C-2 da trasporto aveva portato a bordo il giovane pilota in sostituzione di un altro. Lamont faceva parte degli Sparhawks, la squadriglia dei Prowler EA-6B. «Vola sul Prowler sei-due-tre» proseguì la giornalista. «Il mio operatore ha ripreso l'aereo mentre lo preparavano per il volo di stanotte.» 14
«State girando un video?» Quelli dell'ufficio per le relazioni con il pubblico non si erano disturbati a dargli i dettagli del progetto a cui lavorava Francine. «Ci può scommettere» rispose lei. Non avrebbe dovuto sorprendersi. Una rivista non era più soltanto una rivista. Ormai ogni pubblicazione doveva avere una presenza multimediale sul Web, con tutti i sacri crismi del caso. L'Alto Comando aveva concesso la propria benedizione all'articolo. Vivevano un'epoca di patriottismo e, incredibilmente, i media erano piuttosto indulgenti con i militari. «Lamont vola da un'ora e quarantotto minuti» le fece notare Steve. «Dovrebbe atterrare a momenti.» «Cosa mi dice dell'altro nome in rosso, Sean Corn?» «Il tenente Corn atterrerà subito dopo il Prowler. Pilota uno dei Tomcat.» «Ed è la prima volta che atterrano di notte su una portaerei?» «Sissignora, ma sono stati scrupolosamente addestrati» rispose Steve. «L'appontaggio su una portaerei è come un atterraggio di fortuna su una superficie ridotta. Il margine di errore in avvicinamento è di meno di mezzo metro. Il gancio posteriore deve ancorarsi a un cavo d'arresto o l'atterraggio fallirà e il pilota dovrà ritentare con un altro passaggio. Il successo dipende dal lavoro di squadra: ogni elemento deve svolgere alla perfezione il proprio compito, al momento giusto ed eseguendo gli ordini. Non dobbiamo chiederci perché capitano gli incidenti, semmai perché sono così pochi.» «Però gli incidenti succedono...» ribatté Francine, fissandolo. Steve si chiese se quella donna desiderasse segretamente di vederne uno. 15
«Sissignora» si limitò a rispondere. «Lei vola spesso, capitano Bennett?» «Abbastanza da mantenere la mia qualifica.» «Le manca?» «Una volta il volo era la mia ragione di vita. Ma dopo quasi mille appontaggi su una portaerei posso farne a meno.» Si sforzò di non sorridere dell'espressione meravigliata della giornalista. «Mi ascolti, signorina: se sta cercando un po' di alta tensione, sta parlando con la persona sbagliata.» «Che cosa c'è di sbagliato in lei?» si azzardò a domandargli lei a quel punto. «Non sono un personaggio molto interessante. Non più. Una volta ero un vero cowboy, trasformavo ogni cosa in una competizione. Ero capace di guardare un pilota negli occhi, dirgli che era il mio miglior amico e poi metterlo sotto in addestramento.» «Ma non lo fa più.» Lui esitò. «Le presenterò qualcuno che lo fa.» Indossarono cuffie con auricolari, occhiali protettivi ed elmetti con paraorecchie, marcati con nastro adesivo riflettente. Steve si fece da parte, indicando a Francine di precederlo. Risalirono una quantità di scalette metalliche. Steve aprì un portello e oltrepassarono un avviso: "Attenzione spostamenti d'aria – Eliche in movimento – Turbine". Attraversarono una piattaforma, risalirono altri gradini e raggiunsero finalmente il ponte. Il puzzo del carburante e dei lubrificanti li colpì in pieno, trasportato da una gelida raffica di vento. Scaglie della pavimentazione antisdrucciolo turbinavano in aria, pungendo il viso come spilli. Oltre la plastica degli occhiali protettivi, gli occhi di Francine esprimevano sincero stupore. Era un mondo nuovo e strano per lei. Il ponte vibrava sotto i suoi piedi e brulicava 16
di uomini indaffarati, con maglie di colore diverso secondo il proprio compito. Ovunque c'erano aeroplani e motrici che andavano e venivano. Nonostante l'ora tarda, l'attività sembrava instancabile, una perfetta, per quanto caotica, coreografia di luci e boati. Il fragore rendeva inutili le parole, così Steve si limitò a fare un ampio gesto con il braccio per dare alla sua ospite il benvenuto nella "voliera". Lei barcollò lievemente, colpita da una raffica di vento, ma poi rispose mostrando il pollice. Attraversarono il ponte fino alla torre di controllo. Salirono diverse scale, superando una serie di verifiche. Nella sala di controllo ponte, un sottufficiale seguiva i movimenti dei diversi aerei posizionando su una riproduzione in scala alcuni modellini. Dopo aver chiesto l'autorizzazione ad accedere al ponte di comando, Steve guidò Francine fino all'ultimo piano della torre. Qui il controllore di volo vigilava su una serie di cellette oscurate, chiuse dietro un vetro di sicurezza infrangibile. Nella sala del Pri-Fly, il controllo di volo principale, i monitor dei computer e i pannelli luminosi della strumentazione riflettevano i visi dei membri dell'equipaggio, immersi nel loro lavoro. Uno schermo mostrava le posizioni di tutti gli elementi della flotta da battaglia e altre navi nella zona. Steve indicò cacciatorpediniere, incrociatori, una nave di rifornimenti, la petroliera. «E questo cos'è?» volle sapere la giornalista, indicando lo schermo. «Probabilmente un peschereccio giapponese» rispose Steve. Dal suo cubicolo di vetri oscurati, il comandante Shep Hardin, il controllore di volo in servizio, impartiva ordini al ponte. S'interruppe brevemente per salutarli. 17
«Lei è davvero fortunata» disse, rivolto a Francine. «La sua guida è il lupo grigio in persona.» «Grazie, amico» replicò Steve. Poi si girò verso la giornalista. «Vuole dare un'occhiata dal nido delle aquile?» «Temevo che non me lo avrebbe mai proposto.» Mentre si dirigevano verso il punto di osservazione che dominava il ponte di volo, Francine chiese: «Perché l'ha chiamata lupo grigio?». Steve aveva quasi sperato che non avesse sentito. «L'equipaggio di una portaerei è composto da uomini e donne giovani, sotto i venticinque anni. A quarantaquattro anni sono vecchio.» Non aveva intenzione di addentrarsi nei complicati dettagli della sua ascesa verso i più alti gradi. Indicò una fila di tre aerei incatenati al ponte. «Quelli parcheggiati laggiù sono i Prowler. Vengono utilizzati per ricognizione e disturbo delle comunicazioni radio.» Francine si portò le mani al viso proteggendo gli occhi e si appoggiò al vetro, osservando il ponte illuminato. «Quegli aerei hanno un aspetto, come dire... vissuto.» Aveva ragione. Non somigliavano per nulla agli aerei scintillanti che la Marina mostrava nelle foto propagandistiche. Dopo centinaia di voli avevano l'aria di essere tenuti insieme con nastro adesivo e spago per imballaggio. «Le operazioni di volo sono il motivo dell'esistenza di una portaerei, signorina. Perciò è fondamentale mantenere in perfetta operatività gli aerei. Gli equipaggi lavorano ventiquattro ore al giorno per sette giorni alla settimana per garantirne l'efficienza» la rassicurò lui, sperando che la giornalista non si fosse accorta della chiazza d'olio che si allargava sul ponte. 18
«La squadriglia dei Prowler dispone di soli quattro aerei e quindi vengono utilizzati molto. Siamo quasi alla fine della missione e la nostra preoccupazione non è che abbiano un bell'aspetto, ma che funzionino bene.» «Così Lamont, il... pivellino, sta volando con il quarto.» «Esatto.» Appoggiandosi sul manuale delle operazioni di volo, Francine fece una rapida annotazione sul suo taccuino. «Pronta per vedere qualche appontaggio?» chiese Steve. «Solo un attimo» rispose lei, continuando a scrivere in fretta. Quando ebbe finito, Steve le disse di rimettere gli occhiali. Aprì una porta e uscirono. In alto, due stelle cadenti tracciarono linee parallele nel cielo scuro e scomparvero. Steve cercò di indicarle a Francine, ma prima che potesse farlo erano già scomparse. Non che avesse importanza. Le stelle cadenti non facevano parte dello spettacolo notturno. Gli aerei atterravano l'uno dopo l'altro, abbattendosi sul ponte in un assordante stridio di gomme e metallo. Gli arpioni posteriori sollevavano una scia di scintille slittando alla ricerca di un cavo d'arresto. Steve porse a Francine un binocolo e le indicò un LSO, l'ufficiale addetto alle segnalazioni Whitey Love, che stava in piedi insieme a un collega su una piattaforma battuta dal vento. Da quel punto di osservazione privilegiato, nei pressi della prima serie di cavi d'arresto, l'ufficiale scrutava il cielo buio con un binocolo a infrarossi. Parlava con i piloti attraverso l'auricolare. Un segnale giallo all'estremità del ponte, allineato a una fila di luci verdi, indicava che il pilota in arrivo 19
era perfettamente in linea per un atterraggio sicuro. L'arpione posteriore doveva riuscire ad agganciare uno dei cavi d'arresto, e ce n'erano appena cinque. Ogni cavo poteva essere utilizzato per un certo numero di arresti, poi doveva essere eliminato, perché la sua tenuta era ormai compromessa. Se qualcosa andava storto, si rischiava la perdita di un aereo da sessanta milioni di dollari, se non la morte del pilota e dell'equipaggio. Steve notò le maglie bianche di altri tre visitatori carichi di attrezzature. Francine seguì il suo sguardo e fece cenno ai suoi collaboratori di rientrare. «Sono il mio fotografo, l'operatore e l'assistente» spiegò. Steve si augurò che fossero stati messi al corrente delle procedure di sicurezza. L'operatore filmava un jet che si stava avviando verso l'elevatore, e sembrava inconsapevole del pericolo. Evidentemente ignorava che le emissioni delle turbine potevano scagliarlo a sei metri d'altezza. Appena in tempo, il suo accompagnatore lo fece mettere al sicuro, e il gruppetto si incamminò verso la torre di controllo. Si incontrarono a livello del ponte. Il pavimento ronzava e un refrigeratore d'acqua alla base dell'elevatore vibrava pericolosamente. Mentre Francine faceva le dovute presentazioni, entrò un addetto alla santabarbara. Portava una maglietta rossa sporca e batteva contro un fianco un guanto fumigante. Oltre gli occhiali affumicati Steve riconobbe l'aviere Michael Rivera. Il fotografo e il cameraman puntarono subito gli obiettivi su di lui. «Tutto bene?» s'informò Steve. «Sissignore. Solo qualche piccolo problema con i razzi.» Rivera tolse gli occhiali e l'elmetto con le cuffie paraorecchi. «Adesso è tutto quanto a posto.» 20
«Vada in infermeria e si faccia dare un'occhiata a quella mano.» «Non ce n'è assolutamente bisogno, signore. Sono entrato solo per ripararmi dal vento un momento.» Rivera era il genere di marinaio che Steve preferiva: professionale, coscienzioso, sicuro di sé. Non era il tipo da farsi intimidire da un pilota di caccia. Aveva un sorriso accattivante e un calore genuino, perfetti per i manifesti che invitavano al reclutamento. Sulla faccia insudiciata dal lungo turno sul ponte di volo i denti spiccavano bianchissimi. Francine ne fu subito conquistata. Steve se ne accorse dall'espressione del suo viso. Tanto valeva farla contenta. Fece le presentazioni e Rivera si illuminò, grato di potersi distrarre per un po' dal caos sul ponte. «E lei di cosa si occupa?» volle sapere Francine, pronta a prendere appunti. «Mi occupo di armi e munizioni. La santabarbara è la zona dove vengono custoditi bombe e missili e si trova fra la torre di controllo e il parapetto. Da lì i materiali vengono portati sugli aerei.» «E avete avuto problemi con un razzo?» Rivera annuì. «I razzi sono utilizzati sui Tomcat F-14 come esca per i missili termosensibili. Ogni razzo contiene ottanta unità interne e ciascuna di esse brucia a seicento gradi, così dobbiamo fare molta attenzione.» Sorrise, e la sua contentezza era evidente. «Ho un motivo in più per fare attenzione, in questi giorni. Oggi ho ricevuto un'e-mail da mia moglie. Il dottore ha potuto vedere il sesso del bambino: avremo un maschio.» Sembrava sul punto di scoppiare d'orgoglio. «Il primogenito.» «Sarà a casa per il parto?» chiese Francine. «No, signorina, in compenso c'è la sua famiglia vicino a lei.» 21
«Dove abita?» «Base navale di Whidbey Island, nello Stato di Washington. La moglie del capitano Bennett è una vera amica per Patricia» aggiunse, con una rapida occhiata di gratitudine a Steve. Non guardare me, pensò lui. Anche se non lo sorprendeva il fatto che Grace stesse aiutando la moglie di un giovane aviere, non aveva idea che le due donne fossero diventate amiche. Frustrato, si girò verso una finestra, mentre il PR, l'ufficiale addetto alle pubbliche relazioni che aveva accompagnato i videoperatori, si univa a loro. All'esterno, Steve notò qualcosa... Aveva passato troppe ore su una portaerei per non accorgersi anche dei minimi dettagli. L'atteggiamento dell'equipaggio che doveva recuperare il prossimo aereo di colpo non era più lo stesso. Era come un rapido mutamento di direzione del vento o un'invisibile scarica di adrenalina, cose che non solo la giornalista, ma anche la maggior parte degli addetti al ponte di volo non avrebbe notato. Steve si scusò e uscì. Il comandante degli LSO, Bud Forster, che normalmente non partecipava alle operazioni, a meno che la situazione non si facesse difficile, parlava con fare concitato nel trasmettitore. «Prowler sei-due-tre...» ripeteva. Il volto era pietrificato, e Steve conosceva bene quell'espressione. E sapeva qual era l'aereo con cui Forster stava parlando. C'era Lamont ai comandi di quel Prowler e, qualunque cosa stesse succedendo, di sicuro non era nei programmi dell'esercitazione di quella notte. Se ne stava occupando Forster, però, e Steve non aveva intenzione di interrompere il suo lavoro. Sarebbe voluto rimanere, ma scorse Francine Atwater e gli altri: erano usciti sul ponte e stavano seguendo Rivera 22
verso la santabarbara. Il PR non si vedeva da nessuna parte. Capì che i civili non si sarebbero accorti della tensione che montava e si affrettò verso di loro. Accidenti, avrebbe dovuto radunarli come un branco di pecore. Questa me la paghi, Rivera, borbottò fra sé. Poi pensò che avrebbe dovuto occuparsi lui della giornalista, e invece se n'era andato. Mentre camminava svelto verso la santabarbara, gli sembrò di scorgere delle scintille e un filo di fumo provenire da uno dei contenitori di razzi alle spalle di Rivera e dei civili. Sbatté le palpebre, strofinò uno dei guanti sugli occhiali e li vide un'altra volta. Il gruppo era troppo lontano per sentire la sua voce, se avesse gridato un avvertimento. Gridò ugualmente e allo stesso tempo fece segno al controllo ponte di far scattare l'allarme incendio. Durante le operazioni di volo c'erano sempre una cisterna e una squadra di pompieri sul ponte, con manicotti collegati ai serbatoi d'acqua e schiuma. Rivera, che era più vicino al contenitore, si girò di scatto. Si guardò intorno alla ricerca dell'incendio, e per un momento Steve pensò che non si fosse accorto del fumo. Poi lo vide afferrare il cilindro in fiamme e mettersi a correre verso il bordo del ponte di volo. Ci fu un'esplosione, come uno sparo. I razzi squarciarono la notte. Rivera rotolò a terra. Il suo braccio era una torcia. Steve corse. Quando raggiunse l'uomo in fiamme cadde in ginocchio accanto a lui e si strappò di dosso il giubbotto di salvataggio, cercando di spegnere il fuoco che ormai stava divorando anche la schiena di Rivera. Era consapevole che nessuno poteva sentirlo, ma non smi23
se di chiedere, gridando, l'aiuto di un dottore. A quel punto, si diceva, tutti dovevano aver visto quello che era successo, i soccorsi sarebbero arrivati presto. Avrebbe voluto restare con Rivera, rassicurarlo, ma il contenitore fumava ancora. Anche a distanza di un metro, Steve avvertiva il calore degli elementi interni che continuavano a bruciare nel cilindro. Se fuma, liberatene. La regola base contro gli incendi. Afferrò il manico del contenitore. Il suo guanto si incendiò e Steve urlò di dolore, ma non mollò la presa. Quel dannato coso sembrava pesare una tonnellata, però in qualche modo riuscì a portarlo fino al bordo del ponte. Un'esplosione di luce e calore lo avvolse. Non c'era più niente sotto i suoi piedi, si sentiva come se fosse stato risucchiato da un tornado. Dove diavolo era la rete di sicurezza? Fu l'unico pensiero coerente che poté formulare mentre volava attraverso il nulla. Stranamente udì un unico suono nel vento: una sirena, dal ponte. Era l'allarme speciale riservato a uno dei più temuti incidenti che potessero capitare durante le operazioni su una portaerei: uomo in mare.
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