L'uomo venuto dal mare

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Giugno 795 Al largo della costa della Northumbria La speranza di tornare vivo a Raumerike and Sand era appesa al più sottile dei fili. Dopo aver calcolato le probabilità, Valdar Nerison era giunto alla conclusione che non avrebbe mai più rivisto i suoi nipoti, che non si sarebbe mai più seduto sotto le travi della sua sala grande e che non avrebbe mai più respirato l'aria balsamica del suo paese natale. Lo sentiva nel profondo del cuore. Lo aveva compreso da quando i ribelli si erano ammutinati, cinque notti prima, trucidando i suoi amici, compreso il capo del felag, l'organizzazione che tutelava gli interessi economici dei norreni. Girmir, l'uomo che aveva capeggiato l'ammutinamento, lo avrebbe ucciso prima che l'imbarcazione raggiungesse la riva di Raumerike, molto probabilmente quando i ben noti contorni delle case fossero apparsi alla vista. Al momento, però, aveva bisogno delle sue capacità per navigare in quelle acque insidiose e aveva commesso l'errore di 5


dare per scontato che lui gli aveva creduto, quando gli aveva assicurato che lo riteneva prezioso. L'unica domanda che gli occupava la mente era: quando tentare la fuga? Quando avrebbe dovuto fare la propria mossa? Lo osservavano come corvi e gli avevano tolto tutte le armi. Chinandosi sul remo, Valdar tentò di stabilire quale sarebbe stato il momento migliore, accantonando un piano dopo l'altro e giudicandoli tutti inattuabili. Ogni giorno che passava appariva sempre più chiaro che gli uomini avevano creduto a Girmir quando aveva dichiarato che, qualora lo avessero seguito, avrebbero ottenuto una quantità di oro e di schiavi che superava le loro più sfrenate fantasie. A mano a mano che la violenza del fortunale aumentava, Girmir cominciò a borbottare che era necessario fare un sacrificio a Ran, il dio delle tempeste. Un sacrificio umano. «È meglio che muoia un solo uomo anziché l'intero equipaggio» annunciò a un tratto. Valdar si sentì gelare il sangue nelle vene. Portò lo sguardo alla sua sinistra nel medesimo istante in cui un fulmine saettava nel cielo. In lontananza, scorse la sagoma indistinta della terra e per la prima volta da quando si era verificato l'ammutinamento, un barlume di speranza si insinuò in lui. Un'estate di molto tempo addietro, lui e suo fratello avevano imparato a nuotare, ed era certo di non aver dimenticato i movimenti delle gambe e delle braccia. «La tempesta si sta intensificando! Ran e Thor sono entrambi di pessimo umore» gridò mentre un'altra raffica impetuosa, proveniente dall'incudine di Thor, li investiva. «Sei hai sul serio intenzio6


ne di compiere un sacrificio, fallo prima che la nave affondi.» «Stai sfidando la mia autorità?» Girmir avanzò verso di lui e gli accostò un coltello alla gola. «Sai bene che cosa è successo a Horik il Giovane quando ci siamo battuti. E a Sirgurd.» «Benché adesso la nave ti appartenga, Girmir, io ho il diritto di esprimere un'opinione.» Valdar smise di remare e fissò l'usurpatore che aveva attaccato nel cuore della notte, uccidendo Horik senza lasciargli la possibilità di afferrare la spada. Poi aveva costretto Sirgurd a combattere, benché fosse stato chiaramente in preda alla febbre. «Potrebbe essere difficile superare la tempesta. Ci converrebbe approdare da qualche parte.» «L'unico modo per pacificare gli dei è sacrificare una vita umana. L'ho già visto accadere.» Girmir accennò in direzione del membro più giovane della ciurma che tentava di farsi piccolo piccolo accanto al suo remo. «È un gesto nobile dare la vita per i propri amici. Qualcuno dovrebbe offrirsi volontario.» Un silenzio di tomba calò sull'imbarcazione mentre tutti smettevano di remare. «Io?» domandò Valdar mentre il vento ululava attorno a loro. Girmir assunse un'espressione compassionevole. «Abbiamo bisogno di te e della tua abilità di navigatore, Valdar senza spada. Ti ho dato la mia parola. Rivedrai Raumerike.» «Se è un gesto tanto nobile, dovremmo tirare a sorte» ribatté Valdar, ignorando lo scherno e tendendo la trappola. Girmir lo avrebbe assassinato non appena le bianche scogliere di Raumerike si 7


fossero profilate all'orizzonte. Anche prima, se lo avesse ritenuto opportuno. Uno spergiuro restava sempre uno spergiuro. «Lasciamo che decidano gli dei... a meno che tu non tema il loro verdetto.» Perfino i seguaci più leali di Girmir mormorarono il loro assenso. «Quale sarà?» incalzò Valdar mentre un altro fulmine solcava il cielo, rischiarando le facce smunte e bagnate degli uomini. «Quale scelta troveranno più soddisfacente gli dei, la loro o la tua?» L'altro uomo impallidì, rendendosi conto di essere caduto in una trappola. «Mi atterrò alla decisione degli dei.» «Non vi importerà se sarò io a tenere i gettoni» propose un uomo. Girmir inclinò la testa in un cenno di assenso. «Come preferisci, e Valdar senza spada può prepararli. Non voglio essere accusato di aver ingannato gli dei.» Valdar abbandonò il suo posto e prelevò da una cassa diverse pietre del sole che fungevano da gettoni per giocare a tafl, oltre che per la navigazione, e le infilò in un sacchetto, avendo cura di mostrare a tutti la pietruzza nera. Poi consegnò il sacchetto all'uomo che lo aveva chiesto. Dopo tanti giorni di inattività e di umiliazioni, era piacevole fare qualcosa. In un modo o nell'altro avrebbe riacquistato il rispetto di se stesso, prima di morire. Era vissuto troppo a lungo con quel famelico animale che gli rodeva le viscere, ricordandogli che avrebbe dovuto soddisfare la richiesta di Horik e restare con lui, quella notte. Avrebbe dovuto svegliarsi prima che Horik venisse assassinato, prima che lo privassero della pro8


pria spada. Avrebbe dovuto ignorare gli anni di addestramento, prestare ascolto all'istinto e battersi, prima che la situazione gli sfuggisse di mano. Se quell'imbarcazione fosse naufragata, fatta eccezione per il ragazzo, non c'era nessuno che avrebbe tentato di salvare. Avevano tutti eseguito l'ordine di Girmir e conficcato la spada nel corpo di Horik per dimostrargli la loro lealtà. Quando lui si era limitato a sfiorare il corpo senza vita con la lama, aveva visto contrarsi il viso di Girmir e compreso che il suo destino era segnato. «Prima tu, Girmir, sei il capo!» Il sudore imperlò la fronte dell'uomo. «Ah! Una pietra bianca!» A uno a uno i membri della felag pescarono il loro gettone. Il più giovane impallidì paurosamente quando notò di aver estratto una pietra più scura delle altre. Valdar gli coprì la mano con la sua. «Apri la mano e gira la pietra. Ti è solo parso che fosse nera.» Il ragazzo obbedì. «La pietra è bianca, da questa parte. Io pensavo...» «Non era che un effetto della luce.» Valdar fissò le scogliere all'orizzonte mentre soppesava il sacchetto sul palmo della mano. Avrebbe potuto farcela. Sapeva nuotare. Una nervosa aspettativa gli irrigidì le membra. Era preferibile morire combattendo che essere sgozzato come una pecora. Aveva ingannato gli dei sostituendo la pietra nella mano del ragazzo? Probabilmente sì, sebbene gli dei lo avessero abbandonato, cinque notti prima. «Gli dei vogliono la mia pelle, quest'oggi» dichiarò sollevando la pietruzza nera come la pece. 9


Attese mentre gli altri uomini si scambiavano occhiate e increduli mormorii. Tuttavia, ne era valsa la pena. Aveva risparmiato la vita a un giovane innocente. Girmir scrollò le spalle. «Gli dei hanno deciso. Avrai le braccia legate, Nerison, ma Ran preferisce che le sue vittime siano vive, perciò non ti taglierò la gola. Lascerò che lo faccia lui.» Valdar chiuse gli occhi. Avrebbe dovuto immaginare che Girmir gli avrebbe fatto legare le braccia. Se non fosse riuscito a liberare i polsi, avrebbe dovuto contare unicamente sulla forza delle gambe. «Come vuoi, ma sappi che un giorno dovrai rendere conto delle tue azioni. Gli dei puniscono gli uomini che infrangono i loro giuramenti.» Girmir gli strinse l'avambraccio, dopo avergli consegnato la parte che gli spettava del bottino ammassato fino ad allora. «Il tuo sacrificio placherà le ire degli dei. Puoi riavere la tua spada. Ti sei comportato con onore. Che tu possa anche morire con onore.» Dopo essersi affibbiato attorno alla vita il cinturone a cui era appesa la spada, Valdar gettò la pietruzza al ragazzo. «Sarai tu a decifrare le pietre del sole, adesso. Fallo bene, come ti ho insegnato.» Girmir strabuzzò gli occhi. «È in grado di decifrarle e consultare l'astrolabio?» «Non vorrai perdere un altro navigatore, Girmir. In quale altro modo riusciresti a tornare a casa?» Il giovane arrossì. «Ti ho sempre ammirato, Valdar. So bene che cos'hai fatto per me.» «In tal caso, annoda le mie corde» ribatté Valdar. «Vuoi farlo per me?» «Sì, lo farò.» 10


«Bravo, ragazzo.» «Quando tornerai a casa, la pietra ti starà aspettando. Chiedi di Eirik, figlio di Thoren, ti indicherà la mia capanna. Le Norne non hanno finito, con te. Ne sono certo.» «Sto per essere sacrificato.» Valdar separò leggermente i polsi l'uno dall'altro. «Come possono non essere pronte a recidere il filo della mia vita?» «È quello che dice sempre mia madre.» Il giovane legò le corde senza stringerle troppo. «Devi credere che saranno le Norne a decidere quando recidere il filo, non tu.» «Sbrigatevi!» gridò Girmir al di sopra del rombo di un tuono. «La collera di Thor sta aumentando.» Valdar annuì e avanzò di un passo, restando in equilibrio accanto al palo intagliato a forma di orso ringhiante applicato alla prua. Il vento lo frustava senza pietà. Anche se tentò di pensare a tutto ciò che aveva fatto e lasciato incompiuto, solo le bianche, basse scogliere che scorgeva all'orizzonte gli occupavano la mente. Esisteva un'esigua probabilità che riuscisse a raggiungerle, che gli dei volessero che continuasse a vivere, che la sua spada e l'oro contenuto nella sua borsa gli consentissero di far giustizia per tutti coloro che avevano perduto la vita. Ascoltò le parole rituali del sacrificio, poi si tuffò. L'impatto con l'acqua gelida gli mozzò il fiato. Continuò ad affondare nella turbinante oscurità finché non ebbe l'impressione che i polmoni fossero in procinto di esplodere. Allora cominciò a scalciare, risalendo finché la sua testa non emerse dalle onde. Torse ripetutamente i polsi e infine il nodo cedette, liberandogli le braccia. 11


La nave era già scomparsa alla vista e solo un plumbeo grigiore lo circondava. Girandosi, notò quella che gli parve una spiaggia di sabbia bianca e si diresse verso di essa, bracciata dopo bracciata. Il giorno della resa dei conti sarebbe arrivato e Girmir avrebbe pagato a caro prezzo la sua perfidia, si ripromise. Era una buona ragione come un'altra per continuare a vivere. Alwynn si riparò gli occhi con la mano per difendersi dell'abbagliante luce del sole che scintillava sul placido mare azzurro e percorse la costa con lo sguardo. Il temporale della notte aveva gettato sulla spiaggia una quantità di alghe, di pezzi di legno e di carbone marino. Tuttavia, non c'era traccia di velieri naufragati, né di corpi disseminati sulla riva, a differenza dell'anno precedente, quando la tempesta di St. Cuthbert aveva salvato tutti loro da un'invasione. Scosse la testa. Si rifiutava di pensare a ciò che avrebbe detto la madre se avesse saputo che sua figlia, una donna nelle cui vene scorreva il sangue reale degli Idling, si apprestava a frugare fra i detriti per raccogliere tutto ciò che poteva risultare utile. Nel mondo di sua madre, le donne di nobili natali ricamavano drappi preziosi per la casa, o la chiesa, e dirigevano prospere tenute. Per nessuna ragione al mondo si sporcavano le mani con il carbone marino. Sua madre non era mai stata costretta a cercare di sopravvivere dopo che il marito era mancato all'improvviso, lasciando una montagna di debiti da pagare. Invece lei lo aveva fatto, vendendo tutto ciò che aveva potuto e riuscendo nello stesso tempo a 12


conservare una casa e una parte delle terre. «Faccio solo ciò che devo» borbottò fra sé. «Come potrei pretenderlo, dagli altri, se io stessa mi rifiutassi di farlo?» Con un gesto di sfida si chinò a raccogliere un pezzo di carbone e lo gettò in un cesto. Se il raccolto fosse risultato abbondante e tutti avessero pagato in tempo i tributi, avrebbe risolto i problemi che l'assillavano e avrebbe potuto lasciare il carbone agli altri abitanti del villaggio. A suo tempo, Merri avrebbe potuto avere una dote decorosa e la possibilità di trovare un marito degno di lei. Per se stessa, non desiderava che essere lasciata in pace a prendersi cura del proprio giardino. Voleva essere libera di decidere chi avrebbe sposato, o di non risposarsi mai. Libera di decidere se entrare o meno in un convento. «Vedi, avevo ragione!» Merewynn la raggiunse di corsa e depositò una manciata di carbone nel cesto. I suoi riccioli biondi sfuggivano da sotto il copricapo che Alwynn aveva ordinato alla figliastra di indossare. Merewynn aveva appena compiuto dieci anni. Era ora che cominciasse a comportarsi come una giovane donna anziché come una monella che scorrazzava nelle brughiere. «Ci sono sempre molti detriti dopo un temporale estivo. Potremmo perfino trovare un tesoro, e allora non saresti costretta a preoccuparti tanto per l'imposta che devi pagare al re. Peccato che non eravamo mai venute qui, prima di questa mattina. È così divertente.» «Cerca di non allontanarti troppo, Merri» le raccomandò Alwynn. «E non salvare animali. Ne abbiamo già fin troppi nella nostra nuova sala.» 13


Merewynn fece una smorfia. «Se lo cercassimo, sono certa che riusciremmo a trovare un posticino. Un topo non occuperebbe molto spazio. O un corvo. Ho sempre desiderato avere un corvo. E adesso non dobbiamo più sopportare le lagnanze di padre Freodwald.» Alwynn si sforzò di assumere un'espressione severa. Il loro prete non aveva fatto che lagnarsi della confusione e di decine di altre cose, ed era stato un sollievo quando si era trasferito in un'altra dimora. «Il vescovo lo tiene nella più alta considerazione» fece notare alla figliastra. «Però detesta i corvi, gli uccelli di St. Oswald. Non è incredibile? Sostiene che beccano le dita e sporcano dappertutto.» «Tanto per chiarire questo punto.» Alwynn si piazzò una mano sul fianco e fissò severamente la figliastra. «Siamo qui per cercare cose utili, non altri animali per il tuo serraglio. Non intendo perdere altre terre, e tu devi avere una dote dignitosa, quando verrà il momento. Il giorno del mio sposalizio ho giurato che mi sarei presa cura di te come se fossi mia figlia.» Merri emise un pesante sospiro. «Mi piaceva di più quando non eri costretta a essere pratica, matrigna. A volte impieghi un certo tempo a renderti conto che ti occorre qualcosa e poi...» Fece schioccare le dita. «Un corvo potrebbe essere addestrato per portare dei messaggi. Se i norreni tentassero di nuovo di attaccarci, potremmo liberarlo e lui volerebbe da Re Athelfred, che potrebbe pregare St. Cuthbert di mandare un'altra tempesta e...» «Pretendi troppe cose da questo corvo sconosciuto» la interruppe Alwynn. 14


«Voglio essere pronta, nel caso i norreni vengano ad assassinarci nei nostri letti.» «Dopo la tempesta dello scorso anno non tenteranno tanto presto di attaccarci di nuovo. Hanno perduto molti velieri e il loro capo.» «Oppure potremmo trovare un falco con un'ala spezzata» continuò Merri. «Il falco potrebbe appartenere a un principe che si innamorerebbe all'istante di te, e allora vivremmo tutti felici e contenti. Potresti perfino diventare regina.» «Ascolti troppe favole, Merri. Il re è un mio lontano cugino. Gli auguro di vivere a lungo.» «Il principe potrebbe venire da un altro regno. Un regno che non possiede un buon re.» «Merri!» «Be'...» La ragazzina le rivolse un sorriso impertinente. «Potrebbe accadere.» Alwynn abbassò lo sguardo sulla veste di lana che indossava. Con tre toppe e la parte inferiore della gonna costellata di macchie, aveva visto indubbiamente giorni migliori. E non intendeva pensare alla proposta di diventare la sua amante che Edwin le aveva fatto dopo che il re aveva confermato la sua carica di nuovo signore della regione. Edwin era un uomo dello stesso stampo del suo defunto marito, più interessato a ottenere promozioni che al benessere della propria gente. Un brivido la percorse nel ricordare che da adolescente aveva supplicato suo padre di permetterle di sposare Theodbald. Era apparso così premuroso e attraente, con la sua figlioletta fra le braccia. «Non ho niente da offrire a un uomo, tanto meno a un futuro re.» «Hai dei magnifici capelli scuri e gli occhi del colore dell'erba in primavera. E sei intelligente. Ti 15


intendi di erbe medicamentose e di guarigioni, e la tua voce sembra quella di un angelo quando canti. Come mai non canti più, matrigna?» «Un principe desidera più di un volto grazioso, in una sposa. I principi hanno bisogno di una moglie in grado di conoscere i giochi di potere e di procurare loro il trono. Preferisco stare nel mio giardino che a corte.» Alwynn ignorò la domanda sul motivo per cui non cantava più. Da quando era venuta a conoscenza dei tradimenti di Theodbald, la musica non le procurava più alcun piacere. La voce le moriva in gola ogniqualvolta tentava di cantare. Di tutte le cose che aveva perduto era quella che l'addolorava di più. «A volte dovresti credere che verranno giorni migliori» dichiarò la ragazzina. «Me lo hai detto tu stessa, dopo che mio padre è mancato e tutto è andato a rotoli. E io ci credo. Un giorno le cose miglioreranno per entrambe.» Alwynn si costrinse a sorridere. Forse Merri aveva ragione. Forse era stata troppo seria, in quegli ultimi mesi, ma era difficile essere allegri quando quasi tutto era andato perduto. Le sue sventure erano iniziate con la morte di Theodbald per un incidente di caccia. Ubriaco, suo marito aveva finito per essere azzannato da un cinghiale. Non c'era stato niente che lei e i monaci avessero potuto fare per salvarlo. Era stato allora che l'intera portata dei suoi debiti era venuta alla luce. «La morte di tuo padre ha... cambiato la nostra situazione.» La ragazzina annuì con aria solenne. «Lo so, ma a volte vorrei che vivessimo ancora nella casa grande, con una stalla piena di cavalli.» «Non c'è niente che non vada, nella nostra nuova 16


casa» ribatté Alwynn. «Mia nonna è cresciuta lì, e offre molti vantaggi. Un vasto erbario, per esempio.» Merri arricciò il naso. «Se ti piacciono le piante...» «Non abbiamo alcun bisogno di un principe. Riuscirò a conservare quella sala.» «So che la mia vera madre veglia dal cielo su di noi, ma da dove ci protegge mio padre?» Alwynn portò lo sguardo sugli scogli illuminati dal sole. Minuscole onde lambivano la riva, niente a che fare con i giganteschi marosi che dovevano essersi abbattuti sulla spiaggia la notte prima. «Veglia su di noi da un altro posto» si limitò a replicare. «Avanti, mettiamoci al lavoro. Dobbiamo riempire il paniere di carbone prima che il sole si alzi ulteriormente. C'è una lista lunga come il mio braccio di cose che devo fare, quest'oggi. Gode è andata a trovare sua nipote e i braccianti stanno aiutando a tosare le pecore. Inoltre devo occuparmi della nuova ruota del mulino.» Non aggiunse che non aveva la più pallida idea di come riparare una macina, né sbrigare altre decine di faccende. E non possedeva l'oro necessario per pagare un intendente, ammesso e non concesso che fosse riuscita a trovarne uno di cui avrebbe potuto fidarsi. Tuttavia sarebbero sopravvissute. In qualche modo. Merri annuì. «Sono contenta che Gode abbia una capanna tutta sua. Cerca sempre di impedirmi di fare delle cose interessanti per il semplice fatto che è stata la tua nutrice e che tu le presti ascolto.» «E troveremo qualcosa da aggiungere alla tua collezione, forse una conchiglia, o una piuma. Ma 17


non un falco né un corvo. Abbiamo già troppe bocche da sfamare.» Merri le tirò la manica. «Che cosa c'è laggiù, matrigna? È un uomo?» Alwynn soffocò un grido. Il corpo di uomo giaceva sulla striscia bagnata lasciata dall'alta marea. Un pezzo di corda gli pendeva da un braccio e i suoi capelli brillavano come l'oro nel sole del mattino. Fu il possente fisico maschile, tuttavia, le spalle larghe che lasciavano il posto alla vita snella, a catturare la sua attenzione. Per la frazione di un secondo, si chiese come fosse stato da vivo. Era il tipo di uomo capace di arrestare i battiti del cuore. Scosse il capo. Stava diventando peggio di Merri. Dopo Theodbald, avrebbe dovuto sapere che un aspetto seducente non corrispondeva necessariamente a un buon cuore. Doveva essere pratica e insensibile, non la fanciulla piena di sogni che era stata una volta. Poteva esserci dell'oro o dell'argento, qualcosa di valore, sulla sua persona. Chiunque altro non avrebbe esitato a perquisirlo. Quel poveretto non avrebbe saputo che farsene, se era morto. «Il corpo dev'essere stato gettato sulla spiaggia durante il temporale» osservò. Merri sgranò gli occhi. «È...?» «Nessuno sarebbe riuscito a sopravvivere a quella tempesta. In mare e con la barriera di scogli.» «Cosa facciamo?» domandò la ragazzina. «Dobbiamo avvertire Edwin? Sai bene che cos'ha detto: "Nessuno deve rimanere vivo, se viene trascinato su una spiaggia".» Alwynn rafforzò la stretta attorno al cesto. L'ultima persona che desiderava incontrare era Edwin, con la sua sempiterna espressione beffarda. Si sa18


rebbe impossessato di qualunque oggetto di valore lei avesse trovato. «Non ancora» rispose quindi. «Avremo tutto il tempo di farlo in seguito. Si limiterebbe a rivolgere delle domande... domande sul... cesto di carbone.» «Bene. Non mi piace quell'uomo.» «Non piace a nessuno.» Lei deglutì a stento. Detestava l'idea di essere arrivata al punto di derubare i morti. Trasse un profondo respiro e strinse i pugni lungo i fianchi. Poteva farcela. Si ripeté mentalmente la promessa che aveva fatto a se stessa quando era venuta a conoscenza della perfidia di Theodbald: sarebbe sopravvissuta e Merri avrebbe fatto un buon matrimonio. La dissolutezza di un uomo non avrebbe rovinato altre vite. «Resta qui, Merri» ordinò, sistemandosi una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio e imponendo al suo stomaco di non rovesciarsi. Dopotutto non era la prima volta che toccava un cadavere. «In tal caso, potrai affermare con sincerità di non aver avuto nulla a che fare con questa faccenda.» «Diventi sempre più simile a Gode.» «Fidati di me. È meglio che tu rimanga in disparte. Se qualcuno dicesse qualcosa, non avrai alcuna colpa.» «Sono coinvolta lo stesso» insistette Merri. «So bene cos'ha fatto mio padre. In fondo, dovrei proteggerti. È stato lui a ingannarti e a lasciarti una montagna di debiti. Lo dicono tutti quando sei girata dall'altra parte.» Alwynn le posò una mano sulla spalla, augurandosi che Merri continuasse a ignorare la maggior parte dei misfatti del genitore: gli abusi, gli eccessi, 19


le prostitute e il gioco d'azzardo. «Tutto questo appartiene al passato. Io mi sto concentrando sul presente.» «Se il guerriero è vivo, lo salverai? O lo colpirai alla testa, come ha ordinato di fare Edwin?» «Non può essere vivo, Merri.» «Edwin ha torto. Si dovrebbe sapere se un uomo è colpevole prima di ucciderlo. Altrimenti diventi un assassino. Diventi come i norreni.» «Hai ragione. Se è vivo, lo cureremo fino a rimetterlo in salute.» «Promesso?» «Promesso, tesoro.» Alwynn le prese le mani nelle sue. «Ma non sperarci troppo.» «Se è morto, posso avere la sua spada? La vedo luccicare al sole accanto a lui. Dovrei imparare a usarla. Non ho la benché minima voglia di diventare una monaca.» «Merri!» Con il suo sorriso impudente la ragazzina parve tutt'altro che contrita. Alwynn sospirò. Merri sapeva bene come rigirarsela attorno al mignolo, lo aveva fatto fin dalla prima volta in cui si erano conosciute. Era stata l'unica luce nell'oscurità della sua vita coniugale e lei l'amava come una figlia. «Se vuoi che rimanga lontana dal cadavere, devi promettermi una cosa. Non sono capace di comportarmi bene, senza una buona ragione.» «Obbedisci e avremo un pasto decente, questa sera.» Il volto di Merri si illuminò. «Qualcosa di diverso dalla sbobba di ieri sera, intendi dire?» «Te lo prometto» le assicurò Alwynn. «Preparerò i dolcetti al miele che ti piacciono tanto.» 20


«Però voglio anche la spada. Tu hai venduto quelle di mio padre. Come posso sperare di difendere la tenuta, senza una spada? La gente vuole un padrone forte e valoroso, altrimenti non pagherà ciò che ci deve.» «A chi ti riferisci?» «Lo sai benissimo. Ho udito le chiacchiere.» «Non dovresti prestare ascolto ai pettegolezzi dei servi» la redarguì Alwynn, imponendosi di relegare in un remoto recesso della mente i problemi che l'avevano assillata negli ultimi mesi. Potevano aspettare finché non avesse perquisito il corpo. Nessun uomo sarebbe riuscito a sopravvivere a una tempesta del genere. E pur detestando la prospettiva di derubare un morto, era certa di scorgere lo scintillio dell'oro su una delle sue dita. Chiunque altro non avrebbe esitato. E una volta che avesse perquisito il corpo, gli avrebbe procurato un'adeguata sepoltura. Era più di quanto avrebbe fatto la maggior parte della gente. Un pensiero che però non le rese la decisione più facile. «Se ha una spada, la venderemo» proclamò. «Le spade non sono adatte alle fanciulle di buona famiglia. Le nobildonne fungono da pacieri per la loro gente e conquistano con un atteggiamento cortese.» «In tal caso, ti conviene sperare che il guerriero sia vivo, dal momento che non ho la benché minima intenzione di fungere da paciere. Voglio imparare a combattere e recuperare il patrimonio che ha perduto mio padre.» Preferendo non rispondere, Alwynn si diresse verso il presunto cadavere. Visto da vicino, appariva ancora più splendido. L'acqua di mare gli aveva incollato la tunica al torace, mettendo in risalto i 21


muscoli della schiena. Un uomo capace di togliere il fiato, pensò. O di spezzare un cuore. Chinandosi, gli posò la mano sulla spalla calda di sole. «Bene. Adesso vi girerò a faccia in su» annunciò per farsi coraggio. La mano di lui scattò all'istante e le afferrò una caviglia. Con un grido soffocato Alwynn si divincolò e indietreggiò di un passo. Quell'uomo non era un cadavere. Era vivo! Questo cambiava tutto. Poteva essere disposta a derubare un morto, ma non qualcuno che viveva e respirava. E sapeva che non sarebbe mai stata in grado di obbedire all'ordine di Edwin. Era una guaritrice, non un'assassina. «Calmatevi, non intendo farvi del male.» Si chinò e gli posò di nuovo una mano sulla spalla. I muscoli guizzarono sotto il suo palmo, poi si rilassarono. L'uomo emise un gemito mentre lei lo spingeva fino a farlo giacere supino. «Avete capito? Voglio aiutarvi.» Alwynn fissò il suo viso. Il volto di un rude guerriero, sul quale il tempo e le esperienze avevano lasciato il segno, ma senza renderlo meno attraente. Si rifiutò di pensare a quanto doveva aver sofferto in mare, la notte prima. Diversi lividi gli oscuravano il viso e aveva le braccia graffiate a sangue nei punti in cui avevano urtato contro gli scogli. Benché non desse l'impressione di avere delle ferite interne, le sue labbra bluastre indicavano che doveva essere quasi in punto di morte. I suoi magnifici occhi castani contenevano una muta preghiera. Alwynn avvertì una stretta al cuore. Desiderava salvarlo, e non solo perché lo aveva promesso a Merri. Avrebbe potuto trascorrere inte22


re giornate a fissare quegli occhi. Scosse la testa per schiarirsi le idee. Si stava comportando da sciocca. Quell'uomo era un perfetto estraneo. «Intendo aiutarvi» bisbigliò. «Vi condurrò in un posto in cui sarete al sicuro. Se resterete qui morirete, e sono certa che volete continuare a vivere.»

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figlia di elezione, che ci è infinitamente cara. Merri.» Prendendole la mano, Valdar le spostò l'anello dall'indice all'anulare. «Mi sposerete, Alwynn? Sarete la mia sposa davanti al vostro Dio e davanti agli uomini? Resterete sempre al mio fianco come l'amore della mia vita?» «Sì, Valdar, con tutto il mio cuore.» «Vogliamo andare a dirlo al re?»

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