IL NUOVO ANNO INIZIA A TUTTO THRILLER
Puoi dire di conoscere davvero chi ti sta accanto? Un graffiante ritratto della psiche umana.
Viva oggi. Morta domani? Un thriller psicologico adrenalinico, perfetto per chi ha amato La ragazza del treno..
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GENA SHOWALTER È TORNATA! IL PRIMO ROMANZO DI EVERLIFE, UNA NUOVA AVVINCENTE SERIE PARANORMAL.
Due realtà, una sola scelta. Prendi la tua decisione… ma stai attenta. Non ci sarà una seconda occasione e scoprirai che ci sono cose peggiori della morte.
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Linda Goodnight
L'usignolo della pioggia
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Rain Sparrow HQN Books © 2016 Linda Goodnight Traduzione di Fabio Pacini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance febbraio 2017 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2017 da CPI, Moravia HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 178 del 24/02/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Sono stanco, capo... stanco di andare sempre in giro, solo come un usignolo nella pioggia. Il miglio verde Oggi, Honey Ridge, Tennessee Brody odiava i venerdì. Sapeva cosa sarebbe successo se fosse tornato a casa. Così non ci tornò. Si trattenne in biblioteca fino all'ora di chiusura e poi, desiderando avere i soldi per comprarsi un hamburger, si diresse verso il suo posto preferito lungo il torrente Magnolia. Era una bella camminata: più di due miglia fuori dalla città, oltre il pescheto delle sorelle Griffin, ma a undici anni quello non rappresentava un problema. Avrebbe potuto coprire l'intero tragitto di corsa senza che neppure gli venisse il fiatone. Quando la notte lo circondò e pesanti nuvoloni si addensarono nel cielo come inchiostro sulla carta, prese di nuovo in considerazione l'idea di tornare a casa. Aveva fame, ma non sempre poter mangiare era un piacere. Non aveva paura del buio o di restare solo nel bosco. La casa lo spaventava molto di più. Steso sul fresco terriccio con le mani dietro la testa, ascoltò i suoni della notte, il ritmico frinire delle cavallette che a volte cresceva di intensità al punto che gli pareva fossero dentro di lui, o i tonfi prodotti dai rospi che si tuffavano in 5
acqua dalla riva. Il rombo di un tuono in lontananza. Era distante, probabilmente dall'altra parte delle montagne e lui non se ne preoccupò. Non gli dispiaceva un po' di pioggia. Nella peggiore delle ipotesi, si sarebbe rifugiato nel vecchio mulino abbandonato vicino alla locanda, anche se il posto era un po' spettrale. Secondo il suo amico Spence, il mulino era infestato dai fantasmi. L'ultima volta che lo avevano esplorato, Spence aveva sentito un rumore strano ed era scappato via, quindi Brody preferiva non andarci a meno di essere costretto. Il suo vecchio sarebbe stato fuori combattimento a quell'ora? O lo avrebbe trovato ad aspettarlo con gli occhi iniettati di sangue e i pugni stretti, pronto a sfogare il suo odio per la vita sul figlio buono a nulla della ancor meno buona donna che li aveva abbandonati entrambi, ormai da tanto di quel tempo che il ragazzo non se la ricordava quasi più? Probabilmente la seconda. Per qualche motivo, era colpa di Brody se sua madre se n'era andata e il suo vecchio faceva in modo che non lo dimenticasse mai, anche se non gli aveva mai spiegato perché. Brody non sapeva praticamente nulla della sua mamma. Sentiva solo la sua assenza. Riusciva a capire il rancore del padre, ma pensare a sua madre lo lasciava in balia di una solitudine e di sensi di colpa che non era in grado di comprendere. Doveva aver fatto qualcosa di davvero molto brutto per indurla a lasciarlo così, da un giorno all'altro, senza spiegazioni. Una zanzara ronzava nell'umida oscurità della notte. Rimase in ascolto mentre l'insetto si avvicinava per posarsi su di lui, poi, appena il suono cessò, si colpì con un gesto fulmineo della mano. Un po' di punture fastidiose erano sempre meglio dell'alternativa. Cercava di non uccidere mai nessuno, nemmeno gli insetti molesti, però il suo vecchio avrebbe dichiarato: «Cane mangia cane. Il mondo funziona così. Meglio mangiare che essere mangiati». 6
Brody non era molto convinto di quel principio, ma in fondo che ne sapeva lui? Il suo vecchio glielo ripeteva di continuo. E lui era un moccioso che non sapeva niente. Sospirò alla luna e chiuse gli occhi. Meglio fare fuori qualche zanzara e aspettare un altro po'. Il suo vecchio era un toro e, quando veniva preso dalla rabbia, diventava pericoloso. E Clint Thompson era molto spesso arrabbiato, specialmente quando si ritrovava tra i piedi quel buono a nulla del figlio.
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Era una notte buia e tempestosa, un cliché letterario al quale Hayden Winters era molto affezionato. Quelle malinconiche notti fatte per la meditazione, piene di tuoni e fulmini, pioggia battente e vento forte, alimentavano la sua immaginazione come niente altro. Un uomo intento a commettere un omicidio... Il temporale era arrivato verso mezzanotte, ponendo fine ai suoi tentativi di dormire. Non riusciva mai a dormire in una notte così. Nemmeno lo voleva, specialmente lì, dentro a una casa piena di memorie e segreti. Tutti, ne era convinto, avevano dei segreti, ma il Sud ne conservava molti di più di qualsiasi altro posto. Era per questo che si era trasferito là. Anche Hayden aveva un segreto, una specie di larva annidata nel suo cervello, che lo stava mangiando vivo, un buco nero al centro della sua anima. Non lo sapeva nessuno, non aveva mai permesso a chicchessia di avvicinarsi abbastanza da indovinarne l'esistenza. Agli occhi del mondo, Hayden Winters era un vincente, un uomo di successo, capace di liquidare qualunque problema con il suo sorriso affascinante. Un uomo che veniva invitato a feste esclusive, alle quali evitava di partecipare, che concedeva rare, e proprio per questo molto ambite, interviste. Insomma un uomo benedetto dalla vita. Ma in quelle notti di tempesta i demoni prendevano vita nella sua mente fertile. Ogni tanto, temeva per la sua salute 8
mentale e ringraziava Dio per avergli dato una costituzione robusta, che gli permetteva di tenerli a bada. Il più delle volte. Così, ammazzava persone. A dozzine. Romanzi disseminati di cadaveri che nutrivano il perverso desiderio di morte del pubblico e mantenevano florido il suo conto in banca. L'elegante camera nella quale si trovava – la Camera delle More – era rischiarata solo dallo schermo del suo computer portatile. Hayden si alzò, si avvicinò alla finestra e guardò la pioggia che si abbatteva sul Peach Orchard Inn. La vista fuori era molto diversa da quella che lo aveva accolto al suo arrivo il giorno prima. Un pastore australiano con il pelo che cominciava a ingrigirsi se ne stava mezzo appisolato sull'ampia veranda antecedente alla Guerra Civile. Hayden si era subito immaginato seduto su una sedia a dondolo di vimini con i piedi appoggiati alla ringhiera, un bicchierone del famoso tè alla pesca di Julia Presley a portata di mano e la fantasia che volava a vele spiegate. L'antica dimora di due piani con le colonne sulla facciata anteriore brillava nel sole, le pareti bianche con i teli scuri delle finestre, i fiori che crescevano dappertutto e grossi rampicanti che si avvolgevano come braccia attorno ai tronchi e ai rami delle grandi querce centenarie. Percorrendo il viale costeggiato da gigantesche magnolie, gli era sembrato di entrare nel passato, lontano dalle distrazioni e dal ritmo frenetico del mondo moderno. Peach Orchard Inn, un nome semplice per una splendida casa, restaurata così da diventare, era pronto a scommetterci, più bella di quanto mai lo fosse stata. La sua assistente, che lo conosceva più di molti, anche se non proprio bene, aveva scoperto la locanda durante le vacanze e gli aveva suggerito di venirci per scrivere il suo prossimo best seller. Esaurito dal trambusto della metropoli e dall'ennesima relazione finita male, lui aveva colto al volo l'occasione. La sua ex avrebbe dovuto ascoltarlo: le aveva detto fin dal principio che non a9
veva la stoffa del marito, né tantomeno del padre. Non le aveva spiegato come era nata quell'avversione, ma più per proteggere lei che se stesso. Non sapendo, Stacey non aveva capito e ne era rimasta ferita. Lui odiava far soffrire le persone. Tranne che nei suoi libri. E quell'ultima disavventura lo aveva indotto a ritirarsi ancora di più in se stesso. Un uomo come lui non avrebbe dovuto avere bisogno degli altri. Qui poteva lavorare, riposarsi e svolgere delle ricerche sul paese per il suo prossimo thriller. C'erano un sacco di posti interessanti dove ambientare un omicidio. Dall'altra parte della strada, una singola luce brillava come un faro nella tempesta. Proveniva dal mulino abbandonato e in parte diroccato, che un tempo era stato parte integrante della fattoria. Lo sapeva perché era terribilmente curioso ed era bravo in quello che faceva. Gli edifici abbandonati erano l'ideale per chi voleva uccidere qualcuno e farla franca. Lì, tra le colline e le vallate del Tennessee meridionale, avrebbe trovato materiale sufficiente a ispirarlo. Un enorme dardo di fuoco blu, scagliato direttamente dalla mano di Zeus, squarciò le tenebre come una lama rovente. Ah, che meraviglia! Quando gli capitava di assistere a un temporale di quella potenza, era capace di restare in piedi per tutta la notte. Poteva sentire la storia ancora informe che gli correva nel sangue, un calderone ribollente di energia creativa. Il caffè, in dosi abbondanti, era una necessità. Non era tipo da Red Bull, lui. Aveva la sensazione che in quella bevanda ci fosse qualcosa che dava dipendenza e se c'era qualcosa che Hayden temeva più di perdere la sua unica risorsa – una mente fertile – era il dipendere da una sostanza. La dipendenza, lo aveva imparato sulla sua pelle, si presentava in molte forme diverse. Lasciando il cursore del computer a lampeggiare all'inizio di una riga, uscì dalla comoda Camera delle More e, senza 10
accendere la luce, iniziò a scendere le scale coperte da una passatoia rosso sangue, la mano che scivolava sul lucido corrimano di legno, stando attento al terzo gradino che scricchiolava. A nessun autore di omicidi seriali e orrende mutilazioni poteva sfuggire un gradino che scricchiolava. Un lampo illuminò la scalinata ricurva, seguito dopo neanche due secondi da un tuono, che aveva la potenza sonora di mille tamburi rollanti. La casa rimase immobile, perfino tranquilla, come se avesse sopportato ben di peggio per lasciarsi scuotere da un semplice temporale. C'erano delle storie in quel posto... le sentiva nell'aria. Il sangue per metà scozzese e per metà irlandese di Hayden udì in quel tuono la danza dei suoi antenati, vide pescherecci in balia delle onde su un grigio mare tempestoso, immaginò donne in piedi in cima alla scogliera, una mano alzata a schermare gli occhi che tentavano di penetrare la gelida nebbia, dove stava in agguato il Grande Predatore, pronto a serrare gli artigli su chiunque fosse stato tanto ardito, o folle, da sfidare la sua potenza. Hayden mise da parte quell'immagine ripromettendosi di usarla in futuro. Il suo nuovo romanzo voleva esplorare le letali correnti sotterranee che si celavano dietro ai sorrisi di benvenuto e al dolce tè dei paesi del Sud rurale, non le coste irlandesi battute dalle tempeste. In fondo alla scala, attraversò l'atrio, raggiungendo l'area che la proprietaria indicava come salotto, un'ampia sala che parlava di tempi passati, con il suo caminetto di marmo e l'arredo in stile vittoriano, oltre alla quale si accedeva alla grande e più moderna cucina. Si mosse in cerca dell'interruttore della luce, esitando solo per un breve istante nel timore di svegliare le sorelle, proprietarie dell'albergo, che dormivano lì da qualche parte al pianterreno. Ma la voglia di caffè spazzò via qualunque remora. Una rapida ispezione dei banconi rivestiti di granito scuro non rivelò nulla che assomigliasse a una macchina per il caf11
fè. Maledicendosi perché si era dimenticato di chiedere dove fosse – o in alternativa di pretendere che ne installassero una nella sua camera – aprì una decina di armadietti di legno color crema. La sua ricerca non ebbe alcun esito se non un barattolo pieno di bustine di tè, scoperta che gli fece digrignare i denti. Mentre meditava sul senso e l'utilità del tè al limone, il cellulare iniziò a squillare e vibrare nella sua tasca. Lui trasalì all'improvviso frastuono, come se una suoneria potesse svegliare una casa che continuava a dormire in mezzo a un violento temporale. Ciò nonostante, per rispetto nei confronti del prossimo e perché era un cliente arrivato da poco, mise il cellulare in modalità silenziosa. Era stata sua intenzione ficcarlo in fondo alla valigia e dimenticarsi della sua esistenza per almeno tre o quattro giorni, invece, per forza d'abitudine, se lo era infilato nella tasca dei pantaloni. «Una vera disdetta» bofonchiò. «Una grande dimostrazione di stupidità.» Sapeva chi lo stava chiamando. C'era solo una persona che avrebbe osato disturbarlo nel cuore della notte. La stessa che gli aveva insegnato che era più prudente dormire con un occhio aperto. «Ciao, Dora Lee.» Udì la sua inspirazione tremolante e si preparò a una scenata isterica, oppure a una raffica di imprecazioni e insulti. Una delle due era inevitabile. Quando lei non rispose, un moto d'ansia lo spinse a porre una domanda della quale era destinato a pentirsi. «Stai bene?» «No, non sto bene per niente, ma a te cosa importa? Sono malata. Tu sai che sono malata e non mi aiuti. Come faccio a procurarmi la mia medicina?» Hayden chiuse gli occhi, appoggiandosi al bordo di granito del bancone. Poteva visualizzarla, nel disordine e nella sporcizia della sua roulotte, in mezzo a piatti non lavati e conteni12
tori di cibo lasciati a metà, i capelli scarmigliati e gli occhi da pazza, le mani che tremavano stringendo convulsamente il telefono. «Cosa hai fatto con gli ultimi soldi?» «Pensavi che sarebbero bastati? A pagare l'affitto, la bolletta dell'elettricità e a fare la spesa? Ma in che mondo vivi?» Hayden buttò fuori un pesante sospiro. «Ti hanno tagliato di nuovo la luce?» «Da un pezzo. Dovevo prendere le medicine. A cosa mi serve la luce, se il corpo mi duole al punto da non riuscire a tenere gli occhi aperti?» «Dora Lee, non ti manderò soldi per altre pillole.» Dio gli era testimone, aveva già contribuito per troppo tempo alla sua dipendenza, coltivando l'illusoria speranza che lei potesse cambiare, speranza che continuava ad ardere, per quanto debolmente, anche adesso. «Ti stai uccidendo. Verrò in Kentucky e ti farò ricoverare in una clinica per dis...» L'urlo che gli perforò l'orecchio sovrastò perfino il tuono che esplose sopra la locanda. «Chiudi il becco! Non aggiungere una sola parola... mi senti? Tu, ingrato bastardo. Avrei dovuto annegarti quando ne avevo la possibilità, per tutto il bene che mi hai fatto. Tieniti i tuoi luridi soldi.» E poi la linea cadde. La stanchezza degli ultimi mesi lo assalì, prosciugando l'energia creativa che aveva cominciato a muoversi nel suo animo da quando era arrivato là. Non avrebbe dovuto darle il numero del suo cellulare, ma il bambino disperato che viveva in lui desiderava ancora di poter aiutare la donna amareggiata e devastata dalla droga che il destino gli aveva dato in sorte come madre. Già quando lui era piccolo, prima che la buia galleria di una miniera di carbone uccidesse quel sant'uomo di suo padre, Dora Lee si procurava delle pillole per curare emicranie immaginarie, e aveva iniziato a odiare il suo unico figlio. E lui non capiva perché. Sua madre non aveva idea che quello stesso odiatissimo 13
figlio fosse diventato Hayden Winters, romanziere di successo. Era un segreto di cui non l'avrebbe mai messa a parte. Perché non poteva. Le conseguenze erano troppo inquietanti per considerare una tale ipotesi. Molti anni prima, aveva cambiato nome e si era reinventato un passato nel quale lui non era il ragazzino più sporco e dimesso della zona più desolata degli Appalachi. Il garbato e sicuro di sé Hayden Winters era un prodotto della sua immaginazione, come i personaggi dei romanzi che scriveva. A Dora Lee non sarebbe importato comunque. Le interessava solo che lui continuasse a mandare soldi. Per questa sua beata ignoranza, Hayden sarebbe stato eternamente grato a quel Dio che lo aveva salvato dalle miniere e dall'influenza di Dora Lee Briggs. Se la stampa fosse venuta a conoscenza dell'esistenza di sua madre, Hayden avrebbe potuto dire addio alla sua tanto protetta privacy. Era contento che lei non sapesse leggere, anche se da ragazzo, bisognoso di affetto com'era, si era offerto di insegnarglielo nella speranza di compiacerla. Per tutta risposta, lei lo aveva picchiato servendosi del libro di grammatica come di una clava, finché la rilegatura non era saltata e le pagine avevano cominciato a volare qua e là, ringhiando che non era stupida come lui pensava. Almeno un paio di volte all'anno, lui si metteva in viaggio e andava a trovarla, sempre a causa di una qualche ferita psicologica che lui aveva bisogno di curare. E ogni volta ripartiva lasciandosi dietro un altro pezzetto di sé e un dono di commiato, che lei avrebbe immediatamente cercato di rivendere, per comprare al mercato nero dell'OxyContin, o un'altra delle pillole di cui si serviva per evadere per qualche ora dalla realtà. Dora Lee era il suo segreto più nero. Uno dei tanti. Con quella ferita che pulsava dolorosamente, Hayden infilò una tazza di acqua nel forno a microonde. Il tè al limone era meglio di niente. 14
Carrie Riley scendeva i gradini in punta di piedi, rabbrividendo perché era scalza e aveva addosso un pigiama pressoché impalpabile. I temporali la rendevano nervosa. Molto nervosa. Non riusciva a dormire con il vento che fischiava tra gli alberi e i tuoni che le facevano saltare il cuore fuori dal petto. Come facessero gli altri, restava un mistero per la sua mente ben ordinata. Era molto tardi e non sapeva bene cosa voleva fare, ma a un certo punto le sovvenne che l'unico televisore al piano terra della locanda si trovava nel salotto anteriore e decise di andare là. Avrebbe guardato le previsioni del tempo per accertarsi che non avessero emesso un allarme tornado. Possibile che non ci avesse pensato nessuno in casa? La piccola torcia puntata sul pavimento, l'altra mano stretta sulla balaustra, continuò la sua prudente discesa. Il terzo gradino scricchiolò. Si fermò, serrando le labbra, poi proseguì. Era proprio una pappamolle. Un coniglio. Passare una notte fuori casa era una cosa che una donna adulta non avrebbe dovuto più fare, eppure alla luce del giorno, prima dell'arrivo del temporale, chiacchierando con le sue sorelle e le loro amiche le era sembrata un'idea fantastica, giusto quello di cui aveva bisogno. Lei e le sue due sorelle erano amiche di vecchia data delle sorelle proprietarie della locanda, Julia Presley e Valery Griffin. Di comune accordo, sull'onda della nostalgia per una giovinezza ormai finita da tempo, avevano deciso di trascorrere il weekend assieme per riavvicinarsi e divertirsi un po'. Julia stava cercando di rimettersi in contatto con le sue vecchie amiche e di riprendere a vivere dopo la tragedia del rapimento di suo figlio, avvenuto sei anni prima, e Carrie era felice di essere parte del suo processo di guarigione. Erano state davvero bene, raccontandosi storie e ridacchiando come delle cretine a causa di qualche bicchiere di Moscato di troppo, mettendosi lo smalto sulle unghie e discutendo del fidanzamento di Julia con Eli Donovan, dei famosi 15
Donovan di Knoxville. Tutte l'avevano esortata a organizzare un matrimonio da favola proprio là, alla Peach Orchard Inn. Ora le altre dormivano come sassi nei loro letti e lei tremava come una foglia per via del temporale. Le stava venendo anche il mal di testa. Il vino aveva quell'effetto sulla vecchia Carrie dalla vita noiosa, che di rado si avventurava a bere qualcosa di più audace e forte di un caffè ristretto. Codarda. Giunta in fondo alle scale, notò la luce accesa in cucina. Curiosa e ansiosa di compagnia, Carrie si affrettò sulle fresche tavole di legno del pavimento, salvo poi arrestarsi di botto sotto l'arco della soglia. La persona che si muoveva nella cucina era un lui, un lui alto e slanciato, robusto e molto mascolino. Capì subito che non si era messo a letto. Era ancora vestito di tutto punto, con un paio di jeans molto costosi, che riconobbe solo grazie al logo dello stilista applicato sopra la tasca posteriore dentro alla quale era infilato un cellulare, e un maglione blu scuro con le maniche rialzate fino al gomito. Le dava la schiena e stava immergendo una bustina di tè in una tazza di porcellana bianca. Le ampie spalle, come del resto gli avambracci, erano muscolose, le mani lunghe e forti, come se fosse abituato a usarle per guadagnarsi da vivere. Improbabile con quei jeans. O con quel taglio di capelli. Un taglio così costava un occhio della testa. Lei lo sapeva perché sua sorella Nikki era la donna più informata sulla moda di tutta Honey Ridge. Nikki era proprietaria di una boutique e si nutriva di moda, di accessori di lusso, di make-up e acconciature sofisticate, al contrario di Carrie che non era in grado di distinguere una borsa di Gucci da una sacca di tela e in fondo non le importava. I capelli castani di questo tizio erano stati tagliati da una mano esperta, che probabilmente si faceva pagare fantastiliardi di dollari ogni volta che doveva impugnare un paio di forbici. Carrie non riusciva a decidere se farsi avanti o aspettare 16
che lui la notasse. Nel qual caso, ci sarebbero potuti volere altri cinquant'anni. Gli uomini non notavano Carrie Riley. A meno che non dovessero prendere in prestito un libro. Un lampo accecante, accompagnato dal tuono più violento che Carrie avesse mai udito fece tremare la casa. Altri lampi seguirono e, mentre i tuoni squarciavano la notte con un frastuono assordante, l'aria sfrigolò, satura di elettricità statica. Carrie non riuscì più a trattenersi. Si coprì la faccia con le mani e cacciò un acutissimo strillo. Il cucchiaino cadde, rimbalzando sulle mattonelle del pavimento. L'uomo si irrigidì e girò di scatto la testa. Dannazione, era anche attraente. Aveva l'aria romantica di uno dei poeti che lei continuava incessantemente a leggere nella speranza che un giorno quel tipo di amore bussasse alla sua porta. Ora avrebbe cominciato a balbettare, e per un motivo diverso dal temporale. «Scusi. Non volevo spaventarla.» Incrociò nervosamente le braccia sul petto. Una bella bocca, né troppo grande, né troppo piccola, con labbra perfettamente disegnate, si curvò in un principio di sorriso. Occhi che avevano lo stesso colore della nebbia, del fumo e del mistero la scrutarono. «Ha squittito.» Come un topo. Stupida. Stupida. «Ho paura dei temporali. Ho pensato di venire a vedere le previsioni del tempo.» «Direi che sta piovendo.» Carrie roteò gli occhi e per poco non sorrise, sebbene fosse ancora attanagliata dal terrore. «E se ci fosse un tornado in arrivo?» Lo sconosciuto scosse la testa. «Non succederà.» La convinzione con cui l'uomo aveva escluso quella possibilità la rincuorò. Forse era un meteorologo. Carrie avanzò di qualche passo. Non conosceva quel tizio, ma se avesse tentato qualcosa di inopportuno, lei avrebbe potuto mettersi a gridare, anche se era davvero difficile che 17
qualcuno la sentisse nel fragore della tempesta. Che pensiero confortante. «Vuole un po' di...» Lui sollevò una delle delicate tazze bianche di Julia, inarcò un sopracciglio e bevve, storcendo la bocca. «... tè al limone?» In situazioni di quel tipo le sarebbe piaciuto essere estroversa come Nikki, bella come Bailey, o perfino un po' selvaggia e facile con gli uomini come Valery. Invece non era nessuna di quelle cose. Era l'ordinaria Carrie, bibliotecaria di professione, che in quel preciso momento avrebbe dato un braccio per riuscire a dire qualcosa di spiritoso e intelligente. «Se non le piace il tè al limone, ne scelga un altro.» Incredibilmente spiritoso e intelligente. Ecco perché era ancora single a trentadue anni. «In realtà io avevo bisogno di caffeina» disse lui, scrollando le spalle. «Nel tè al limone ce n'è una quantità irrisoria. Si faccia un caffè.» «Lo farei di corsa, se sapessi dov'è la macchina.» Lei alzò un dito. «In questo posso esserle di aiuto.» Lui elevò lo sguardo al soffitto. «Dio sia lodato assieme a tutti i santi.» I piedi nudi che calpestavano il pavimento senza emettere il benché minimo rumore, Carrie entrò nella dispensa e prese una delle caffettiere d'argento, a stantuffo, di Julia. «Dovremo macinare i chicchi. Julia è un po' fissata, in fatto di caffè.» «Il rumore non disturberà gli altri?» Un tuono esplose sopra la casa, sovrastando per qualche secondo il tamburellio incessante della pioggia sul tetto. Carrie lo guardò. «Fa differenza?» «Ha ragione. Lei mi sta salvando la vita. Posso sapere il suo nome?» «Carrie Riley.» Lei tenne le mani occupate e gli occhi fissi su quello che stava facendo. Per qualche insondabile motivo, 18
era consapevole dell'uomo con il viso da poeta in un modo che le procurava uno strano formicolio. Non le succedeva praticamente mai. Non era brava in quel genere di cose. Bastava chiedere alle sue sorelle. «E il suo?» «Hayden Winters.» «Lieta di conoscerla, Hayden.» Lei alzò il barattolo con i chicchi di caffè. «Forte?» «Posso esserlo.» Carrie rise, scioccata dal pensiero che quel tipo affascinante potesse flirtare un pochino con lei. Anche se probabilmente non era così. «Vada per forte allora.» Come previsto, il fragore del temporale coprì il rumore del macinino e in meno di dieci minuti il caffè fu pronto. Il ricco aroma riempì la cucina, diffondendo un piacevole tepore contro il freddo della pioggia. Hayden Winters le offrì la prima tazza, gesto che glielo rese ancora più simpatico, e poi bevve un sorso della sua. «Forte e profumato. Lei è una che sa il fatto suo.» «Da ragazza ho lavorato da Starbucks e amo il caffè.» «Un'anima affine. Io vivo di questa roba, specialmente quando lavoro, come dovrei fare in questo momento.» Lei non voleva che se ne andasse. Non perché era sexy – cosa peraltro innegabile – ma perché non sopportava l'idea di restare sola con il temporale che imperversava sulla zona, e non c'era nessun altro in piedi. «Lei lavora di notte?» «Soprattutto nelle notti di tempesta. Sono le mie favorite.» Il che, a parere di Carrie, significava che era un tipo strano. «E cosa fa, di preciso?» Lui la osservò per qualche secondo, poi rispose sommessamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo: «Ammazzo la gente».
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Sorprendimi di Susan Mallery Maya Farlow ha imparato a cavarsela da sola, a contare solo su se stessa e a non fidarsi di nessuno così, dopo aver incontrato Del Mitchell e aver sperimentato da vicino il suo fascino "da cattivo ragazzo", l'unica cosa che le sembra giusto fare è scappare da Fool's Gold. Ora, dopo dieci anni, Maya è stata ingaggiata per un nuovo lavoro che la riporterà proprio nella città in cui è cresciuta al fine di promuoverla come destinazione "doc" del romanticismo. Tutto bene, se non che il testimonial della campagna che dovrà organizzare sarà proprio Del, l'uomo da cui era fuggita, ma che non ha mai dimenticato. Quando si incontrano la parola d'ordine è imbarazzo, ma entrambi sono decisi a non ripercorrere più le strade del passato. Ma poi un bacio rubato diventa la miccia che incendia i loro sensi.
L'usignolo della pioggia di Linda Goodnight Famoso ma senza un volto, lo scrittore di thriller Hayden Winters vive una vita costellata di menzogne a causa del suo passato e di una madre anaffettiva che l'ha cresciuto in condizioni di degrado fisico ed emotivo. Per questo non si sente di meritare nulla di quello che in realtà desidera: un rapporto sincero e una famiglia tutta sua da poter amare. E per questo è determinato a vivere un'esistenza più veloce dei suoi demoni personali, finché non arriva al Peach Orchard Inn, una splendida villa coloniale a Honey Ridge, in Tennessee. Qui incontra Carrie Riley, una donna dal fascino leggero e dolce come il canto di un usignolo, che lo convince a fermarsi sui suoi passi. Hayden e Carrie sono due anime lontanissime, ma con profonde affinità emozionali. Lei ha paura di tutto, ma l'incontro con...
Quel viaggio dopo le nozze di Cara Connelly La giornalista Christine Case crede che un giornale debba prima di tutto informare, e non divertire. Ma quando un servizio le si rivolta contro mettendo a rischio l'intera carriera per cui ha lavorato tanto, il compromesso è d'obbligo e decide di fare l'unica cosa che aveva giurato di non fare mai: infiltrarsi sotto mentite spoglie al matrimonio della celebrità più in vista del momento. L'immobiliarista Dakota Rain detesta la stampa, così quando decide di ospitare il matrimonio del suo famoso fratello nella sua proprietà a Berverly Hills, la sua priorità assoluta è quella di tenere lontani gli avvoltoi in cerca di uno scoop. Durante il party di nozze però ad attirare l'attenzione di Dakota è lo sguardo della cantante del gruppo ingaggiato per la festa.
Ancora più stretto a te di Gina Showalter Lincoln West, milionario e creatore di videogames, ha un oscuro e tragico passato che si guarda bene da rivelare a chicchessia. Vive seguendo un rigido schema e un'unica imprescindibile regola: una sola relazione all'anno della durata massima di un paio di mesi. Questo fino a quando non incontra Jessie, bella ed esuberante ragazza in grado di sondare nel suo cuore alla ricerca di emozioni che lui pensava scomparse. Lei è determinata a seguire la retta via dopo i bagordi del passato, ma lo sfrigolio che sente al cuore e che la fa oscillare tra verità e bugie quando si trova accanto a Lincoln è un richiamo davvero troppo forte per resistere. Il fatto poi che entrambi non riescano a stare vicini senza strapparsi gli abiti di dosso...
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